La domesticazione degli animali e l'allevamento: mondo bizantino
La natura di impresa individuale di piccole dimensioni, tipica dell'economia agraria bizantina, impresse un carattere fondamentale alla pratica dell'allevamento, che si configurò nella maggior parte dei casi come un'attività di sostegno alle colture primarie, limitata al mantenimento di un modesto numero di capi, di solito animali da cortile, suini e ovini in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare del gruppo familiare, senza dover sostenere eccessive spese relative al foraggio dei buoi e degli altri animali da tiro, i quali dovevano assicurare forza motrice e una percentuale di fertilizzanti (tramite il concime) per il lavoro dei campi. L'allevamento specializzato di grandi mandrie di bovini e di greggi di ovini, per il cui mantenimento erano necessari ingenti quantità di foraggio ed estesi appezzamenti di terreno riservati al pascolo, fu invece un'attività praticata in modo esclusivo dai grandi proprietari terrieri. Tale forma di allevamento conobbe un considerevole impulso a partire dal VI-VII secolo, sotto la concomitante spinta del l'invasione islamica, che privò l'impero bizantino del grano delle fertili terre d'Egitto, e della forte recessione demografica causata da carestie ed epidemie, che penalizzò le attività propriamente agricole, per le quali era indispensabile il contributo di una cospicua manodopera. Sono note dalle fonti le iperboliche cifre relative ai capi di bestiame posseduti nell'VIII secolo da S. Filarete (700 bovini, 800 cavalli, 1200 pecore) o lo splendido dono di 500 pecore che la famiglia del futuro Leone III, proprietaria di enormi greggi in Tracia, fece a Giustiniano II (689-705). Anche i numerosi articoli con cui il Nomos georgikòs (la legge agraria di origine giustinianea redatta tra VII e VIII sec.) tutelava il bestiame e gli allevatori, nei casi di contenzioso per sconfinamento di proprietà e danneggiamento di colture, indicano l'importanza che l'allevamento aveva assunto. Per i secoli successivi le fonti (ad es., quelle degli osservatori stranieri) sembrerebbero confermare la ricchezza dell'allevamento bizantino, al cui sviluppo contribuì l'annessione, sotto Basilio II (976-1025), della Bulgaria. Questa, secondo lo storico Giorgio Acropolita, divenne la prima provincia dell'impero per l'allevamento dei bovini, degli ovini e dei suini, come confermato dai reperti faunistici raccolti negli scavi dei villaggi bulgari di Popino e di Dzedovi Lozja (stratigrafie databili ai secc. XI e XII). Assieme alla Bulgaria, regioni molto importanti furono il Peloponneso per l'allevamento di cavalli, le maggiori isole (Creta, Rodi, Cipro) per quello di ovini, la Frigia e la Paflagonia per la produzione e lo smercio di bovini, ovini e suini e in genere tutti gli estesi pascoli dell'altopiano anatolico. Il carattere pastorizio dell'economia di quest'ultima regione aumentò nel corso del XII secolo con l'arrivo dei Selgiuchidi, i quali introdussero pratiche di allevamento nomadico, creando non poche tensioni ‒ insieme a significativi fenomeni di interazione ‒ con le popolazioni locali a prevalente cultura agricolo-sedentaria. Del resto, tecniche di allevamento particolari come la transumanza, seguite da gruppi etnici di allevatori specializzati come i Valacchi e i Cumani, non erano estranee alle consuetudini agrarie bizantine e la stessa predilezione espressa nei Geoponica (un testo di tecnica agraria del X sec. attribuito a Costantino VII) per forme di allevamento stabili, con mantenimento degli animali in stalla nel periodo invernale, sembra riflettere più un sistema auspicato che un costume realmente diffuso. Oltre a produrre generi alimentari (carne, latte e derivati), l'allevamento forniva animali da lavoro e da soma (buoi, asini e cammelli) e cavalli per l'esercito; dagli ovini si ricavavano inoltre lana per indumenti e pergamena per i codici. Forme di allevamento più particolari, ma di non minor rilievo per l'economia bizantina, furono l'apicoltura, con cui si ottenevano miele (in assenza della canna da zucchero la più importante fonte di zuccheri nella dieta bizantina) e cera per le candele, e la coltura dei bachi da seta, tecnica introdotta secondo le fonti a Costantinopoli nel VI secolo, ma probabilmente già nota in Siria a partire dal V secolo, da cui originò la manifattura delle sete imperiali, forse la più pregiata tra le industrie del mondo bizantino.
Ph. Koukoules, Η μελισσοϰομια παϱα ΒυζαντινοιϚ, in ByzZ, 44 (1951), pp. 347-57; E. Malamut, Les îles de l'empire byzantin VIIIe-XIIe siècles, II, Paris 1988, pp. 390-92; A. Harvey, Economic Expansion in the Byzantine Empire 900-1200, Cambridge 1989, pp. 149-58; K. Hopwood, Nomads or Bandits? The Pastoralist/Sedentarist Interface in Anatolia, in ByzF, 16 (1991), pp. 179-94; M. Kaplan, Les hommes et la terre à Byzance du VIe au XIe siècle, propriété et exploitation du sol, Paris 1992, pp. 74-79; A. Kazhdan, Il contadino, in G. Cavallo (ed.), L'uomo bizantino, Bari 1992, pp. 61-67; A. Muthesius, The Byzantine Silk Industry: Lopez and Beyond, in JMedievHist, 19 (1993), pp. 1-67.