La domesticazione degli animali e l'allevamento: Medio Oriente
di Ciro Lo Muzio
Sul processo che nel vastissimo territorio compreso tra il bacino del Danubio e i confini della Cina avrebbe portato l'allevamento ad assumere lo status di attività produttiva altamente specializzata ed esclusiva ‒ segnando così la nascita del nomadismo ‒ le opinioni degli studiosi non sono concordi. Una delle questioni centrali è rappresentata dalla domesticazione del cavallo che, come animale da monta, da soma e da tiro, si ritiene abbia avuto in questa evoluzione una parte determinante. Alcuni studiosi (D.J. Telegin, S. Bökönyi, E. Kuzmina) situano il punto di svolta intorno alla metà del IV millennio a.C. (cultura di Srednij Stog II), epoca cui sono stati attribuiti alcuni reperti da Dereivka, sul Dnepr (Ucraina), che costituirebbero la testimonianza più antica della domesticazione del cavallo, della sua utilizzazione come animale da soma, nonché dell'esistenza di un culto a esso correlato. L'impiego del cavallo come animale da lavoro sarebbe continuato nella cultura Jamnaja (Ucraina, III millennio a.C.); insieme con l'uso del carro, esso avrebbe incentivato la mobilità degli allevatori, favorendo una loro prima espansione verso est (Kazakhstan, Siberia) e verso sud (oasi agricole dell'Asia Centrale). Controversa è invece l'interpretazione delle testimonianze di Botaj (Kazakhstan nord-occidentale, fine IV - inizi III millennio a.C.), dove l'enorme quantità di ossa di cavallo riportata alla luce (350.000 ca.) è con ogni probabilità da collegare a una caccia specializzata a questa specie. Vi è tuttavia chi, contestando la correttezza dell'interpretazione dei dati di Dereivka (A. Häusler, J. Makkay), considera con scetticismo la funzione sia del cavallo sia del carro nell'evoluzione e nell'espansione della cultura Jamnaja (si ricordi che con questo problema si intreccia la questione della diffusione delle popolazioni indo-iraniche) e sostiene che per l'epoca anteriore al 2000 a.C. mancano nella regione prove certe sulla domesticazione del cavallo. Il quadro assume maggiore chiarezza nella prima età del Bronzo (XVII-XVI sec. a.C.), quando nelle steppe eurasiatiche si definiscono le fisionomie della cultura Srubnaja (o Timber Grave Culture, aree danubiana e uralica) e della cultura di Andronovo (diffusa tra gli Urali, la Siberia meridionale e l'Asia Centrale). L'allevamento è ormai divenuto attività primaria: tra le specie allevate sono in primo luogo gli ovini e i bovini e, in percentuale assai minore, i caprini. A questi si affiancano il maiale (Srubnaja) e il cammello battriano (Andronovo), il cui centro di domesticazione viene collocato nel Sud dell'Asia Centrale o nell'Iran orientale; di questo animale sono stati rinvenuti resti ossei in diversi siti del Kazakhstan, nonché inumazioni rituali e raffigurazioni in petroglifi. Per quanto concerne il cavallo, è stato ipotizzato che le genti di Andronovo ne allevassero tre razze diverse. Tra il XV e il XIII sec. a.C. un'importante novità è costituita dalla presenza di stalle annesse alle abitazioni degli allevatori, che evidentemente conducevano ancora vita stanziale. Si presume che il graduale accrescimento di greggi e di armenti e il conseguente incremento demografico abbiano determinato la necessità di nuovi terreni da pascolo. Questa situazione sembra testimoniata da numerosi siti che, come dimostrano le stratificazioni culturali relativamente sottili e l'esiguo numero di tombe, non furono abitati per periodi superiori a un quarto di secolo circa. La conquista dell'immensa riserva di pascoli costituita dalle steppe dell'Eurasia giunse a compimento nello stadio successivo (XII-IX sec. a.C.), mediante il passaggio di una parte crescente di allevatori a un modello produttivo basato sul continuo trasferimento del bestiame (e della comunità) ad aree di pascolo anche assai distanti tra loro, generalmente regolato dal ciclo stagionale. Tale modo di produzione e di sfruttamento del territorio assicurava agli armenti, numericamente sempre più cospicui, una disponibilità di foraggio potenzialmente inesauribile; d'altro canto, esso imponeva un'elevata specializzazione che traeva vantaggio da un impiego sempre più efficace del cavallo. Questo garantiva agli allevatori la rapidità necessaria negli spostamenti e la possibilità di effettuare esplorazioni di ampio raggio (soprattutto per l'individuazione di punti di approvvigionamento idrico) e di acquisire, di conseguenza, una solida padronanza del territorio. Nel corso del I millennio a.C., soprattutto con la cavalleria scitica, il cavallo sarebbe divenuto fondamentale elemento di impatto militare.
