La domesticazione delle piante e l'agricoltura: Estremo Oriente
di Roberto Ciarla
Le evidenze archeologiche relative alla domesticazione e alla riproduzione controllata di specie vegetali da parte dell'uomo, per scopi industriali e alimentari, sono in Estremo Oriente relativamente abbondanti. La comprensione e la spiegazione in termini culturali di tali evidenze, tuttavia, non possono prescindere dalla conoscenza dei cambiamenti della biosfera che occorsero all'inizio dell'era geologica in cui viviamo, l'Olocene. Nella fase di maggiore estensione della glaciazione di Dali (15.000 anni fa ca.) le coste dell'Asia orientale erano molto più avanzate e il livello del mare era circa 110 m più basso dell'attuale. I ghiacci iniziarono a sciogliersi tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene e la linea di costa prese ad avanzare; raggiunto intorno ai 7000 anni fa l'attuale livello, lo sorpassò di 6-7 m tra i 6000 e i 5000 anni fa. Durante tale intervallo la Pianura Centrale cinese corrispondente alla media-bassa valle del Huanghe (Fiume Giallo) ancora non aveva preso forma: le acque del Bohai costituivano un immenso golfo acquitrinoso che lambiva le propaggini dei monti Taihang e Zhongtiao, lungo il bordo orientale dell'attuale Shanxi, la penisola dello Shandong era circondata dal mare e da paludi e, a sud, la bassa valle dello Yangtze (Fiume Azzurro) vedeva alimentati gli immensi laghi Dongting, Boyang, Yunmeng e Pengli, mentre il lago Taihu faceva parte della Baia di Hangzhou. Dopo l'apice della trasgressione marina postpleistocenica la linea di costa iniziò a ritirarsi verso l'attuale livello, sebbene fino agli inizi del XVIII secolo si siano registrate tre fluttuazioni in cui il mare crebbe di 4-5 m circa, permettendo al Huanghe, anche grazie all'apporto dei suoi limi, di creare la Pianura Centrale, allo Shandong di ricongiungersi al continente e allo Yangtze di formare l'intricata rete di canali e di laghi della sua fertile foce. Tale processo sembra avere occupato i primi 8000-10.000 anni dell'Olocene, con una temperatura media di circa 2 °C più alta dell'attuale; un persistente aumento di 3-5 °C delle temperature medie annue nell'intervallo tra 8000 e 5000 anni fa (optimum climatico postpleistocenico) rispetto alle medie odierne è chiaramente dimostrato da una nutrita serie di profili palinologici da depositi postglaciali ottenuti in diverse regioni della Cina. L'evidenza di un clima generalmente più caldo e umido, che portò diverse specie vegetali oggi tipiche dell'ambiente della Cina a sud dello Yangtze a diffondersi nelle aree più settentrionali, coesiste con le evidenze fornite da siti archeologici e da torbiere preistoriche che hanno restituito, anche nella Cina settentrionale, resti di fauna solitamente associata ad ambienti forestali caldo-umidi. Solo marginalmente interessata dal fenomeno delle glaciazioni, la Penisola Coreana aveva registrato alla fine del Pleistocene un fenomeno di pedogenesi caratteristico anche della Siberia, della Mongolia e della Cina settentrionale, consistente nella deposizione eolica del löss, che, insieme ai fattori climatici, va riconosciuto come uno dei principali elementi che influì sull'evoluzione dell'agricoltura nella fascia continentale tra la Cina occidentale e il Mar Cinese settentrionale. La concomitanza dei fattori ambientali cui si è accennato mise a disposizione dei gruppi di cacciatori-raccoglitori tardopaleolitici, tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene, un mosaico di microambienti ricchi e diversificati per varietà e quantità di specie animali e vegetali. Quei gruppi sfruttarono sempre più selettivamente tali risorse fino a creare, verosimilmente in concomitanza con un aumento demografico all'interno di microregioni con più limitata potenzialità di risorse naturali, un irreversibile rapporto di dipendenza tra riproduzione di alcune piante e animali e intervento umano, fenomeni che conosciamo come agricoltura e allevamento. Nell'Asia orientale le più antiche evidenze di una primitiva agricoltura con la zappa e acquisizione di terreno a debbio provengono da contesti databili tra il 6500 e il 5000 a.C., riferibili al cosiddetto "gruppo culturale Cishan-Peiligang", lungo la valle del Fiume Wei e la media valle del Huanghe, dal Gansu occidentale al Henan/Hebei. Tali evidenze, provenienti da siti distribuiti lungo la fascia del löss, consistono sia in testimonianze dirette (grani di