Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il monachesimo medievale si inserisce senza soluzione di continuità nella tradizione monastica orientale e occidentale, a cui si dimostra fedele pur rinnovandola. Il percorso spirituale del monaco dalla lettura della Bibbia alla contemplazione è una forma di teologia mistica, a cui nel pieno Medioevo si contrappone la ricerca razionale di Dio, la teologia scolastica. Al centro della teologia monastica stanno l’amore di Dio e la ricerca dell’unione mistica con Lui, ma anche la cultura letteraria, per quanto disprezzata in linea teorica, è seguita e coltivata nella pratica.
Benedetto da Norcia
Il lavoro manuale quotidiano
La Regola, 48
L’ozio è nemico dell’anima: perciò i fratelli, in determinate ore, devono attendere al lavoro manuale, in altre ore, anch’esse ben fissate, alla sacra lettura.
Pensiamo perciò di ripartire bene il tempo dell’una e dell’altra occupazione disponendo che, da Pasqua fino al 14 settembre, la mattina, da prima fin quasi all’ora quarta attendano al lavoro che sarà da farsi; dall’ora quarta fin quasi a sesta, studino. Dopo sesta, alzati da tavola, riposino in gran silenzio sui loro letti: e se qualcuno vuole leggere, lo faccia in modo da non disturbare gli altri. Si reciti nona un po’ in anticipo, a metà dell’ora ottava, e di nuovo si applichino fino al tramonto nel lavoro che vi sarà da fare.
E se la necessità del luogo o la povertà li costringe a badare essi stessi ai raccolti, non se ne contristino: perché allora sono veramente monaci, quando vivono del lavoro delle proprie mani, come i nostri padri e gli apostoli. Ma si faccia tutto con moderazione per riguardo ai più deboli.
Pier Damiani
Ritmo sulla gioia del Paradiso
1. L’anima inaridita è assetata della fonte di vita eterna.
Imprigionata, cerca di spezzare al più presto le catene della carne,
arde dal desiderio, anela, esule si sforza di entrare nella patria.
2. Mentre ancora geme soggetta a pene ed angustie
e contempla la gloria che perse allorché commise il peccato,
il male presente cresce al ricordo del bene perduto
[…]
9. Liberati da ogni corruzione della carne non conoscono più guerra;
la carne, ormai divenuta spirituale, e l’anima hanno un unico sentire,
godono di grande pace, non recano segni di male.
10. Liberi da ogni mutamento, tornano all’origine
e contemplano il volto della verità sempre presente a loro;
da qui attingono la dolcezza vitale della fonte viva.
Il monachesimo nasce da un contrasto, dalla percezione fortissima del dualismo tra anima e corpo, tra spirito e materia, tra Dio e il mondo. Il monaco, che cerca di attuare in sé la perfezione evangelica, risolve il contrasto con l’abbandono del mondo, scegliendo la ricerca assoluta di Dio nel ritiro dal secolo, nella penitenza e nella preghiera. Il monachesimo è una scelta spirituale che attraversa la storia della Chiesa almeno a partire dal IV secolo (secondo alcuni è una costante delle religioni di ogni tempo) fino a oggi.
Il monachesimo medievale vive in rapporto di stretta solidarietà con la tradizione monastica tardoantica. Si pone sempre in continuità, mai in frattura, con le esperienze precedenti. I grandi autori monastici dell’età patristica, greci e latini, sono le fonti del monachesimo medievale: le Parole dei Padri (Apophtegmata Patrum, Dicta Patrum), la Vita di sant’Antonio Abate scritta da Atanasio di Alessandria, la Scala del paradiso di Giovanni Climaco, le Vite dei Padri nella traduzione latina attribuita a san Girolamo sono i testi greci più letti; tra i latini, sant’Agostino di Ippona e san Gregorio Magno, grande interprete della mistica monastica, chiamato da Jean Leclercq “dottore del desiderio” (doctor desiderii).
