La domesticazione degli animali e l'allevamento: Vicino Oriente ed Egitto
di Sándor Bökönyi
È difficile definire con esattezza i luoghi, i modi e i tempi in cui si sviluppò il fenomeno della domesticazione degli animali fino a raggiungere lo stadio dell'allevamento organizzato. Tralasciando i casi isolati rappresentati dai tentativi di domesticazione del cane e del maiale nel Pleistocene superiore e agli inizi dell'Olocene, in quanto essi non portarono a un vero e proprio allevamento, si può comunque affermare che le prime forme di domesticazione ebbero luogo nell'Asia sud-occidentale, grazie allo sviluppo economico-culturale particolarmente rapido di quest'area, dove abbondavano piccoli ruminanti, quali la pecora e la capra, accanto ad animali allo stato brado come l'uro, il maiale selvatico e il lupo. Queste specie rappresentarono un punto di partenza per l'evolversi della prima fauna domestica: i caprovini erano infatti animali di facile domesticazione e in grado di fornire carne commestibile per l'uomo; il maiale selvatico e il lupo si cibavano dei rifiuti e dei resti alimentari dei gruppi umani, compensando con la prolificità il loro essere concorrenti dell'uomo nella stessa fascia di consumo alimentare; gli uri, infine, rappresentavano un'enorme risorsa di carne, benché la loro cattura e la loro domesticazione richiedessero un elevato grado di esperienza. Non è dunque casuale che proprio queste specie furono le prime ad essere domesticate. L'individuazione delle aree nelle quali solitamente si collocano le prime forme di domesticazione dipende in parte da fattori casuali e in parte dalla maggiore o minore efficacia della ricerca archeologica. Vanno quindi interpretati con cautela i ritrovamenti di pecore domestiche a Zawi Chemi Shanidar nell'Iraq nord-orientale, risalenti al IX millennio a.C., e quelli di Ali Kosh nell'Iran occidentale e di Çayönü in Anatolia sud-orientale, databili all'VIII millennio a.C. La prima domesticazione della capra sembra avere avuto luogo nell'VIII millennio a.C. a Tell Asiab e a Ganj Dareh, nell'Iran occidentale, e a Çayönü, dove sono attestati anche i primi maiali domestici, così come a Giarmo, nell'Iraq nord-orientale, all'inizio del VII millennio a.C. I primi bovini domestici apparvero alla metà del VII millennio a Çatal Hüyük in Anatolia e da quel periodo le specie domesticate cominciarono a essere allevate insieme, con una prevalenza dei caprovini. Questa forma di allevamento si diffuse in tutta l'Asia sud-occidentale, con l'eccezione della fascia desertica meridionale nella quale il fenomeno apparve con un certo ritardo; verso nord, invece, esso si estese nell'area oltre il Mar Caspio, nella regione del Turkmenistan. La principale direttrice di diffusione dell'allevamento fu però verso ovest, in direzione dei Balcani meridionali, dove le vantaggiose condizioni ambientali e climatiche favorirono un ulteriore progresso dell'allevamento intorno al 6000 a.C. Nell'Africa nord-occidentale, nella valle del Nilo e occasionalmente nel Deserto Orientale, ebbe inizio durante il Neolitico la domesticazione dei bovini, seguita da quella dei caprovini, del cane e del maiale. Tali forme di allevamento esercitarono una profonda influenza fino nella Penisola Arabica, dove infatti l'allevamento non differisce da quello nordafricano se non per la mancanza della capra bezoarica selvatica. A est l'allevamento basato sui caprovini si estese dapprima verso l'Iran e, sempre in età neolitica, penetrò nel Subcontinente indiano, espandendosi e combinandosi con le diverse forme locali di domesticazione. Queste ultime, peraltro, interessarono nuove specie, come l'asino selvatico presente nell'Africa nord-orientale e lungo la costa orientale del Mar Rosso. Anche la domesticazione di alcune sottospecie dell'uro (Bos primigenius nomadicus) produsse importanti risultati, tra cui la razza dello zebù. Stesso processo si ebbe per il racka, derivato da una peculiare sottospecie di ovino. Un fenomeno che si accompagnò a quello dell'allevamento fu lo sfruttamento dei prodotti derivati dagli animali domestici, come il latte, le uova e la lana. L'allevamento basato sulle specie descritte si rivelò di tale efficacia nel soddisfare tutte le esigenze alimentari e di materie prime da non far emergere la necessità della domesticazione di nuove specie per altri 3000 anni, cioè fino all'inizio dell'Eneolitico. Anche in tale lasso di tempo, l'aumento delle varietà di animali domestici non fu comunque volto a