La domesticazione delle piante e l'agricoltura: Africa
di Riccardo Fattovich
L'agricoltura tradizionale africana si basa sulla coltivazione sia di piante domestiche introdotte dal Vicino Oriente (frumento, orzo), sia di numerose piante indigene, a cui si sono aggiunte negli ultimi 500 anni anche varie specie americane. Attualmente l'ipotesi proposta da N.I. Vavilov (1935), secondo cui l'acrocoro etiopico-somalo sarebbe stato un centro primario di coltivazione del frumento e dell'orzo, non sembra più sostenibile in base alle evidenze fattuali. A loro volta, le varietà di piante coltivate e di tecniche usate dalle diverse popolazioni, nonché la vasta gamma di ambienti naturali sfruttati, indicano il carattere complesso, innovativo e dinamico dell'agricoltura africana e la sua capacità di adattarsi a situazioni notevolmente diverse. Per quanto riguarda la coltivazione di piante indigene, si possono distinguere tre complessi principali: il complesso della savana, il complesso della foresta marginale e il complesso etiopico. Il complesso della savana è il più diffuso, rispecchiando l'estensione di questo tipo di ecosistema sul continente. Esso si basa sulla coltivazione di cereali indigeni, quali il fonio, il riso africano, il miglio perlaceo e il sorgo, integrata dal consumo di altre piante erbacee e di frutta, a seconda delle diverse condizioni locali. Nella savana semidesertica ad arbusti del Sahel e ai margini del deserto del Kalahari il miglio perlaceo è la pianta coltivata più importante, data la sua grande resistenza alla siccità, unitamente al cocomero per il suo contenuto d'acqua. Nella savana alberata più umida predomina la coltivazione del sorgo, sostituita in alcune parti dell'Africa occidentale da quella del riso africano. Viene favorita inoltre la crescita di numerosi alberi di savana, pur senza una vera coltivazione, per la loro utilità alimentare e commerciale. Il complesso della foresta marginale è limitato soprattutto all'Africa occidentale. Esso implica la coltivazione di cereali quali il miglio di Guinea, numerosi tuberi, in particolare Dioscoreacee (yam), legumi e frutta, tra cui la noce di cola; alcune sono vere piante di foresta, mentre altre sono originarie di un ambiente di savana. Numerose piante, come lo yam e la palma da olio, presentano inoltre una notevole adattabilità a condizioni climatiche sia molto umide sia semiaride: ciò ha suggerito che questo complesso si sia sviluppato al margine tra la foresta e la savana. La coltivazione dello yam e della noce di cola assume particolare rilevanza nelle regioni a est del fiume Bandama (Costa d'Avorio), mentre il riso africano è predominante in quelle a ovest dello stesso fiume. Yam, noce di cola, riso africano e palma da olio hanno anch'essi una grande importanza culturale. Il complesso etiopico è caratterizzato da un numero relativamente limitato di piante domesticate sull'acrocoro etiopicosomalo, a cui si sono aggiunti cereali propri del Vicino Oriente (frumento, orzo, avena, legumi). Le piante indigene comprendono il teff, che costituisce il principale cereale coltivato in Etiopia, il miglio coracano, l'avena abissina, l'ensete o falsa banana, il caffè, il noog, che rappresenta la più diffusa pianta oleosa della regione, e un narcotico, il chat. Le piante coltivate nell'Africa settentrionale e lungo la valle del Nilo appartengono invece al complesso del Vicino Oriente: esse includono orzo, frumento, lenticchie, fave, piselli e altre Leguminose. Le indagini sulle origini dell'agricoltura africana sono ancora inadeguate: ciò è dovuto soprattutto al fatto che le ricerche nell'Africa subsahariana si sono concentrate principalmente sullo studio dell'evoluzione umana durante il Pleistocene e su quello dell'espansione delle popolazioni Bantu durante l'età del Ferro. Ciò nonostante, i dati disponibili permettono di affermare che l'evoluzione dell'agricoltura in Africa fu un processo molto elaborato, in cui intervennero sia stimoli esterni sia innovazioni locali. Sembra inoltre che non si possa parlare di centri di domesticazione per le singole piante, ma piuttosto di aree molto estese al cui interno le diverse popolazioni potrebbero averne avviato separatamente la coltivazione. Non si può escludere che in alcune regioni la