La disciplina processuale della questione di giurisdizione
Nell’esaminare la disciplina processuale della questione di giurisdizione, si passano in rassegna gli orientamenti emersi nella giurisprudenza di legittimità; emerge una progressiva erosione delle differenze tra tale regime e quello proprio della questione di competenza. La disciplina della translatio iudicii introdotta dalla legge 69 del 2009 si inquadra in questo processo. Richiede di essere inserita in modo armonico nel tessuto normativo preesistente e costituisce l’occasione per una verifica delle precedenti soluzioni interpretative.
Dà contenuto alla questione di giurisdizione la ripartizione della funzione giurisdizionale tra giudice ordinario e giudici speciali (art. 102, co. 1, Cost.) e la allocazione presso gli stessi dei poteri che possono essere esercitati per la tutela delle situazioni giustiziabili (artt. 103 e 113 Cost.); ma altro contenuto deriva dai limiti entro i quali le giurisdizioni nazionali possono esercitare le loro funzioni in confronto di soggetti immuni per regole di diritto internazionale pubblico e di diritto internazionale privato. La materia qui trattata riguarda però la disciplina del trattamento processuale della questione, cui danno contenuto le norme del codice di procedura civile, ma anche delle leggi che regolano il processo davanti ai diversi giudici speciali e di quelle di diritto internazionale privato, attraverso le quali è fissato il ruolo della questione di giurisdizione in rapporto alle altre questioni pregiudiziali preliminari o di merito, i mezzi processuali ordinati alla sua decisione, la stabilità di questa all’interno del giudizio o, fuori del processo, ma sulla stessa domanda. Alla materia qui trattata sono quindi estranee le norme che la giurisdizione l’attribuiscono, dando luogo alla cd. questione del riparto, e la cui applicazione in relazione alla domanda costituisce il merito della decisione sulla questione La disciplina che si commenta comprende invece in sé gli istituti che hanno ad oggetto il rilievo del difetto di giurisdizione del giudice adito; i modi della decisione della questione; i rimedi contro tale decisione; gli effetti che la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice adito determina quanto alla domanda di tutela giurisdizionale. L’elemento di novità che da un punto di vista normativo lo statuto della questione di giurisdizione registra è quello indotto dalla entrata in vigore dell’art. 59 l. 18.6.2009, n. 69 – intitolato alla decisione della questione di giurisdizione – cui ha fatto eco l’art. 10 del c.p.a., approvato con il d.lgs. 2.7.2010, n. 104.
Su questa materia la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione ha registrato novità e messe a punto. In particolare, sul rilievo del difetto di giurisdizione nei gradi di impugnazione; gli spazi di applicazione del regolamento preventivo di giurisdizione dopo la decisione che la declina o l’afferma e i connessi rapporti con la disciplina della translatio iudicii; le questioni, anche di diritto intertemporale, poste da tale disciplina; la possibilità di ricorso immediato per cassazione contro la decisione separata del giudice speciale di appello che affermi la giurisdizione; la tipizzazione della questione di giurisdizione; il conflitto negativo di giurisdizione. Infine, nel campo del riparto di giurisdizione tra giudice nazionale e giudice straniero, novità si registrano a proposito dei mezzi di controllo delle decisioni in tema di litispendenza internazionale.
Sebbene il codice di procedura civile – all’art. 37 – disponga che il difetto di giurisdizione è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, l’ambito di questo principio vede compresso il proprio campo d’applicazione dalla pronuncia del giudice adito che afferma la sua giurisdizione. Questa pronuncia ha natura di sentenza (art. 279, co. 2, nn. 1 e 4). Ma la natura di sentenza ne impone l’impugnazione e, se questa manca, sulla sentenza si forma il giudicato per acquiescenza (art. 329, co. 2): giudicato interno, che impedisce il rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione nel giudizio che prosegue nei gradi successivi a seguito dell’impugnazione di altri capi della sentenza. Giudicato interno, che si forma e preclude il rilievo di ufficio nel grado successivo, anche quando la decisione espressa sulla questione manca, ma non è impugnata la decisione, resa dallo stesso giudice su questione di merito, o su altra questione pregiudiziale o preliminare astrattamente idonea a determinare la conclusione del giudizio e che ha perciò natura di sentenza (art. 279, co. 2, nn. 2, 3 e 4) e non può essere messa in discussione in mancanza di impugnazione (come le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare già con la sentenza 24.2.1986, n. 1090). Diversamente, la statuizione sulla questione ne risulterebbe messa in discussione in assenza di impugnazione. Con la sentenza delle Sezioni Unite 9.10.2008, n. 24883 l’ambito di applicazione dell’art. 37 del codice e del rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione ha conosciuto nella stessa direzione un’ulteriore restrizione. Secondo la Corte, se una questione, che sul piano logico presuppone da parte del giudice l’affermazione della propria giurisdizione, non dimostra di essere stata assunta con la tecnica decisionale della questione liquida, la relativa decisione, benché implicita e non espressa, può e deve essere investita da impugnazione. In mancanza, su di essa si forma il giudicato interno, che preclude un successivo rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione, pur se su nessuna delle questioni logicamente successive, decise in modo espresso, ma investite esse da impugnazione, si sia formato il giudicato. Coeve (30.10.2008, n. 26019) e successive (18.12.2008, n. 29253) sentenze