La decadenza dal permesso di costruire
La giurisprudenza del giudice amministrativo è divisa sul punto se la decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto che discende automaticamente dal decorso dei termini di inizio e/o completamento dei lavori ovvero se la sua operatività richiede un provvedimento, ancorché solo dichiarativo e con efficacia ex tunc. Si tratta di contrasto interpretativo risalente nel tempo e non superato da Cons. St., sez. IV, 18.5.2012, n. 2915, per il quale la decadenza della concessione edilizia opera di diritto, sicché il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere dichiarativo di un effetto già verificatosi in conseguenza del decorso del termine prefissato. In effetti le argomentazioni addotte a supporto di tale conclusione ripropongono quelle che da decenni adduce una parte della giurisprudenza e che continuano ad essere contestate da un orientamento contrario. Con il t.u. 6.6.2001, n. 380 si è persa l’occasione per risolvere il contrasto; con la sentenza n. 2915/2012 per affidarne la definizione all’Adunanza plenaria.
La IV sez. del Consiglio di Stato, chiamata a definire una controversia avente ad oggetto una contestata decadenza del permesso di costruire, si è preoccupata, con la sentenza 18.5.2012, n. 2915, innanzitutto di chiarire quali sono i presupposti che devono sussistere perché tale evenienza possa ritenersi verificata. Con puntuale richiamo sia alla disciplina in materia, compresa quella anteriore all’entrata in vigore del t.u dell’edilizia (d.P.R. 6.6.2001, n. 380), sia al contributo chiarificatore offerto nel corso del tempo dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, ha precisato quali sono le condizioni che devono ricorrere perché un lavoro edile possa ritenersi iniziato entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo e completato al termine del successivo triennio. Ha quindi preso in esame il problema di fondo che le parti in causa avevano sottoposto al suo giudizio, e cioè se l’inosservanza di dette condizioni da parte del costruttore comporta automaticamente la decadenza del permesso di costruire, che gli era stato rilasciato e che fissava anche i termini di inizio e completamento dei lavori, ovvero se a questo effetto è richiesto un apposito provvedimento da parte del competente organo comunale. Ha motivatamente dichiarato di optare per la prima soluzione. La tesi svolta, come meglio si vedrà in seguito, è che, ai sensi dell’art. 15, co. 2, t.u. dell’edilizia, la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e completamento dei lavori opera di diritto e il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto già verificatosi. La conclusione è condivisibile, ma le argomentazioni addotte a supporto della stessa non sembrano in grado di neutralizzare le controdeduzioni di un’ampia parte della giurisprudenza, preoccupata soprattutto di assicurare il contraddittorio fra ente locale e privato in ordine alla sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto della decadenza. Di qui la necessità di ricostruire il quadro normativo in materia, anche nella lettura che delle sue prescrizioni ha finora dato la giurisprudenza del giudice amministrativo.
Parametro prioritario di riferimento, nella disamina delle problematiche proprie della materia de qua, è l’art. 15, t.u. dell’edilizia, il quale premette che nel permesso di costruire devono essere indicati i termini d’inizio e ultimazione dei lavori. I primi non possono essere superiori ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo; i secondi ai tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, ma con provvedimento motivato adottato prima della loro scadenza e per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso ovvero in ragione della mole dell’opera da realizzare e delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive ovvero ancora se si tratta di opere pubbliche con finanziamento diluito in più esercizi finanziari. Decorsi i suddetti termini «il permesso decade di diritto per la parte non eseguita». Ciascuna di queste prescrizioni normative ha dato luogo in sede applicativa a contrasti interpretativi, che il giudice è stato chiamato a definire con conclusioni non sempre univoche, anche nei giudizi d’appello1.
