La domesticazione delle piante e l'agricoltura: Oceania
I dati emersi dalle ricerche condotte in vari campi di indagine (archeologico, paleobotanico, paleolinguistico, etnostorico) sottolineano il ruolo cruciale della coltivazione orticola e dell'arboricoltura nell'evoluzione delle comunità preistoriche dell'Oceania. Testimonianze indirette di considerevole antichità provengono dagli ambienti umidi delle valli intermontane di Papua Nuova Guinea, dove fenomeni climatici (escursioni termiche contenute, tassi di umidità relativamente alti) e pedogenetici (formazione di suoli vulcanici) offrirono sin dagli inizi del periodo olocenico un habitat ideale per lo sviluppo dell'orticoltura. Negli acquitrini di Kuk (valle di Wahgi, Altopiani Occidentali) è stato riportato alla luce un sistema di canalizzazioni per il drenaggio dei terreni. L'utilizzo di queste aree, iniziato circa 9000 anni fa e proseguito a fasi alterne fino quasi ai giorni nostri, è probabilmente riferibile alla coltivazione del taro (Colocasia), degli ignami (Dioscorea spp.), della canna da zucchero (Saccharum officinarum), del banano (Australimusa) e, in epoche più recenti, della patata dolce (Ipomoea batatas). Gli ambienti costieri e i bassopiani equatoriali di Papua Nuova Guinea favorirono, più che nelle zone di altura, lo sviluppo dell'arboricoltura di banano, sago (Metroxylon spp.), albero del pane (Artocarpus altilis), cocco (Cocos nucifera) e forme di coltivazione estensiva (debbio) dei tuberi, documentate a partire da circa 6000 anni fa. I sistemi di irrigazione osservati negli altopiani papuani costituiscono, tuttavia, il risultato finale di un graduale processo di apprendimento delle tecniche di manipolazione dei vegetali commestibili. I paleobotanici ritengono possibile la domesticazione locale di varie piante (Colocasia, Cyrtosperma, Alocasia, Metroxylon, Australimusa, Canarium, Saccharum officinarum), lo sfruttamento di alcune delle quali risale agli ultimi millenni del Pleistocene. Vale la pena ricordare a questo proposito i rinvenimenti, effettuati in siti del Pleistocene finale e dell'Olocene iniziale nell'Arcipelago di Bismarck e nelle Isole Salomone, di frutti di Canarium spp., una pianta arborea che potrebbe essere stata trasferita intenzionalmente in queste isole dalla Nuova Guinea, dove è ampiamente diffusa allo stato spontaneo. Sulla base di tali indizi, è lecito presumere che forme di riproduzione controllata di vegetali fossero già praticate nell'estremo lembo occidentale della Melanesia (Near Oceania) prima dell'arrivo dei gruppi austronesiani Lapita (1600 a.C. ca.). Nonostante i probabili contatti con gli orticoltori papuani, le comunità aborigene dell'Australia non sembrano avere sviluppato modelli agricoli di sussistenza. Presso alcuni gruppi delle regioni tropicali sono state documentate tecniche di semi-coltivazione dell'igname (Dioscorea transversa), in cui la parte superiore del tubero era lasciata sul viticcio per consentirne la ricrescita nella stagione successiva. Recenti studi, rifiutando la dicotomia tradizionale tra cacciatori-raccoglitori aborigeni e cacciatori-orticoltori papuani, hanno piuttosto messo in risalto le analogie che accomunerebbero sul piano sociale ed economico tali gruppi. La mancata adozione dell'orticoltura da parte delle comunità australiane potrebbe rispondere ad una scelta adattativa tendente a non modificare le strategie di reperimento del cibo e a non incrementare il lavoro richiesto per il fabbisogno alimentare. Merita attenzione, ad ogni modo, l'ipotesi avanzata da M. Spriggs, per il quale la presenza dell'igname nella dieta aborigena potrebbe costituire una sopravvivenza di antiche forme di orticoltura. La colonizzazione Lapita (1600-1100 a.C. ca.) delle isole melanesiane e degli arcipelaghi della Polinesia occidentale coincise con la diffusione e la piena affermazione delle pratiche agricole. I depositi saturi di acqua di siti come Talepakemalai (Mussau) e Apalo (Arawe), nell'Arcipelago di Bismarck, hanno restituito migliaia di baccelli, endocarpi, sincarpi di frutti e semi commestibili (Inocarpus fagiferus, Canarium indicum, Pandanus spp., Cocos nucifera, Spondias dulcis, Cycas circinalis, Pangium edule); si lamenta tuttavia l'assenza di residui di tuberi o di altri vegetali rilevanti per l'alimentazione, come il sago e la banana, da attribuire verosimilmente a difficoltà di conservazione. Numerosi sono altresì gli indizi indiretti, come la comparsa di villaggi permanenti, i