due varietà di miglio domestico, Setaria italica e Panicum miliaceum), sia in testimonianze indirette (zappe e asce in pietra, falcetti a lama seghettata in pietra o conchiglia e macine in pietra dalla forma "a suola di scarpa" con quattro tozzi piedi). Nel VI millennio a.C. la pratica dell'agricoltura è anche attestata nell'ambito della cultura Beixin, la cui area di distribuzione è da ravvisare nello Shandong occidentale, in un ambiente allora più umido e, come evidenziato da analisi polliniche, più caldo rispetto a oggi. Anche nell'ambito della cultura Beixin l'agricoltura sembra fosse basata sulla coltivazione del miglio, affiancata dall'allevamento del maiale, dalla caccia e dalla pesca di specie caratteristiche di un habitat palustre. La diffusione delle pratiche agricole a debbio in tutta la valle del Fiume Wei e nella media- bassa valle del Huanghe fino alla penisola dello Shandong è sicuramente attestata sia indirettamente dal maturo strumentario agricolo principalmente basato sulla zappa, sulla vanga e sul cosiddetto "coltello-falcetto" di forma rettangolare, sia dai numerosi rinvenimenti di resti paleobotanici: grani carbonizzati di Setaria italica a Banpo e di Panicum miliaceum a Jingcun e a Jiangzhai. Oltre all'agricoltura a debbio, metodo di acquisizione e di arricchimento del suolo che sarebbe evidenziato soprattutto dai modelli insediamentali Yangshao, i dati archeologici suggeriscono un progressivo ampliamento delle specie vegetali coltivate e delle tecniche di coltivazione. Le impronte di materiali fibrosi su contenitori di ceramica, da riconoscere come canapa, e i semi di Brassica sp. rinvenuti a Banpo potrebbero implicare la conoscenza di tecniche di coltivazione orticola, mentre una protosilvicoltura potrebbe essere suggerita dal rinvenimento, in verità in un contesto stratigrafico controverso, di un mezzo bozzolo di Bombyx mori (baco da seta) nel sito di Xiyincun. Certamente interessata dal miglioramento climatico olocenico, la Penisola Coreana, insieme alla Manciuria, solo in età relativamente tarda (dopo il 3500 a.C.), e forse proprio per la ricchezza di risorse alimentari degli ecosistemi boschivi e costieri, vide l'affermarsi dell'agricoltura a partire dalla costa occidentale in contesti tardo-Chulmun (6000-2000 a.C. ca.). Nel sito di Chitamni, ad esempio, all'interno di un'olletta di tipo Chulmun sono stati rinvenuti numerosi grani carbonizzati di miglio (Setaria italica e/o Panicum crus galli). Molto più abbondanti sono le evidenze di una stabile economia agricola con l'inizio dell'epoca Mumun (2000-500 a.C. ca.), allorché cominciò a delinearsi la tradizionale dicotomia dell'agricoltura coreana: il Nord, a clima più freddo, è produttore di miglio, sorgo, orzo e legumi; il Sud, a clima temperato, è produttore di riso, miglio e legumi. Nonostante gli archeologi nordcoreani ipotizzino la presenza di risicoltura anche nel Nord dal 2000 a.C., soprattutto per l'associazione di ceramica Mumun a coltelli-falcetto semilunati in pietra, la più antica evidenza diretta di riso proviene dal Sud-Ovest, dove pollini di riso sono stati identificati presso Naju (Cholla Nam Do) e Kimpo (Kyonggi Do) in contesti databili al 1500 a.C. Alla fine del II millennio a.C. la coltivazione del riso aveva risalito tutta la penisola, entrando a far parte della locale tradizione cerealicola mista, come dimostrano i resti di riso (Oryza sativa japonica) associati a miglio, orzo e sorgo rinvenuti in diversi siti, tra cui quello di Hunanmi in un contesto riferibile agli inizi del I millennio a.C. Il problema della diffusione del riso in Corea non è di secondaria importanza, sia in relazione all'evoluzione culturale della Corea stessa nel II e nel I millennio a.C., sia in relazione alla diffusione dell'agricoltura risicola nell'arcipelago giapponese. Quest'ultimo, infatti, separato definitivamente dal continente all'inizio dell'Olocene, soltanto alla fine del I millennio a.C. con la cultura Yayoi avrebbe visto diffondersi una vera e propria agricoltura, sebbene siti di epoca Jomon, databili dalla metà del IV al I millennio a.C., abbiano restituito resti di Labiate, di Leguminose e, forse, di Graminacee, i quali suggeriscono pratiche di tipo "proto-orticolo/agricolo" o, quanto meno, una vocazione all'agricoltura. Il ritrovamento di impressioni di riso su ceramiche del Jomon tardo e di alcuni grani in contesti del Jomon finale sono a tutt'oggi eccezionali e ancora