La dispietata mente, che pur mira
. Canzone (Rime L) di cinque strofe con fronte e sirma, sullo schema 6 + 7, abc, abc: cdeedff, con concatenatio e combinatio, e congedo ghh. A parte il numero delle stanze e il congedo, lo schema è lo stesso di Io son venuto al punto de la rota (Rime C), ed è l'unico caso di schema ripetuto fra le canzoni dantesche. Altra concordanza si ha fra la sirma di questa e quella di Quantunque volte, lasso!, mi rimembra (Vn XXXIII 5-8).
La canzone è compresa nei più antichi e autorevoli manoscritti quali il Vaticano Barberiniano lat. 3953, il Vaticano Chigiano L VIII 305, il Palatino 180 della Nazionale di Firenze; ed è anche nei codici che risalgono al Boccaccio, il Vaticano Chigiano L V 176 e il Zelada 1046 della Capitolare di Toledo. Nel gruppo di quindici canzoni fissato da questa tradizione, è al dodicesimo posto; all'undicesimo nel Riccardiano 1044 del sec. XV che, tolta la prima canzone della silloge boccacciana, riconobbe nelle altre quattordici i testi che D. si proponeva di commentare nel Convivio. Tale ipotesi, sostenuta in età più recente dal Witte, dal Santi, dal Todeschini, ecc., è stata definitivamente confutata dal Barbi (cfr. Busnelli-Vandelli, Convivio XLII-XLIV), che, nella '21, ha posto la canzone nel secondo libro (" altre rime del tempo della Vita nuova "), seguito dalla critica più recente.
Numerose sono state le congetture sulla destinataria della canzone. Molti, fra i quali lo Zonta e il Di Benedetto, hanno pensato alla prima donna dello schermo; il Salvadori e lo Zingarelli, a Beatrice; ma è praticamente impossibile giungere a una conclusione sicura. Quanto al fatto che D. si dica lontano dal dolce paese, cioè, come intendono i più, da Firenze, si è pensato (Zingarelli, Zonta) al viaggio a Bologna, o (Lamma, Ciafardini) all'esilio. Quest'ultima ipotesi è comunemente scartata per l'immaturità artistica e figurativa del componimento, ma il Bosco ha fatto notare che la canzone contiene temi tipici di D. maturo ed esiliato.
È, comunque sia, una canzone di lontananza, nella quale D. implora la sua donna d'inviargli un amoroso saluto che lo risollevi dalla tristezza nata dal distacco; il motivo si ripete praticamente immutato di strofa in strofa, anche se arricchito da sempre nuove attestazioni di ‛ fino amor ', in un'unica e variata preghiera che ricerca nell'eloquenza blanda e cerimoniosa, piuttosto che nell'introspezione lirica, la propria forza di convincimento. Ha osservato acutamente lo Zingarelli che la canzone è in forma di epistola e corrisponde al genere provenzale (e anche guittoniano) dei breus o letras; e in effetti, le stanze si snodano secondo un'ampia e ben sostenuta arcatura suasoria, con un piano che fa pensare alle partizioni oratorie stabilite dalla scuola medievale sia per il discorso sia per l'epistola, alla quale veniva accomunata, come attesta Brunetto Latini, la canzone amorosa (Rettorica, ediz. Maggini, Firenze 1968², 146-148). Senza voler stabilire una corrispondenza rigorosa, si potrebbe dire che ciascuna delle cinque stanze richiami una delle cinque parti del " dittare " (exordium, narratio, petitio, confirmatio, conclusio), seguite anche nell'epistolografia, sia pure con la possibilità di riduzioni e variazioni di schema rispetto all'orazione. Un'analoga struttura su ben ordinate suddivisioni si ripete anche all'interno delle singole stanze. Si veda, ad es., la seconda, che presenta nei primi tre versi la tesi, poi, nei tre che seguono, la confermazione, in forma sentenziosa e proverbiosa, quindi una ripresa, ancora di tre versi, con la narrazione patetica del proprio stato, infine la perorazione distinta dal resto anche metricamente, in quanto ha inizio col movimento accelerato dell'unico settenario della sequenza. Ma tutta la struttura sintattica e strofica della stanza sottolinea questa tensione oratoria. Si osservi infatti: a) la tendenza a disporre il discorso in un periodo unico e continuo, senza né pause vibrate, né spezzature drammatiche o emotive; b) la qualità dei nessi, fra i quali prevalgono le congiunzioni: e (posta, per lo più, all'inizio del verso, a coordinare gli sviluppi di un argomentare che procede per aggregazione di prove a consolidamento del tema proposto all'inizio); ché, in funzione dichiarativo-esplicativa; conclusive, come dunque, così, onde, presenti sia all'inizio dell'ultima stanza (Dunque vostra salute omai si mova), sia dove, nelle altre, viene sottolineato il vigore della perorazione finale (così e voi dovete, v. 23; onde ne la mia guerra, v. 26, ecc.); c) l'amplificatio retorica per sentenze ed esempi dell'argomentazione (ad es. vv. 17-19, 25-26).