incrementare le specie destinate all'alimentazione, fatta eccezione per l'India, dove invece venne particolarmente favorita la domesticazione della gallina. Le nuove forme di domesticazione privilegiarono le specie da lavoro: animali da tiro, da soma e per il trasporto dell'uomo, di cui l'esempio tipico è il cavallo. Diffusissimo allo stato brado nelle zone meridionali dell'Europa orientale e nelle steppe dell'Asia Centrale, il cavallo domesticato raggiunse l'area nota come Mezzaluna Fertile forse già a partire dal IV millennio a.C. In questo periodo vennero domesticati altri animali da trasporto, quali l'asino, il cammello, il bufalo acquatico e l'elefante; nessuno di essi, tuttavia, assunse l'importanza raggiunta dal cavallo, che nel compito di servire da traino e da trasporto nelle lunghe distanze prese il posto del bue, il quale rimase però l'animale da lavoro agricolo per eccellenza. In guerra il cavallo venne usato per trainare i carri piuttosto che per un impiego diretto nel combattimento, forse per il rischio di danneggiarne l'integrità fisica. Esso ebbe un ruolo decisivo anche nella conquista delle regioni steppose e nell'estensione dei commerci a grande distanza. Ruolo simile ebbero l'asino e il cammello, mentre il bufalo acquatico divenne l'animale da tiro tipico dell'Asia sud-occidentale e dell'India, essendo il suo utilizzo fondamentale nella coltivazione del riso; l'elefante, infine, trovò impiego principalmente nella foresta.
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di Lucio Milano
La nascita di civiltà urbane nel Vicino Oriente e in Egitto nel corso del IV millennio a.C. ebbe profonde ripercussioni sullo sviluppo dell'allevamento, che, dall'essere un'attività legata ai bisogni di un'economia familiare, divenne un settore integrato nell'organizzazione produttiva dello Stato. Ciò comportò conseguenze di vario ordine, che ebbero grande impatto economico e sociale, con particolare riguardo a diverse necessità: adattare le esigenze della pastorizia a quelle di un'agricoltura esercitata su ampia scala; sfruttare il valore patrimoniale e commerciale del bestiame; organizzarne la destinazione alimentare in funzione di una società stratificata, composta per larga parte da lavoratori dipendenti dalle organizzazioni centralizzate; mantenere infine la continua disponibilità di bestiame da utilizzare per i lavori dei campi. Dal punto di vista archeologico la presenza di reperti osteologici riferibili a bestiame bovino è in genere direttamente proporzionale allo sviluppo e all'intensificazione dell'agricoltura. I più antichi testi cuneiformi, appartenenti ai livelli IV e III di Uruk (3200-2900 a.C. ca.), documentano con dovizia di particolari l'organizzazione dell'allevamento nella Mesopotamia meridionale in questa fase arcaica dell'urbanizzazione. Il bestiame bovino era allevato in piccole mandrie di poche decine di capi, soprattutto in funzione dei lavori agricoli e della produzione di latte e formaggio; solo raramente le bestie venivano macellate per il consumo di carne, riservato ad occasioni particolari connesse con il culto. Maggiore importanza, ai fini dell'approvvigionamento di carne, avevano ovini e caprini, la cui proporzione poteva variare da regione a regione sulla base di condizioni climatiche (le capre tollerano climi più caldi e secchi e presentano minori rischi di allevamento in aree marginali con scarse risorse idriche) e di preferenza o convenienza economico-alimentare. Nella piana alluvionale mesopotamica l'allevamento di pecore era praticato su amplissima scala e rivolto specialmente alla produzione di lana. Grandi quantità di lana e di tessuti erano infatti necessarie alle amministrazioni centralizzate per il razionamento del personale dipendente, che assicurava il proprio lavoro a templi e palazzi in cambio di beni di prima necessità. La transumanza delle greggi seguiva un ritmo stagionale che assumeva caratteri diversi a seconda delle condizioni ecologiche regionali: così, ad esempio, in Mesopotamia meridionale e nord-orientale le greggi trascorrevano l'estate in montagna e l'inverno nella piana alluvionale, mentre nella zona del medio Eufrate il pascolo invernale si svolgeva nella steppa (la Gezira siriana) e quello estivo nella valle fluviale. Il notevole grado di specializzazione nell'allevamento dei caprovini risulta evidente fin da epoca arcaica, sia dalla qualificazione del bestiame, spesso a seconda della provenienza (ad es., pecore "di Amurru", "di Akkad", "di