2.1 Il termine per l’inizio dei lavori
Il primo problema che a questo riguardo si è posto all’attenzione del giudice riguarda l’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine annuale per l’inizio dei lavori. L’art. 15, co. 2, t.u. dell’edilizia lo identifica in quello del “rilascio” del permesso di costruire al privato che lo aveva chiesto, che è locuzione di non univoco significato e comunque tale da provocare ripetuti interventi da parte della giurisprudenza. È stato da essa affermato che in questo caso «rilascio» non può essere inteso come «adozione» del permesso da parte dell’ente locale, ma come “consegna” dello stesso al suo destinatario. Alla base di questa conclusione è la considerazione, del tutto condivisibile, che l’interesse della parte istante è di natura pretensiva, attenendo all’acquisizione di una specifica utilità, che può derivarle solo da un provvedimento espresso, debitamente portato a sua conoscenza2. La riprova della ragionevolezza di tale interpretazione è stata individuata negli artt. 31, co. 6, l. 17.8.1942, n.1150, nel testo sostituito dall’art. 10 l. 6.8.1967, n. 765 e 4 l. 28.1.1977, n. 10, i quali prevedevano l’obbligo di notificazione da parte del sindaco del permesso di costruire. Devono invece ritenersi superate alcune decisioni risalenti nel tempo, che individuavano il dies a quo in quello del materiale “ritiro” dell’interessato del documento autorizzativo da lui richiesto, in tal modo lasciandogli libera scelta del momento dal quale iniziare la realizzazione del manufatto progettato e assentito3.
Altro problema che, sempre a questo riguardo, è stato sottoposto nel corso del tempo all’esame del giudice è quando i lavori di costruzione possono dirsi effettivamente iniziati e quindi idonei ad impedire la decadenza del titolo abilitativo. La risposta ricorrente nella giurisprudenza è che gli stessi devono essere di spessore tale da comprovare l’effettiva volontà del titolare del permesso di realizzare quanto da lui progettato, e non meramente simbolici, fittizi ovvero solo preparatori a quelli necessari a fini edificatori. Di qui la conclusione, da parte del giudice4, che ad evitare la decadenza non sono sufficienti la presentazione nel corso dell’anno della denuncia d’inizio dei lavori, lo spianamento del terreno, un modesto sondaggio dello stesso, la recinzione del cantiere, la collocazione al suo interno della baracca degli attrezzi e la realizzazione dell’impianto elettrico, l’installazione della cartellonistica di cantiere, ecc. Osservazione ricorrente nelle pronunce giurisprudenziali è che si tratta di circostanze che, oltre ad esaurirsi in un limitato arco temporale, non sono ex se significative di un effettivo inizio dei lavori. Ma la tesi di fondo è che l’esistenza dei presupposti, necessari perché i lavori possano ritenersi effettivamente iniziati entro l’anno, non deve essere valutata in via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all’entità e alle dimensioni dell’intervento edificatorio autorizzato, onde evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori nient’affatto significativi di una reale intenzione del costruttore di procedere alla realizzazione dell’opera assentita5. Per quanto riguarda la prova del mancato inizio dei lavori entro l’anno la giurisprudenza largamente prevalente è nel senso che essa incombe sull’Amministrazione, deve essere inequivoca ma non necessariamente emergente da una materiale verifica effettuata nel cantiere, potendo anche essere desunta da documenti in suo possesso.
2.2 Il termine per l’ultimazione dei lavori
Alcune premesse appaiono necessarie affinché sia chiaro il discorso che segue. La previsione legislativa di un termine massimo di tre anni per l’ultimazione dei lavori non priva l’ente locale della possibilità di prescrivere, nel permesso di costruire, una durata inferiore al triennio, ove giustificata dalle ridotte dimensioni ovvero dalle particolari caratteristiche dell’intervento edificatorio. Il termine massimo risulta rispettato anche se costituisce la sommatoria di più periodi lavorativi intervallati fra di loro, ma tutti svolti nel corso del triennio. La ratio sottesa all’imposizione legislativa, a pena di decadenza, di un termine massimo per l’ultimazione dei lavori assentiti è stata individuata dalla giurisprudenza nella necessità di garantire la certezza dell’assetto urbanistico del territorio comunale, evitando al tempo stesso intenti speculativi da parte di privati che, una volta ottenuto il titolo abilitativo all’edificazione, non lo utilizzano in atteso che si verifichino condizioni migliori per lo sfruttamento a fini edificatori dell’area6. Altra questione, che in effetti ha interessato non solo il giudice amministrativo, ma anche quello penale, è quando i lavori assentiti possono ritenersi effettivamente ultimati alla scadenza del triennio. La regola fissata dalla giurisprudenza è che, perché questa situazione possa ritenersi verificata, non è sufficiente che il manufatto risulti materialmente realizzato nelle sue strutture portanti, ma occorre che risulti funzionalmente idoneo allo scopo per il quale era stato progettato7. Con riferimento a tale regola si è ritenuto necessario che il fabbricato risulti dotato di porte, finestre, impianti elettrici e idrici e collegato al sistema fognante esterno; più in particolare, nel caso di immobile da destinare ad uso abitativo, si è ritenuto che le opere interne possono considerarsi completate dal punto di vista funzionale quando siano stati ultimati anche i lavori di intonacatura e rifinitura, non essendo sufficiente al suddetto scopo la mera predisposizione dei servizi igienici, dell’impianto di riscaldamento e delle attrezzature. Non è invece necessaria l’avvenuta acquisizione del certificato di agibilità, atteso che, ai sensi del successivo art. 25, co. 1, detto documento viene rilasciato solo dopo la completa ultimazione dei lavori.