inadeguatamente definiti dal punto di vista archeologico e paleobotanico. Allorché le evidenze di agricoltura sono indiscutibilmente ravvisabili, esse provengono da siti Yayoi e chiaramente testimoniano che la risicoltura in vasca (o risaia) era la principale attività economica rurale. Fino a oggi le più antiche evidenze di agricoltura risicola in Giappone provengono dal Kyushu, dove ad esempio nel sito di Itatsuke sono stati identificati grani della specie Oryza sativa japonica in associazione a coltelli-falcetto semilunati in pietra, dello stesso tipo di quelli coreani, e a chiare evidenze di vasche per risaia. La presenza di Oryza sativa japonica in Corea, e da qui in Giappone, pone il problema dell'origine di tale specie. I dati attualmente a disposizione indicano una diffusione di origine meridionale dalla foce dello Yangtze, da dove venti e correnti marine conducono, passando per la penisola dello Shandong, alla Corea sud-occidentale e dove un'agricoltura diversa da quella settentrionale, che definiremmo "della fascia del löss", è attestata negli ambienti perilacustri della bassa valle del fiume Yangtze, dominati nell'arco dell'optimum climatico postpleistocenico da foreste decidue di latifoglie subtropicali, oggi diffuse nelle latitudini più meridionali della Cina e nel Sud-Est asiatico. Abbondanti resti di riso domestico (Oryza sativa japonica e Oryza sativa indica) sono stati rinvenuti sia in depositi riferibili alla fase Majiabang dell'omonima cultura (5500/5000-3000 a.C. ca.) nell'area del lago Taihu, sia nel livello più antico (5500/5000-4500 a.C. ca.) di Hemudu (Oryza sativa indica var. hsien), a sud della baia di Hangzhou. Per quanto vi sia ancora ampio disaccordo tra i botanici sulle modalità e sulle tecniche che portarono alla domesticazione del riso, ovvero se il processo sia avvenuto con tecniche di riproduzione e propagazione a secco o, al contrario, con tecniche di coltivazione umida, i dati fino a oggi disponibili provengono da siti localizzati in ambienti perilacustri e palustri, i quali testimoniano la costante associazione tra risicoltura e ambiente umido. Nell'intera valle dello Yangtze recenti ricerche hanno portato al rinvenimento di resti di riso in contesti databili tra 8500 e 7000 anni fa, suggerendo che proprio quella regione potrebbe porsi come uno dei centri di origine della coltivazione del riso nell'intera Asia orientale. È questo però un problema particolarmente controverso che non trova unanimità di consensi: resta possibile, infatti, un'origine policentrica dell'agricoltura risicola e uno di tali centri potrebbe essere il Sud- Est asiatico. Resti di riso sono stati rinvenuti in depositi archeologici thailandesi risalenti al tardo III millennio a.C. (Non Nok Tha, Ban Chiang) sull'altipiano del Khorat, dove i dati a disposizione sembrano testimoniare una protoagricoltura con la zappa e acquisizione di terreno a debbio, condotta costantemente in associazione ad ambienti umidi e ad altre specie coltivabili (ad es., Cucurbitacee) con tecniche di tipo orticolo. Al di là del problema del centro di domesticazione del riso, certo è che la vocazione orticola dell'agricoltura a sud dello Yangtze e nel Sud- Est asiatico è ben testimoniata non soltanto dalle tradizionali tecniche di coltivazione osservate attraverso le fonti storiche, ma anche dal rinvenimento in associazione ai resti di Oryza a Hemudu e nei siti della fase Majiabang di specie quali la zucca (Lagenaria siceraria) e la castagna d'acqua (Trapa sp.). I dati noti fino a oggi per l'inizio dell'agricoltura e della domesticazione dei principali cultigeni nel Sud-Est asiatico, per gran parte poi diffusi nell'Oceania, sembrerebbero evidenziare un'agricoltura orticola, basata principalmente sulla riproduzione vegetativa invece che seminativa. Le ricerche paleolinguistiche, che hanno rintracciato termini quali taro, igname, albero del pane, banana, cocco e forse riso nel vocabolario protoaustronesiano, insieme alle evidenze archeologiche, indicherebbero forme di adattamento nel Pleistocene tardo e nelle fasi iniziali dell'Olocene, che dopo avere a lungo indugiato, come nel caso della cultura hoabinhiana, nel mantenimento di economie di caccia-pesca e di raccolta intensiva, avrebbero prodotto, forse già intorno al IV millennio a.C., una protoagricoltura orticola. Quest'ultima sembrerebbe basata sulla riproduzione controllata, se non su vera e propria domesticazione di tuberi, del taro