Ur", ecc.), sia dalla nomenclatura dei tipi di lana sia dalle tecniche di tosatura: lo "strappo" della lana (tecnica prevalente per tutto il III e II millennio a.C.) veniva praticato tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera e comportava il reclutamento di personale apposito, che le amministrazioni dovevano predisporre in tempi utili. Più in generale, tutte le operazioni che riguardavano la cura, l'alimentazione, la dislocazione e l'impiego del bestiame richiedevano una meticolosa pianificazione, che gli archivi cuneiformi mesopotamici descrivono con puntigliosa precisione contabile. Tale pianificazione era non meno necessaria per il bestiame grosso che per quello minuto: un lungo documento economico redatto durante la III dinastia di Ur (2100 a.C. ca.) fornisce ad esempio le previsioni quantitative relative all'accrescimento di una mandria di bovini (maschi e femmine) in un periodo di dieci anni, per poterne calcolare la produttività di latte e formaggio. Analoga attenzione era rivolta all'allevamento degli Equidi (asini e muli), indispensabili nei lavori agricoli e nel trasporto delle derrate, per i quali gli scribi computavano le razioni e le modalità di distribuzione del foraggio. Nell'impero di Ur, che verso la fine del III millennio a.C. comprendeva gran parte della Mesopotamia e dell'altopiano iranico, furono costituiti centri urbani specializzati nell'allevamento e nella distribuzione di bestiame bovino, ovino e caprino. In questi centri vi erano uffici e funzionari responsabili della concentrazione e della redistribuzione del bestiame destinato all'approvvigionamento delle diverse città sumeriche. I compiti del personale amministrativo erano estremamente differenziati e gerarchizzati e riguardavano il controllo e la pianificazione razionale delle uscite, sia di capi di bestiame sia di prodotti secondari ottenuti dalla macellazione. La dimensione dell'allevamento centralizzato del bestiame ovino in questo periodo era notevolissima: è stato calcolato che la produzione di lana documentata nei rendiconti sumerici della III dinastia di Ur (2100-2004 a.C.) presuppone una consistenza complessiva delle greggi di circa 2 milioni di capi, cioè circa il doppio di quanti ne compaiono nel censimento fatto dal governo iracheno nel 1952-53. Grazie agli archivi cuneiformi della città di Ebla (2350 a.C. ca.), si dispone di una dettagliata documentazione sull'allevamento di bestiame grosso e minuto anche per la Siria del III millennio a.C. Greggi di migliaia di capi formavano il patrimonio privato del re, mentre lo Stato gestiva la gran parte del bestiame, che veniva utilizzato per la produzione di lana (una delle principali risorse locali) e per i sacrifici alle divinità (che costituivano un canale indiretto di consumo alimentare). La situazione di Ebla può essere facilmente estesa a quella delle altre città-stato della Siria e della Palestina nel Bronzo Antico. In Egitto l'allevamento dei bovini è attestato fin dall'Antico Regno. Mentre le vacche erano assai raramente macellate (sia perché destinate alla produzione di latte sia per motivi religiosi), era invece un tipo di bue a essere prevalentemente usato come animale da macello. Si tratta del Bos taurus, un animale basso e tarchiato con corna corte, che ingrassava facilmente e poteva fornire notevoli quantità di carne. Nelle figurazioni dell'Antico Regno e del Primo Periodo Intermedio la macellazione di questi bovini era rappresentata nelle sue diverse fasi: l'animale veniva immobilizzato legandogli le zampe anteriori e posteriori, poi rovesciato sul dorso con la testa reclinata e quindi sgozzato e squartato. Accanto a questo tipo di bue ve n'era un altro, più alto, muscoloso e con corna lunghe, che era probabilmente originario della regione del Delta del Nilo. Stando alla documentazione iconografica, esso era solitamente lasciato al pascolo brado e non rinchiuso in stalle. La sua utilizzazione era quella di animale da traino, aggiogato all'aratro o impiegato per altri lavori agricoli. La grande diffusione dell'allevamento della capra in Egitto (documentato tra l'altro attraverso le liste di offerte ai templi) contrasta con la scarsa diffusione della pecora, che era soggetta ad interdizione alimentare e connessa al culto del dio Khnum. Nel corso della storia del Vicino Oriente la pastorizia non fu solo oggetto di sfruttamento da parte delle popolazioni sedentarie, ma costituì anche la maggiore risorsa economica delle popolazioni