delle Sezioni Unite sono poi intervenute a delineare il quadro del rapporto di pregiudizialità tra questione decisa e questione di giurisdizione, ai fini della delimitazione dell’area del giudicato implicito sulla giurisdizione. L’orientamento inaugurato con la sentenza n. 24883/2008 non può evidentemente essere inteso nel senso che la questione di difetto di giurisdizione abbia perso il carattere d’essere rilevabile di ufficio nei gradi di impugnazione, perché ciò contrasterebbe in modo diretto con la lettera della disposizione: un esito del genere potrebbe solo derivare da una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, eventualmente per contrasto con i principi del giusto processo (art. 111 Cost.). È invece da intendere nel senso che, in presenza d’una decisione, anche implicita, sulla giurisdizione, in mancanza di impugnazione del relativo capo di sentenza si determina, con la formazione del giudicato, l’impedimento all’esercizio del potere del giudice di pronunciare sulla questione. Appunto muovendosi in tale direzione, la sentenza delle S.U., 29.3.2011, n. 7097 ha risolto, in senso affermativo, la questione se, impugnata dal convenuto, anche per motivi attinenti alla giurisdizione, la sentenza di merito a lui sfavorevole, di fronte al rigetto dell’appello sul primo punto ed all’accoglimento sul secondo, la sentenza favorevole al convenuto sul merito, potesse essere impugnata con ricorso per cassazione dall’attore per motivi inerenti alla giurisdizione. La Corte ha considerato che, una volta impugnata da una qualsiasi delle parti la sentenza sul capo relativo alla giurisdizione, la formazione del giudicato sul punto era stata esclusa e la questione di giurisdizione, restata in secondo grado soggetta al potere di decisione di ufficio del giudice, una volta che la decisione di merito in grado di appello era stata poi sfavorevole per l’attore, questi era legittimato ad impugnarla per motivi inerenti alla giurisdizione. La soluzione accolta dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 7097/2011 appena richiamata sembra trovi corrispondenza nel dettato dell’art. 9 c.p.a., che, dopo l’affermazione contenuta nel primo periodo – «Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche di ufficio» – presenta nel secondo l’enunciato che segue: «Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo di impugnazione avverso il capo della sentenza impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione». Quanto allo statuto della questione di giurisdizione in grado di appello va dato conto della sentenza S.U., 16.1.2008, n. 252461 – di pochi giorni successiva alla sentenza n. 24883/2008. All’esame della Corte era venuto questo caso. Davanti al giudice amministrativo, in primo grado, la pubblica amministrazione, aveva sollevato la questione di giurisdizione; il tribunale l’aveva giudicata in modo espresso infondata, ma era pervenuto a dichiarare il ricorso della parte privata inammissibile per mancata impugnazione di atti presupposti. La decisione di primo grado, impugnata dalla parte privata, naturalmente sulla sola questione risolta in senso a lei sfavorevole, cioè su quella di merito, e non anche dalla parte pubblica in via incidentale sulla giurisdizione, era stata riformata in appello e, nell’impugnarla con ricorso per cassazione, la parte pubblica ne aveva chiesto la cassazione, in primo luogo, per motivi inerenti alla giurisdizione. Le Sezioni Unite hanno richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, allora, prima del codice del processo amministrativo, consentiva che le questioni assorbite o non espressamente decise fossero riproposte con memoria difensiva non notificata ed invece richiedeva l’impugnazione per le questioni pregiudiziali espressamente esaminate e decise: ciò in sostanziale adesione alla disposizione dettata dall’art. 346 del codice di procedura, secondo l’interpretazione sin lì accolta dalla giurisprudenza civile. Ragionando appunto a partire dall’art. 346 del codice di procedura – esaminando peraltro la questione nella sua portata di massima, giacché la Corte aveva dovuto constatare che una decisione sulla giurisdizione non era stata affatto chiesta in appello – la Cassazione ne ha interpretato il disposto nel senso che il legislatore con l’espressione non accolte – riferita insieme alle domande ed alle eccezioni – abbia inteso fare riferimento «a situazioni diverse da quella costituita da un’espressa pronuncia negativa sulla domanda e sull’eccezione, e ritenuto, piuttosto, di regolare quelle diverse ipotesi decisionali nelle quali il mancato accoglimento non si coniuga con un’espressa reiezione ma con la pretermessa valutazione delle domande ed eccezioni considerate, quali l’omessa pronuncia o la pronuncia, espressa o implicita di assorbimento». La decisione – rispetto al caso che la domanda sia rigettata nel merito ma previo rigetto espresso della questione di giurisdizione – comporta che di fronte all’appello principale dell’attore, la questione di giurisdizione debba essere riproposta dal convenuto non nei modi previsti dall’art. 346, ma mediante appello incidentale e dunque rappresenta un superamento dell’impostazione che in precedenza era stata seguita dalle Sezioni Unite ancora con la sentenza 19.2.2007, n. 3717 (che l’avevano del resto già abbandonata per il caso di solo parziale rigetto della domanda e per ciò di suo correlato parziale accoglimento: S.U., 24.5.2007, n. 12607). La decisione appare tuttavia fare salvo uno spazio per la sola riproposizione della questione di giurisdizione in caso di decisione implicita, in base all’art. 346 e dunque, secondo la giurisprudenza, entro il termine per la precisazione delle conclusioni (ma, davanti al giudice amministrativo, l’art. 101, co. 2, del codice dispone ora che la riproposizione debba avvenire entro il termine stabilito