La dirigenza pubblica
La dirigenza pubblica ancora una volta vede modificare la disciplina legislativa che regola la propria funzione. Una revisione che al momento in cui esce questo volume è solo all’inizio di un percorso che si svilupperà, a quadro politico stabile, nei mesi futuri.
Questo contributo è stato scritto quindi in un momento di passaggio e su un terreno normativo incerto, anche considerando che ad una modifica del quadro legislativo non corrisponde un adeguamento di quello contrattuale, stante il perdurante blocco della contrattazione collettiva disposto nel 2010. Il contributo ripercorre le novità registrate a cavallo tra la XVI e la XVII legislatura che hanno costituito un tentativo di riforma strisciante e parziale della dirigenza pubblica, per poi dar conto delle novità più sistematiche annunziate da quello che al momento in cui si scrive ancora è l’A.S. 1577, per evidenziare anche come esso si rapporti o si raccordi con il quadro legislativo che intende modificare1.
Quando nel dicembre del 2012 il Presidente Napolitano “scioglie le Camere” concludendo così l’esperienza della XVI legislatura iniziata nell’aprile del 2008, la dirigenza pubblica – come del resto l’insieme del lavoro pubblico – si trova in una situazione normativa legislativamente innovata dal d.lgs. 27.10.2009, n. 150ma contrattualmente sospesa a seguito del blocco della contrattazione collettiva disposto dal d.l. 31.5.2010, n. 78.
Le novità introdotte dal d.lgs. del 2009 e in generale quelle che seguono nel corso della stessa legislatura avevano riguardato:
a) la dimensione professionale del dirigente, con maggiore rilevanza per i meccanismi di carriera e di conferimento, valutazione e revoca degli incarichi;
b) la funzione datoriale con ampliamento del potere gestionale nei confronti dei singoli lavoratori e di quello unilaterale nelle relazioni con le loro rappresentanze collettive.
Il tutto cosparso da quella che è stata definita una “proliferazione (o parcellizzazione) delle ipotesi di responsabilità”.
In linea generale, la disciplina che riguarda la dirigenza pubblica mantiene tratti di omogeneità di modello a prescindere dai comparti di appartenenza (delle amministrazioni centrali, sanitaria, scolastica, delle Regioni e delle autonomie locali) tutti ispirati al modello ministeriale; anche se nell’evoluzione legislativa si sono accentuate talune specificità di settore rispetto alla maggiore uniformità di disciplina che caratterizzava nel passato la normativa comune.
Per contemperare rigore metodologico ed esigenze di ampiezza di questo contributo, l’analisi sarà concentrata sulla disciplina base della dirigenza ministeriale contrattualizzata, che comunque consente di individuare caratteri qualificanti le altre discipline di settore e di evidenziare aspetti salienti anche di quella che regolamenta la dirigenza in regime di diritto pubblico come individuata dall’art. 3 d.lgs. 30.3.2001, n. 165.
A cavallo tra la XVI e la XVII legislatura (ma, in verità, per intero frutto dell’attività della XVI), sono inoltre approvati provvedimenti legislativi ancora una volta rilevanti per la figura dirigenziale miranti a garantire per un verso la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (l. 6.11.2012, n. 190 e d.lgs. 8.4.2013, n. 39) e per un verso gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (d.lgs. 14.3.2013, n. 33).
Il primo biennio della XVII legislatura (che ha inizio il 15.3.2013) si conclude con una situazione non dissimile a quella descritta per il periodo precedente visto che ancora per il 2015 per mancanza di risorse finanziarie non saranno rinnovati i contratti collettivi, mentre il quadro legislativo, soprattutto per quanto riguarda la dirigenza, inizia un percorso di profonda modifica per la presentazione dal disegno di legge delega governativo «Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (A.S. 1577) che, quando approvato avvierà una fase di ricognizione e sistematizzazione della disciplina vigente cui farà seguito una ulteriore fase di innovazione della disciplina specifica sulla dirigenza attuativa dei criteri di delega individuati dalla legge delega.
Ciò significa che da queste pagine non sarà possibile ricavare un quadro normativo stabile o consolidato, ma potranno solo essere descritte e individuate le linee portanti della riforma, compatibilmente con lo stato di avanzamento dell’approvazione della legge delega.
Va però subito precisato che, anche al termine del complesso processo di riforma, la disciplina della figura dirigenziale come ricavabile dal modello previsto dal d.lgs. n. 165/2001 non risulterà stravolta, quanto invece presumibilmente rafforzata nei suoi caratteri di autonomia, competenza e responsabilità funzionale; non sembra invece, almeno al momento, che – sempre rispetto al modello originario – recuperi quella dimensione gestionale delle risorse contemperata dal confronto partecipativo (e negoziale) con la rappresentanza collettiva del lavoro.