domesticazione di determinate piante sia avvenuta in modo autonomo e indipendente da stimoli culturali esterni. Infatti, la documentazione archeologica raccolta suggerisce che nel Pleistocene finale e nell'Olocene iniziale le popolazioni stanziate a nord dell'equatore fossero già preadattate alla coltivazione delle Graminacee, in quanto praticavano un'economia di sussistenza basata sulla caccia ai mammiferi di savana, sullo sfruttamento delle risorse fluviali e lacustri (pesca e raccolta di molluschi) e sul consumo intensivo di Graminacee selvatiche. Tali popolazioni conducevano presumibilmente una vita semisedentaria, concentrandosi lungo le rive dei fiumi e dei laghi, ed elaboravano lo strumentario (macine, macinelli, lame per falcetti) necessario per praticare anche una forma di agricoltura. La documentazione più antica di questo tipo di economia, definita "acqualitica", proviene dal sito di Wadi Kubbaniya, presso Assuan (Alto Egitto) e risale a circa 18.000 anni fa. Popolazioni con un'economia di tipo "acqualitico" continuarono a occupare la bassa valle del Nilo e la depressione del Fayyum almeno fino al VII-VI millennio a.C., come attestano alcune industrie epipaleolitiche (Qadano, Afiano, Esniano) databili al Pleistocene finale (12.000-10.000 a.C. ca.) e all'Olocene iniziale (Arkiniano, Shamarkiano, Elkabiano, 10.000-6000 a.C.), lungo la valle, e l'industria qaruniana (VII millennio a.C.) presso il Fayyum. Tra il VI e il V millennio a.C. popolazioni con questo stesso tipo di economia apparvero anche nel Sudan centrale, dove sono attestate dalla cosiddetta "cultura mesolitica di Khartum", e in quello orientale, dove sono documentate dal cosiddetto Gruppo di Amm Adam, identificato nel delta settentrionale del Gash, presso Kassala. Nello stesso periodo, popolazioni simili si stanziarono lungo il Sahara meridionale e il Sahel, fino all'Africa occidentale e al Kenya settentrionale, come confermano rinvenimenti nell'Acacus in Algeria, nel Mali e presso il Lago Turkana. Frumento e orzo sono stati sicuramente introdotti in Africa dal Vicino Oriente. Allo stato attuale delle ricerche, queste Graminacee sono attestate per la prima volta in Egitto tra il 5200 e il 4500 a.C. in contesti attribuibili alle culture neolitiche del Fayyum A, identificato ai margini del Lago di Qarun nella depressione del Fayyum, e di Merimde Beni Salama nel Delta sud-occidentale del Nilo. Ciò fa supporre che la coltivazione di queste piante sia iniziata nel periodo compreso tra il 6000 e il 5000 a.C. Infatti, questa forma di agricoltura apparve nella valle del Nilo già pienamente evoluta, mentre raggiunse tale sviluppo nel Vicino Oriente solo verso il 6000 a.C. È stato suggerito, sulla base delle scoperte di resti di orzo datati alla fine del VII millennio a.C. nell'oasi di Nabta, che almeno questo cereale fosse stato introdotto in Africa in epoca più antica, diffondendosi inizialmente lungo le oasi del Deserto Libico e solo più tardi nella valle del Nilo. Tuttavia l'evidenza raccolta resta ancora assai incerta; in ogni caso, le modalità con cui il frumento e l'orzo vennero introdotti nella valle del Nilo sono ancora oscure, data la totale assenza di una documentazione archeologica anteriore al IV millennio a.C. nell'area del Delta. Anche la loro diffusione verso l'Alto Egitto è ancora poco chiara. Alla fine del V millennio a.C. queste piante erano sicuramente coltivate nell'Alto Egitto dalla popolazione badariana, data la presenza di frumento in alcune tombe di questa cultura; non sembra però che esse costituissero una componente importante dell'economia di sussistenza di quel periodo. La loro coltivazione sembra avere avuto un impulso maggiore con la successiva cultura di Naqada (IV millennio a.C.), quando essa probabilmente fornì il supporto per lo sviluppo delle prime forme di società complesse nella regione. La scoperta in una tomba presso Naqada di una scodella con semi di orzo posti intenzionalmente su uno strato di terra, indice di un simbolismo rituale della fertilità associato in epoca storica al culto di Osiris, attesta che nel IV millennio a.C. i cereali iniziarono ad acquistare anche un'importanza ideologica. Dall'Egitto essi si diffusero progressivamente verso sud lungo la valle, probabilmente in relazione