per la costituzione in giudizio). Per questa seconda parte, la soluzione si presta tuttavia a queste considerazioni. Come si è già osservato, se l’art. 37 c.p.c. dispone che il difetto di giurisdizione può essere rilevato anche di ufficio in ogni stato grado e del processo, il limite a questo dovere del giudice può solo derivare dal giudicato che sulla questione di giurisdizione si sia formato, ciò che ne presuppone una previa decisione, se non esplicita, almeno implicita e la sua mancata impugnazione. Non dovrebbe invece poter derivare dal fatto che, in assenza di una decisione esplicita sulla giurisdizione, alcuna delle parti manchi di sollevare in appello la questione. È perciò disputabile che l’art. 346 abbia campo per applicarsi quanto alla questione di giurisdizione. Si prospetta dunque come alternativa questa soluzione. In presenza d’una sentenza che accoglie la domanda, con implicita decisione favorevole all’attore della questione di giurisdizione, la parte convenuta, rimasta soccombente in primo grado è onerata di impugnare con l’appello tale implicita decisione, formandosi altrimenti il giudicato sulla giurisdizione. In presenza di una sentenza che invece rigetta la domanda nel merito, senza espresso esame della questione di giurisdizione, poiché la pronunzia di rigetto nel merito contiene implicita quella favorevole sulla giurisdizione, l’attore sarà gravato dell’onere di appello principale sul merito ed il convenuto di appello incidentale condizionato sulla questione di giurisdizione: in un caso prospettatosi davanti al giudice amministrativo, in questi termini ha deciso la sentenza S.U., 28.1.2011, n. 2067, dichiarando inammissibile il ricorso proposto sulla questione di giurisdizione contro la sentenza che aveva accolto l’appello. Quanto allo statuto della questione di giurisdizione nel giudizio davanti alla Corte di cassazione, va richiamata la sentenza delle Sezioni Unite 6.3.2009, n. 54562, in cui è stato affermato che il ricorso incidentale della parte interamente vittoriosa nel merito, con cui venga impugnato il capo della sentenza di appello che contenga una decisione della questione a lei sfavorevole, deve essere considerato necessariamente condizionato all’accoglimento del ricorso principale e resta perciò assorbito dal rigetto di questo.
3.1 L’art. 41 ed il regolamento preventivo di giurisdizione
A proposito del regolamento preventivo di giurisdizione e dell’interpretazione dell’art. 41 del codice di procedura, come delle analoghe disposizioni contenute nella disciplina di processi davanti a giudici speciali, a partire dalla sentenza S.U., 22.3.1996, n. 2466, nella giurisprudenza della Corte di cassazione si è consolidato l’orientamento per cui il regolamento preventivo non si presta a fungere da mezzo di impugnazione di una decisione parziale positiva o definitiva negativa sulla questione di giurisdizione; né può essere esperito nel giudizio pendente, dopo che in esso sia stata resa una qualsiasi altra decisione, che, in ragione della questione risolta, abbia natura di sentenza, pur parziale ed anche se resa su questione non di merito (lo ricordano le ordinanze 8.2.2010, n. 2716 e 22.11.2010, n. 23596). L’entrata in vigore della disciplina sulla translatio iudicii ha fatto sorgere la questione se, intervenuta la sentenza che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice adito, l’ostacolo alla richiesta del regolamento preventivo operi anche nell’ambito del processo proseguito davanti al giudice indicato. Le Sezioni Unite hanno affrontato il tema una prima volta nell’ordinanza 8.2.2010, n. 2716 e lo hanno ripreso nell’ordinanza 22.11.2010, n. 23596; hanno escluso che il regolamento preventivo torni ad essere proponibile nel processo che davanti al giudice indicato sia proseguito attraverso la riproposizione della domanda, quand’anche la domanda sia riproposta prima che la sentenza con cui è stata declinata la giurisdizione sia passata in cosa giudicata formale. Gli argomenti posti in campo sono stati sostanzialmente due. Il primo è stato desunto dall’ultimo periodo dell’art. 59, co. 3, l. n. 69/2009: «Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione». Lo si è inteso come espressione della volontà del legislatore di codificare l’interpretazione in precedenza accolta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione circa gli spazi di applicazione dell’art. 41 del codice. Il secondo è stato un argomento di ordine sistematico. La riduzione ad unità del processo aperto dall’iniziale domanda di giustizia, svelata dalla sentenza 12.3.2007, n. 77 della Corte costituzionale, non imponeva modifiche alla disciplina del primo tratto del processo, in cui le parti, che ne hanno avuto la possibilità, non richiedendo esse il regolamento preventivo, ne hanno consumato la possibilità. Imponeva invece di consentire al secondo giudice di rimettere in discussione l’indicazione venuta dal primo: il regolamento di ufficio ha costituito il punto di equilibrio tra l’esigenza avvertita dal legislatore, di favorire il risultato di una definitiva stabilizzazione della questione di giurisdizione, ed il principio che solo la decisione della Cassazione, giudice regolatore della giurisdizione, può imporsi ad ogni giudice; da questa decisione si è così fatto discendere un vincolo procedimentale, ad immagine di quanto previsto dall’art. 45 c.p.c. col regolamento di competenza di ufficio. Non hanno costituito oggetto di decisione, ma solo di enunciazione due aspetti: se la stessa parte possa sperimentare insieme la via della riproposizione della domanda e quella dell’appello; anche a non ammetterlo, come coordinare l’appello proposto da una parte e il giudizio proseguito dall’altra, giudizio in cui dal secondo giudice potrebbe essere chiesta la decisione sulla giurisdizione ad opera della Corte di cassazione3.