Ma per comprendere la misura dei mutamenti intervenuti e la presumibile direzione di quelli futuri è necessario partire dall’esposizione e dall’analisi del quadro normativo che la XVII legislatura (Governi Letta e Renzi) ha ereditato da quella precedente (Governi Berlusconi e Monti). Esaminiamo ora le principali innovazioni realizzatesi in questo periodo evidenziando in corsivo lemodifiche adottate nel corso della XVII legislatura.
Come abbiamo accennato una significativa svolta nella regolamentazione del lavoro pubblico e, per quello che qui interessa, della dirigenza si realizza, con rilevanti elementi di discontinuità con la riforma la disciplina precedente, a partire dal d.lgs. n. 150/2009.
1.1 Reclutamento e incarichi
Va, a questo proposito ricordato che con la l. 15.7.2002, n. 145 che aveva riscritto l’art. 23, erano stati di nuovo istituiti ruoli dirigenziali per ogni singola amministrazione, articolati in due fasce che, con le modifiche all’art. 28 e l’introduzione dell’art. 28 bis erano di fatto diventate due qualifiche distinte.
Sull’art. 23 intervengono il d.lgs. n. 150/2009 che aumenta da tre a cinque gli anni di ruolo necessari per il passaggio dalla seconda alla prima fascia senza essere incorsi in misure di responsabilità accertata; e il d.l. 6.7.2012, n. 95 che specifica meglio la imprescindibilità della disponibilità dei posti e gli eventuali criteri di precedenza. Le innovazioni apportate alle procedure di accesso riguardavano la distinzione in fasce della qualifica unica dirigenziale, ad ognuna delle quali corrispondono diversi requisiti di accesso; per l’accesso alla fascia inferiore (art. 28 d.lgs. n. 165/2001), il d.lgs. n. 150/2009 aveva integrato i requisiti per la partecipazione al «concorso per esami» che veniva ora consentito anche a candidati in possesso del dottorato di ricerca, accanto a dipendenti di ruolo con almeno 5 anni di servizio e a candidati in possesso di diplomi di specializzazione post-laurea.
Ma l’intero assetto dei requisiti per la partecipazione alle procedure di accesso alla qualifica dirigenziale di seconda fascia è stato poi semplificato nel corso della XVII legislatura dal d.P.R. 24.6.2013 n. 70 che ha abrogato i co. 2-4 dello stesso art. 28. Per l’accesso alla qualifica di prima fascia, il d.lgs. n. 150/2009 ha dettato una disciplina specifica introducendo al d.lgs. n. 165/2009 l’art. 28 bis, secondo il quale nelle amministrazioni centrali l’accesso avviene per il 50% tramite concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni, ai quali partecipano i dirigenti di ruolo con almeno 5 anni di servizio nei ruoli dirigenziali e altri soggetti in possesso dei requisiti stabiliti dai bandi. Questa modalità di reclutamento e stata sospesa fino al 31.12.2015 dal d.l. 6.7.2012 n. 95. L’istituto del conferimento degli incarichi ha avuto tra XVI e XVII legislatura ben 8 interventi modificativi, tutti concentrati sull’art. 19 d.lgs. n.
165/2009, ai quali si aggiungono due sentenze della Corte costituzionale.
Maggiormente rilevanti sono i sei emanati nel corso della passata legislatura di cui quattro dal Governo Berlusconi e due dal Governo Monti).
Nel dettaglio:
i) il d.lgs. n. 150/2009 integra i criteri valutabili ai fini del conferimento dell’incarico dirigenziale prevedendo anche esperienze esterne alla pubblica amministrazione e all’ambito nazionale, nonché una maggiore attenzione alla dimensione organizzativa della esperienza maturata; prevede strumenti di pubblicità dei posti vacanti; dispone che la revoca possa avvenire solo nei casi e con le modalità previste dall’art. 21 d.lgs. n. 165/2001 e che sia obbligatoria una specifica motivazione in caso di mancata conferma conseguente a processi di riorganizzazione e comunque alla scadenza in assenza di valutazione negativa (tale ultima previsione è stata modificata dal d.l. n. 78/2010, nel senso di consentire il conferimento di altro incarico anche se di valore economico inferiore e di non prevedere più una specifica motivazione); prevede che la durata dell’incarico possa essere anche inferiore a tre anni se tale durata coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo (ma che, dispone il d.l. 13.8.2011, n. 138, l’ultimo stipendio va individuato nell’ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell’incarico avente durata inferiore a tre anni); limita il conferimento a persone estranee all’amministrazione ai soli casi di impossibilità di rinvenire analoga professionalità nei ruoli dell’amministrazione (e il d.l. 31.8.2013, n. 101 precisa che in tali casi la formazione universitaria richiesta dal presente comma non può essere inferiore al possesso della laurea specialistica o magistrale o equiparabile);
ii) il d.lgs. 1.8.2011, n. 141 prevedeva una percentuale massima (18% della dotazione organica dei dirigenti a tempo indeterminato) per il conferimento di incarichi a termine anche per gli enti locali virtuosi. Il d.l. 2.3.2012, n. 16 ha generalizzato la disciplina articolando la percentuale a seconda della classe di grandezza degli enti locali;
iii) il d.l. 24.6.2014, n. 90 introduce una disciplina specifica per l’ampliamento delle percentuali degli incarichi conferibili dagli enti di ricerca e sui requisiti particolari necessari per tale ampliamento.