2.3 Elusione dei termini d’inizio e ultimazione lavori per factum principis e/o cause di forza maggiore. La proroga dei termini
Come già anticipato (v. §§ 1 e 2), l’inosservanza dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori comporta la decadenza del permesso di costruire. Peraltro lo stesso art. 15, co. 2, t.u. dell’edilizia prevede due eccezioni a questa regola, che riguardano il caso in cui i termini in questione sono stati superati per factum principis o per cause di forza maggiore, cioè in conseguenza di fatti sopravvenuti ed estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire, e che comportano il prolungamento degli stessi. A questo riguardo è stato sostenuto8, ma si tratta di conclusione quanto meno dubbia, che l’ente locale, che sia venuto a conoscenza di fatti estranei alla volontà del titolare della concessione edilizia, che gli hanno impedito di ultimare i lavori nel termine prefissato, non può adottare un provvedimento di decadenza, ma deve procedere alla proroga dei termini anche in mancanza di una specifica richiesta da parte dell’interessato. Fatti obiettivamente impeditivi del rispetto dei termini sono stati individuati dalla giurisprudenza (ma la segnalazione ha carattere meramente esemplificativo) nel sequestro giudiziario dell’area sulla quale sarebbe dovuto essere realizzato l’intervento edificatorio; nell’avvenuto disconoscimento da parte del Comune degli effetti del permesso di costruire da essa rilasciato; nell’ordine di sospensione dei lavori impartito dalle Autorità preposte alla tutela dei vincoli di inedificabilità gravanti sul terreno; nel mancato rilascio del fondo oggetto dell’intervento edificatorio da parte dell’occupante coltivatore diretto, ecc. Diversa è invece la posizione assunta dalla giurisprudenza maggioritaria relativamente ai fattori soggettivi addotti dal titolare del permesso di costruire a giustificazione del ritardo o della mancata esecuzione nei termini dell’intervento edilizio. L’orientamento prevalente è nel senso di ritenerli inidonei ad evitare la decadenza del titolo abilitativo posseduto, specie se si tratta di difficoltà di carattere tecnico e/o economiche incontrate dal soggetto interessato alla realizzazione dell’opera ovvero di dichiarati malanni fisici intervenuti dopo il rilascio del titolo abilitativo. Ancora più rigoroso è l’orientamento del giudice penale9, il quale ha ravvisato nella prosecuzione dei lavori oltre il termine fissato per la loro ultimazione il reato di cui all’art. 44, co. 1, lett. b), t.u. dell’edilizia.
2.4 La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e/o completamento dei lavori
Nel giudizio di appello, conclusosi con la sentenza n. 2915/2012, oggetto di contestazione da parte dell’appellante era innanzi tutto l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui la decadenza del titolo edilizio per mancato inizio e/o ultimazione dei lavori non discende da un provvedimento amministrativo ma, in via automatica, dall’inutile decorso dei termini a tali fini assegnati. La tesi svolta era che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto già verificatosi ex se. Data la premessa, il Tar faceva da essa discendere la duplice conseguenza che: a) l’eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo previsto per l’inizio o il completamento dei lavori, senza che sia necessaria una comparazione tra l’interesse del privato e quello pubblico, essendo quest’ultimo ope legis prevalente sul primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto ipso iure del mancato inizio dei lavori e non residuando all’Amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale. La decadenza della concessione edilizia si materializza, pertanto, anche in assenza di un’espressa dichiarazione da parte dell’Amministrazione competente.
