Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei primi decenni del Seicento si assiste a un progressivo superamento dell’illusionismo prospettico rinascimentale e all’affermazione di una nuova concezione spaziale e decorativa capace di suggerire l’illusione di spazi aperti e infiniti, protratti oltre i limiti materiali dell’architettura reale. Inaugurata dal grande affresco di Pietro da Cortona nel salone di Palazzo Barberini, la decorazione barocca ha il suo centro propulsore in Roma da dove si diffonde nelle più importanti città italiane e, con qualche resistenza, in Europa, dove i modelli italiani si affermano solo allo scadere del secolo con caratteristiche che anticipano il gusto rocaille.
Lo spazio infinito e la “natura-spettacolo”
Nel panorama della civiltà figurativa del Seicento la decorazione ad affresco rappresenta un’esperienza fondamentale in cui si realizzano al massimo grado gli aspetti più vistosi e spettacolari della poetica barocca. Nei vasti spazi affrescati all’interno dei palazzi e delle chiese gli artisti affermano soprattutto il primato dell’immaginazione sull’intelletto e l’assoluta fiducia nell’ingegno e nella tecnica, quali riserve di energie capaci di suscitare illusioni, suggestioni ed emozioni. In particolare l’illusiva rappresentazione dello spazio come “infinita continuità spaziale” diviene il tema fondamentale della decorazione barocca, traducendo in termini visivi la nuova concezione del mondo e il nuovo sentimento della natura scaturiti dalle scoperte scientifiche di Copernico, Keplero e Galilei. La fine della concezione geocentrica dell’universo aveva significato per l’uomo non solo la perdita di ogni centralità, ma anche la coscienza di essere parte di un universo infinito, regolato da leggi eterne, estranee alla logica e al controllo della mente umana.
All’inizio del secolo questo presentimento dell’infinito aveva profondamente turbato la generazione di Giordano Bruno, Campanella e Caravaggio, generando inquietudine e smarrimento. Nei decenni successivi la situazione muta rapidamente e, in un ambiente ormai libero da conflitti morali, si stabilisce un rapporto più fiducioso con la nuova realtà e le sue apparenze: nell’infinita molteplicità e varietà dei suoi aspetti la natura appare alle nuove generazioni come uno spettacolo esaltante e grandioso di cui si sentono intensamente partecipi.
Come ha scritto Briganti, “mettere in scena il mondo” diviene l’aspirazione dei grandi decoratori barocchi che, recuperata piena fiducia nei propri mezzi espressivi, moltiplicano gli strumenti adatti a suggerire “il nuovo sentimento turbinoso e centrifugo dell’infinito di natura” attraverso l’illusione di spazi aperti, protratti oltre ogni limite materiale e popolati di figure fluttuanti nella vastità di cieli luminosi.
Questa visione del mondo, così moderna e vitale, e questa rinnovata esuberanza creativa si legano ben presto alle aspirazioni di una ristretta minoranza laica ed ecclesiastica che, nel contesto di più favorevoli condizioni storiche, conferisce all’arte un’investitura ufficiale, trasformandola in uno strumento efficacissimo di persuasione e propaganda politica e religiosa.
Mentre i sovrani chiedono all’arte di assecondare le proprie ambizioni e di legittimare il proprio potere celebrandone i benefici, la Chiesa, abbandonata la lotta contro il protestantesimo, si serve del linguaggio delle immagini quale strumento di comunicazione per riaffermare la propria autorità e avviare una politica di autoglorificazione.
I precedenti
Nasce così, alla fine del terzo decennio, la grande stagione decorativa del barocco che avrà in Roma un formidabile centro propulsore di idee e soluzioni. Qui la nuova Maniera è inaugurata dallo spettacolare affresco dipinto da Pietro da Cortona, tra il 1633 e il 1639, sul soffitto del salone di Palazzo Barberini. Sullo spazio immenso della volta il tema della natura-spettacolo si coniuga con le intenzioni celebrative del nuovo pontefice Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, che fin dall’anno della sua elezione (1623) aveva promosso importanti imprese architettoniche e decorative, convertendo l’arte alla causa di un cattolicesimo ormai rassicurato e trionfante. Il soffitto Barberini si colloca nella vicenda decorativa del Seicento quale modello per tutte le successive varianti proposte dai più qualificati esponenti del movimento barocco. A monte di questo exploit si devono tuttavia segnalare alcuni episodi nei quali la critica ha individuato da tempo i precedenti delle tendenze affermatesi dopo il 1630. Si tratta infatti di soluzioni che, pur muovendosi ancora nel solco della tradizione prospettica rinascimentale, aprono decisamente verso una nuova spazialità illusiva e coinvolgente.