o Colocasia esculenta, di ignami (Dioscorea sp.) e di frutta, oltre che di cereali (riso e forse miglio), endemici nel Sud-Est asiatico. Le evidenze da depositi archeologici databili alla fine del IV - inizi del III millennio a.C. in quell'area fanno ipotizzare che tali processi di domesticazione potrebbero avere seguito due vie di sperimentazione agricola, accomunate, oltre che dalle specie coltivate, dall'uso della tecnica del debbio in piccoli appezzamenti. La prima, esemplificata dal sito thailandese di Khok Phanom Di e dalle ancora poco note culture neolitiche costiere del Vietnam settentrionale (Bau Tro, Cai Beo, Hoa Loc, Ha Long, Phung Nguyen), era seguita da comunità sedentarie stanziate in habitat rivierasco-estuarini a mangrovie in fase di prosciugamento e avrebbe portato alla diffusione dell'agricoltura e dell'allevamento stanziale nelle pianure e negli altipiani. La seconda, esemplificata dai siti tardohoabinhiani e bacsoniani nella regione di Bac Bo e dai livelli più tardi dei siti hoabinhiani della Thailandia (Steep Cliff Cave, livelli superiori di Spirit Cave, livelli basali di Banyan Valley Cave), era seguita da gruppi mobili di cacciatori-raccoglitori proto-orticoltori e potrebbe essere continuata fino in epoca storica nelle diverse forme di agricoltura e di orticoltura mobile a debbio, tipiche delle aree montagnose dell'Indocina. Anche nella concomitanza di cause naturali e demografiche va ricercata la spiegazione dei dati archeologici legati agli sviluppi dell'agricoltura in Estremo Oriente nel corso del III millennio a.C. Nella Cina settentrionale, infatti, la Grande Pianura Centrale, abbracciando il corso medio e basso del Huanghe, aveva raggiunto all'incirca la sua attuale estensione, con vaste sacche di habitat palustri; questi ultimi continuavano invece a caratterizzare fortemente l'area della foce di tale fiume. Nella Grande Pianura le evidenze archeologiche relative alle fasi regionali della cultura Longshan non testimoniano alcuna sostanziale innovazione nella tipologia dello strumentario agricolo, pur notandosi un deciso aumento nel numero degli utensili agricoli rispetto a quelli da caccia o da pesca. È proprio tale dato, insieme al netto aumento del volume delle fosse di immagazzinamento, ai modelli insediamentali e all'insorgere di sistemi di controllo territoriale, a farci ritenere che fosse ormai compiuto il passaggio dall'agricoltura a debbio su piccoli appezzamenti all'agricoltura cerealicola estensiva affiancata da colture ortive. Nella valle dello Yangtze i dati provenienti da siti riferibili alla cultura Liangzhu testimoniano un'agricoltura avanzata, che alla risicoltura affiancava colture ortive e colture arboree, come attestato a Qianshanyang, dove accanto a resti di riso sono stati rinvenuti resti di pesca (Prunus persica), di melone (Cucumis melo) e due varietà di castagna d'acqua (Trapa natans e T. bispinosa). È dalla valle dello Yangtze, inoltre, che la risicoltura nel III millennio a.C. potrebbe avere raggiunto, attraverso i passi della catena dei Dayuling, le regioni collinari del Guangdong settentrionale, dove con la cultura Shixia è attestato riso domestico del tipo indica in una serie di contesti abitativi e, come offerta funeraria, nelle necropoli. L'inizio della produzione del bronzo nel Sud-Est asiatico (metà del II millennio a.C. ca.) e in Cina (fine del III millennio a.C.) e la sua diffusione nel corso del II millennio a.C. non ebbero riflessi diretti sull'economia agricola delle due regioni e, particolarmente per la Cina, scarse sono le evidenze archeologiche che mettono in luce sostanziali cambiamenti nello strumentario o nelle tecniche agricole. In epoca Shang (XVI sec. - 1050/1045 a.C.) fu raro l'uso del bronzo per la produzione di strumenti agricoli e, a parte alcune sporadiche evidenze dirette, come i resti di pesca (Amygdalus persica L.) e di ciliegia (Cerasus tomentosa, C. japonica, C. humilis) rinvenuti nel sito di Taixi, riferibile alla fase Shang di Erligang (1500-1300 a.C. ca.), la maggior parte delle evidenze archeologiche dalla Cina provengono dalle iscrizioni su ossa oracolari rinvenute negli "archivi" dell'ultima capitale Shang presso Anyang (1300- 1050/1045 a.C.). Tali iscrizioni non soltanto nominano diversi tipi di specie coltivate, sia arboree sia erbacee, ma offrono anche scarne informazioni sulla struttura della produzione agricola dell'epoca. Frequente è l'uso dei seguenti termini: wo tian ("i miei/nostri campi"), espressione usata dal re per indicare il possesso della terra e del territorio; pou, termine relativo alla messa a coltura di nuovi campi; xie, che indica il coltivare collettivamente un campo. Anche dal contesto in cui tali espressioni appaiono è possibile ritenere che la proprietà della terra fosse appannaggio del re. In definitiva, l'agricoltura di epoca Shang, pur basata su una vasta gamma di specie coltivate tra cui primeggiano i cereali, appare caratterizzata sia da un forte aumento della produzione, testimoniato dal numero delle citazioni riguardanti il raccolto nelle iscrizioni oracolari e dall'accresciuto volume delle fosse d'immagazzinamento (largh. 1,5-2 m, prof. 8-9 m), sia da un bagaglio strumentale ancora relativamente primitivo. È nell'organizzazione del lavoro agricolo su base collettiva, svolto sotto il controllo diretto dell'aristocrazia per mezzo dei xiaochen (i piccoli ufficiali), che si ravvisa la grande innovazione che permise la nascita e lo sviluppo della struttura statale Shang. A eccezione dell'area culturale Shang, all'incirca corrispondente alla media valle del Huanghe, estremamente lacunosi sono però i dati archeologici relativi all'agricoltura nelle altre aree culturali dell'Estremo Oriente durante il II millennio a.C. Quelli relativi al I millennio a.C. sono invece generalmente più abbondanti e testimoniano decisive innovazioni occorse nei sistemi di produzione agricola dell'Estremo Oriente e del Sud-Est asiatico. In quest'ultima regione le evidenze archeologiche legate all'economia agricola delle pianure fluviali ed estuarine diventano particolarmente eloquenti a partire dalla metà del I millennio a.C. circa. Un nuovo modello insediamentale domina, infatti, il panorama agricolo dalla Thailandia al Vietnam: l'insediamento cinto da un terrapieno e da un fossato e posto all'interno di anse, ramificazioni o confluenze fluviali. Tali siti, i cosiddetti moated sites, si configurano come centri di aggregazione demografica e di produzione agricola (Ban Chiang Hian, Tha Kae, Co Loa) incentrata sulla risaia, sull'utilizzo di strumenti agricoli forgiati in ferro, sulla canalizzazione e sull'impiego del bufalo d'acqua come animale da trazione e da trasporto. Non è più azzardato ravvisare in tali comunità "protourbane" di risicoltori il nucleo da cui si svilupparono, grazie anche ad apporti alloctoni di diverso tipo, le società complesse dei cosiddetti "regni indianizzati" del medio e tardo I millennio d.C. (Funan, Dvaravati, Khmer, Cham), che fondarono sulla produzione intensiva del riso e sull'amministrazione dei canali di irrigazione le basi della loro economia agricola. L'agricoltura cinese nell'epoca Zhou Occidentali (1050/1045 - 770 a.C. ca.) è nota sia attraverso le testimonianze letterarie, sia attraverso numerosi rinvenimenti archeologici. Quelli effettuati nel sito di Zhangjiapo, ad esempio, evidenziano come l'utensileria a disposizione dei contadini Zhou non si discostasse molto da quella dei contadini Shang; molto più frequenti sono però le lame di bronzo per vanghe che rendevano questo attrezzo da scasso molto più efficiente dei tipi in osso o in legno in uso dall'età neolitica. La principale innovazione nell'agricoltura all'inizio del I millennio a.C. è però riportata da diversi riferimenti contenuti nello Shi Jing (Libro delle Odi), che testimonia l'adozione di un semplice sistema di rotazione dei terreni basato su tre tipi di campo: campi appena dissodati (xin), campi di recente sfruttamento (zi ) e campi pienamente sfruttati (yu). Una vera e propria rivoluzione tecnologica si verificò tra il VI e il V sec. a.C. con la scoperta della fusione del ferro carburizzato per la produzione di ghisa e di acciaio; soprattutto la ghisa trovò impiego nella fabbricazione in serie di utensili agricoli a partire dal V sec. a.C. Numerose sono le testimonianze di utensili in ferro rinvenuti in siti databili all'epoca Stati Combattenti (475-221 a.C.) e molte delle macchine agricole ampiamente attestate in epoca Han fecero la loro comparsa tra il V e il III sec. a.C. All'inizio di questo periodo è infatti databile la presenza di utensili, quali zappe, vanghe, pale e asce, ma è senza dubbio l'aratro in legno con vomere in ferro l'innovazione più importante. Con ogni probabilità, si deve alla diffusione degli attrezzi in ferro un'altra importante innovazione nell'ambito delle tecniche agricole: le grandi opere di