Il monachesimo medievale appare diviso tra due tendenze apparentemente contrapposte: “grammatica” ed “escatologia”, amore della letteratura e ricerca di Dio (Jean Leclercq). Il monaco ha come obiettivo la ricerca di Dio, per la quale non serve la cultura: anzi, Cristo stesso ha scelto dei pescatori ignoranti come suoi discepoli. Docta ignorantia è l’atteggiamento che il monaco persegue: ignoranza della cultura mondana, ma sapienza delle cose di Dio. Si contrappongono così scientia e sapientia. E tuttavia, in pratica, il monaco medievale conosce e usa la cultura letteraria: la studia da novizio nella scuola monastica, spesso compone opere, lavora come insegnante o come copista di manoscritti.
L’alto Medioevo, fino al secolo XII, è dominato dalla cultura monastica. I monasteri sono i più grandi centri culturali dell’Occidente (si pensi a Montecassino, Bobbio, Fulda, Cluny). La spiritualità monastica, fondata sul disprezzo della carne, sulla penitenza austera e sulla preghiera, è egemone.
La teologia monastica parte dal testo biblico, dalla lettura (lectio), che dà spunto alla riflessione intima o meditazione (meditatio). La riflessione è anche preghiera (oratio) e questo atteggiamento porta alla contemplazione di Dio (contemplatio). “Contemplazione” è il termine chiave della spiritualità monastica: si cerca di “vedere” nella sua sublime lontananza quel Dio per cui si è lasciato tutto. Dio è amato e desiderato. L’amore, che è una forma di conoscenza spirituale, sentimentale, è l’unica strada per risalire fino a Lui.
Tra XI e XII secolo la situazione cambia e nasce un metodo diverso di fare teologia: la scolastica. All’esperienza sentimentale di Dio si sostituisce la sua ricerca intellettuale. Punto di partenza è sempre il testo biblico, ma questo serve a introdurre un problema logico su Dio, una questione (quaestio) che andrà risolta in termini intellettivi, dialettici. La soluzione (solutio) della questione sarà un passo avanti nella conoscenza razionale di Dio.
Propriamente non esiste una letteratura monastica medievale, nel senso che i monaci scrivono pressoché gli stessi generi che incontriamo nel resto della letteratura del periodo. C’è però quell’atteggiamento di fondo del monachesimo di cui abbiamo parlato, ossia la tendenza a ricercare Dio anche attraverso la letteratura, e ci sono dei generi preferiti.
I monaci amano indagare il mistero della Scrittura, della Bibbia, non per arrivare a una spiegazione univoca e definitiva, ma per scoprirne sempre nuovi sensi spirituali, per entrare in modo sempre nuovo dentro il grande mistero della storia dell’uomo. Per questo l’esegesi è un genere letterario amato dal monachesimo. L’esegesi monastica punta a scoprire il senso spirituale della Scrittura, affinché esso sia di nutrimento per l’interiorità. Essa si svolgerà nel massimo rispetto della Parola di Dio, “pregando più che disputando”, bussando con rispetto alla porta chiusa del mistero. Monaco è, ad esempio, uno dei grandi esegeti carolingi, Rabano Mauro.
Sono amati soprattutto quei generi nei quali si possano esprimere le esperienze personali: lettere, dialoghi, diari, conferenze (conlationes), raccolte di frasi celebri (antologie, florilegi), agiografia. Nell’agiografia il “modello monastico” si combina spesso con altre forme di vita religiosa, ad esempio con la funzione vescovile. Anche la storiografia è amata dai monaci: sia quella del monastero che la cronaca a sfondo regionale o universale, nella quale il disegno provvidenziale di Dio per la storia è descritto nel suo svolgimento reale.
Un posto a parte merita la liturgia, per la quale i monaci hanno scritto moltissimo. La stessa vita del monastero è incentrata sulle celebrazioni liturgiche e scandita da queste. La recita dell’ufficio monastico si svolge in coro in ore prestabilite della giornata (dal mattutino al vespro) e prevede l’alternanza di letture (bibliche o edificanti) alla recita dei Salmi e di altri canti (inni, antifone con responsori e versetti). È naturale che i monaci abbiano scritto testi liturgici per le loro celebrazioni, per festività particolarmente sentite (la festa del santo patrono del monastero, le festività di Cristo e della Vergine) e per il puro piacere di scrivere. La loro scrittura è una continua variazione sul tema della lode di Dio: non riflessione teorica, ma composizione pratica.
