La domesticazione delle piante e l'agricoltura: Europa preistorica e protostorica
L'agricoltura non è un fenomeno autoctono in Europa. Già sul finire dell'Ottocento e agli inizi del Novecento, botanici come A. De Candolle e storici come V. Hehn dimostrarono con diverse argomentazioni la provenienza dall'Oriente delle più antiche forme di piante e di animali domestici, mentre nel periodo a cavallo fra le due guerre mondiali il genetista N.I. Vavilov giunse a individuare otto centri di origine della domesticazione delle piante nel mondo, fra cui il Vicino Oriente. Gli studi recenti, pur ponendo in evidenza una maggiore complessità del problema, si sono mantenuti sulla stessa linea, sottolineando come l'Europa sia debitrice nei confronti del Vicino Oriente dell'introduzione delle prime piante coltivate. I cambiamenti culturali, socioeconomici e demografici provocati dall'agricoltura si riflettono in trasformazioni delle tipologie insediative e nella comparsa di nuove attrezzature e di manufatti, alcuni dei quali possono essere posti in relazione con i processi di coltivazione, di trasformazione e di conservazione del raccolto, compreso l'insilaggio in tutte le sue numerose varianti. Altre modifiche riguardano la morfologia del suolo, come l'erosione susseguente alla deforestazione, le tracce di aratura, l'edificazione di muretti, di canalette e di altre forme di movimenti di terra. In Europa un mutamento significativo di forma di vita e sussistenza ebbe inizio con il Mesolitico, in concomitanza con i cambiamenti terminali del clima dopo la glaciazione di Würm. Le variazioni climatiche che ci interessano possono così essere riassunte: nell'ambito del miglioramento climatico dell'Olocene si ebbe un breve raffreddamento intorno a 8000 anni fa, seguito da un riscaldamento, e poi, intorno a 4000 anni fa, da un'inversione di rotta che segnò una fase di progressivo raffreddamento, interrotta fra 2000 e 1000 anni fa.
Una delle due correnti principali di diffusione delle piante coltivate si diresse verso il Mediterraneo. Qual era l'assetto della vegetazione in quest'area prima, durante e dopo la diffusione dell'economia agricola del Neolitico antico? Ricerche sui pollini e sui carboni in Italia hanno dimostrato l'esistenza di un quadro vegetazionale diverso da quello attuale. Nelle regioni meridionali dominavano la foresta a macchia sempreverde di tipo mediterraneo lungo i litorali e le foreste miste con abbondanti caducifoglie già a poca distanza dal mare: il ripetersi e l'intensificarsi dell'agricoltura ridussero la capacità rigenerativa delle formazioni a querce caducifoglie, dando come risposta terminale verso l'età dei metalli l'espansione dei querceti sempreverdi o delle leccete. Anche in Liguria l'azione antropica si esplicò attraverso la regressione del querceto a foglie caduche a vantaggio del leccio e della carpinella. Nella zona prealpina della Pianura Padana, a Bedrina (Canton Ticino, Svizzera), vi sono tracce di probabili interventi antropici, mediante il fuoco, circa 9400 anni fa. Indizi certi di antropizzazione legata a occupazione agricola provengono invece molto più tardi dal Lago di Ganna e da quello di Biandronno (Varese), dove si hanno indicazioni di disboscamento intorno a 5400 anni fa, con comparsa di pollini di piante coltivate, malerbe dei campi, piante indicatrici di pascoli e ruderali in genere. Alle comunità mesolitiche si possono riferire poche tracce di elementi di sussistenza. Le più importanti, provenienti dalla Grotta dell'Uzzo (Trapani), sono datate a 10.070 anni fa e testimoniano la raccolta di piante selvatiche: corbezzolo, Leguminose spontanee (Lathyrus, Pisum), ghiande di quercia, vite selvatica e olive dell'oleastro (ulivo selvatico). Al Nord, invece, dai numerosi