rinvenimenti di strumenti per la manipolazione dei vegetali e di forni in terra, l'occupazione di territori poveri di alimenti spontanei, le attività di deforestazione, l'affermazione dell'allevamento e, infine, un ampio repertorio di termini proto-oceanici relativi a colture, metodi di coltivazione, tecniche di preparazione dei suoli e strumentari agricoli. L'insieme dei dati disponibili ha suggerito modelli di orticoltura estensiva, con il disboscamento di tratti di foresta e periodi di abbandono dei terreni, per la produzione annuale di rizomi (taro, ignami) e di altri frutti e piante commestibili, come banane, canna da zucchero e curcuma. Le colture arboree (Canarium, Pandanus, cocco, ecc.) erano raggruppate molto probabilmente in frutteti nelle vicinanze degli insediamenti. Tra queste, il cocco ebbe sicuramente un ruolo economico preminente, offrendo non solo alimenti ricchi di vitamine, ma anche materiale per costruzioni, stuoie, cesti e contenitori. I navigatori che si spinsero agli inizi del I millennio d.C. negli arcipelaghi polinesiani centro-orientali e, in seguito, nelle isole più remote di questa regione, introdussero molto probabilmente l'intero complesso delle specie coltivate dai gruppi Lapita. Oltre alla colocasia e all'igname, prodotti base dell'orticoltura oceaniana, furono introdotti altri tuberi (Tacca leontopetaloides, Cordyline terminalis), coltivati soprattutto nelle isole polinesiane. Permangono tuttora incertezze sulle modalità di diffusione nel Pacifico della patata dolce; la sua adattabilità a climi subtropicali e temperato-umidi e l'alta resa ne determinarono, nel II millennio d.C., la rapida espansione soprattutto nelle isole ai vertici del triangolo polinesiano (Hawaii, Isola di Pasqua, Nuova Zelanda) e negli altopiani di Papua Nuova Guinea. Fonti storiche attestano che la patata dolce venne esportata in Melanesia da Spagnoli e Portoghesi nel XVXVI sec. d.C. I resti polinesiani di Ipomoea batatas, i più antichi dei quali sono stati datati con il radiocarbonio a 940±70 B.P. (Mangaia, Isole Cook), lascerebbero presumere un'introduzione in epoche preistoriche dall'America Meridionale, tesi parzialmente avvalorata dalle analisi paleobotaniche. Non è pertanto da scartare la possibilità che dalla Polinesia i tuberi di Ipomoea siano giunti in Melanesia in fasi antecedenti a quelle storicamente documentate. Certo è che solo la reintroduzione europea di varietà maggiormente produttive avrebbe indotto la sua coltivazione intensiva negli altopiani papuani, un fenomeno correlato a mutamenti significativi sul piano sociale e demografico (Ipomoean Revolution). L'arboricoltura (cocco, albero del pane, sago, banano, pandano, Inocarpus edulis) venne praticata soprattutto negli arcipelaghi tropicali della Polinesia. I climi subtropicali dell'Isola di Pasqua e della Nuova Zelanda si rivelarono inadatti a vari tipi di colture, alcune delle quali furono destinate verosimilmente all'estinzione (canna da zucchero, albero del pane, cocco, banano) o diminuirono sensibilmente le loro rese (taro, igname, zucca). In Nuova Zelanda la disponibilità di abbondanti risorse naturali e la semicoltivazione di una felce dalle radici commestibili (Pteridium esculentum) supplirono all'assenza di tali prodotti. Tra i vegetali coltivati per usi non alimentari ricordiamo una pianta arborea (Broussonetia papyrifera) estesamente diffusa nel Pacifico, dalla cui corteccia si ottenevano stuoie e stoffe (tapa); una specie arbustiva (Piper methysticum), presente negli arcipelaghi melanesiani e polinesiani e nelle isole di Pohnpei e Kosrae (Micronesia), le cui radici erano utilizzate per la preparazione di una bevanda dalle proprietà narcotiche (kava); la zucca (Lagenaria), coltivata in molte isole del Pacifico per i suoi frutti, adoperati come recipienti. Le maggiori isole polinesiane, caratterizzate da fertili suoli vulcanici e da estesi reticoli idrografici, consentirono il pieno sviluppo delle pratiche agricole, che raggiunsero non di rado livelli particolarmente intensivi. P.V. Kirch ritiene che l'incremento delle attività di orticoltura nella preistoria polinesiana, connesso con l'aumento della popolazione e con la crescente domanda di surplus, costituisca la fase terminale di un processo che avrebbe previsto inizialmente un periodo di adattamento delle colture alle nuove condizioni ambientali, seguito da una fase intermedia caratterizzata da modelli di coltivazione estensiva. Tale processo è stato attentamente