Proseguendo nella sua giurisprudenza contraria a forme di spoil system nel nostro ordinamento, sulla disciplina generale del conferimento degli incarichi è intervenuta in due occasioni la Corte costituzionale che in entrambi in casi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 8 dell’art. 19: con la sentenza 4.4.2011, n. 124, nella parte in cui dispone che gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi del co. 5-bis al personale non appartenente ai ruoli di cui all’art. 23 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia del governo; con la sentenza 20.7.2011, n. 246, nella parte in cui dispone che gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi del co. 6 dell’art. 19 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia del Governo2.
Strettamente collegato all’istituto del conferimento degli incarichi è quello relativo alla responsabilità dirigenziale, disciplinato dall’art. 21 d.lgs. n. 165/2001. Il d.lgs. n. 150/2009 adegua il dettato del primo comma relativo alla valutazione per mancato rispetto delle direttive e mancato raggiungimento degli obiettivi al sistema di valutazione da esso introdotto e prevede – innovando la disciplina precedente con l’introduzione del co. 1-bis – una responsabilità specifica per colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto da parte del personale degli standard quantitativi e qualitativi (decurtazione della retribuzione di risultato fino all’80%). Un maggiore governo della procedura per l’accertamento della responsabilità lo si riscontra anche nelle modifiche apportate dallo stesso d.lgs. n. 150/2009 all’art. 22 d.lgs. n. 165/2001, laddove modifica la composizione del Comitato dei garanti ma, soprattutto rende il parere da esso reso solo consultivo.
In altri termini, e rinviando al par. § 1.4 per una specificazione delle relative responsabilità, ad una responsabilità direttamente connessa all’esercizio della funzione tipicamente dirigenziale che comprende quindi, ma senza esaltarne la portata di elemento singolo valutabile, i comportamenti che quotidianamente sono richiesti, anche per effetto della legge, per l’esercizio di tale funzione (co. 1), il d.lgs. n. 150/2009 ne affianca una parcellizzata da controllore/controllato, più propriamente disciplinare ma non necessariamente da valutare nell’ambito dell’esercizio della prima. Insomma, e attingendo al duplice significato del termine “responsabilità”, alla “responsabilità/consapevolezza” (dell’organizzazione e del suo buon andamento), si affianca quello di “responsabilità/colpa” che punta sui singoli comportamenti instaurando un difficile rapporto di equilibrio tra l’una e l’altra.
1.2 La retribuzione
Le modifiche apportate al meccanismo di definizione della retribuzione dei dirigenti sono state determinate da esigenze di sistema per un maggior raccordo con il raggiungimento di obiettivi e da esigenze di finanza pubblica per una riduzione della spesa. Alla prima categoria di esigenze intendono rispondere le modifiche apportate all’art. 24 d.lgs. n. 165/2001 dal d.lgs. n. 150/2009 che fissa la percentuale minima della retribuzione di risultato almeno al 30% di quella complessiva e ne vincola la corresponsione all’adozione da parte delle amministrazioni del sistema di valutazione.
Alla seconda categoria di esigenze ha inteso rispondere innanzitutto il d.l. n. 78/2010 che nel solco della politica di congelamento della retribuzione per tutti i dipendenti pubblici, aveva anche stabilito la riduzione dei trattamenti economici superiori a 90 e 150mila euro per il triennio 2011-2013, che sarebbe poi presumibilmente stato prorogato in coerenza con il prolungamento del blocco della contrattazione collettiva. Su tale disposizione è intervenuta la Corte costituzionale che con la sentenza 8.10.2012, n. 223 ne ha dichiarato l’illegittimità perché contrastante col principio della universalità della imposizione.