siti mesolitici provengono solo gusci di nocciole (Corylus avellana), spesso tuttavia in notevoli quantità. Le nostre conoscenze sull'origine dell'agricoltura in Italia e nel bacino del Mediterraneo sono inquadrate in due distinti modelli: quello della diffusione in seguito a origine extraeuropea dell'economia di produzione e quello dello sviluppo locale attraverso acculturazione. J. Lewthwaite ha proposto un primo stadio di disponibilità riconoscibile nel Nord della penisola, corrispondente alla permanenza di gruppi umani del Mesolitico recente nell'economia di caccia-raccolta, pur essendo a loro disposizione le conoscenze delle pratiche agricole utilizzate dalle popolazioni neolitiche della ceramica impressa. In oltre una ventina di siti del Neolitico antico dell'Italia meridionale, fra cui quelli pugliesi di Coppa Nevigata, Torre Canne, Passo di Corvo, Rendina, ecc., appare evidente l'alto grado di evoluzione dell'agricoltura, riconducibile pertanto al modello di origine per diffusione. Alla Grotta dell'Uzzo, in corrispondenza della data 7910 anni fa, comparabile a quella della Grotta di Franchthi in Grecia, si verifica il passaggio verso l'economia agricola, con presenza di farro piccolo, farro, orzo, Lathyrus sp. e lenticchia. Mancano il frumento comune e il duro (Triticum aestivum e durum), che compaiono tuttavia in 7 su 20 dei siti neolitici centro-meridionali anteriori a 6500 anni fa, una percentuale elevata, tenuto conto che i frumenti nudi sono in generale sottorappresentati nei resti macroscopici. L'elenco completo delle piante coltivate di questo periodo comprende pertanto quattro o cinque specie di frumento (farro piccolo, farro, frumento duro e forse Triticum spelta), due specie di orzo (distico e volgare a più file) e diverse Leguminose (lenticchia, fava, veccia, Lathyrus e pisello). Inoltre, sono numerose le piante alimentari spontanee, alcune delle quali forse oggetto di cure colturali, come il corbezzolo, il nocciolo, il fico, l'ulivo e la vite. In Italia centrale la documentazione è più scarsa, ma nei siti di Catignano (Pescara) e Pienza (Siena) si hanno associazioni tipicamente "neolitiche" di farro piccolo, farro, frumento comune (Triticum aestivum-compactum), orzo a più file (Hordeum vulgare) e orzo distico (Hordeum distichum). In Italia settentrionale le raccolte sono meno abbondanti: a Travo (Piacenza), a Vhò di Piadena (Cremona), a Sammardenchia (Udine) e in altri luoghi si trovano farro piccolo, farro, frumento comune, orzo a più file e orzo distico, molto spesso accompagnati da grandi quantità di gusci di nocciole. La presenza del nocciolo può attestare l'esistenza di campi a riposo, nei quali questa specie poteva essere utilizzata come siepe o comunque per produrre, mediante pollonatura, rami da usare per gli intrecci delle pareti delle abitazioni. Complessivamente, dunque, lo spettro delle piante coltivate in Italia settentrionale lascia intuire un collegamento con l'Italia centro-meridionale o al più con i Balcani, piuttosto che con l'Europa centrale. La situazione sin qui descritta non sembra si modifichi molto, forse anche per la povertà di dati, nel Neolitico medio e superiore, che dovrebbe rappresentare il momento di consolidamento dell'economia agricola: è da segnalare la comparsa del papavero (Papaver somniferum) nel Neolitico superiore a La Lagozza (Varese), specie d'altronde già comparsa nel Neolitico inferiore ad Anguillara Sabazia (Roma), con una forma intermedia tra quella spontanea e quella coltivata. Nell'età del Rame fece la sua comparsa in Italia, per la prima volta a Monte Covolo (Brescia), il miglio (Panicum miliaceum), graminacea che proviene dai paesi dell'Europa centroorientale, dove era già presente dal Neolitico, e che da quel momento divenne