3.2 La translatio iudicii
La sentenza S.U., 9.7.2010, n. 19256 consente qualche riflessione a proposito dell’ambito di applicazione degli istituti processuali che compongono la disciplina della translatio iudicii. Il quesito è se tale disciplina sia applicabile anche fuori del giudizio di cognizione ed in particolare nei procedimenti cautelari. La Corte ha esaminato il seguente caso. Il procedimento cautelare, aperto davanti al giudice ordinario anteriormente all’inizio della causa con un ricorso per provvedimenti di urgenza, s’era chiuso con un’ordinanza di difetto di giurisdizione, pronunziata il 16.3.2009; la domanda era stata quindi proposta davanti al giudice amministrativo in sede di cognizione, non si sa in quale data, ed il tribunale amministrativo con ordinanza 14.11.2009, che la Corte riferisce pronunziata prima che fosse tenuta la prima udienza, intanto accordando la tutela cautelare ha chiesto che le Sezioni Unite risolvessero la questione di giurisdizione. Il regolamento così richiesto è stato dichiarato inammissibile. Secondo la Corte, il provvedimento reso sulla domanda cautelare produce effetti, che possono essere elisi da una sentenza in cui si disconosca il diritto cautelato: il provvedimento da un lato non è destinato a passare in cosa giudicata, dall’altro non può costituire oggetto di riesame in base a regolamento preventivo di giurisdizione. La Corte ne ha tratto la conclusione che né la domanda poi proposta al giudice amministrativo poteva essere considerata aver dato luogo a quel successivo processo sulla domanda originaria di cui è parola nel secondo comma dell’art. 59 né il giudice cui era stata rivolta poteva essere considerato quello davanti al quale la causa era stata riassunta, come indicato nel terzo comma dello stesso articolo. Ora, indubbiamente, il co. 2 dell’art. 59 contiene un’espressione che è riferibile solo al giudizio di cognizione: è quella con cui il comma si apre dicendo, che gli effetti processuali e sostanziali della domanda sono conservati, se essa è riproposta al giudice indicato entro il termine perentorio di tre mesi «dal passaggio in giudicato della decisione impugnata», restando altresì le parti vincolate alla indicazione venuta dal primo giudice. Questa espressione non è letteralmente riferibile al provvedimento di rigetto della domanda cautelare per difetto di giurisdizione. Tuttavia, come si è visto, l’interpretazione che dell’espressione richiamata tende a prevalere, è che per l’utile prosecuzione del processo non sia necessario attendere il passaggio in giudicato della decisione che declina la giurisdizione. Perciò la disposizione è in grado di esplicare la sua funzione, se riferita a provvedimenti cautelari, prendendo a termine di riferimento l’esaurimento dei previsti rimedi, interni al procedimento. Inoltre, negando che la disciplina processuale della translatio si applichi nel processo cautelare, si finisce con l’imporre il passaggio per il giudizio di cognizione, davanti al primo giudice od a quello indicato, pur quando la cautela autonoma, che l’ordinamento è evoluto nel senso si voler favorire, è in linea di principio perseguibile; E, ancora, nel processo di cognizione poi iniziato, sarebbe possibile alle parti richiedere il regolamento preventivo, ma risulterebbe perduto il possibile effetto di consolidazione definitiva della questione di giurisdizione, che si avrebbe se il regolamento di ufficio, una volta considerato in linea di principio ammissibile, non fosse chiesto. Per altro verso, ammettendo la translatio della domanda cautelare davanti al giudice indicato dal primo, ne risulterebbe che questo giudice avrebbe bensì il potere di chiedere che la Corte di cassazione decida la questione di giurisdizione, ma per l’intanto non potrebbe declinarla venendo così a trovarsi nella condizione di dover provvedere sulla domanda cautelare sulla sola base dei presupposti di merito di tale domanda. Come è stato notato nell’ordinanza 8.2.2010, n. 2716 delle Sezioni Unite, regolamento preventivo ad istanza di parte e regolamento di ufficio rispondono a logiche diverse e dall’inammissibilità dell’uno in una data situazione processuale non è dato argomentare che nella stessa situazione debba essere inammissibile anche l’altro. Nella sostanza, l’interrogativo che ci si deve proporre è se, ferma l’inammissibilità del regolamento preventivo ex art. 41 nel procedimento cautelare (che fu affermata nella sentenza 22.3.1996, n. 2465 delle Sezioni Unite, dando inizio ad un orientamento costante), non sia invece da ammettere il regolamento di ufficio nello stesso procedimento ripreso davanti al secondo giudice, considerato il risultato di anticipata stabilizzazione dell’individuazione del giudice competente che ne può conseguire e la situazione di conflitto negativo che consente di evitare4. Conviene peraltro ricordare che, con l’ordinanza 9.7.2009, n. 16091, enunciando un principio di diritto nell’interesse della legge, le Sezioni Unite negarono fosse ammissibile, in tema di competenza, il regolamento della stessa, chiesto di ufficio, in un