Su questo tema vanno anche segnalate le diverse disposizioni che hanno stabilito limiti al trattamento economico o ai compensi comunque percepiti da pubbliche amministrazioni, quali:
il d.l. 6.7.2011, n. 98 che prevede che i trattamenti economici degli organi di vertice politico e amministrativo non possa superare la media ponderata rispetto al PIL di analoghi trattamenti dell’Area Euro;
il d.l. 13.8.2011, n. 138 che ne ampia la platea dei destinatari anche nei confronti dei 8 direttori generali degli enti e dei titolari degli uffici equiparati delle amministrazioni centrali dello stato;
il d.l. 6.12.2011, n. 201 che affida a un d.p.c.m. (emanato il 23.3.2012) la definizione del trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali;
il citato d.l. n. 95/2012 che ha previsto il tetto agli stipendi dei manager pubblici.
1.3 Le funzioni
Nell’ambito della distinzione di competenze tra politica e amministrazione che il d.l. n. 95/2012 specifica anche per il CNEL, nel corso della XVI legislatura ha integrato anche le funzioni dirigenziali sia dei dirigenti di uffici dirigenziali generali sia degli altri dirigenti.
In particolare per i primi, attraverso modifiche apportate all’art. 16 d.lgs. n. 165/2001:
il d.lgs. n. 150/2009 ha previsto anche la possibilità che propongano risorse e profili professionali utili allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti e di concorrere alla definizione di misure per prevenire e contrastare fenomeni di corruzione;
il d.l. n. 78/2010 ha attribuito loro l’adozione dei provvedimenti sui contratti secretati;
il d.l. n. 95/2012 ha ampliato le attribuzioni di informazione e monitoraggio delle attività a rischio di corruzione consentendo loro anche di disporre ipotesi limitate e motivate di rotazione del personale.
Per i secondi, attraverso modifiche apportate all’art. 17 d.lgs. n. 165/2001, il d.lgs. n. 150/2009 prevede la possibilità di proporre risorse e profili professionali utili all’ufficio, li coinvolge nel percorso di contrasto e prevenzione di fenomeni di corruzione, affida loro la valutazione del personale assegnato ai fini sia di progressione professionale che economica.
Nella XVII legislatura, nel cambio tra Governo Berlusconi e Governo Monti giunge a conclusione anche la vicenda annosa della vice dirigenza introdotta dalla l. n. 145/2002 ma mai adottata nell’ordinamento professionale da parte dei contratti collettivi e che aveva visto anche un inizio di contrasti giurisprudenziali.
La l. 4.3.2009, n. 15 aveva fornito una interpretazione autentica della norma ribadendo l’imprescindibile ruolo della contrattazione collettiva. Ma il d.l. n. 95/2012 provvede ad abrogare del tutto la disposizione controversa anche considerando il convincimento espresso della Corte di cassazione a Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione 5.7.2011, n. 14656, che non aveva escluso che «situazioni soggettive tutelate possano sorgere già prima della stipulazione del contratto collettivo vuoi per responsabilità precontrattuale, vuoi per condotta antisindacale o discriminatoria».
Il tema di una figura intermedia tra dirigenza e personale del comparto, resta comunque dibattuto e la Corte dei conti (Sezioni riunite in sede di controllo) nel rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica sembra auspicarne l’istituzione per superare la situazione di una dirigenza non sempre impegnata in funzioni di governo di strutture e gestione del personale; l’auspicio della Corte è che, a regime, l’istituzione dei “quadri” possa comportare un risparmio di spesa, superando l’attuale cristallizzazione della retribuzione fissa comunque spettante al personale dirigenziale privo di incarico con funzione organizzativa. L’orientamento della Corte dei conti, seppur mitigato dai vincoli legislativi ma comunque motivato in ragione di situazioni di eccezionalità e temporaneità è evidente nella deliberazione n.
SCCLEG/15/2014/PREV con la quale la sezione centrale del controllo ammette la “reggenza” di funzioni dirigenziali da parte di personale del comparto.
1.4 La responsabilità gestionale e i poteri datoriali
La XVI legislatura consegna alla XVII anche un quadro profondamente modificato della responsabilità gestionale del dirigente pubblico nella duplice dimensione della gestione del rapporto di lavoro e di gestione del sistema di relazioni sindacali.
Anche in questo caso l’intervento più significativo è quello operato dal d.lgs. n. 150/2009 che rafforza il potere soprattutto disciplinare e di controllo dei dirigenti,ma presidiandolo con un arricchimento anche delle responsabilità dirigenziali secondo il seguente schema essenziale:
colpevole violazione del dovere di vigilanza: decurtazione della retribuzione di risultato;
mancata individuazione delle eccedenze di personale: responsabilità per danno erariale;
mancato esercizio del potere disciplinare: sospensione dal servizio con riduzione della retribuzione;
mancato contrasto all’assenteismo: sospensione dal servizio con riduzione della retribuzione.