frequente in tutta la penisola; il miglio si accompagna talvolta al panico (Setaria italica). Un altro elemento di novità è l'importanza che sembra acquistare la coltivazione dell'orzo rispetto a quella di altri cereali. I frumenti vestiti, farro e talvolta farro piccolo, sembrano prevalere su quelli nudi anche nei siti umidi della cultura di Polada, come nella palafitta di Fiavè-Carera (Trento), dove sono inoltre presenti la spelta, un frumento comune o duro, il miglio e il pisello. Grazie alle particolari condizioni di conservazione proprie dei siti umidi è stata qui recuperata una lista di piante, tra cui il corniolo (Cornus mas), che sino all'età del Ferro, e non solo in Italia, ebbe enorme diffusione evidentemente sottoposto, se non a una vera coltivazione, certamente a cure particolari. Nella lista delle piante che compaiono per la prima volta nell'Italia settentrionale, ma che erano già ampiamente diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, c'è da ricordare il fico (Ficus carica), presente ad esempio a Fiavè-Carera, a Lazise (Verona) e, nel Bronzo Medio e Tardo, all'Isolone del Mincio (Mantova). Fra le Leguminose venne progressivamente introdotta la coltura della fava e anche quella dei veccioli acquistò una posizione di rilievo. La fava esige maggiore irrigazione e concimazione; inoltre assicura la rifertilizzazione naturale che consente un migliore sfruttamento del terreno. Senza dubbio l'introduzione dell'aratro (si pensi, ad es., all'aratro del Lavagnone, presso Brescia, databile al Bronzo Antico) permise l'utilizzo di terreni prima ritenuti non idonei. La diffusione dei più rustici frumenti vestiti potrebbe riflettere questa attitudine a colonizzare terreni mai prima dissodati. Va anche precisato che il farro piccolo continuò a essere presente quasi costantemente e che tale rimase anche in epoca romana, sia pure con un ruolo di subordine, più spesso in percentuali minime e quasi sempre come specie infestante. Ampia diffusione ebbe anche la vite silvestre come frutto di raccolta; di rilievo, poi, il ritrovamento al Riparo Gaban (Trento), datato al Bronzo Antico, di vinaccioli morfologicamente simili a quelli della vite coltivata. Sia l'età del Bronzo che quella del Ferro non sono particolarmente ben documentate in Italia meridionale. Con l'età del Ferro non si introdussero sostanziali cambiamenti: ad esempio, nel sito etrusco di Forcello (Mantova), nel V sec. a.C., in presenza di un'economia almeno in parte mercantile comparvero il farro e il farro piccolo, insieme a frumento tenero, orzo, fava, lenticchia e pisello. Senza dubbio in questo periodo si diffuse la coltivazione della vite e dell'ulivo, le cui forme selvatiche corrispondenti erano già presenti da tempo, come ricordato: comunque una storia esauriente della viticoltura e dell'olivicoltura nella pre- protostoria in Italia deve ancora essere messa a punto. Fra le altre piante fruttifere un ruolo particolare ebbero il noce e il castagno; quest'ultimo (Castanea sativa) prima dell'età romana imperiale è segnalato, come carbone, in cinque siti e con una certa consistenza solo in Piemonte (Belmonte, per il Bronzo Finale, e Montaldo di Mondovì, per l'età del Ferro); manca nella stragrande maggioranza dei siti dell'età dei metalli e in particolare del Ferro. Senza approfondire ulteriormente il tema per ciò che riguarda gli innumerevoli dati pollinici, si ricorda che i ritrovamenti più antichi di carboni in età storica sono quelli di Angera (Varese), datato alla prima metà del I sec. d.C., e di Filattiera (La Spezia), alla fine del I sec. d.C. L'introduzione massiccia del castagno per frutto e legname va datata probabilmente al primo secolo dell'era volgare e la sua massima diffusione risale ai secoli V e VI d.C.