seminomadi diffuse, in diversa misura, in tutta l'area e spesso restie a essere inglobate all'interno degli stati cittadini. Un caso particolarmente ben documentato è quello della città di Mari, sul medio Eufrate, da cui proviene un'abbondante documentazione epistolare (1800 a.C. ca.) che riguarda i rapporti tra l'amministrazione centrale e le tribù di pastori dislocate nel territorio circostante. La pastorizia nomade, benché condotta secondo ritmi e itinerari consolidati dalla pratica stagionale della transumanza, venne non di rado a confliggere con le esigenze dei sedentari, più sensibili alle necessità di integrazione tra attività agricole e pastorali: per questo, lo sconfinamento delle greggi sui campi coltivati, i diritti di accesso all'acqua e, più in generale, il diritto di transito sul territorio furono altrettanti motivi di tensione, talvolta regolati da accordi, ma spesso degenerati in conflitti. La domesticazione del maiale è attestata nel Vicino Oriente sin dalla fine del VII millennio a.C. (regione del Tauro e degli Zagros). La distribuzione e la consistenza dell'allevamento suino presentano tuttavia caratteri contraddittori e talvolta poco chiari. La sua diffusione è soprattutto attestata in zone umide o con notevole disponibilità d'acqua (come nelle valli fluviali): abbondanti resti osteologici sono stati infatti trovati in numerosi siti mesopotamici (sia nel Nord che nel Sud), in Siria-Palestina, in Anatolia e nel Khuzistan iraniano. Ben attestato durante il Calcolitico e all'inizio del Bronzo Antico, l'allevamento del maiale tende tuttavia a rarefarsi in epoca successiva, specialmente nei centri urbani (il fenomeno è stato ben studiato per la Palestina, dove il maiale è soprattutto presente nei centri rurali del Bronzo Antico). In Egitto il maiale ebbe ampia diffusione in epoca predinastica e durante l'Antico Regno. In seguito non se ne ha quasi più attestazione, salvo per il Nuovo Regno, quando il maiale era uno degli alimenti principali per gli operai che lavoravano nel villaggio di Deir el-Medina alla costruzione delle piramidi. In questo stesso periodo sono documentate offerte di maiali ai templi (come quella di Amenhotep III al tempio di Ptah a Menfi) e allevamenti suini presso santuari (come nel recinto sacro di Osiris ad Abido). L'interdizione del mangiare carne di maiale, espressa nei testi normativi della Bibbia ebraica (Lev., 11 e Deut., 14), è di difficile interpretazione e non trova spiegazioni sufficienti in argomenti di carattere economico (allevamento suino visto in competizione con la produzione/redistribuzione di prodotti agricoli), ecologico o culturale. È tuttavia significativo che nella tarda età del Ferro sia stata accertata una grande diffusione del maiale nei centri filistei della costa palestinese (Tel Miqne, Tel Batash), in contrasto con l'assoluta assenza del maiale nei centri cananei dell'interno, la qual cosa ha suggerito l'ipotesi di una volontaria ricerca di differenziazione etnico-culturale tra popolazioni a contatto. Le tappe della domesticazione degli Equidi (asini, muli, cavalli) sono ancora oggetto di discussione, anche per l'obiettiva difficoltà di attribuire all'una o all'altra specie resti frammentari di ossa. Per l'asino (Equus asinus), il più antico esemplare (ritrovato a Uruk) è databile alla fine del IV millennio a.C., quando testimonianze di asini sono ormai presenti anche nella documentazione epigrafica della stessa Uruk. In Mesopotamia è ben attestato anche l'emione (Equus hemionus), cioè l'incrocio dell'asino con l'onagro, che, in quanto tale, non fu mai domesticato nel Vicino Oriente. L'allevamento di questi animali si concentrava soprattutto in alcune aree (una delle più note è l'Alta Mesopotamia), da dove gli emioni venivano poi esportati in altre zone. L'importanza degli asini come mezzo di trasporto per uomini e merci è cruciale per la storia del Vicino Oriente e ampiamente illustrata dalla documentazione testuale. Nei testi paleoassiri provenienti da Kültepe/Kanish (1900- 1800 a.C. ca.) sono forniti tutti i dettagli relativi ai finimenti e all'attrezzatura per il carico degli asini, il loro costo e la loro gestione da parte dei mercanti che trafficavano tra Assiria e Anatolia centro-orientale. Le sepolture di Equidi, frequenti in Egitto e nel Levante soprattutto nella prima metà del II millennio a.C., sono indizio della rilevanza culturale di questi animali presso molte delle società orientali. Resti di cavalli sono stati identificati in