Alle quali si aggiunge la sanzione della mancata corresponsione della retribuzione di risultato in caso di irregolare utilizzo del lavoro flessibile prevista dal d.l. 31.8.2013, n. 101.
Ad esse si accompagnano le responsabilità derivanti dagli inadempimenti agli obblighi di pubblicazione e trasparenza prescritti in base all’art. 15 del d.lgs. 14.3.2013, n. 33, (vedi tabella).
Occorre, infine, aggiungere la sanzione della decadenza dal rapporto di lavoro, sancita dall’art.19 d.lgs. n. 39/2013 in caso di svolgimento di incarichi in una delle situazioni di incompatibilità previste dallo stesso decreto.
Con riferimento invece al potere datoriale verso la rappresentanza dei lavoratori, il d.lgs. n. 150/2009 aveva significativamente modificato il secondo comma dell’art. 5 d.lgs. n. 165/2001 prevedendo che le forme di partecipazione sindacale previste dai contratti collettivi non potessero essere ulteriori rispetto all’informazione; analoga disciplina restrittiva aveva dettato a proposito del ruolo della contrattazione collettiva modificando l’art. 40 d.lgs. n. 165/2001 e prevedendo che fossero in particolare escluse dalla contrattazione collettiva «le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, lamateria del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali», nonché (e naturalmente) quelle riservate alla legge dall’art. 2, co. 1, lett. c), della l. 23.10.1992, n. 421; e che nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva fosse consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.
Sul sistema di relazioni sindacali è intervenuta la l. n. 95/2012 che, ulteriormente modificando il citato art. 5, co. 2, ha previsto la procedura dell’esame congiunto nelle misure riguardanti il rapporto di lavoro.
La ricognizione sullo statuto normativo della figura dirigenziale tra XVI e XVII legislatura e fino alla conclusione del Governo Letta dimostra come su questa figura, al pari di quanto verificatosi per l’intero comparto del lavoro pubblico contrattualizzato, il legislatore si sia adoperato per ridurre gli spazi di autonomia che il modello legale di riforma aveva riconosciuto fino a quel momento.
Si è parlato a questo proposito di rilegificazione delle regole e di unilateralizzazione della gestione: in verità entrambi i processi sono visibili se ci si pone nell’ottica del ruolo attribuito al dirigente pubblico.
La sua autonomia o discrezionalità, infatti, per un verso viene ridotta attraverso gli analizzati fenomeni di cristallizzazione di molte leve organizzative (tra le principali, la valutazione e il sistema sanzionatorio), la moltiplicazione parcellizzata delle tipologie di responsabilità, i meccanismi diffusi di controllo: per un altro verso, viene estesa soprattutto in funzione gerarchica nei confronti dei lavoratori e, soprattutto, nei confronti della rappresentanza collettiva del lavoro.
Non è questa la sede per esaminare in termini di politica del diritto o di funzionalità organizzativa le soluzioni adottate, soprattutto perché il cantiere della revisione normativa è di nuovo aperto e con esiti che non siamo in grado di esaminare nella loro completezza, ma che chi le leggerà con ogni probabilità conoscerà quanto meno nelle linee portanti essenziali.
Dal 23.7.2014 è infatti in discussione in Parlamento l’atto Senato n.1577, disegno di legge di iniziativa governativa dal titolo «Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» che prevede una ulteriore revisione incisiva del rapporto di lavoro pubblico da concludere – tra adozione di T.U. ricognitivi, emanazione di decreti legislativi delegati e coordinamento dell’intero corpo normativo nel corso di 24 mesi dalla data di approvazione della legge (attualmente in discussione in Commissione «Affari costituzionali»).
Proprio questo complesso iter appena iniziato consiglia di procedere con cautela all’analisi e valutazione del testo in esame al Senato.
Nella sua struttura di definizione dei criteri di delega, l’art. 10 d.d.l. n. 1577/2014 contiene una ampia delega per la revisione della disciplina e di fatto affronta molti dei punti sui quali la legislazione esaminata nel paragrafo precedente si era esercitata con soluzioni tampone o parziali.
Possiamo dire che il nucleo centrale della riforma dovrebbe ruotare intorno ad un rafforzamento della dimensione professionale del dirigente scommettendo su questo un riequilibrio nel rapporto di collaborazione/distinzione tra competenze tra dirigente e vertice politico delle amministrazioni. In effetti, proprio questo equilibrio era stato alla base della riforma del 1993 e fino alla stabilizzazione del testo operata dal d.lgs. n. 165/2001. Ed era stato proprio questo rapporto ad essere stato messo in discussione dai provvedimenti legislativi che a partire dal 2002 avevano cercato con diversa modalità di rafforzare il rapporto fiduciario a scapito di quello professionale: una tendenza che come si ricorderà sarà costantemente contrastata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Il d.d.l. n. 1577/2014 ritorna sull’impostazione originaria del d.lgs. n. 29/1993 prevedendo l’istituzione di ruoli unici con eliminazione della doppia fascia che, come si ricorderà aveva finito per trasformarsi in una duplicazione delle qualifiche di inquadramento.