Ciò vale innanzitutto per il precedente illustre della galleria Farnese, dove Annibale Carracci aveva immaginato le varie scene come finti quadri appesi alla struttura architettonica dipinta e aveva creato l’illusione di una aerea galleria di pitture sospesa sul capo dello spettatore. Tuttavia la complessa struttura rispettava ancora i limiti e la compattezza della volta, concepita come entità reale e spazialmente definita.
La svolta decisiva si determina, vent’anni dopo, a opera di due allievi dei Carracci, Guercino e Lanfranco, che nella decorazione del casino Ludovisi (1621-23) e della cupola di Sant’Andrea della Valle (1625-27) anticipano l’illusionismo aereo del barocco spalancando la visione sullo scenario di cieli colorati e luminosi. Nel soffitto del Casino Ludovisi l’apparizione del carro dell’Aurora, che solca il cielo aprendosi un varco tra le nubi, irrompe improvvisa e inattesa, sovrapponendosi alla trama serrata delle architetture in prospettiva dipinte sulle pareti da Agostino Tassi. La libertà del colore, steso a macchia, suscita effetti di luci mutevoli e di penombre e crea l’illusione di uno spettacolo naturale vivo e palpitante.
Nella cupola di Sant’Andrea della Valle il Lanfranco, dipingendo la Gloria celeste con la Vergine Assunta, recupera la straordinaria invenzione del Correggio che, un secolo prima, aveva concepito, nella cupola del duomo di Parma (1526-28), uno spazio aperto e senza limiti, generato dal libero disporsi delle figure entro un vorticoso moto a spirale.
La versione aggiornata proposta dal Lanfranco rilancia l’attualità dell’invenzione correggesca che diviene modello per analoghe imprese decorative fino al Settecento inoltrato.
Gli sviluppi della decorazione barocca in Italia
Dopo l’episodio fondamentale del soffitto Barberini la decorazione barocca si sviluppa attraverso le proposte, diverse ma complementari, elaborate ancora da Pietro da Cortona, dal genovese Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio, e dal padre gesuita Andrea Pozzo, secondo una traiettoria che giunge a coprire tutto il secolo.
All’inizio del quinto decennio la decorazione di alcune sale di Palazzo Pitti a Firenze (1641-47) offre a Pietro da Cortona l’occasione di mettere al servizio delle ambizioni mondane del granduca Ferdinando II le conquiste del nuovo stile. Richiedendo all’artista l’illustrazione, in chiave mitologica, delle virtù necessarie a un principe, Ferdinando II mostra infatti di allinearsi sulle posizioni di quello “spirito supernazionale che formava le basi dell’assolutismo europeo”.
Anche in questa occasione l’artista riesce a tradurre i complessi soggetti allegorici in immagini fortemente evocative dove l’atmosfera degli antichi miti rivive in un clima di serena elegia (sala di Venere) o di avventurosa epopea (sala di Marte). In alcune sale l’esuberante vitalità cortonesca coinvolge anche l’apparato decorativo di stucchi bianchi e dorati che conferiscono all’insieme una straordinaria luminosità. Questa combinazione di pittura e ornato plastico troverà ampio seguito soprattutto in Francia, dove il modello fiorentino sarà esportato da un allievo tra i più dotati di Pietro da Cortona, Giovan Francesco Romanelli.
L’inesauribile creatività del Cortona ha modo di manifestarsi ancora negli affreschi della Chiesa Nuova e nella decorazione della galleria di Palazzo Doria-Pamphilj in piazza Navona, con soluzioni in grado di esercitare un’influenza determinante sugli artisti contemporanei e sulle successive generazioni.