Il carattere distintivo e il pregio letterario della canzone consistono, dunque, nell'onda fluida del discorso, assecondata dalla parallela cadenza del ritmo. La dialettica sentimentale è quasi inesistente, l'energia vibrata dell'incipit, tipica del D. maggiore, resta isolata e senza svolgimento: subito spenta in una suavitas troppo scoperta e retoricamente programmatica, che giunge, più oltre, a modulazioni sin troppo cantabili (E voi pur sete quella ch'io più amo, v. 40). La tematica si aggira nell'ambito cortese, con spunti che risalgono direttamente, come ha osservato il De Robertis, ad Andrea Cappellano: l'attesa del saluto che non può protrarsi oltre, l'immagine della donna dipinta nel cuore dalle mani d'Amore, il saluto come suprema grazia, la lode della donna per la sua pietà, il tono confidenziale e in fondo ottimistico, che rende il presagio della morte per amore un mero ‛ tòpos ' galante e fa della relazione amorosa un gioco raffinato, con eleganti regole di comportamento. Siamo nell'atmosfera delle donne-schermo, quando l'impegno letterario prevale su quello umano e il dialogo col Cavalcanti è ancora di là da venire, anche se fin d'ora appare evidente la serietà della sperimentazione dantesca. In questo verificare a fondo ogni possibilità espressiva è il presentimento della più intensa lirica futura, non in qualche motivo particolare, come quello del saluto / salute, ben lontano, qui, dal rivestire la profondità di significato che avrà nella Vita Nuova, e ancora risolto in un'atmosfera convenzionale. Non diremmo, però, col Montanari che D. qui si vada " rifacendo il gusto sulle cadenze più sciolte e cantate dei due Guidi "; se mai, egli ripercorre il cammino che essi percorsero, da un trobar leu di ascendenza provenzale e siculo-toscana, verso la levità stilnovistica, fondata, però, su nuove e profonde motivazioni e su tonalità liriche più intense, che in questa canzone appaiono un presentimento ancora lontano.
Bibl. - Zingarelli, Dante (1903) 112, 363; ID., Dante 156, 212; G. Salvadori, Sulla vita giovanile di D., Roma 1906, 272; E. Ciafardini, Tra gli amori e le rime di D., Napoli 1910, 19; E. Lamma, Sull'ordinamento delle rime di D., Città di Castello 1914, 56-60; G. Zonta, La lirica di D., in " Giorn. stor. ", suppl. 19-21 (1922), 65-68; N. Sapegno, Le rime di D., in " La Cultura " s. 5, IX (1930) 721-737; Contini, Rime 27 ss.; Barbi-Maggini, Rime 178-184; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1959 (1968²); D. De Robertis, Cino da Pistoia e la crisi del linguaggio poetico, in " Convivium " n.s., I (1952) 23-24; ID., Il libro della " Vita nuova ", Firenze 1961, 50-51; U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 78-80; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 47-51; M. Pazzaglia, Note sulla metrica delle prime canzoni dantesche, in " Lingua e Stile " III (1968) 319-331.