canalizzazione, finalizzate all'irrigazione e al trasporto, menzionate nelle cronache dell'epoca Stati Combattenti. È del 1974 il rinvenimento sul fondo della diga di Dujiang (Prov. di Sichuan) di una statua alta 3 m raffigurante Li Bing, il funzionario che aveva fatto costruire all'epoca della dinastia Qin (221-206 a.C.) la diga stessa. La statua, secondo gli studiosi cinesi, oltre ad avere una funzione celebrativa, serviva da misuratore del livello del Dujiang. Un'agricoltura moderna, pienamente sviluppata, è quella della Cina in epoca Han (206 a.C. - 220 d.C.), come testimoniano le fonti e i rinvenimenti archeologici. Pur mantenendosi costante la dicotomia tra il Nord, produttore di cereali coltivati a secco (miglio, orzo, grano, sorgo) e legumi, e il Sud, produttore di riso (del tipo glutinoso, a chicco lungo e a chicco corto) coltivato in vasca, affiancato da grano e orzo, i dati archeologici attestano la presenza di riso a chicco corto anche nella valle del Huanghe, a testimoniare il sofisticato livello raggiunto dalle tecniche agricole dell'epoca. Oltre ai cereali, i resti archeologici hanno documentato quasi per intero la gamma delle specie coltivate in epoca Han, come ad esempio i semi di lacrime di Giobbe (Coix lacryma-jobi ), una pianta erbacea i cui semi perlacei spesso sostituivano i cereali, semi di senape, di canapa e di malva, resti disidratati o parti del frutto (pesca, pera, giugiuba, albicocca, prugna, nocciola, melone, fragola), zucca, radici di loto e poi, elencati negli inventari dei corredi funerari, taro, igname, germogli di bambù e un'ampia varietà di specie selvatiche, che venivano per lo più raccolte per la preparazione di cibi conservati, di salse o per scopi medicinali. Il rinvenimento di centinaia di strumenti agricoli in ferro, di resti vegetali, di modellini in ceramica che raffigurano macchine agricole, peschiere, stalle, rolle, risaie, animali da cortile, fabbricati rustici e persino di contratti di affitto o compravendita di terreni ha fornito, insieme alle pitture e alle incisioni parietali a tema rurale abbondantemente presenti in sepolture dell'epoca e ai manuali di agronomia, un quadro eccezionalmente chiaro del più avanzato sistema agricolo dell'antichità, dal quale si sviluppò, a partire soprattutto dal I sec. d.C., una solida proprietà latifondistica destinata a caratterizzare fino alla metà del XX secolo l'economia agricola cinese. È del 1973 l'eccezionale rinvenimento all'interno di una sepoltura di Fenghuangshan di una serie di documenti scritti su tavolette di bambù, i "documenti del granaio del villaggio Zheng", che forniscono una diretta testimonianza degli elementi di crisi insiti nel sistema agrario della Cina antica. Verosimilmente redatti da Zhang Yan, il personaggio sepolto nella tomba stessa, un latifondista proprietario delle migliori terre del luogo ed esattore delle locali imposte, i documenti registravano non soltanto i prestiti in sementi concessi alle 25 famiglie contadine del villaggio, libere di coltivare campi a bassa resa, ma anche la consistenza della popolazione abile al lavoro agricolo in rapporto alla popolazione totale (69 su 105), la superficie totale, 617 mu (1 mu = 456 m²) e la rendita dei campi coltivati da tali famiglie. Sappiamo da altra fonte che la rendita di un campo di media qualità era all'epoca di 3-4 picul per mu (1 picul = 20 l ca.) e che il fabbisogno quotidiano di granaglie era di 5 sheng (1 sheng = 1 l ca.) a persona. Dai "documenti del granaio del villaggio Zheng" si ricava che in media ogni individuo abile al lavoro disponeva di 6 mu con una resa media annua di 18 picul, ovvero meno di un litro di cereali al giorno senza alcun surplus per le sementi e per il pagamento delle tasse, da cui la necessità dei prestiti.
Ch.F. Gorman, A Priori Models and Thai Prehistory. A Reconsideration of the Beginning of Agriculture in Southeast Asia, in Ch.A. Reed (ed.), Origins of Agriculture, The Hague 1977, pp. 322-55; C.M. Aikens - Takayasu Higuchi, Prehistory of Japan, New York 1982; Masaki Nishida, The Emergence of Food Production in Neolithic Japan, in JAnthrA, 2, 4 (1983), pp. 305-22; Z.S. Wang, Han Civilization, New Haven 1984; K.C. Chang, The Archaeology of Ancient China, New Haven - London 1986⁴; W.Y. Kim, Art and Archaeology of Ancient Korea, Seoul 1986; Ch. Higham, The Archaeology of Mainland Southeast Asia, Cambridge 1989; S.M. Nelson, The Archaeology of Korea, Cambridge 1993.