Nel futuro i ruoli dovrebbero essere tre, uno per le tre tipologie di dirigenza (Stato, Regioni ed enti locali), con esclusione di quella scolastica e del servizio sanitario, tra loro coordinati ed omogenei per requisiti di accesso e reclutamento, in modo da garantire mobilità tra amministrazioni dello stesso ruolo e tra amministrazioni facenti riferimento a ruoli diversi. Una misura che superi una condizione di appartenenza obbligata ai ruoli di una singola amministrazione e che per questa via rafforzi la capacità/propensione del dirigente ad affermare le ragioni della propria discrezionalità organizzativa.
Ulteriore elemento che dovrebbe garantire la separazione di competenze tra politica ed amministrazione è rinvenibile nella previsione per cui ogni ruolo è gestito da una Commissione chiamata a svolgere funzioni portanti quali la valutazione dei curricula nel momento della richiesta di un profilo professionale dirigenziale da parte delle amministrazioni, la verifica dei criteri di conferimento o revoca degli incarichi, l’espressione di un parere obbligatorio in caso di procedimento di valutazione dei dirigenti assorbendo così le funzioni attribuite al Comitato dei garanti.
Come abbiamo sottolineato nel corso della ricognizione della normativa vigente, un punto critico della valutazione dirigenziale è attualmente rappresentato, oltre che dalla non vincolatività del parere anche dalla frammentarietà delle tipologie di responsabilità dirigenziale in una sorta di dualismo imperfetto nel quale le responsabilità dirigenziali si fronteggiano con quelle disciplinari in una condizione di pari rilevanza. Per ovviare a tale situazione il d.d.l. parla di revisione del sistema di responsabilità per legarlo maggiormente ai risultati conseguiti, ai comportamenti organizzativi, all’impatto finale degli interventi attivati.
L’accesso alla dirigenza avviene per corso-concorso e per concorso (e sono quindi confermate entrambe le modalità già previste) anche se ad ognuna è assegnata una funzione diversa, da svolgersi con cadenza annuale per ognuno dei tre ruoli. La prima modalità ha la funzione di rispondere a una esigenza di sistema e di soddisfare il fabbisogno minimo annuale; la seconda risponde alle esigenze non soddisfatte dalla prima.
La duplice modalità di reclutamento, comprensibile nella logica, non convince nella sorte diversa dei candidati coinvolti in ognuna: per i candidati del corso-concorso è prevista l’immissione in ruolo come funzionari per un periodo di 4 anni con obbligo formativo e l’immissione in ruolo previo superamento di un esame (un notevole lasso di tempo che tra percorso scolastico, procedura concorsuale, periodo di formazione on the job e esame finale sembra contrastare con l’esigenza di immettere professionalità giovani e dinamiche); per i candidati al concorso è prevista una formazione iniziale, il superamento del concorso con assunzione a termine per un triennio e successiva assunzione a tempo indeterminato previo superamento di un esame di confermo (all’eventuale esito negativo del quale, il candidato potrà essere eventualmente inquadrato come funzionario).
Peraltro, la formazione continua sembra al centro delle preoccupazioni del d.d.l. che ne prevede l’obbligo annuale secondo criteri da definire (delega troppo ampia) anche con docenza dei dirigenti di ruolo. Le procedure di conferimento, valutazione e revoca degli incarichi sono state da sempre il punto delicato della regolamentazione del rapporto di lavoro dirigenziale: una sorta di cartina di tornasole per verificare la genuinità e la forza pratica del principio di separazione tra politica e dirigenza. Il d.d.l. prevede la costituzione di una banca dati dinamica dei curricula aggiornata agli incarichi ed alle relative valutazioni ottenute nel tempo e il conferimento mediante procedura di avviso pubblico in base al quale la Commissione selezioni un numero limitato di candidati che rappresentino una rosa di sicura professionalità specifica dalla quale l’amministrazione richiedente possa attingere.
Suscita perplessità la previsione di una durata unica per gli incarichi (3 anni) che seppur rinnovabili non sono comunque rapportati in partenza alle caratteristiche dell’incarico da svolgere, e quella di una decadenza dal ruolo a seguito di un periodo trascorso senza conferimento di un nuovo incarico, anche se senza valutazioni negative di quelli precedenti.