Al tempo stesso il Tar dava però atto che una notevole parte della giurisprudenza era invece orientata nel senso che la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione nei termini dei lavori non è automatica, ma deve essere necessariamente dichiarata con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato vanta una posizione di interesse legittimo; di conseguenza, perché la concessione edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia occorrerebbe un atto formale dell’Autorità emanante che renda operanti gli effetti della decadenza accertata; più precisamente un provvedimento comunale che ne accerti i presupposti, rendendone operanti gli effetti, come richiesto per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie, considerato che la perdita di efficacia della concessione è subordinata all’esplicazione di una potestà provvedimentale10.
Il Consiglio di Stato ha dichiarato di condividere la tesi del Tar in quanto rispettosa della “lettera della legge”, la quale fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell’inutile decorso del tempo. Proseguendo in questa ottica ha richiamato innanzi tutto l’art. 4 l. n. 10/1977 che al co. 3 stabiliva che «nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori»; nel successivo co. 4 che «il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno» e «il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni», e si definivano le ipotesi di proroga della concessione; nel co. 5 che, «qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata». Infine, nel co. 6 era stata introdotta una norma di chiusura del sistema, in forza della quale la concessione era «irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi della presente legge» e le sanzioni previste dall’art. 15 della stessa. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, in ragione dell’epoca alla quale risale la controversia in esame, il Consiglio di Stato ha osservato che in esso non era ravvisabile la presenza di una norma che imponesse l’emanazione di un provvedimento al riguardo, posto che la legge stessa disciplinava in via diretta la durata della concessione e, in via tassativa, le ipotesi per ottenerne la proroga. Con la conseguenza, quindi, che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori opera di diritto e che il provvedimento pronunciante la decadenza, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto già verificatosi con l’infruttuoso decorso del termine prefissato.
Secondo il Consiglio di Stato tale assetto permane anche nella disciplina dettata dall’art. 15, co. 2, t.u. dell’edilizia atteso che in esso si afferma, ed in modo ancor più puntuale, che «il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. … Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga». Ha aggiunto il Consiglio di Stato che la sua adesione all’orientamento “maggioritario” della giurisprudenza (ma l’aggettivazione è quanto meno discutibile, come si dimostrerà in prosieguo) trova conforto nella notazione del giudice di primo grado secondo la quale, diversamente opinando, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari della concessione, ma anche della Pubblica amministrazione, libera in taluni casi di adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibile disparità di trattamento tra situazioni identiche. Invece il diretto riferimento al dettato legislativo, per quanto attiene ai termini e alle conseguenze che derivano dalla loro elusione, elimina in radice ogni ipotesi di disparità di trattamento; al tempo stesso la necessità dell’applicazione del regime sanzionatorio per i lavori eseguiti dopo il decorso del termine stabilito dal titolo abilitativo è, a sua volta, conseguenza necessitata della violazione da parte dell’interessato di puntuali obblighi a lui assegnati dalla stessa legge. La conclusione che il Consiglio di Stato trae dal suo (breve) argomentare è che la pronuncia di decadenza del titolo edilizio è espressione di un potere strettamente vincolato; ha natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia, e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza più volte richiamata, la giurisprudenza del giudice amministrativo, pur mostrandosi concorde nell’affermare che la decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto che discende dall’inutile decorso del termine di inizio e/o completamento dei lavori autorizzati, è in prevalenza orientata a richiedere, come condizione indispensabile perché detto effetto diventi operativo, l’adozione di un provvedimento formale da parte del competente organo comunale, ancorché meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l’epoca in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento dell’evento estintivo. Si tratta, in effetti, di una giurisprudenza risalente nel tempo11 e sovente riproposta con ricorso a formule stereotipe senza i necessari approfondimenti12 e senza avvedersi della contraddittorietà nella quale incorre, rispetto alle premesse, allorché condiziona l’operatività della decadenza ad un atto formale meramente ricognitivo di effetti già prodottisi ex lege, che si assume essere necessario a tutela del possessore del titolo abilitativo non utilizzato o solo parzialmente utilizzato, e trascurando il fatto che si tratta di soggetto edotto ab origine delle conseguenze alle quali andava incontro non osservando i termini che gli erano stati assegnati, sia perché ignorantia legis non excusat, sia perché ex lege riportati nel provvedimento autorizzativo, che deve ragionevolmente ritenersi a lui noto.