all'espansione commerciale egiziana in epoca predinastica. In Nubia, infatti, il frumento e l'orzo sono già pienamente attestati nel III millennio a.C., costituendo una delle basi economiche del regno di Kerma (2500-1500 a.C. ca.) nella media valle del Nilo. Più incerto è il processo con cui essi giunsero nel Corno d'Africa. La scoperta di semi di orzo nella regione di Kassala, in contesti del cosiddetto Gruppo del Gash (2700-1400 a.C. ca.) databili agli inizi del II millennio a.C., potrebbe suggerire una loro introduzione dai bassopiani etiopico-sudanesi in epoca relativamente antica. Tuttavia, sull'Altopiano Etiopico le prime testimonianze di coltivazione di cereali mediante l'uso dell'aratro risalgono al I millennio a.C. Ciò potrebbe far pensare che tali piante siano state introdotte insieme all'aratro direttamente dal Vicino Oriente alla fine del II o agli inizi del I millennio a.C., quando più intensi furono i contatti tra le popolazioni dell'Altopiano Tigrino (Etiopia settentrionale ed Eritrea) e quelle della Penisola Arabica. Per quanto concerne le origini delle forme indigene di agricoltura africana, la documentazione in nostro possesso è ancora molto scarsa. L'evidenza archeologica infatti è incerta, in quanto molti strumenti utilizzabili in attività agricole potrebbero essere stati usati anche per lo sfruttamento di piante selvatiche. I resti vegetali finora reperiti in siti archeologici sono poco numerosi e spesso di interpretazione dubbia. Alcune informazioni possono essere dedotte comunque da osservazioni inerenti agli aspetti botanici, genetici, ecologici e geografici delle singole piante. Particolare attenzione è stata data finora allo studio della domesticazione del sorgo, considerata la sua grande importanza economica presso le popolazioni attuali. Sono state identificate quattro varietà selvatiche attribuibili a un'unica specie biologica: il sorgo arundinaceo, adattato ad ambienti di foresta; il sorgo vergato, limitato quasi esclusivamente alla valle del Nilo; il sorgo etiopico, segnalato soprattutto nella regione di Kassala (Sudan orientale) e sparso lungo i margini del Sahara; il sorgo verticillifloro, abbondante nelle savane dell'Africa orientale e meridionale. Quest'ultimo sembra essere stato il progenitore della maggior parte dei tipi di sorgo, comprese le cinque varietà domestiche (bicolore, sorgo di Guinea, caudato, cafro e durra). L'area più probabile di domesticazione di questa pianta sembra essere localizzabile nell'Africa nord-orientale, in quanto i dati archeologici confermano che l'agricoltura apparve nell'Africa meridionale molto tardi. La sua domesticazione dovrebbe essere avvenuta in epoca anteriore al III millennio a.C., giacché è attestato in siti della Penisola Arabica meridionale databili a questo periodo. In Africa le più antiche tracce sicure di sorgo domestico sono state segnalate nella regione di Kassala, in un contesto attribuibile al cosiddetto Gruppo di Gebel Mokram (1400- 800/700 a.C. ca.). Riguardo alle altre piante coltivate, si può notare che il progenitore selvatico del miglio perlaceo è diffuso lungo tutta la fascia saheliana tra il Nilo e l'Atlantico e pertanto deve essere stato domesticato ai margini del deserto, ma l'epoca rimane incerta. Infatti, l'evidenza di miglio perlaceo segnalata nel sito di Amekni nell'Hoggar (Sahara centrale) e datata tra il 6000 e il 4500 a.C. è controversa. Attualmente, inoltre, non esistono prove certe che le popolazioni "neolitiche" del Sahara abbiano praticato forme intensive di agricoltura, anche se non è da escludere che gli allevatori di bovini che occuparono questa regione tra il 4000 e il 2000 a.C. abbiano integrato la loro dieta con forme marginali di coltivazione. I più antichi resti di miglio perlaceo sono stati identificati finora nel sito di Ntereso (Ghana settentrionale) e in quello di Tichitt (Mauritania) e risalgono alla fine del II millennio a.C. Il miglio di Guinea potrebbe essere stato domesticato già nel IV millennio a.C., come indicherebbero alcuni rinvenimenti nel sito di Adrar Bous (Sahara), sebbene le evidenze qui raccolte siano incerte. Il progenitore selvatico del riso africano è distribuito lungo tutta la fascia tra il Sahel e la foresta che si estende dall'Atlantico al Nilo e lungo il rift