Una nuova concezione, indipendente dai modelli cortoneschi, è invece quella elaborata dal Baciccio nella volta della navata della Chiesa del Gesù a Roma (1672-1679). Nel grandioso affresco con il Trionfo del nome di Gesù , il Baciccio rimedita il precedente della cupola del Correggio e, contemporaneamente, si impegna in una spettacolare trasposizione delle idee plastico-decorative espresse dal Bernini nella volta della Cappella Cornaro e nella cattedra di San Pietro, realizzando la fusione illusiva e materiale di architettura, scultura e pittura. La pittura ad affresco supera infatti il limite della cornice e dilaga sulle figure modellate in stucco che segnano il passaggio tra lo spazio dipinto e l’architettura reale, tra artificio e realtà. La luce che si irradia dal monogramma di Cristo suscita intensi effetti chiaroscurali e assume una duplice valenza, atmosferica e simbolica, con evidente riferimento all’azione della grazia e all’opera di salvezza del Cristo e della Chiesa: mentre i corpi dei dannati precipitano nel vuoto e nelle tenebre, le anime dei beati, attirate dall’amore divino, si perdono nelle profondità diafane del cielo. L’illusionismo visionario del Gaulli si impone come un nuovo “segno” del barocco e come “il simbolo più chiaramente allusivo del carattere del secolo, della sua retorica e della sua accesa sensibilità religiosa” (Spinosa). Questo esempio eserciterà una vasta influenza nei centri che avranno più intensi rapporti con il barocco romano, in particolare a Genova dove, nella seconda metà del Seicento, si sviluppa una maniera decorativa originale e singolarissima.
In questa città, che aveva mantenuto costanti rapporti economici e culturali con la Spagna e le Fiandre e si configurava quale punto d’incontro di influenze culturali diverse, le soluzioni del barocco romano si combinano con il ricco repertorio decorativo dei pittori quadraturisti, legati alla tradizione bolognese-emiliana (Agostino Mitelli, Angelo Michele Colonna, Andrea Sighizzi, Enrico Haffner). Questi artisti avevano elaborato una forma autonoma di illusionismo spaziale basato su complesse architetture dipinte, organizzate secondo una logica rigorosamente prospettica, e fastosamente ornate con cariatidi, putti, fauni e ninfe che si accampano tra ghirlande, cesti di fiori, drappi ed emblemi.
Dalla sintesi di queste due diverse tendenze nascono episodi di grande ricchezza ed esuberanza decorativa di cui sono splendidi esempi gli interventi di Domenico Piola e Gregorio de Ferrari in Palazzo Brignole (ora Rosso). Nei soffitti delle varie sale gli affreschi, raffiguranti le allegorie delle stagioni, sono racchiusi entro ricche cornici, ora dipinte, ora morbidamente modellate in stucco, con una profusione di ornamenti di gusto già settecentesco. Anche la gamma delicata delle tinte, la rapidità del tocco pittorico e la mobilità delle luci anticipano gli effetti preziosi e raffinati della decorazione rocaille.
Decisiva per i futuri sviluppi della decorazione settecentesca si rivela anche la vicenda pittorica del napoletano Luca Giordano che, sulla base di una formazione eclettica, realizza una sintesi originalissima della moderna cultura romana (Pietro da Cortona, Bernini e Baciccio) e della tradizione cromatica veneziana (Tiziano e Veronese). Talento istintivo, dotato di una straordinaria rapidità di esecuzione, Luca Giordano oppone alla retorica del linguaggio barocco un fare più disinvolto e stempera il contenuto aulico dei soggetti in un racconto fantasioso e un po’ svagato, riscattato da un pittoricismo che plasma le forme in una materia cromatica luminosissima e trasparente.
La facile vena di questo artista è pienamente dispiegata nel capolavoro della maturità, la decorazione della galleria del Palazzo Medici-Riccardi a Firenze. L’opera fu realizzata in due tempi. Dopo aver eseguito lo sfondato al centro con l’Apoteosi degli ultimi Medici, Ferdinando II e Cosimo III (1682), alla ripresa dei lavori (1685) Luca Giordano completa la decorazione sviluppando sopra il cornicione, lungo tutto il perimetro della volta, il racconto immaginoso delle Vicende della vita umana evocate attraverso le immagini del mito e dell’allegoria. Quanto sia stato presente nella mente del Giordano il precedente di Pietro da Cortona è evidente non solo nel ritmo incalzante della narrazione, che si snoda senza soluzione di continuità come nella sala di Marte in Palazzo Pitti, ma soprattutto nella tecnica sciolta e corsiva, nella luminosa trasparenza dei colori, nel tono poetico ed evocativo che, come nella sala della Stufa, ripropone il sogno di una perfetta armonia tra l’uomo e la natura. Riplasmata dalla fervida immaginazione dell’artista, anche l’allegoria perde ogni complessità concettuale per assumere il tono dell’idillio e della favola.
In seguito Luca Giordano abbandona i modelli cortoneschi per sperimentare le possibilità di una spazialità sempre più dilatata e illusiva. Dalle imprese condotte durante il prolungato soggiorno in Spagna (1692-1702) fino alla cupola della Cappella del Tesoro nella certosa di San Martino (1703-1704) a Napoli, è un crescendo di soluzioni decorative verso la conquista di una scrittura pittorica sempre più rapida e abbreviata e di una spazialità sempre più dilatata, luminosa ed evanescente. I risultati raggiunti costituiscono l’interpretazione più moderna della decorazione barocca e il precedente più decisivo per gli sviluppi della decorazione europea nel Settecento.