Infine lesiva della titolarità della contrattazione in materia, appare la predeterminazione della percentuale minima di incidenza della retribuzione di posizione su quella totale e della percentuale massima di incidenza di quella di risultato. Alla stessa critica va sottoposta la predeterminazione del numero massimo di dirigenti e di dipendenti premiabili annualmente a propria discrezionalità attingendo ad una quota di fondo definita contrattualmente.
Si ritiene che i profili problematici legati al ruolo dirigenziale risiedano nella molteplicità di relazioni che l’ordinamento gli chiede di governare nel prisma dei soggetti che a diverso titolo entrano in rapporto con le amministrazioni pubbliche.
A ben guardare, il dirigente pubblico è l’unico legittimato a tenere rapporti con tutti i soggetti, con modalità diverse che dovrebbero garantire la funzionalità e l’efficacia delle soluzioni gestionali e organizzative che è chiamato a d assumere.
In particolare:
dai responsabili politici dell’amministrazione, (ai quali per il principio di separazione di competenze, sarebbe interdetto rapportarsi con singoli lavoratori e rappresentanze sindacali, ma è auspicabile si rapportassero con l’utenza anche al di là della relazione elettorale), i dirigenti devono da un lato assumere le indicazioni di obiettivo e di risultato e dall’altro proteggere la propria professionalità nella gestione di uffici e risorse, potendo pretendere di essere valutati solo in rapporto all’efficacia dell’intervento;
con la variegata categoria dell’utenza (associata o meno) che è chiamata a valutare nel concreto l’efficacia delle politiche pubbliche e delle soluzioni organizzative adottate, il dirigente dovrebbe assicurare una relazione di stimolo nel recepimento degli input di servizio atteso e una di risposta valutabile in base alle risorse messe a sua disposizione;
con i propri dipendenti, in quanto datore di lavoro con capacità e poteri di diritto privato, istaura un rapporto gerarchico basato sul presupposto della subordinazione che non va disgiunto dalla capacità di gestione ottimale e motivazionale delle risorse;
con le rappresentanze sindacali, il dirigente è chiamato a sviluppare un rapporto partecipativo e negoziale improntato reciprocamente ai principi di correttezza e buona fede sia nella fase di definizione delle regole che in quella della loro attuazione e rispetto.
Va, in fondo considerato che nelle relazioni organizzative il legislatore può svolgere un ruolo limitato ma fondamentale nella definizione delle modalità ritenute ottimali per la gestione dei rapporti tra gli attori coinvolti.
L’esperienza delle pubbliche amministrazioni ha visto negli ultimi venti anni (periodo omogeneo nell’enfatizzazione della dimensione organizzativa e non solo istituzionale/amministrativa delle pubbliche amministrazioni) un generoso progetto di riforma, sostanzialmente affidato alla responsabile e autonoma interrelazione dei soggetti, tra i quali il dirigente era chiamato a svolgere un ruolo di snodo in grado di convogliare risorse e sforzi in direzione del buon andamento delle amministrazioni. Da quel 1993 molte cose sono cambiate: la delusione e il disincanto per comportamenti non sempre ispirati a principi di correttezza, una tendenza della politica (e, per quello che qui interessa, dei responsabili politici delle amministrazioni) a riprendere un ruolo di protagonismo nella gestione delle organizzazioni e delle risorse, una crisi economica e finanziaria sconosciuta nella storia repubblicana che ha privato delle necessarie risorse economiche, ma anche umane e strumentali.
Gli ultimi sei/sette anni hanno visto il primeggiare di politiche di controllo e accentramento delle fonti e dei soggetti che certamente non hanno incoraggiato l’autonomia e l’innovazione nei comportamenti e degli apparati e che hanno prodotto una sostanziale sfiducia nelle capacità dei soggetti coinvolti nelle amministrazioni di autoemendare i propri comportamenti.
Con il d.d.l. n. 1577/2014 il legislatore prova di nuovo a dare impulso alle amministrazioni non limitandosi più ad interventi di dettaglio o parziali; ma il clima nel quale nasce questa ennesima riforma non è dei più favorevoli, persistendo i problemi e le insufficienze di ambiente appena descritte.
La speranza è che il legislatore sia abbastanza lungimirante da costruire una riforma col fiato lungo, nella speranza che al termine di questo lungo iter di rinnovamento della normativa, si siano create le condizioni politiche, finanziarie e contrattuali perché le relazioni organizzative interne alle amministrazioni possano riprendere in un clima di maggiore fiducia e rispetto reciproco coordinate da una riaggiornata figura della funzione dirigenziale.
Inadempimento agli obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza
Inadempimento agli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa
Mancata predisposizione del Programma
Triennale per la Trasparenza e l’Integrità
Violazione degli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 22, co. 2, relativi agli enti pubblici vigilati, agli enti di diritto privato in controllo pubblico e alle società
In caso di pagamento del corrispettivo:
responsabilità disciplinare
applicazione di una sanzione pari alla somma corrisposta Elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale
Eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine della p.a.