procedimento di reclamo cautelare, dal giudice indicato come competente da quello adito per primo5, e che con l’ordinanza 11.1.2011, n. 406 le Sezioni Unite – nel richiamare la sentenza n. 19256/2010, citata all’inizio – hanno escluso che la maggiore stabilità assicurata dalla l. n. 80/2005 ai provvedimenti di urgenza dalla modifica degli artt. 669 octies e novies del codice di procedura consenta di ambientarvi il regolamento preventivo di giurisdizione. Altre decisioni hanno affrontato il tema dell’applicabilità della disciplina processuale della translatio iudicii in processi in cui la domanda originaria era stata proposta prima dell’entrata in vigore della legge6. L’ordinanza 16.11.2010, n. 23109 lo ha fatto in rapporto ad un giudizio iniziato e ripreso, a seguito della prima declinatoria, anteriormente all’entrata in vigore della legge. Ciò che si trattava di stabilire è stato se il regolamento di ufficio chiesto dal giudice indicato fosse o no ammissibile. La decisione è stata nel senso che lo sia e le ragioni sono state due. La prima è che la norma di diritto intertemporale dettata dall’art. 58, co. 1, l. n. 69/2009 ha escluso che ai processi in corso si applichino le nuove disposizioni, con cui sono state modificate precedenti disposizioni del codice: e questo non si può dire del successivo art. 59, che ha introdotto una disciplina che prima, nel campo della giurisdizione, mancava affatto, quale è quella sul bilanciamento tra potere del secondo giudice di dissentire dalla decisione del primo e dovere di investire allora della decisione definitiva della questione di giurisdizione la Corte di cassazione a sezioni unite. La seconda è stata tratta dalla funzione del regolamento di ufficio. La Corte ha considerato che, consentendo la più ampia utilizzabilità del meccanismo del regolamento di ufficio, si allarga la possibilità di prevenire il conflitto negativo, con riflessi positivi sulla celerità del processo. La soluzione di ritenere ammissibile il regolamento di ufficio nei giudizi iniziati e proseguiti prima dell’entrata in vigore della l. n. 69 del 2009 è stata confermata dalla ordinanza 2.12.2010, n. 24421. Nella successiva ordinanza 15.3.2011, n. 6016 è stato notato che le norme sopravvenute che regolano in diverso modo i poteri del giudice sono di applicazione immediata nei processi pendenti. L’art. 59 della l. n. 69/2009, nel disciplinare l’istituto della translatio iudicii, quanto ai modi ed agli effetti, ha impiegato a proposito della rinnovazione della domanda davanti al secondo giudice il verbo «riproporre» e quanto al giudizio ripreso l’espressione «causa riassunta». A proposito invece dei contrari effetti dell’inosservanza dei termini fissati ai sensi dello stesso articolo, per qualificare tali termini, li ha detti «fissati per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio». L’art. 11 c.p.a. ha dal canto suo impiegato in modo promiscuo i termini «giudizio e processo» nel disciplinare l’ipotesi descritta al co. 2 dell’art. 59 della legge e soltanto il termine «giudizio» nelle altre evenienze pure contemplate dall’art. 59; ha d’altro canto sempre qualificato il secondo giudizio come riproposto. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione – nella sentenza 21.4.2011, n. 9130 – hanno discusso un profilo di rilevanza della qualificazione giuridica dell’atto processuale di parte volto a far proseguire il processo iniziato con l’atto con cui è stata introdotta la domanda. Nel caso il processo era iniziato davanti ad un tribunale amministrativo regionale e, declinata da questo la giurisdizione, sarebbe dovuto proseguire davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di giurisdizione amministrativa. Le Sezioni Unite hanno cassato la sentenza del Tribunale superiore che aveva dichiarato inammissibile l’atto di riproposizione della domanda ed hanno affermato che quante volte l’oggetto del processo si mantenga eguale a sé stesso – nel caso per esserne oggetto l’impugnazione dell’atto amministrativo alla stregua dei vizi inizialmente dedotti – deve valere la regola stabilita nel n. 3 dell’art. 125 disp. att. c.p.c., in forza del quale la riassunzione della causa avviene con atto che è sufficiente contenga il richiamo di quello introduttivo del giudizio, sì da non dover contenere la sommaria esposizione dei fatti7. Che invece si deve intendere ci voglia – secondo quanto del resto emerge dalla proposizione finale del co. 2 dell’art. 59 – quando la tutela torna ad essere richiesta per il medesimo bene ad altro giudice, ma cambia la struttura del processo, da giudizio a regime prevalentemente impugnatorio in uno a regime esclusivamente cognitivo sul rapporto o viceversa. Intervenendo su un punto allora ancora dibattuto in dottrina, in tema di interpretazione dell’art. 59, la Cassazione, nell’ordinanza 23.11.2010, n. 23596, ha affermato che la riproposizione della domanda al fine della conservazione dei suoi effetti deve avvenire non oltre il termine trimestrale decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza declinatoria, ma può intervenire anche prima.