Illusionismo aereo e virtuosismo prospettico si saldano abilmente nell’ultima grande impresa del barocco romano promossa dalla propaganda dei Gesuiti a gloria dell’ordine e del suo fondatore. Nel Trionfo di sant’Ignazio di Loyola (1682-94), dipinto nella volta della chiesa romana dedicata al santo, il padre gesuita Andrea Pozzo sospende sullo spazio della navata una nuova chiesa, impostando una scenografia architettonica di spericolata bravura e di straordinario rigore. La costruzione frena, entro un’inflessibile gabbia prospettica, il libero espandersi delle figure che si accampano, dense di risalti e di colore, tra gli scorci vertiginosi delle architetture.
Andrea Pozzo, che alla pratica pittorica unisce un’elaborazione teorica (è suo il trattato Prospettiva de’ pittori e architetti, 1693-98), getta le basi per l’attività dei tanti quadraturisti e pittori d’ornato attivi nel Settecento e apre la strada alla scenografia e alle geniali invenzioni di Filippo Juvarra e dei Bibiena.
Dopo il trasferimento a Vienna di Andrea Pozzo, questa variante dell’illusionismo barocco troverà seguito soprattutto in area tedesca presso una schiera di decoratori tardobarocchi e rococò.
Diffusione e resistenze in Europa
Fin dopo la metà del secolo la decorazione barocca resta un fenomeno esclusivamente italiano, contrastato nelle altre aree europee da situazioni storiche e culturali che ne ritardano l’affermazione. In alcuni Paesi la maniera barocca non viene neppure sperimentata, come nell’Olanda borghese e calvinista dove l’assenza di un’arte religiosa e di una committenza aristocratica fa cadere ogni interesse per un linguaggio colto, aulico e celebrativo.
Nel Belgio, ultima roccaforte del cattolicesimo nel Nord Europa, la riaffermazione del prestigio della Chiesa passa attraverso l’arte barocca di Rubens, van Dyck e Jordaens, ma la grande decorazione rimane estranea all’attività di questi artisti per l’impossibilità di praticare, in un clima umido e freddo, la tecnica dell’affresco.
La decorazione di ampi spazi viene risolta da Rubens mediante cicli di grandi tele disposte lungo le pareti o sui soffitti come nella chiesa dei Gesuiti di Anversa (1620), nella galleria di Maria de’ Medici a Parigi (1625) e nella Banqueting Hall di Whitehall a Londra (intorno al 1635), unico esempio di decorazione realizzato da Rubens ancora nella sistemazione originaria. Le tele, di forma e dimensioni diverse, sono inserite entro una cesellatissima cornice di stucco bianco e dorato, disegnata da Inigo Jones, che conferisce all’insieme un effetto visivo unitario.
In Francia i tentativi del Richelieu e del Mazzarino di attirare a Parigi gli artisti che a Roma avevano promosso il nuovo corso dell’arte barocca trovano un serio ostacolo nel mecenatismo dei Barberini, che garantiscono agli artisti condizioni di lavoro e di successo tali da rendere scarsamente competitiva ogni altra offerta. Solo dopo la morte di Urbano VIII, un allievo di Pietro da Cortona, Giovan Francesco Romanelli, raggiunge la capitale francese, dove ottiene l’incarico di decorare la galleria superiore del Palazzo del Mazzarino (1646), oggi sede della Bibliothèque Nationale. La volta lunga e stretta della galleria non si adattava alla realizzazione di un affresco unitario come quello del soffitto Barberini a Roma e Romanelli divide la superficie in una serie di scomparti con storie mitologiche dipinte in uno stile piacevole, caratterizzato da un felice equilibrio tra fantasia inventiva e decoro formale. Questa formula di mediazione, tesa a frenare l’enfasi barocca entro una rigorosa disciplina compositiva, viene riproposta con successo nella decorazione dell’appartamento d’estate di Anna d’Austria nel Palazzo del Louvre (1655-1657), dove Romanelli realizza il suo capolavoro. L’eleganza e l’armonia delle soluzioni adottate nelle varie sale dal Romanelli si rivelano adeguate agli orientamenti classicisti della cultura francese contemporanea, le cui posizioni oltranziste avrebbero determinato, dieci anni dopo, il clamoroso insuccesso del viaggio a Parigi del Bernini.