nell'Africa orientale; ciò suggerisce che la sua coltivazione sia iniziata nell'Africa occidentale, dove esso è più intensamente sfruttato, sebbene anche in questo caso resti incerta la data in cui ciò avvenne. Molto probabilmente il riso doveva essere già coltivato nei primi secoli d.C., costituendo la principale componente economica su cui si basava la cosiddetta "civiltà megalitica del Senegambia" e quella di alcune città dell'area del Sahel, quali Djenné (Mali). In Africa occidentale sembra che l'uso ‒ e forse la coltivazione ‒ di piante arboree sia iniziato nel III millennio a.C. e abbia perciò preceduto quello delle Graminacee. Noccioli di palma da olio sono inoltre attestati a Kintampo (Ghana centrale), dove sono datati al 1400 a.C. circa, e in alcuni ripari della Liberia, dove risalgono al 1500 a.C., confermando l'uso di questa pianta nel II millennio a.C. Strumenti microlitici, che potrebbero essere stati usati per lo sfruttamento della palma da olio, sono attestati anche in siti della Nigeria databili al 9500 a.C. Essi potrebbero suggerire pertanto che l'uso di questa pianta sia cominciato nell'Olocene iniziale. Nulla si sa invece sull'inizio della coltivazione dello yam. Altrettanto oscuri sono gli esordi dell'agricoltura nel Corno d'Africa. Si ritiene comunemente che le popolazioni di questa regione siano state stimolate alla coltivazione delle piante in seguito a influssi esterni, provenienti sia dalla valle del Nilo sia dalla Penisola Arabica. Tuttavia, la presenza nel sito di Laga Oda (Etiopia orientale) di crescenti microlitici datati all'Olocene iniziale, con tracce di lustratura dovuta all'attrito su steli di Graminacee, potrebbe indicare che anche queste popolazioni erano predisposte alla coltivazione di cereali e pertanto in grado di domesticare autonomamente Graminacee locali come il teff. Del tutto ignote sono le origini della coltivazione dell'ensete nell'Etiopia centro-occidentale, mancando qualunque documentazione archeologica in merito. In base alle fonti storiche, tuttavia, si può affermare che questa pianta era già coltivata nell'area di distribuzione attuale nel XIV secolo. Inoltre, la citazione in fonti classiche di età ellenistico-romana dei Rizofagi (mangiatori di radici) tra le popolazioni stanziate nelle regioni interne dell'Africa nord-orientale a sud dell'Egitto potrebbe adombrare la presenza di coltivatori di ensete alla fine del I millennio a.C. La segnalazione di strumenti in pietra levigata che potrebbero essere stati usati per la coltivazione dell'ensete, datati provvisoriamente al II millennio a.C., ha fatto supporre che fosse coltivata in epoca relativamente antica. Non è escluso inoltre che l'ensete sia stato domesticato sull'Altopiano Etiopico già nell'Olocene iniziale, indipendentemente da influssi esterni, sebbene tale ipotesi manchi ancora di prove sicure. La diffusione dell'agricoltura nelle altre regioni dell'Africa subsahariana sembra essere avvenuta in epoca relativamente recente e comunque non anteriore agli ultimi 2000 anni. Essa probabilmente va posta in relazione con la nascita di società protostatali lungo il versante orientale del continente a partire dal I millennio a.C., a sua volta connessa con la penetrazione araba e poi portoghese lungo la costa. In Africa orientale non vi sono elementi per ritenere che gli allevatori nomadi degli altipiani praticassero forme intensive di coltivazione; al contrario, è probabile che essi si rifornissero di prodotti agricoli mediante scambi. L'agricoltura, comunque, era sicuramente praticata dalle popolazioni Swahili della costa. Nell'Africa sudorientale, infine, una società agricola si era sviluppata tra l'XI e il XVI secolo sull'altopiano di Zimbabwe, come attestano i resti monumentali del regno di Mutapa.
N.I. Vavilov, Bases théoriques de la sélection des plantes, I, Moscou - Leningrad 1935; Id., The Origin, Variation, Immunity and Breeding of Cultivated Plants, in ChronBot, 13 (1951), pp. 1-6; J.R. Harlan - J.M.J. De Wet - A.B.L. Stemler (edd.), Origins of African Plant Domestication, The Hague 1976; J.R. Harlan, Indigenous African Agriculture, in C.W. Cowan - P.J.Watson (edd.), The Origins of Agriculture, Washington 1992, pp. 59-70; Th. Shaw et al. (edd.), The Archaeology of Africa, London 1993.