di Filippo Salviati
Il mito cinese del fondatore della dinastia Xia, Yu il Grande, impegnato in un'opera di canalizzazione delle acque dopo il "diluvio" che aveva sommerso la terra, sottolinea l'importanza svolta in Cina, come del resto nelle altre società dell'Estremo Oriente a economia sostanzialmente agricola, della irregimentazione e canalizzazione delle acque. Tuttavia, per quanto riguarda i periodi preistorici, nessun terreno coltivato e nessuna risaia sono stati indagati archeologicamente in Cina e in Corea. Per la Cina, limitate evidenze di canali, invasi d'acqua, di pozzi e di piccole dighe sono comunque venute alla luce in siti della cultura Liangzhu (3500-2000 a.C. ca.), localizzati principalmente in prossimità del delta dello Yangtze (Fiume Azzurro), nella Cina orientale. Si tratta di un'area dove lo sviluppo dell'agricoltura, così come i contatti e l'interazione culturale su piccola o grande scala, fa ritenere che l'ingegneria idraulica applicata alla costruzione di canali ‒ da utilizzarsi non solo per l'irrigazione dei campi, ma anche come vere e proprie vie fluviali di comunicazione e di spostamento ‒ fosse assai sviluppata intorno alla fine dell'età neolitica (3000-2000 a.C. ca.). Le conoscenze circa la strutturazione dei terreni coltivati e le tecniche di irrigazione per la coltivazione del riso in epoca preistorica per l'Estremo Oriente si basano attualmente sui dati offerti dagli scavi condotti in Giappone, dove sono stati riportati alla luce oltre 200 siti che hanno restituito evidenze di canali. I siti datano dal tardo periodo Jomon (500 a.C. ca.) al periodo medievale (XII-XVI sec. d.C.) e sono spesso ben conservati grazie alla protezione offerta dai depositi alluvionali dei fiumi o a quella causata da ceneri vulcaniche. Sulla base dei dati ottenuti si riconoscono due tipi principali di organizzazione del terreno agricolo e della sua irrigazione: grandi appezzamenti di terreno di circa 30 × 50 m senza suddivisioni e gruppi di piccoli appezzamenti di circa 3-4 × 6-7 m, spesso adattati all'andamento irregolare del terreno. Di un certo rilievo, anche per i riflessi sul più generale problema dell'origine e diffusione della coltivazione del riso in Giappone, sono le evidenze relative al primo periodo Yayoi (300-100 a.C.) nel quale, grazie all'introduzione di attrezzi in metallo che sostituirono gradualmente quelli precedenti in legno, gli appezzamenti coltivati vengono provvisti di più efficienti sistemi di canalizzazione, sviluppati su ampia scala. Evidenze in questo senso sono ad esempio offerte dal sito di Itatsuke (Kyushu), dove sono stati riportati alla luce risaie e relativi sistemi di canalizzazione, accostabili ‒ anche sulla base di confronti tra i reperti ceramici rinvenuti nei due siti ‒ a quelli scavati a Nabatake (Kyushu). Alla fase del primo Yayoi sono datati anche i resti di canali per il controllo delle acque venuti alla luce nel sito Mure, a Osaka, nel Giappone occidentale, così come le risaie e i relativi sistemi di canalizzazione rinvenuti a Sunazawa (Pref. Aomori). Al medio periodo Yayoi datano invece i siti Tomizawa, Miyagi e Tareyanagi (Pref. Aomori), così come quello di Toro, Shizuoka, che al momento fornisce il quadro migliore sulla coltivazione del riso in età preistorica non solo in Giappone, ma in tutta l'area dell'Asia orientale.
M.J. Hudson, From Toro to Yoshinogari. Changing Perspectives on Yayoi Period Archaeology, in G.L. Barnes (ed.), Hoabinhian, Jomon, Yayoi, Early Korean States. Bibliographic Review of Far Eastern Archaeology, Oxford 1990, pp. 63-111; G.L. Barnes, China, Korea and Japan. The Rise of Civilization in East Asia, London 1993.