diversi siti calcolitici e del Bronzo Antico in Anatolia, benché si tratti di ritrovamenti episodici. Nella seconda metà del III millennio a.C. la documentazione si infittisce, specie per alcune aree (Palestina meridionale, Siria settentrionale). Un certo numero di figurine di terracotta che rappresentano verosimilmente cavalli, ritrovate sia a Tell Mozan (nella regione del Khabur), sia a Tell es-Suweihat, localizzano verso la fascia siro-anatolica una delle zone di precoce allevamento dei cavalli. In Mesopotamia attestazioni di cavalli nei testi cuneiformi sono presenti verso la fine del III millennio a.C., ma assumono maggiore importanza dopo la III dinastia di Ur, all'inizio del II millennio a.C. A questo periodo risale anche il primo esemplare accertato di ossa di cavallo proveniente da Isin (1900 a.C. ca.). La grande diffusione del cavallo, in Egitto e nel Vicino Oriente, si verifica verso la metà del II millennio a.C., quando l'invenzione della staffa e le tecniche di addestramento permettono l'utilizzazione dell'animale in battaglia, aggiogato al carro da guerra. Si moltiplicano in questo periodo testimonianze epigrafiche che riguardano la cura fisica del cavallo (i cd. "testi ippiatrici" di Ugarit) e il suo addestramento (il manuale di Kikkuli di Mitanni, proveniente da Boğazköy). Il sapere tecnico legato all'uso del cavallo e all'equitazione viene elaborato soprattutto in ambiente mitannico, cioè tra le popolazioni di lingua hurrita che abitavano il Nord e il Nord- Est della Siria. Con la fine del II millennio a.C. si apre infine la lunga vicenda dell'uso bellico del cavallo anche svincolato dall'aggiogamento al carro, come animale da cavalcatura. Nell'esercito assiro, come in tutti gli eserciti contemporanei, la cavalleria comincia a rivestire un ruolo tattico essenziale e, sia nella società sia nell'economia degli Stati orientali, l'approvvigionamento di cavalli viene a occupare un posto di assoluto rilievo. Due sono le specie di cammello presenti nel Vicino Oriente: il cammello battriano (Camelus bactrianus), a due gobbe, originario dell'Asia Centrale, e il dromedario (Camelus dromedarius), a una sola gobba, tipico del deserto arabo. La scarsezza di reperti di ossa di entrambe le specie in siti archeologici è probabilmente dovuto al fatto che la gestione dei cammelli era nelle mani di popolazioni nomadi e si svolgeva al di fuori dei contesti urbani. Tra i pochi esemplari di ossa ascrivibili al cammello battriano vanno ricordati quelli di Shahr-i Sokhta (Iran orientale), della fine del III millennio a.C. e quelli, assai più tardi, di Ascalona e Tell Gemmeh (Levante, età del Ferro). All'inizio del II millennio a.C. il cammello battriano è attestato su sigilli mesopotamici, ma non riveste ancora alcuna importanza economica. Per quanto riguarda il dromedario, la più antica attestazione risale al Neolitico (Ain Ghazal, Giordania), mentre reperti della fine del III millennio a.C. provengono da siti più meridionali, come Umm an-Nar e Ras Ghanada (Abu Dhabi). A partire dall'VIII sec. a.C. il dromedario diventa l'incontrastato protagonista dei traffici carovanieri tra l'Arabia meridionale e il resto del Vicino Oriente, attraverso le vie di transito più occidentali che risalivano la penisola attraversando la Palestina. Nei rilievi assiri di Assurbanipal le truppe delle tribù arabe sono spesso rappresentate in groppa ai dromedari e gli stessi Assiri si procuravano questi animali nell'Arabia centro-meridionale. Elefanti sono attestati sia figurativamente (Obelisco Nero di Salmanassar III, 858-824 a.C., trovato a Nimrud), sia nella letteratura (episodio di caccia reale del faraone Tutmosi III, 1450 a.C.), e oggetti d'avorio lavorato sono ampiamente diffusi, specie in Siria-Palestina, verso la fine del II millennio a.C. (artigianato fenicio). In diversi siti è stato anche ritrovato avorio non lavorato (Kamid el-Loz, Tell Açana, Arslan Tepe). È possibile che ciò sia indizio della presenza di branchi di elefanti in Anatolia, Siria-Palestina ed Egitto, presumibilmente importati dall'Africa, ma è difficile dire se si trattasse di animali domesticati o selvatici. Assieme all'elefante, l'ippopotamo rappresentava l'altra importante fonte di avorio. Gli ippopotami costituivano la tipica fauna nilotica, ma erano anche presenti nei fiumi della regione siro-palestinese. A Tel Qasile e Tel Miqne sono stati trovati frammenti di zanne di ippopotamo non lavorate.
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