Nella Francia meridionale si hanno tracce di una possibile protoagricoltura nei siti d'occupazione epipaleolitica e mesolitica delle grotte L'Abeurador (Hérault) e Fontbrégoua (Var), da cui provengono lenticchie, piselli, Cicer, Lathyrus cicera, vecce, ghiande di quercia, nocciole e vinaccioli di vite. Alcuni semi presentano dimensioni tali da far supporre una protezione dei vegetali attuata eliminando le specie competitrici. È una situazione che presenta analogie con quella delle grotte dell'Uzzo in Italia e di Franchthi in Grecia e che tuttavia esclude ogni apporto di specie vegetali dall'esterno. L'agricoltura piena comparve, portata dalla corrente di diffusione che dal Vicino Oriente si diresse verso il Mediterraneo, con la Ceramica Cardiale intorno all'inizio del VII millennio a.C. Si coltivavano frumento comune e orzo nudo, mentre farro piccolo e farro comparvero più tardi, nella fase cosiddetta "epicardiale"; la scarsità di Leguminose indica una frattura con la tradizione del Mesolitico. Nella fase successiva del Neolitico, corrispondente alla cultura chasseana, si hanno documentazioni da grotte in cui si sono conservati residui agrari di orzo vestito e di fava, con molte piante spontanee commestibili. A Baume de Gonvillars (Haute-Saône) si ha la prova della prima introduzione in Francia del frumento spelta e nelle stazioni lacustri (Lago di Clairvaux) si possono individuare specie non palesemente presenti in altri siti, come il lino e il papavero. Nell'età del Bronzo si verificarono notevoli cambiamenti in agricoltura, innanzitutto con una più estesa semina dell'orzo vestito a spese del frumento comune, situazione generalizzata in Europa che durò sino all'età romana. Insieme all'orzo mantenne una buona posizione il farro e si consolidarono i migli, ossia il miglio e il panico, mentre il corniolo fu costantemente presente sino alla seconda età del Ferro. Anche in Francia i cereali vestiti sembrano indicare la messa a coltura di terre sino ad allora rimaste incolte. L'ulivo comparve in Francia continentale ancora come ulivo selvatico nel Bronzo Antico, ma l'olivicoltura venne adottata nel corso dell'età del Ferro insieme alla viticoltura, sotto l'influenza della colonizzazione greca della costa mediterranea. In Spagna la Cova de l'Or (Alicante), sulla costa mediterranea meridionale, è il sito più famoso per le tracce di agricoltura del Neolitico a Ceramica Cardiale (4560-4365 a.C.), con farro piccolo, farro, frumento comune, orzo vestito e nudo. Nel Neolitico medio la composizione dei cereali sembra rimanere la stessa, mentre si registra un aumento delle Leguminose, come a Cueva de Toro (Antequera). I cereali del Calcolitico iberico sono l'orzo e il frumento duro (adatto ai climi semiaridi del Mediterraneo); ma gli agricoltori di quel periodo seminavano anche il frumento tenero, la fava e consumavano i pinoli del pino domestico (Pinus pinea). La coltivazione del fico sembra indicata dalla contestuale comparsa di frutticini e di carboni nell'età del Bronzo a Fuente Alamo (Almería), nello stesso momento in cui ebbe luogo la diffusione di questo albero fruttifero in Italia settentrionale. Nell'età del Ferro il frumento comune prevalse nel settore meridionale della Spagna e il farro in quello settentrionale, mentre la vite e l'ulivo, presenti con forme spontanee sin dalla primissima preistoria, vennero messi a coltura solo con l'arrivo dei coloni fenici fra la seconda metà dell'VIII e il VII sec. a.C.
Come si è già accennato, una seconda corrente di diffusione dell'agricoltura in Europa a partire dal Vicino Oriente è quella diretta a nord, attraverso i Balcani e i territori dell'Europa orientale. In Grecia la Grotta di Franchthi offre un quadro dettagliato della preagricoltura fra 13.000 e 11.000 a.C. (in anni radiocarbonici calibrati): le popolazioni epipaleolitiche cominciarono lo sfruttamento di cereali spontanei (avena e orzo), di legumi e di frutti selvatici come il mandorlo, il pistacchio, la vite, ecc. Lo studio dei siti preceramici dell'Europa sud-orientale, fra VII e VI millennio a.C., come Achilleion, Sesklo e Argissa Magoula, rivela il passaggio all'agricoltura con la coltivazione di orzo, farro e farro piccolo, lenticchia, pisello e veccioli, accompagnati dai tipici frutti spontanei del Mediterraneo, fra cui il fico. Nel Neolitico antico vennero seminati anche i frumenti teneri e/o duri, il lino, pianta a un tempo oleifera e tessile, e una leguminosa, la cicerchia (Lathyrus sativus). Un'altra leguminosa ben più importante, la fava (Vicia faba), comparve sul finire del Neolitico. Nell'età del Bronzo non vi furono grandi cambiamenti