Le resistenze del gusto francese agli eccessi del barocco trovano conferma nel sistema decorativo sviluppato da Charles Le Brun, promotore di tutte le imprese artistiche realizzate a gloria del Re Sole e il più autorevole interprete del grand goût, lo stile fastoso e severo che si afferma quale proiezione dello splendore della monarchia e del potere assoluto del sovrano.
I caratteri del nuovo stile, che tende a contenere l’esuberanza dei modelli italiani entro un’articolazione degli spazi più misurata e solenne, sono già presenti nella decorazione della galleria di Apollo nel Palazzo del Louvre, ricostruita dopo un incendio su progetto dello stesso Le Brun (1660). Ma è nella reggia di Versailles che la variante francese della decorazione barocca si precisa nelle forme di un ornato scultoreo sovraccarico e sfarzoso, concepito per far da cornice alle tele dipinte che, con i loro colori un po’ cupi, sostituiscono la chiarità dell’universo cromatico dell’affresco.
Lungo un percorso che prendeva avvio dallo spettacolare scalone degli Ambasciatori, oggi distrutto, per proseguire nelle stanze dell’Appartamento Reale e concludersi nella celebre galleria degli Specchi, tutto, dalla preziosità dei materiali e dell’arredo, alla ricchezza dell’ornato, alla profusione dell’oro, concorreva a un iperbolico sfoggio di sovranità. Il culmine dello spettacolo era rappresentato dalla Galleria degli Specchi (1679-1684). Qui la luce naturale, moltiplicata dagli specchi, dalle dorature degli stucchi e dagli arredi in argento, materializzava l’immagine-simbolo del Re come Sole che si irradia sulla nazione. L’apoteosi del sovrano trovava il suo compimento al centro della volta dove una serie di tele celebravano gli avvenimenti più importanti del suo regno. Destinata a far da cornice ai momenti più solenni del cerimoniale di corte, la Galleria degli Specchi rappresenta, per la grandiosità delle dimensioni e lo sfarzo della decorazione, l’esempio più significativo del grand goût e dello stile “Luigi XIV”.
In Austria, nonostante i frequenti contatti con la cultura artistica italiana (soprattutto bolognese e veneziana), la grande decorazione si afferma solo nell’ultimo decennio del secolo grazie all’opera di Johann Michael Rottmayr che, dopo l’esordio a fianco di Fischer von Erlach nel castello di Vranov in Moravia (1695), diviene il leader indiscusso della scuola di Vienna. Qui la decorazione ad affresco riceve un impulso decisivo con l’arrivo a corte di Andrea Pozzo (1702), che lascia nella chiesa dei Gesuiti e in Palazzo Liechtenstein, a Settecento ormai iniziato, due esempi delle possibilità illusive del linguaggio barocco e delle sue finalità apologetiche.
Anche in Spagna l’esordio della decorazione coincide, come già accennato, con l’arrivo a Madrid, su invito di Carlo II, di Luca Giordano nel 1692. La sua pittura, veloce e vibrante, inonda di luce solare e di colore gli spazi austeri dell’Escorial, spalancando sulla volta dell’Escalera del monastero di San Lorenzo (1692-93) lo spettacolo affollato e coloratissimo della Gloria degli Asburgo, dove le ragioni del fare artistico hanno finalmente il sopravvento sull’impianto retorico. Ancora più spettacolare per vastità di spazi e grandiosità di concezione si rivela la decorazione della sala di ricevimento degli ambasciatori, il Casón del Buen Retiro a Madrid (1697). Qui, l’Istituzione dell’ordine del Toson d’oro si traduce in una fantasmagoria di figure fluttuanti entro uno spazio aereo che ruota con moto incessante attorno alla grande sfera delle costellazioni, “una bolla di luce” sospesa al centro della volta come un’apparizione. L’illusionismo del barocco tocca qui uno dei suoi vertici, un punto d’arrivo con cui lo stesso Tiepolo dovrà fare i conti quando sarà chiamato a decorare il Palazzo Reale di Madrid e a celebrare i fasti della nuova dinastia dei Borbone (1762).
Anche le altre imprese realizzate dal Giordano nella cattedrale di Toledo e nella chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi ancora a Madrid confermano la fervida fantasia dell’artista, la sua vena fresca e brillante, sostenuta da un mestiere eccezionale, capace di sottigliezze e trasparenze che costituiranno un lascito prezioso per la formazione di Goya.