D.J. Telegin (ed.), Dereivka. A Settlement and Cemetery of Copper Age Horse Keepers on the Middle Dnieper, Oxford 1986; S. Bökönyi, The Role of the Horse in the Exploitation of Steppes, in B. Genito (ed.), The Archaeology of the Steppes. Methods and Strategies, Neaples 1994, pp. 17-30; A. Häusler, The North-Pontic Region and the Beginning of the Eneolithic in South-East and Central Europe, ibid., pp. 123-47; E. Kuzmina, The Stages of Development of Stock Breeding, Husbandry and Ecology of the Steppes in the Light of the Archaeological and Paleozoological Data (4th Millennium BC - 8th Century AD), ibid., pp. 31-70; J. Makkay, Horses, Nomads and Invasions from the Steppe from an Indo-European Perspective, ibid., pp. 149-65.
di Massimo Vidale
Tra gli antenati selvatici dei caprovini, nelle regioni nord-occidentali del Subcontinente, si annoverano l'urial (Ovis vignei o orientalis), la pecora selvatica del Baluchistan, dell'Afghanistan e dell'Asia Centrale, l'argali (Ovis ammon), il bezoar (Capra hircus aegagrus) e la capra selvatica del Sind (Capra hircus blythi); i grandi bovini selvatici (Bos primigenius) rappresentano gli antenati dei bovini domestici. Mentre i più antichi livelli neolitici del sito di Mehrgarh (7000-6500 a.C. ca.) contengono resti di cacciagione di grande taglia, alla fine del Neolitico (5500 a.C. ca.) gli insiemi faunistici sono composti quasi esclusivamente da ossa di pecore, capre e zebù (bue gibbuto indiano), certamente domesticati. Protagonisti di questo grande processo furono gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadici, che si muovevano tra le valli montane e i pascoli di pianura, insieme a gruppi in fase di sedentarizzazione lungo i banchi pianeggianti dei corsi fluviali. Caratteristiche del processo locale di domesticazione sono la progressiva riduzione dimensionale degli animali (che si arresterà intorno alla seconda metà del V millennio a.C.) e la crescita percentuale assoluta dello zebù sugli altri animali (dal 10% degli inizi al 60% della fine del Neolitico). Lo zebù, a partire da questo momento, diviene l'animale su cui si basa buona parte dell'economia agricola del Subcontinente. Dal 4500 a.C. l'animale è comunemente raffigurato in statuine di argilla o terracotta, probabilmente in seguito all'attribuzione alla specie di importanti significati socio-rituali. Durante il III millennio a.C. i centri protostorici sembrano manifestare gradi diversi di dipendenza dalle specie domestiche fondamentali, a seconda degli specifici requisiti degli ecosistemi sfruttati. In generale, nei siti dell'età dell'Integrazione (2600-1900 a.C.) o fase harappana della tradizione culturale dell'Indo, la percentuale delle ossa di zebù varia tra il 60 e il 70%; i bovini domestici (tra cui quasi certamente anche i bufali) venivano sfruttati per la carne, il latte e lo sterco (usato come combustibile e materiale da costruzione) e come animali da tiro nell'agricoltura e nel trasporto. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la forte espansione dei siti harappani verso la penisola del Gujarat, verificatasi al volgere del III millennio a.C., sia il risultato di un adattamento su larga scala a forme di economia basate sulla pastorizia seminomadica di bovini e caprovini; in questa regione, infatti, sono stati scavati monticoli privi di resti architettonici, con focolari e impronte di bovini, interpretati come campi periodici frequentati da pastori e allevatori. Tutti i siti harappani hanno restituito grandi quantità di ossa di pecore e capre; tra le carni consumate vi era probabilmente anche quella del maiale domestico. La lista degli animali addomesticati include inoltre il cane (raffigurato col collare) e il gatto. Statuette in terracotta indicano che uccelli (pappagalli?) venivano tenuti in cattività in apposite gabbie. Incerta è invece la domesticazione del cavallo e dell'asino (nelle regioni nord-occidentali) e del cammello; gli asini selvatici, d'altra parte, continuavano a essere cacciati per il consumo alimentare. Sui sigilli a stampo in steatite compaiono animali selvatici, come il bufalo, la tigre, il rinoceronte e l'elefante, posti davanti a contenitori-mangiatoia, il che ad alcuni studiosi ha suggerito la pratica di tentativi di domesticazione. È molto probabile che gli Harappani, almeno in alcune regioni, stessero sperimentando la domesticazione dell'elefante. Probabilmente ai cacciatori-raccoglitori di questo periodo va attribuita la domesticazione della gallina, a partire da una specie di grande folaga selvatica che viveva nelle foreste. In generale, negli insiemi faunistici dell'età dell'Integrazione le ossa di animali domestici si rinvengono in proporzione di 4:1 nei confronti di quelle delle specie selvatiche. Sappiamo tuttavia che, particolarmente negli ultimi secoli del III millennio a.C., le genti della valle dell'Indo fecero crescente ricorso a un sistematico sfruttamento di risorse marine e in genere acquatiche (pesci, molluschi, crostacei), a scapito della dipendenza dalle specie allevate. Più complesso e contraddittorio appare invece il quadro dei processi di domesticazione nella penisola indiana propriamente detta. Nei siti mesolitici della valle del Gange e del Deccan centrale (10.000-4000 a.C. ca.) si riconosce una fase transizionale dalle economie basate puramente sulla raccolta e sulla caccia a quelle agro-pastorali. Resti di animali domestici compaiano a Bagor e forse ad Adamghar; tuttavia, siti come Langhnaj in Gujarat rimasero stazioni di cacciatori-raccoglitori sino alla metà del III millennio a.C. Le stratigrafie dei siti neolitici del Nord e del Nord-Est della penisola indiana, dal Kashmir all'Assam (dal 2500 al 1400 a.C. ca.), rivelano una lenta transizione, analoga a quella osservata a Mehrgarh: gli insiemi di resti ossei indicano il persistere di economie miste agro-pastorali e di caccia, mentre nelle fasi più tarde compaiono il cavallo e il cammello. Nel meridione della penisola, tra il 2000 a.C. e l'età storica (300 a.C.), continuarono invece a perpetuarsi modi di vita neolitici, basati essenzialmente sull'allevamento di bovini (tra cui il bufalo), pecore e capre, maiale (presente in modo discontinuo), asino, cavallo (che nel Sud compare tardi) e cane. Un importante tipo di insediamento del Sud sono i "monticoli di cenere", datati da alcuni studiosi al Neolitico, diffusi nel Karnataka e nell'Andhra Pradesh. Si tratta di spesse stratificazioni di cenere che sembrano associate all'allevamento intensivo di bovini affini allo zebù, le cui ossa raggiungono percentuali dell'80-85% sul totale. La questione della domesticazione locale dei bovini, o al contrario della loro diffusione da altre regioni, rimane controversa. Durante il II millennio a.C., dopo la fine della fase harappana, in alcune regioni