I temi principali del linguaggio monastico gravitano intorno al percorso ascetico rinuncia-desiderio-risalita a Dio. La mortificazione crea il deserto interiore, nel quale scende lo Spirito di Dio per vivificare l’uomo, per farlo nuova creatura. Il pianto mistico esprime in modo caldo e concreto l’ineffabile piacere che travolge l’uomo pieno di Dio. L’unione mistica è descritta come luce, calore, gioia indescrivibile, fuoco di passione, abbraccio carnale tra lo sposo e la sposa. La risalita a Dio è come un volo compiuto sulle ali della fede, seguendo il Salmo 54, 7: “Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo? Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto”. Il monachesimo, nonostante tutte le rinunce di una vita di sacrificio, è cantato come un giardino del paradiso, come la via d’oro (via aurea) per entrare in Dio, o come la Gerusalemme celeste: anticipazione terrena della città eterna dei santi. Queste immagini sono spesso bibliche o tratte dalla Bibbia, testo fondamentale che è citato a memoria. Le immagini tornano spontaneamente alla memoria all’autore e si incastrano in un mirabile gioco di rimandi, per reminiscenza.
Ricchissima è la legislazione prodotta dal monachesimo medievale. Anche in questo caso le regole antiche non sono rinnegate, ma aggiornate e riviste alla luce della sensibilità dei tempi nuovi.
La Regola più seguita in Occidente è quella di san Benedetto da Norcia, che rielabora una precedente anonima Regola del Maestro. Al centro di essa c’è la sapiente alternanza tra preghiera e lavoro (sintetizzata più tardi nella formula ora et labora, “prega e lavora”); la giornata è scandita da attività diverse, che valorizzino la dimensione pratica – diremmo anche sociale – della persona accanto a quella contemplativa e individuale. Il monastero previsto da Benedetto è una piccola cittadella autosufficiente, tanto per gli aspetti economici quanto per quelli spirituali. Uno o più monaci sono anche sacerdoti e provvedono alla cura pastorale della comunità. Nel monastero il monaco è individuo, è solo in un rapporto privato con Dio, e contemporaneamente è membro di una famiglia con a capo l’abate, il “padre”: dimensione verticale (individuale) e orizzontale (comunitaria) della vita quotidiana si saldano. L’abate, responsabile della famiglia monastica, padre discreto e saggio, che sa alternare comprensione a durezza, è il vero perno della comunità. Per il resto, l’antropologia di Benedetto è quella tipica del monachesimo, con la svalutazione (di tipo platonico) della carne rispetto allo spirito e il richiamo alla preghiera e alla mortificazione interiore. L’equilibrio della Regola, la conciliazione delle contraddizioni in una visione unitaria ne fanno uno dei testi fondanti della cultura occidentale.
Ben presto la Regola di san Benedetto viene commentata: per esempio, nell’VIII secolo, da Paolo Diacono e, nel IX, da Smaragdo di Saint Mihiel. Nei secoli XI e XII i movimenti di riforma del monachesimo mettono per scritto le consuetudini locali, che si affiancano alla Regola integrandola. Sono riforme della Regola stessa. Cluny, fondata in Borgogna nel 910, trasmette le sue Consuetudini a molti monasteri d’Italia, Francia e Spagna, dove vengono recepite e rielaborate in chiave locale. A Camaldoli la tradizione eremitica dei padri del deserto rivive per impulso di san Romualdo di Ravenna e a fine XI secolo il priore Rodolfo I (priore dal 1074 al 1088) mette per scritto le Costituzioni. Il movimento eremitico si sviluppa anche nella Certosa (Chartreuse), fondata nel 1084 da san Bruno di Colonia. Il primo testo normativo dei Certosini sono le Consuetudini del priore Ghigo o Guigo. Anche i Vallombrosiani, dopo la morte del fondatore san Giovanni Gualberto, si dotano ben presto di consuetudini scritte. A Citeaux, monastero fondato nel 1098 dal nobile francese Roberto di Molesme, il testo fondatore è la Carta dell’amore (Charta charitatis), nel quale viene anche organizzato un modello nuovo, di tipo federale, di congregazione monastica, incentrato sul vincolo reciproco di amore tra le fondazioni.