3.3 L’art. 360, co. 3, c.p.c. e le sentenze dei giudici speciali
Il co. 3 dell’art. 360 c.p.c. – che, nell’art. 360, intitolato alle sentenze impugnabili ed ai motivi di ricorso, è stato introdotto dall’art. 2 del d.lgs. n. 40/2006 – ha stabilito che «Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio». Ne ha differito l’impugnabilità alla pronuncia di successiva sentenza che definisca il giudizio anche solo parzialmente. La sentenza 25.11.2010, n. 23891 ha affermato che la disposizione riguarda l’impugnazione anche delle decisioni di giudici speciali. Nel caso, dopo che la Corte dei conti, in primo grado, aveva affermato la propria giurisdizione e pronunciato condanna, la decisione era stata impugnata su ambedue i capi e, in sede di appello, era stata decisa, affermativamente, la sola questione di giurisdizione. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso immediato proposto contro tale sentenza8. Ha considerato che il co. 3 dell’art. 360 contiene un’indicazione unificante di carattere generale concernente la disciplina del ricorso per cassazione. In precedenza, in identica situazione, con l’ordinanza 15.1.2010, n. 520 la Corte aveva esaminato il ricorso e lo aveva accolto, dichiarando il difetto di giurisdizione della Corte dei conti.
3.4 Tipizzazione della questione di giurisdizione
Le sentenze S.U., 21.6.2010, n. 14893 e S.U., 9.5.2011, n. 10065 hanno considerato attinente alla giurisdizione lo stabilire in che limiti il sindacato esercitato dal giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di pubblici concorsi costituisca dovuto esercizio di giurisdizione di legittimità o invece esercizio di poteri di merito amministrativo, in attribuzione all’amministrazione attiva. Hanno affermato che rientra nei poteri del giudice amministrativo il sindacato sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi, inserite in un procedimento amministrativo e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri da esse predisposti, qualora risultino affette da illogicità manifesta, travisamento del fatto od irragionevolezza evidente o grave. In uno dei casi esaminati hanno considerato che un tale vizio sussiste, sicché il suo accertamento si presenta come esatto esercizio della giurisdizione di legittimità, quante volte la valutazione negativa di un candidato – nella specie in concorso notarile – costituisca il frutto dell’attribuzione alla traccia di una prova di una portata delimitante i risultati accettabili in termini indebitamente restrittivi, quanto alla condivisibilità sul piano tecnico della soluzione prospettata rispetto alla gamma di quelle in ipotesi attendibili. La giurisprudenza delle Sezioni Unite ha fatto reiterata applicazione della costruzione teorica del giudicato implicito – al quale come si è visto ha fatto eco l’art. 9 c.p.a. – in sede di esame di ricorsi contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. L’applicazione di questo strumento logico comporta che la pronuncia delle Sezioni Unite sul ricorso possa non avere come regola di giudizio il confronto tra decisione del giudice speciale e norma attributiva della giurisdizione. Questo in una duplice possibile direzione. Nel senso che il sindacato sull’applicazione della norma attributiva fatta dal giudice speciale di appello venga dichiarato inammissibile per essere la decisione impugnata reiterativa del precedente giudicato interno: ne sono esempio le sentenze delle Sezioni Unite 25.6.2009, n. 14889, 11.2.2010, n. 3200 e 20.5.2010, n. 12340. Ovvero in quello di far prevalere sulla decisione impugnata quel diverso giudicato, sì da dare ingresso, come a motivo inerente alla giurisdizione, alla sostanziale denunzia di violazione del giudicato già formatosi sulla questione di giurisdizione: un esempio ne è stata la sentenza 22.2.2007, n. 4109 delle Sezioni Unite sulla translatio iudicii.