nella cerealicoltura, mentre specie fruttifere prima spontanee, come vite, pistacchio, fico e mandorlo, vennero regolarmente coltivate. L'olivicoltura si diffuse nel periodo miceneo, fra il 1600 e il 1000 a.C.; circa nello stesso periodo avvenne nella Grecia centrale una vera rivoluzione cerealicola: il frumento comune divenne il protagonista assoluto, con indubbi riflessi sulla cultura alimentare, data la particolare attitudine alla panificazione di questo cereale. Più a nord, in Bulgaria e nel resto dell'area balcanica occidentale, il quadro agricolo sottolinea l'esistenza di campi di cereali con abbondante farro piccolo e miglio, che rappresentano quasi certamente la base dell'alimentazione, accompagnati da colture di Leguminose e di piante oleifere (papavero e camelina, Camelina sativa). Per l'età del Ferro va segnalata la comparsa dell'avena e la diffusione incipiente della segale (Secale cereale), due graminacee che acquistarono più tardi un rilievo particolare nei paesi del Nord dell'Europa. Le regioni e i paesi dell'Europa orientale presentano, a grandi linee, una stessa storia agricolturale che può così essere rapidamente sintetizzata. Nel Neolitico antico prevalsero i frumenti vestiti, cioè farro piccolo e farro, insieme all'orzo vestito, con pisello e lenticchia, mentre nel Neolitico recente comparvero frumento comune, spelta, orzo nudo e miglio. Nell'età del Bronzo anche in quest'area acquistò importanza la fava e si intensificò la coltura dell'orzo. Nell'età del Ferro si assistette al declino del farro, all'incremento del miglio, alla comparsa di segale e di avena e alla diffusione della canapa come pianta tessile. In particolare va rilevato l'utilizzo, nel Neolitico antico della Romania (culture di Starčevo-Criş e di Vinča), del farro spontaneo (Triticum dicoccoides). Inoltre, in Polonia e in Ucraina sin dal Neolitico (fase della Ceramica a Bande o Bandkeramik) è presente il panico, così da far supporre che l'Europa orientale rappresenti una tappa intermedia per la diffusione sul resto del continente di questo cereale minore d'origine asiatica. Infine, per l'età dei metalli, c'è da sottolineare la netta distinzione fra Slovacchia, dove prevale la spelta, e Boemia-Moravia, dove manca la spelta e domina il frumento comune accompagnato da farro e orzo. Nei territori della Moldavia, Ucraina, Crimea e Transcaucasia sono stati analizzati centinaia di siti con resti botanici: si può tentare di riassumere l'ampia messe di dati rimarcando innanzitutto la differenza fra le aree a ovest e a nord del Mar Nero e quelle a est. Le prime, avendo clima più arido, hanno favorito la diffusione dei frumenti vestiti; le seconde, essendo più umide, si sono rivelate più adatte alla coltura del frumento comune nudo. In Transcaucasia e nel Caucaso le forti differenze ecologiche fra zona e zona hanno favorito la differenziazione di specie endemiche di frumento che sembrano comparire fra l'Eneolitico e l'età del Bronzo, divenendo rapidamente frequenti, come il Triticum macha.
Durante il Neolitico nel territorio dell'attuale Svizzera si possono distinguere due regioni con tipi nettamente distinti di agricoltura: una a ovest, caratterizzata da un frumento comune non meglio identificato, il cosiddetto "frumento piccolo delle palafitte", e da orzo comune e papavero coltivato; l'altra a est, in cui si coltivavano il farro e il farro piccolo. Il grano delle palafitte potrebbe anche essere un frumento tetraploide, il Triticum durum o il Triticum turgidum, e comunque sia è chiaro indizio di un influsso mediterraneo sull'agricoltura immediatamente a nord delle Alpi; da tali contatti deriva anche la presenza del papavero e di diverse piante erbacee mediterranee. In quest'area, nell'età del Bronzo, si riconoscono alcuni cambiamenti: a ovest scompare il frumento delle palafitte, sostituito dalla spelta; a est acquista importanza l'orzo e comincia ad apparire la segale, in sintonia con quanto stava accadendo nell'Europa orientale. Infine, nella prima età del Ferro si diffondono i migli e le Leguminose, in particolare fava, pisello e lenticchia. Più a nord, la zona centro-settentrionale della Germania ha la prerogativa di essere stata oggetto di un immenso lavoro paletnobotanico che ha riguardato nell'ultimo ventennio oltre trecento siti archeologici. Dai dati raccolti scaturisce un quadro chiaro e dettagliato. Nel Neolitico antico, nella fase con Ceramica a Bande, le piante coltivate fondamentali sono cinque: farro piccolo, farro, lino, pisello e lenticchia. Tipica è anche la presenza, in quantità rilevanti, del Bromus secalinus, una graminacea infestante che doveva essere