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La dimensione strategica della globalizzazione

di Andrea Carati - Atlante Geopolitico 2013 (2013)
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Andrea Carati

Nel dibattito pubblico l’accezione implicita con cui ci si riferisce alla globalizzazione attiene principalmente alla sua dimensione economico-tecnologica. La dimensione meno evidente, ma nondimeno significativa, dei processi di globalizzazione è quella relativa all’interdipendenza politico-strategica dei principali soggetti del sistema internazionale. La sicurezza degli stati e degli individui, come altri settori, è stata investita dai processi di globalizzazione, tuttavia gli effetti prodotti su di essa sono per molti versi diversi e opposti a quelli prodotti nella sfera economica.

Lo sviluppo tecnologico e la relativa perdita di significato dei confini nazionali hanno avuto almeno due effetti sulla sicurezza e sull’interdipendenza strategica. In primo luogo, i conflitti armati, rispetto al passato, hanno assunto una marcata natura transnazionale. L’orizzonte delle esternalità negative prodotte da un conflitto – spostamento di profughi, rischio di proliferazione della violenza, impatto socio-economico su altri paesi – si è progressivamente ampliato in ragione della maggiore porosità dei confini, della contrazione degli spazi e delle più fitte interconnessioni economiche e sociali.

In secondo luogo, la globalizzazione ha alimentato un processo di de-territorializzazione della sicurezza. Se in passato le politiche di difesa e la gestione dei conflitti si accompagnavano a una chiara localizzazione geografica, oggi sia la vulnerabilità sia le possibilità offensive trascendono uno spazio geografico determinato. Da un lato, il protagonismo di attori non-statali – come la rete terroristica di al-Qaida – mostra come questi possano riorganizzarsi in paesi continuamente diversi e molto distanti tra loro e, al medesimo tempo, darsi degli obiettivi di attacco in posti altrettanto diversi e distanti – New York, Londra, Madrid, la Somalia, l’Afghanistan. Dall’altro lato, il progresso tecnologico introduce la possibilità di evadere il campo di battaglia e colpire un nemico nei suoi sistemi informatici, nel suo approvvigionamento energetico e nel suo funzionamento amministrativo. Le cosiddette cyber wars introducono dunque un elemento di de-territorializzazione similare agli effetti prodotti dalla globalizzazione sul piano della produzione, della comunicazione e dell’interdipendenza economica.

Questi effetti della globalizzazione sulla sicurezza internazionale si accompagnano, tuttavia, a processi che determinano una contrazione dell’interdipendenza strategica globale. Tali processi, che sembrano rimandare a una vera e propria de-globalizzazione della gestione della sicurezza, sono riconducibili alle caratteristiche del sistema internazionale attuale. Il sistema bipolare della Guerra fredda si caratterizzava per una chiara proiezione globale capace di piegare quasi ogni conflitto locale, in ogni parte del globo, alle logiche di competizione fra le due superpotenze. Tale competizione, data la connessione fra conflitti locali e scontro al vertice fra Stati Uniti e Unione Sovietica, determinava una condizione di forte interdipendenza strategica su scala globale. Il sistema internazionale successivo non presenta lo stesso grado di interconnessione fra disputa locale ed effetti a livello globale. Ogni conflitto o disputa locale è infatti suscettibile di un trattamento diverso da parte dell’unica superpotenza globale – gli Stati Uniti – o delle organizzazioni internazionali – le Nazioni Unite, la Nato, l’Unione Africana, l’Unione Europea. La gestione dei conflitti può oscillare dall’indifferenza (Ruanda) all’intervento risolutivo (Kosovo, Bosnia), dalla guerra rispettosa della sovranità (Iraq 1991) all’occupazione militare (Iraq 2003), producendo effetti a livello globale molto diversi e imprevedibili.

La crisi della connessione fra dispute locali e gestione della sicurezza su scala globale, da cui deriva una contrazione dell’interdipendenza strategica internazionale, si accompagna più precisamente a due fenomeni legati tra loro: la crisi della leadership americana e i processi di regionalizzazione. Da un lato, chiusasi la parentesi nei primi anni Novanta circa la prospettiva della costruzione di un New World Order globale e democratico, gli Stati Uniti hanno mostrato di non essere in grado – principalmente per i limiti oggettivi delle loro risorse di potenza – di dar vita a un ordine internazionale globale a guida americana. Dall’altro, in parte proprio come diretta conseguenza del disimpegno americano in alcune aree del mondo, nell’attuale sistema internazionale sono emersi vari processi di regionalizzazione. Alcune regioni – come il Caucaso meridionale, l’Asia sud-orientale, il Nord Africa e il Medio Oriente – hanno progressivamente manifestato tanto una crescente interdipendenza strategica al proprio interno quanto una crescente autonomia rispetto all’esterno, producendo dunque una tendenziale scomposizione geopolitica del mondo piuttosto che una sua unificazione globale.

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