3.5 Il conflitto negativo di giurisdizione
Il tema del conflitto negativo è venuto all’attenzione della Corte di cassazione in alcuni casi. La sentenza 5.5.2011, n. 9841 si è soffermata a considerare i rapporti tra l’istituto del ricorso per cassazione per conflitto negativo e la disciplina della translatio iudicii. Nel primo giudizio, il tribunale ordinario aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione e indicato come competente il giudice tributario e la sentenza era stata impugnata; nel secondo il tribunale amministrativo, con sentenza pronunziata il 10.10.2009, aveva parimenti dichiarato il proprio difetto di giurisdizione ed indicato come competente il tribunale ordinario. La Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso per conflitto negativo. Ha considerato che l’art. 59 della l. n. 69/2009 non è in grado di coprire l’intero arco delle situazioni processuali provocate da una dichiarazione di difetto di giurisdizione e dunque non ha abrogato la disposizione sul conflitto negativo di giurisdizione dettata dall’art. 362 c.p.c. In effetti, si può osservare che la situazione tipica prevista dall’art. 59 è che la domanda sia proposta ad un solo giudice e riproposta a quello indicato dal primo, col conseguente limite al potere del secondo di decidere in modo diverso il fondo della questione. Il che comunque non impedisce che una tale decisione sia pronunziata e sia di segno diverso. In un caso, poi, in cui, come quello che s’è presentato, la stessa domanda non è riproposta al giudice indicato dal primo, ma ad un terzo giudice, rispetto a questo non può operare alcun vincolo a ritenersi competente e quindi neppure può operare il diverso vincolo processuale a provocare la decisione della Corte di cassazione. La Corte ha concluso che l’impiego del congegno del conflitto non era impedito dalla disciplina della translatio e – richiamando la precedente sentenza 10.3.2011, n. 5681 – ha concluso che il congegno del conflitto negativo può essere sperimentato già nella situazione in cui due giudici abbiano declinato la propria giurisdizione, senza che sia necessario attendere che lo faccia anche un altro indicato da uno dei due. Alla stessa conclusione la Corte è pervenuta, oltre che nella sentenza 10.3.2011, n. 5681, nella ordinanza 5.7.2011, n. 14660. In questo secondo caso – dopo due decisioni negative della Corte dei conti e del tribunale ordinario – il giudizio veniva proseguito davanti al tribunale amministrativo anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 69 del 2009 e, con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, proposto successivamente, le parti avevano chiesto ne fosse affermata la giurisdizione. La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile come regolamento preventivo, ma tale da poter essere esaminato come ricorso per conflitto9. Ha considerato che avere la parte ancora una volta ripreso davanti ad un terzo giudice il medesimo processo non le doveva impedire di fare quello che le sarebbe stato comunque possibile, cioè chiedere la risoluzione del conflitto, e che la possibilità di provocare la decisione della Corte di cassazione attraverso il ricorso per conflitto dopo due decisioni negative, senza onerare la parte di iniziare il terzo giudizio, deve essere riconosciuta, pena un inammissibile allontanamento nel tempo della cognizione del merito.
3.6 La litispendenza internazionale
L’art. 21, co. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968 e l’art. 27, § 1, del regolamento 2001/44/CE che ne ha riprodotto il contenuto, hanno disposto che se «davanti a giudici di Stati membri differenti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende di ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza ». All’accertamento della propria competenza da parte del giudice adito per primo seguirà la dichiarazione di incompetenza del secondo. La Corte di cassazione – in un’ordinanza 17.10.2002, n. 14769 – aveva in precedenza ritenuto che, se la domanda era stata proposta prima davanti al giudice italiano, ben ne poteva essere messa in discussione la giurisdizione davanti al giudice di merito e perciò davanti a sé con regolamento preventivo. Era stato messo in evidenza, che ciò non era stato escluso nella sua precedente giurisprudenza, perché vi si era unicamente affermato che, quando fosse stato al contrario in discussione il punto, se la domanda era stata proposta prima davanti al giudice straniero, sì da dare luogo ad una questione di sospensione per pregiudizialità necessaria, il mezzo per discutere della questione era invece il regolamento necessario di competenza, esperibile in base agli artt. 42 e 295 del codice, contro l’ordinanza che avesse disposto la sospensione. Questo secondo indirizzo è stato riconsiderato dalla Corte nell’ordinanza 8.6.2011, n. 12410. La Corte ha ritenuto che le disposizioni in tema di litispendenza internazionale delineano una situazione di difetto temporaneo di giurisdizione, che è ricollegata ad un complesso di elementi, la esistenza dei quali deve poter essere verificata in unico contesto, attraverso il rimedio del regolamento di giurisdizione, sì da pervenire ad una decisione di sospensione del giudizio anche là dove il giudice di merito l’abbia rifiutata: soluzione che è stata preferita per la sua attitudine a meglio garantire il risultato voluto dalla Convenzione e dal Regolamento, che sia evitata una contemporanea affermazione di competenza giurisdizionale10. Il provvedimento adottato è stato nel caso di sospensione del processo.
1 L’ordinanza è annotata da Ronco, L’onere dell’appello incidentale sulle questioni pregiudiziali di rito (come baluardo per la sopravvivenza della decisione di merito), in Giur. it., 2009, 2004.
2 Panzarola, Sul condizionamento de jure del ricorso incidentale per cassazione del vincitore nel merito, in Riv. dir. proc., 2010, 191, in nota alla sentenza, osserva che la soluzione del condizionamento necessario, accolta dalla Corte, pur plausibile se riferita alla normalità dei casi, non può spiegare tutto, dato il vario possibile atteggiarsi dell’interesse all’esame del proprio ricorso anche della parte interamente vittoriosa nel merito, potendo correlarsi all’emersione di una ragione di rigetto della domanda di diversa rilevanza. Considera in conclusione che l’idea di non bandire dal sistema il condizionamento del ricorso incidentale è apprezzabile. La sentenza è anche annotata in Corr. giur., 2009, 1073 da Baccaglini, in Foro it., 2009, I, 347 da Rusciano e in Giur. it., 2009, 2731 da Izzo. Considerazioni sul tema svolge altresì Consolo, Travagli «costituzionalmente orientati» delle Sezioni Unite sull’art. 37 c.p.c. , ordine delle questioni, giudicato implicito, ricorso incidentale condizionato (su questioni di rito, o diversamente operante, su questioni di merito), in Riv. dir. proc., 2009, 1141.