consumata insieme ai cereali. I due frumenti, farro piccolo e farro, si ritrovano in costante associazione, perché evidentemente non venivano mai seminati separatamente. Vi sono naturalmente alcune varianti: ad esempio nella Germania meridionale, in Baviera, ma anche in Renania, manca l'orzo, presente invece in quella centrale; inoltre, fatto abbastanza insolito, il farro piccolo è più abbondante del farro. L'orzo venne coltivato invece in Renania sul finire del Neolitico antico nella varietà orzo nudo, la cui coltivazione si intensificò nell'età del Bronzo, periodo in cui comparve, come un po' ovunque in Europa, anche il miglio. In genere l'orzo divenne il cereale tipico dell'Europa centrosettentrionale, mano a mano che si procede verso nord e verso est; tale situazione si fece ancora più evidente nell'età del Ferro, quando l'orzo divenne il cereale principale, come a Boanborg/Oldendorf. In qualche sito, come Archsum/Silt, i soli cereali coltivati sono l'orzo nudo e l'orzo vestito. Più a occidente, in Olanda, nel Neolitico antico con Ceramica a Bande è documentata un'agricoltura quasi identica a quella della Renania, con lino, pisello, lenticchia e due soli cereali, farro piccolo e farro, con la differenza che il farro veniva spesso seminato da solo e il papavero era sempre assente. L'orzo, nella varietà nuda, veniva coltivato nelle aree marginali di diffusione della Bandkeramik, in Francia e in Belgio. A Baume de Gonvillars (Haute-Saône) è stato effettuato un ritrovamento singolare, e cioè un complesso con farro (50%), orzo (25%) e frumento comune (meno del 25%): Gonvillars potrebbe rappresentare il punto di contatto fra la tradizione centro-europea e il Neolitico mediterraneo. In effetti, sotto l'influsso del Neolitico del Sud della Francia, nella susseguente cultura di Rössen prevale il frumento comune accompagnato da orzo nudo.
Per queste aree non si conoscono sinora tracce di macrofossili vegetali legati all'attività antropica nel corso del Mesolitico; solo in Gran Bretagna si hanno segnalazioni di piante che potevano essere usate per l'alimentazione umana, come pere e mele selvatiche, nocciole, prugnoli, bacche di biancospino, ecc. In Danimarca, a Stengade, nel Neolitico, intorno al IVIII millennio a.C., erano arrivati il frumento comune, il farro, il farro piccolo e soprattutto il cereale tipico della preistoria del Nord, cioè l'orzo nudo. Lo stesso cereale comparve in Norvegia a Rugland intorno al 2000 a.C. e in Finlandia a Niuskula verso il 1200 a.C.; in Svezia invece venivano usati sia il farro che il farro piccolo. Nell'età del Bronzo e in quella del Ferro continuò il predominio dell'orzo, ma vennero importati e coltivati anche la spelta, il miglio e la veccia. Nel Neolitico della Gran Bretagna i cereali principali erano il farro, il frumento comune e l'orzo nudo; di minor peso il monococco. Ma più a nord, ad esempio a Skara Brae, venne coltivato solo l'orzo nudo, che evidentemente è il cereale più adatto al clima nordico. Lo spettro cerealicolo dell'Islanda è del tutto simile. Sorprendentemente, per il Neolitico non ci sono informazioni su altre piante coltivate, come pisello e fava. Sembra assodato che una parte dell'economia venisse attuata mediante la raccolta: si trovano infatti resti di piante selvatiche, come melo, nocciolo e prugnolo, che spesso sono più abbondanti dei resti dei cereali, così da far pensare a un'agricoltura non completamente sviluppata. Una frattura si creò con l'età del Bronzo e anche l'agricoltura appare in contrasto con le vecchie tradizioni indigene: tipiche piante colturali divennero il farro, la spelta e l'orzo vestito, mentre i legumi risultano scarsi (la fava è stata trovata a Black Patch, Eastbourne/Essex) e il panico, molto diffuso in questo periodo sul continente, manca del tutto. Il dato più significativo è comunque l'apparente scomparsa dalle colture del frumento comune e dell'orzo nudo, prima dominanti. Invece rimasero ancorate alla tradizione neolitica l'Irlanda, dove si seguitò a coltivare orzo nudo, e la Scozia settentrionale (sito di Upper Suisgill, nel Sutherland), dove insieme all'orzo si seminò una limitata quantità di frumento e di avena, perseverando nella raccolta di specie spontanee, in particolare del nocciolo. Nell'età del Ferro il cambiamento più vistoso sembra essere stato l'aumento di spelta, anche se il fenomeno avvenne in modo piuttosto irregolare. In definitiva, mentre sul continente si avvicendarono numerosi tipi di cereali, dal panico alla setaria, alla segale, all'avena, i ritrovamenti in Gran Bretagna offrono come variante rari e piccoli quantitativi di segale e di avena.