È peraltro incontestabile che anche la giurisprudenza più recente del giudice di appello è prevalentemente orientata nel senso che l’operatività della decadenza della concessione edilizia necessita dell’intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria. Sulle stesse conclusioni è attestata anche la giurisprudenza del giudice di primo grado, per la quale la decadenza del permesso di costruire non opera di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti; che, sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e, come tale, non è sottratto all’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241; può essere adottato solo previa formale ed apposita contestazione, esplicazione di una potestà provvedi mentale.
In una non recente decisione del Consiglio di Stato13 la ragione, che giustificherebbe l’obbligo per l’ente locale di adottare un atto che formalmente dichiari l’intervenuta decadenza del permesso di costruire era stata individuata nella necessità di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino la pronuncia stessa. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di argomentazione opinabile dal momento che in sede amministrativa il contraddittorio presuppone in capo all’autorità emanante un obbligo di previo avviso di inizio del procedimento, che lo stesso Consiglio di Stato aveva escluso, in dichiarata adesione a quanto già affermato dai giudici di primo grado proprio sul rilievo che la decadenza è un effetto che discende direttamente ed automaticamente dal presupposto indicato dalla legge.
Un intelligente tentativo di risolvere la questione, ancorché con una formula di compromesso volta a neutralizzare la rilevanza dell’atto formale e soprattutto l’insidia nascosta nel proporlo come condizione di operatività dell’effetto decadenziale, era stato effettuato sempre dalla sez. V del Consiglio di Stato con la sentenza 23.8.2006, n. 4954, per la quale la mera dichiarazione dell’Amministrazione comunale, non richiedendo il rispetto di particolari formalità, può anche essere inserita nel preambolo di un atto repressivo indirizzato al titolare del permesso di costruire, quando il relativo accertamento costituisce il presupposto logico giuridico della sanzione irrogata.
1 Il contributo offerto dalla dottrina nella materia de qua è piuttosto limitato e, soprattutto, datato. Fra gli apporti più significativi Fantini, S., Sulla decadenza della concessione edilizia per mancata ultimazione dei lavori, in Giust. civ., 1995, I, 1698; Di Lorenzo, A., Commento all’art. 15 t.u. edilizia, in Testo unico dell’edilizia, a cura di V. Italia, Milano, 2003, 246; Mandarano, A., La decadenza del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori, in Urb. e app., 2004, 450; De Nictolis, R., Commento all’art. 15, in Testo unico dell’edilizia, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2005, 215. Fra i contributi più recenti v. Ferrari, Ge., Art.15 - Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire, in Garofoli, R.-Ferrari, G., Codice dell’edilizia annotato con dottrina, giurisprudenza e formule, II ed., Roma, 2011, 215; Ferrari, Ge., Il nuovo Codice dell’edilizia – Commento analitico al Testo Unico dell’edilizia, Roma, 2012, 189.
2 Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 1.2.2011, n. 181.
3 Cons. St., sez. V, 26.6.2000, n. 3612. Ma sull’irrilevanza, ai sensi della legislazione statale, del mancato ritiro del permesso di costruire, agli effetti del decorso del termine decadenziale, concordava la giurisprudenza sia del giudice penale (Cass. pen., sez. III, 13.5.2003, n. 21022) che quella successiva del giudice amministrativo (Tar Lazio, Roma, sez. II, 23.2.2005, n. 1447).
4 Cons. St., sez. II, 28.4.2010, n. 4170.
5 Tar Puglia, Bari, sez. II, 5.5.2010, n. 1731.
6 Tar Veneto, sez. II, 3.12.2010, n. 6327.
7 Cons. St., sez. V, 21.10.1991, n. 1239.
8 Tar Calabria, Reggio Calabria, 20.4.2010, n. 420.
9 Cass. pen, sez. III, 8.4.2010 n. 17971.
10 Cons. St., sez. V, 26.6.2000, n. 3612.
11 Cons. St., sez. V, 15.6.1998, n. 834; Cons. St., sez. V, 23.11.1996, n. 1414, per il quale l’adozione del provvedimento dichiarativo della decadenza costituisce condizione per l’esercizio dei poteri sanzionatori amministrativi e per l’insorgenza dell’eventuale responsabilità penale del titolare del permesso di costruire per il caso di esecuzione dei lavori oltre il termine prescritto dalla concessione edilizia.
12 Cons. St., sez. V, 20.10.2004, n. 5228.
13 Cons. St., sez. VI, 17.2. 2006, n. 671.