3 La possibilità che la questione di giurisdizione sia incanalata verso l’appello, restando viva sino alla decisione su un successivo possibile ricorso per cassazione, con la connessa possibile caduta della decisione intanto pronunciata nel secondo giudizio e conseguente ritorno del giudizio al primo giudice è tra gli argomenti che hanno indotto la dottrina a far valere l’esigenza di un ripristino dell’interpretazione letterale dell’art. 41 c.p.c., per restituire spazio ad un impiego del regolamento preventivo in funzione di impugnazione. La tesi è sostenuta da Consolo, in Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, con esame anche dell’incidenza scoordinata del nuovo codice amministrativo, in Corr. giur., 2010, 758 ss., a commento della ordinanza n. 2716 del 2010, ed è stata ripresa – dopo l’ordinanza n. 23596 del 2010 ed a commento della stessa nella nota Translatio, regolamento, ragionevole durata e disciplina (anch’essa ragionevole) delle “liti” sulla giurisdizione, in Corr. giur., 2011, 351 ss. La soluzione, de iure condito, è condivisa da Gioia, Il regolamento di giurisdizione dopo le riforme, in Riv. dir. proc., 2011, 589 e 605 ss.; Marino, Le sezioni unite ancora sui rapporti tra translatio iudicii e regolamento di giurisdizione, in Corr. giur., 2011, 969 e ss., propende per una soluzione che da un lato escluda che la domanda possa essere riproposta prima del passaggio in giudicato formale della declinatoria – e ricolleghi un effetto di acquiescenza alla decisione in danno della parte che ripropone la domanda – dall’altro torni ad ammettere il regolamento preventivo in forma di impugnazione da esperire prima del passaggio in giudicato formale della declinatoria. Che la parte che riassume il giudizio debba essere considerata acquiescente alla declinatoria è stato sostenuto da Cipriani, La translatio tra le giurisdizioni italiane, in Foro it., 2010, V, 249; di opinione contraria Giussani, Le novità in materia di scelta del giudice nella l. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1191 e 1194, che richiama l’analoga soluzione accolta dalla giurisprudenza in tema di competenza, ma anche, in precedenza, di giurisdizione. Quanto al coordinamento tra processo che procede per gradi e quello ripreso per il merito, in Vittoria, Lo statuto della questione di giurisdizione davanti al giudice ordinario e la disciplina della translatio iudicii nella L. 69 del 2009, in Giust. civ., 2010, II, 105 e 115, si è ritenuto preferibile far ricorso allo strumento della sospensione facoltativa di cui all’art. 367 c.p.c. piuttosto che allo strumento della sospensione necessaria di cui all’art. 48 c.p.c. proprio del sistema della competenza e si è proposto questa ipotesi di soluzione: il giudice indicato farà proseguire il processo ripreso, se valuta che l’impugnazione della sentenza declinatoria inammissibile o manifestamente infondata; in caso contrario, solleva questione di giurisdizione davanti alle Sezioni Unite, applicando la prima parte del co. 3 dell’art. 59 della l. n. 69, se ciò è possibile in ragione dello stadio cui il processo è pervenuto e, altrimenti, terza ipotesi, sospende il processo in attesa della decisione sull’impugnazione. Nella seconda ipotesi, pervenuta la questione all’esame delle Sezioni Unite, il giudizio di impugnazione della sentenza che ha declinato la giurisdizione andrà dichiarato improcedibile, perché il suo oggetto è destinato a rimanere esaurito dalla decisione delle Sezioni Unite. Il punto è sviluppato da Gasperini, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii (art. 59, L. 69/2009), in Il processo civile competitivo, a cura di Didone, Torino, 2010, 129 e 144.
4 Trisorio Liuzzi, Le sezioni unite e il regolamento di giurisdizione di ufficio, nota a Cass., 9.11.2010, n. 19256, in Giusto proc. civ., 2011, 171 ritiene che il regolamento chiesto di ufficio fosse ammissibile, non potendosene escludere l’applicazione nel procedimento cautelare.
5 Guarnieri, Reclamo cautelare in controversia del lavoro e doppio rigetto per incompetenza, in Riv. dir. proc., 2010, 934 si esprime invece nel senso che il regolamento di ufficio fosse da considerare ammissibile.
6 Gasperini, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii (art. 59, L. 69/2009), cit., 129 e 131 esamina il punto in una prospettiva generale ed opta per l’applicazione della disciplina anche nei giudizi iniziati prima della entrata in vigore della l. n. 69.
7 Così Giussani, Le novità, cit., 1191 e 1199.
8 In tema di esclusione della ricorribilità immediata contro sentenze non definitive su questioni, Carratta, La riforma del giudizio in cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1104 e 1116; Cartuso, in La riforma del giudizio di cassazione, a cura di Cipriani, Padova, 2009, 38, 64 e 75; Comastri, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, III, 1, Padova, 2009, 75 e 89.
9 Lamorgese, La giurisdizione e la competenza (ricorsi, regolamenti e conflitti), in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di Ianniruberto e Morcavallo, Milano, 2010, 156 e 179, esamina il caso del conflitto a tre ed il tema della sopravvivenza dell’istituto in regime di translatio.
10 Consolo, Nuovi problemi di diritto processuale civile internazionale, Milano, 2002, 207 e 225 ss. svolgeva considerazioni critiche a proposito della giurisprudenza della Corte in tema di inammissibilità del regolamento di giurisdizione relativo a questione di litispendenza comunitaria.