di Janice Stargardt
È probabile che in molte aree del Sud-Est asiatico la tecnologia dei canali di irrigazione si sia sviluppata, a partire da alcuni tentativi sperimentali pur molto limitati, già nel Neolitico e nell'età del Bronzo. È comunque con l'inizio dell'età del Ferro che si hanno i risultati di rilievo storico più significativi. Infatti in questa fase si assiste in tutta la regione a un cambiamento sia nella dislocazione sia nelle dimensioni degli insediamenti: da piccoli siti in altura, a monte dei corsi d'acqua (talvolta in prossimità di ripari sotto roccia), si passa a insediamenti di maggiore estensione in pianura e a valle dei corsi d'acqua, dotati in qualche misura di metodi per il controllo delle acque sotto forma di canalizzazioni, canali di scolo, fossati e serbatoi. I canali di pianura sono pertanto, tra gli antichi canali di irrigazione, i più numerosi e importanti. Le acque venivano captate dai fiumi e quindi suddivise, a partire da grandi condotte, nei canali di distribuzione per mezzo di chiuse. Queste erano realizzate in materiali diversi a seconda della grandezza e della relativa provvisorietà delle opere di irrigazione: si andava dalla pietra sbozzata ai ciottoli posti entro gabbie o ceste di bambù, dalle piccole palizzate in legname ai semplici banchi di fango o di sabbia. È evidente che più i materiali erano leggeri, maggiore era il lavoro necessario alla manutenzione e ai rifacimenti. In generale, le chiuse erano basse, ma estese in larghezza in modo da contrastare il debordare delle acque durante le piene ed evitare che per via di un accumulo eccessivo, acquistassero una forza devastatrice in caso di cedimenti delle chiuse stesse o di tracimazioni. Saracinesche e canali di sicurezza erano caratteristiche tecniche applicate regolarmente alle principali chiuse della Birmania. Diversi sistemi per il controllo del flusso e per la misurazione del volume delle acque, applicati ai punti principali di diramazione, consentivano di regolare la distribuzione dell'acqua per l'irrigazione; nell'area in questione si possedeva inoltre una considerevole esperienza nella sorveglianza e nella manutenzione di tali sistemi, per lo più operanti a gravità. In Birmania e a Bali, nel contesto della vita rurale dei villaggi, esistevano organismi altamente specializzati nelle tecniche di irrigazione (ben distinti peraltro dalle stesse comunità dei singoli villaggi), con tanto di ufficiali eletti e preposti al controllo delle questioni relative all'irrigazione, compresa l'eventuale opera di mediazione nelle dispute tra tali organismi. Le reti degli antichi canali di irrigazione sono sorprendentemente rimaste in opera, in parte o per intero, fino ai nostri giorni in un elevatissimo numero di casi. La prima realizzazione di canali di irrigazione nella Zona Arida della Birmania risale alle antiche popolazioni Pyu, intorno al 500 a.C. Le tecnologie per l'irrigazione vennero poi mantenute dai successori, i Birmani, e in molti casi, quali quelli relativi alle valli dei fiumi Yin e Nawin e allo Kyaukse, gli antichi sistemi di irrigazione sono tuttora parzialmente in uso presso le società in cui l'irrigazione stessa è appannaggio dei villaggi. A Shrikshetra, la maggiore delle città reali Pyu della Birmania, tra il IV e il VI sec. d.C. venne realizzato un imponente sistema di canali. I canali di irrigazione, che avevano origine da diverse fonti esterne alla città (ad es., canali di raccolta e canali per la deviazione delle acque fluviali), venivano indirizzati in modo da formare fossati concentrici intorno alla città, così da poter garantire sia un efficace controllo durante le stagioni in cui maggiore era il flusso e la pressione delle acque, sia il miglior sfruttamento dei periodi in cui, al contrario, il flusso idrico era scarso. I canali potevano dunque servire all'irrigazione sia delle aree entro le mura sia di quelle esterne. Il loro particolare orientamento inoltre disegnava all'interno dello spazio urbano la forma di un simbolo sacro, il Dharmacakra, la Ruota della Legge buddhista, che rendeva la città simile a un microcosmo in cui veniva riflesso l'equilibrio sacro implicito nell'armonia universale. Al contempo, i canali svolgevano funzioni di alta utilità pratica irrigando estesi tratti di terra coltivata nei settori settentrionale e orientale della città, entro e fuori le mura, nonché costituendo validi sistemi di difesa. L'area che comprende la Thailandia nord-orientale, la Cambogia e il Vietnam meridionale era occupata nel XIV sec. d.C. dalle popolazioni Mon e Khmer. In essa appare evidente il notevole contributo fornito all'antico sistema di canali di irrigazione da alcuni corsi d'acqua minori: i fiumi Mun e Chi in Thailandia nord-orientale, sfruttati a partire almeno dal VI sec. a.C. in poi; i piccoli fiumi della pianura di Angkor, utilizzati a partire almeno dalla metà del I millennio a.C.; i canali di deviazione del fiume Bassac, che furono probabilmente in uso a cavallo tra gli ultimi secoli a.C. e i primi secoli dell'era volgare. La datazione relativa all'insediamento principale della pianura di Bassac, Oc Eo, fissata tra il II e il VI sec. d.C. sulla base del rinvenimento di monete romane di tale epoca, può in effetti restringersi a un periodo compreso tra il IV e il VI sec. d.C. La rete di canali della pianura costiera è pur sempre ragguardevole per dimensioni e rappresenta un caso eccezionale per il Sud-Est asiatico in quanto include anche canali navigabili. Nella Thailandia sud-orientale, cioè nel territorio che costituisce il nucleo della civiltà Satingpra, a partire dal IV sec. d.C., le particolari condizioni microclimatiche di insolita aridità vennero modificate dalla realizzazione di una fitta rete di canali di irrigazione in pianura. In un momento successivo, vale a dire a partire dal VI sec. d.C. circa, questo sistema venne integrato con una rete di canali di navigazione che interagivano con quelli di irrigazione.
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