iniziarono a diffondersi nuovi animali domestici, tutti gradualmente introdotti a più riprese da ovest. A Pirak, in Baluchistan, compaiono statuine di cammello con sella, ossa di cammello battriano (il cammello a due gobbe), di cavallo e di asino domestico. Il loro impatto, sia come simboli aristocratici, come nel caso del cavallo, sia come animali da trasporto, fu rivoluzionario. I nuovi animali, facilitando gli scambi e le comunicazioni, accelerarono il processo di sfruttamento delle specie vegetali (riso, sorgo, palma da dattero) introdotte nello stesso periodo, integrando così la vecchia agricoltura protostorica e gettando le basi dell'attuale economia agricola del Subcontinente. Nella valle dello Swat tra il II e il I millennio a.C. lo zebù rimase l'animale più importante, seguito dai caprovini, dal bufalo, dal maiale domestico, dagli Equidi e dal cammello; molto comune fu il cane. Nella valle del Gange la diffusione di grandi bacini idraulici negli insediamenti promosse lo sviluppo di forme di itticoltura (particolarmente di carpe e pesci gatto). Nell'India centro-occidentale e nell'altopiano del Deccan dalle precedenti società di cacciatori-raccoglitori si sviluppò un mosaico di culture calcolitiche (2000-700 a.C. ca.) che praticavano una commistione di agricoltura, allevamento e caccia. L'allevamento dei bovini rimase l'attività più importante, seguito da quello di pecore e capre; in alcuni siti il maiale è l'animale domestico più comune e sono presenti il cavallo e l'asino. Nella seconda metà del I millennio a.C. gli animali domestici sembrano essere sostanzialmente gli stessi. Le fonti storiche riferiscono, per gli ultimi secoli del I millennio a.C., che le regioni nord-occidentali erano rinomate per l'allevamento dei cavalli, soprattutto a scopo militare, in contrasto con quanto avveniva nella piana gangetica, dove l'animale da guerra per eccellenza era l'elefante, la cui caccia e il cui allevamento erano monopolio reale (anche se, secondo Megastene, nelle stalle del re di Pataliputra erano alloggiati 9000 elefanti e 30.000 cavalli). Le culture protostoriche della valle del Gange sembrano comunque basare la propria economia soprattutto sull'acquisizione e la gestione di mandrie bovine.
F.R. Allchin, Neolithic Cattle Keepers of South India. A Study of the Deccan Ashmounds, Cambridge 1963; B. Compagnoni, Preliminary Report on the Faunal Remains from Protohistoric Settlements of Swat, in SAA 1977, pp. 699-703; A.T. Clason, Wild and Domestic Animals in Prehistoric and Early Historic India, Lucknow 1979; K. Karttunen, India in Early Greek Literature, Helsinki 1989; R.H. Meadow, Continuity and Change in the Agriculture of the Greater Indus Valley: the Palaeoethnobotanical and Zooarchaeological Evidence, in J.M. Kenoyer (ed.), Old Problems and New Perspectives in the Archaeology of South Asia, Madison 1989, pp. 61-74; P.K. Thomas, Utilization of Domestic Animals in Pre- and Protohistoric India, in J. Clutton-Brock (ed.), The Walking Larder: Patterns of Domestication, Pastoralism and Predation, London 1989, pp. 108-12; P.C. Rissmann - Y.M. Chitalwala, Harappan Civilization and Oriyo Timbo, New Delhi 1990; R.H. Meadow, Faunal Remains and Urbanism at Harappa, in Harappa Excavations 1986-1990, Madison 1991, pp. 89-106; P.K. Thomas - P.P. Joglekar, Holocene Faunal Studies in India, in Man and Environment, 19 (1994), pp. 179-203.