di Giovanna Antongini,Tito Spini
La conoscenza dell'evoluzione e dello sfruttamento delle falde acquifere nelle zone a sud del Sahara rende possibile seguire l'evoluzione dell'uomo, quanto meno negli ultimi 10.000 anni. Un esempio è costituito dalla regione di Hassi el-Abiod (Mali), attualmente inclusa nella zona di deserto massimo, che 7000 anni fa era ricca di acqua, laghi, fauna acquatica e terrestre ed era abitata da cacciatori-pescatori neolitici. La mobilità dei gruppi umani era regolata sul ciclo delle piogge: insediamenti sugli altipiani nella stagione umida e ai piedi delle formazioni rocciose durante la stagione secca per sfruttare sorgenti e cisterne naturali all'interno di cavità protette dai massi. La desertificazione progressiva e la necessità di forme più evolute di agricoltura spinsero a cercare tecniche di conservazione e di canalizzazione delle acque. Celebre esempio delle tecniche per canalizzare e proteggere l'acqua dall'evaporazione è il foggara (canale sotterraneo con cunicoli emergenti). Nel Touat, dove ancora è in uso, questo sistema fu verosimilmente importato dalla Persia da Ebrei in fuga dalla Cirenaica circa 2000 anni fa. In questa zona esistono 950 foggara e lo stesso tipo di canalizzazioni sotterranee si incontra lungo tutta la linea che dal Sud del Marocco attraversa l'Hoggar e il Fezzan. La rete di distribuzione, commisurata alle superfici da irrigare e all'importanza della falda acquifera, viene realizzata mediante canali scavati alla profondità di 8-10 m che proseguono in leggero pendio (qualche millimetro di dislivello per metro) e il cui diametro è di 1 m circa, dimensione minima per consentire lo scavo di un uomo che lavori curvo. Lo scavo viene effettuato dal basso verso l'alto, ossia dal punto di affioramento della falda acquifera sino al livello che garantisce un sufficiente afflusso. In superficie, ogni 12-15 m, coni realizzati con il materiale di sterro proteggono i pozzi d'accesso alla galleria che permettono il controllo del livello acqueo e la rimozione di eventuali ingombri; allo sbocco di ogni canalizzazione l'acqua viene raccolta in un bacino e da lì distribuita ai coltivatori secondo un minuzioso sistema di ripartizione. Già all'inizio della nostra era l'Etiopia aksumita, la cui economia era basata essenzialmente sull'agricoltura e sulla pastorizia, costruiva rudimentali canali per dirigere le acque torrentizie di pendenza verso i terrazzamenti coltivati a grano e a vite e verso argini per l'abbeveraggio di buoi e montoni. Opere di canalizzazione di minore entità sono rintracciabili in città fortificate, come Wadan, in Mauritania (XIV-XVIII sec.), in cui l'acqua di un pozzo sito in un palmeto distante 50 m circa raggiunge l'interno attraverso una galleria sotterranea che passa al di sotto della cinta murata; ad Agadez, fondata nell'XI secolo, è stata accertata la presenza di falde acquifere poco profonde, sfruttate per irrigare le coltivazioni e per l'industria di concia e tintura del cuoio. Tra le rovine di Inyanga (Zimbabwe), sito occupato tra il XVI e il XVIII secolo, oltre a larghi bacini rivestiti in pietra (probabili cisterne per la conservazione dell'acqua piovana) è ancora possibile distinguere tracce di terrazzamenti sostenuti da pietre che in un terreno fortemente accidentato ritagliavano spazi agricoli irrigati da esigui canali; indizi di sistemazioni analoghe sono anche rintracciabili negli oltre 50 siti che circondano Great Zimbabwe. Nella fascia tra il 10° e il 12° parallelo (la zona nord di Togo, Benin, Nigeria e Sudan) definita da J.-C. Froelich (1968) "paleonigritica", oltre a sistemi di irrigazione delle aree coltivate sono stati ritrovati reticoli di canali di drenaggio nelle zone acquitrinose allo scopo di eliminarne l'eccesso di umidità; così come nei territori dei Luo attorno al Lago Vittoria (Kenya) l'incremento demografico ha dato impulso alla messa in opera di canali e argini per aumentare la superficie abitabile sottraendola alle inondazioni. Al contrario, in paesi Dogon (Mali), per trarre il massimo profitto dalle scarse inondazioni di piena, depressioni e campi venivano interamente riquadrati, come avviene ancora oggi, da solchi che corrono verticalmente e orizzontalmente, mentre la terra di scavo va ad aumentare il sottile strato coltivabile che poggia sulla falda di roccia.
E.-F. Gautier, Oasis sahariennes, Alger 1905; J.-C. Froelich, Les montagnards paléonigritiques, Paris 1968; J.-P. Lebeuf - J.H. Immo Kirsch, Ouara, ville perdue (Tchad), Paris 1989; J. Oliel, Les Juifs au Sahara, Paris 1994.