Valutazione ai fini della corresponsione:
a) della retribuzione accessoria di risultato
b) della retribuzione accessoria collegata alla performance individuale del responsabile Sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro a carico del responsabile della violazione
1 Per la lettura di queste pagine e per una completa comprensione di sistema dei temi in esse affrontati, si rinvia alla Voce “Dirigenza pubblica (Dir. Amm.)” redatta da G. D’Alessio e alla Voce “Dirigenza pubblica (Dir. Lav)” redatta da chi scrive, pubblicate su sito http://www.treccani.it. La dottrina che nel corso degli anni si è occupata di dirigenza è molto ampia. Ci limitiamo a segnalare opere che abbiano un’impostazione organica dei temi affrontati: AA.VV., La Dirigenza, in Quad. dir. lav. rel. ind., n. 31, 2009; Ales, E., La pubblica amministrazione quale imprenditore e datore di lavoro. Un’interpretazione giuslavoristica del rapporto tra indirizzo e gestione, Milano, 2002; Bolognino, D., La dirigenza pubblica statale tra autonomia e responsabilità, Padova, 2007; Boscati, A., Il dirigente dello Stato. Contratto di lavoro e organizzazione, Milano, 2006; Carinci, F.-D’Orta, C., diretto da, I contratti collettivi per le aree dirigenziali,Milano, 1998; Carinci, F.-Mainardi, S., a cura di, La dirigenza nelle pubbliche amministrazioni. Dal modello unico ministeriale ai modelli caratterizzanti le diverse amministrazioni,Milano, 2005; Cassese, S., Il nuovo regime dei dirigenti pubblici in Italia: una modificazione costituzionale, in Giorn. dir. amm., 2002; Chirulli, P., Dirigenza pubblica (riforma della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2000; Chirulli, P., Dirigenza pubblica (nuova riforma della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2002; D’Alberti, M., a cura di, La dirigenza pubblica, Bologna, 1990; D’Alberti, M., a cura di, L’alta burocrazia, Bologna, 1994;D’Alessio,G, La nuova dirigenza pubblica, Roma, 1999; D’Alessio, G., a cura di, L’amministrazione come professione. I dirigenti pubblici tra spoils system e servizio ai cittadini, Bologna, 2008; D’Orta, C., i dirigenti pubblici: custodi della legalità o managers?, in Lav. pubbl. amm., 2005; Gardini, G., L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione, Milano, 2003; Merloni, F., Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale. Il modello italiano in Europa, Bologna, 2006; Pastori, G.-Sgroi, M., Dirigenti pubblici, in Enc. dir., Agg., V,Milano, 2001, 356 ss.; Patroni Griffi, A., Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica,Napoli, 2002; Raimondi, S., Dirigenza, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Romagnoli, U., Dirigenti pubblici: lo scenario politico-istituzionale per la valutazione, in Dir. lav. merc. 2004; Russo, C., Poteri, responsabilità e partecipazione nel lavoro pubblico, Torino 1996; Talamo, V., Lo spoil system all’“italiana” fra legge Bassanini e legge Frattini, in Lav. pubbl. amm., 2003; Torchia, L., La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000; , Zoli C., La dirigenza pubblica tra autonomia e responsabilità, in Lav. pubbl. amm., 2005; Zoppoli, A., Dirigenza, contratto di lavoro e organizzazione, Napoli, 2000; Zoppoli, A., a cura di, La dirigenza pubblica rivisitata. Politiche, regole, modelli, Napoli, 2004; Zoppoli, A., Dirigenza statale, in Dig. comm., Agg., Torino, 2009, 262 ss.
2 Vale la pena utilizzare questo rinvio per segnalare le principali pronunce della Corte costituzionale in tema di dirigenza pubblica, quanto meno a partire dalle fondamentali sentenze che hanno affrontato il tema dell’incompatibilità del cd. spoil system con il nostro ordinamento costituzionale. In particolare, in tema di: Spoil system, C. cost., 23.3.2007, n. 103; C. cost., 23.3.2007, n. 104; C. cost., 20.5.2008, n. 161; C. cost., 5.2.2010, n. 34; C. cost., 5.3.2010, n. 8; C. cost., 24.6.2010, n. 224; C. cost., 11.4.2011, n. 124; C. cost., 25.7.2011, n. 246; Incarichi dirigenziali, C. cost., 23.3.2007, n. 108; C. cost., 10.10.2008, n. 340; Stabilizzazione, C. cost., 24.6.2010, n. 225; Competenza gestionale: C. cost., 3.5.2013, n. 81; Trattamento economico: C. cost., 19.7.2013, n. 218.