V. Hehn, Kulturpflanzen und Haustiere in ihrem Übergang aus Asien nach Griechenland und Italien sowie in das übrige Europa, Berlin 1911; C.C. Bakels, Four Linearbandkeramik Settlements and their Environment. A Paleoecological Study of Sittard, Stein Elsoo and Hienheim, Leiden 1978; J.M. Renfrew, The First Farmer in South East Europe, in U. Körber Grohmne (ed.), Festschrift M. Hopf, in Archaeo-Physika, 8 (1979), pp. 243-65; W. van Zeist, Some Aspects of Early Neolithic Plant Husbandry in the Near East, in Anatolica, 15 (1986), pp. 49-67; L. Castelletti et al., Sussistenza, economia ed ambiente nel Neolitico dell'Italia Settentrionale, in Atti della XXVI Riunione Scientifica dell'IIPP, Firenze 1987, pp. 103-18; J. Lewthwaite, Three Steps to Leaven: applicazione del modello di disponibilità al Neolitico italiano, ibid., pp. 89-102; H. Kroll, Vor- und Frügeschichtlicher Ackerbau in Archsum auf Sylt. Eine botanische Grossrestanalyse, in RGF, 44 (1987), pp. 51-158; M. Follieri - L. Castelletti, Palaeobotanical Research in Italy, in Il Quaternario, 1 (1988), pp. 37-41; K.H. Knörzer, Untersuchungen der Früchte und Samen, in U. Boelicke et al., Der bandkeramische Siedlungsplatz Langweiler 8, Köln 1988, pp. 813- 52; D. Zohary - M. Hopf, Domestication of Plants in the Old World, Oxford 1988; S. Jacomet - C. Brombacher - M. Dick, Archäobotanik am Zürichsee. Ackerbau, Sammelwirtschaft und Umwelt von neolitischen und bronzezeitlichen Seeufersiedlungen im Raum Zürich, Zürich 1989; R. Drescher- Schneider, L'influsso umano sulla vegetazione neolitica nel territorio di Varese dedotto dai diagrammi pollinici, in P. Biagi (ed.), The Neolithisation of the Alpine Region, Brescia 1990, pp. 91-97; L. Costantini, Origen i difusiò de l'agricultura a la Itàlia Meridional, in Cota Zero, 7 (1991), pp. 103-14; J.R.A. Greig, The British Isles, in W. van Zeist - K. Wasylikowa - K.E. Behre (edd.), Progress in Old World Palaeoethnobotany, Rotterdam - Brookfield 1991, pp. 299-334; J.M. Hansen, The Palaeoethnobotany of the Franchthi Cave, Bloomington - Indianapolis 1991; M. Hopf, South and Southwest Europe, in J. Guilaine (ed.), Pour une archéologie agraire, Paris 1991, pp. 241-77; H.A. Jensen, The Nordic Countries, ibid., pp. 335- 50; N.F. Miller, The Near East, ibid., pp. 133-60; M.P. Ruas - Ph. Marinval, Alimentation végétale et agriculture d'après les semences archéologiques (de 9000 av. J.-C. au XVe siècle), ibid., pp. 409-39; K. Wasylikowa et al., East- Central Europe, ibid., pp. 207-39.