studiato nelle Hawaii, dove dal XV sec. d.C. circa viene documentata la costruzione di articolati complessi irrigui per la riproduzione controllata del taro, l'estensione delle aree destinate alle colture non irrigue (patata dolce, igname) e l'aumento delle suddivisioni interne ai coltivi, così come l'edificazione di numerose strutture per usi agricoli (ripari, terrazze, mounds). Testimonianze analoghe sono state indagate in maniera approfondita nell'area urbana di Auckland (Nuova Zelanda), in cui si conservano ancora monticoli, depressioni artificiali, allineamenti di pietre e tracce di strutture per l'immagazzinamento delle derrate, che indicano lo sfruttamento agricolo di questa zona a partire dal XIII-XIV sec. d.C. In Micronesia il taro costituisce la coltura dominante degli arcipelaghi occidentali; alla sua coltivazione si riferiscono, ad esempio, gli estesi terrazzamenti osservabili a Palau. Nelle isole orientali sono invece maggiormente diffuse l'arboricoltura (albero del pane, cocco, banano) e la riproduzione dei rizomi di Cyrtosperma. La preminenza del taro nelle colture occidentali potrebbe derivare, secondo quanto è stato ipotizzato, da un processo graduale di degradazione ambientale che ha determinato in queste isole un calo del rendimento di altri tuberi e delle piante arboree. Assai diffuso è, al contrario, lo sfruttamento alimentare dell'igname, sia nelle sue varietà domestiche, coltivate largamente a Pohnpei, Yap e Kosrae, che in quelle selvatiche. In molte isole e atolli della Micronesia, le limitate risorse idriche non permisero tuttavia un pieno sviluppo dell'agricoltura. I frutti del cocco e del Pandanus, piante che non risentono eccessivamente della salinità dei suoli, costituirono spesso gli unici alimenti vegetali coltivati. Se si eccettuano esempi isolati (Pohnpei, Kosrae), i dati raccolti in Micronesia non consentono ancora di ricostruire sequenze cronologiche sull'evoluzione dei sistemi agricoli o di chiarire il significato di alcune importanti evidenze, come la risicoltura nelle Isole Marianne. Le analisi paleobotaniche e le impronte di baccelli sul vasellame rinvenuto in depositi stratificati confermerebbero la presenza del riso (Oryza sp.) nella preistoria più recente dell'arcipelago. Tuttavia rimangono ancora aperte molte questioni, come ad esempio l'area di provenienza e le modalità di introduzione di questo cereale, o il contributo offerto all'alimentazione.
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Le indagini effettuate nel Pacifico negli ultimi decenni hanno documentato l'esistenza di varie forme di coltivazione irrigua della Colocasia e, in particolari condizioni, degli aroidi di Cyrtosperma chamissonis. Le tecniche più semplici, utilizzate negli atolli e in alcune isole della Micronesia, prevedevano lo scavo di pozzetti o di fossati in corrispondenza di sorgenti sotterranee acquifere. Nelle maggiori isole vulcaniche e continentali le colture erano impiantate spesso in zone paludose, bonificate tramite la costruzione di una rete di canali che consentiva il drenaggio degli appezzamenti. Un terzo sistema sfruttava le acque di sorgenti o di fiumi, talvolta deviate da dighe o da semplici sbarramenti e incanalate in fossi di varie dimensioni. Le tracce più antiche di orticoltura irrigua provengono dai fondovalle acquitrinosi degli altopiani di Papua Nuova Guinea (Kuk, Mugumamp, Manton). Nel sito di Kuk sono state individuate sei fasi, datate a partire da 9000 anni fa, connesse con il progressivo ampliamento di una rete di canali. È probabile che le tecniche di irrigazione siano state diffuse in Oceania, insieme alle varietà domestiche di taro, nel corso dell'espansione delle genti austronesiane Lapita (1600-1100 a.C.), sebbene non ne siano state ancora rinvenute le tracce. Un'attenzione particolare merita l'ipotesi, fondata su dati archeologici e paleolinguistici, di una "reinvenzione" della coltivazione irrigua in una zona comprendente le Isole Figi e gli arcipelaghi polinesiani occidentali. Gli estesi sistemi di canalizzazione scoperti nei fondovalle e nei pendii terrazzati di numerose isole melanesiane (Guadalcanal e Nuova Georgia nelle Salomone, Aneytioum nelle Vanuatu, Nuova Caledonia, Figi) e polinesiane (Wallis, Cook, della Società, Marchesi, Tuamotu, Australi, Mangareva) vengono datati a partire dalla fine del I millennio d.C.; gran parte di essi cadde in disuso all'arrivo delle popolazioni europee. Le approfondite indagini effettuate a Futuna e nelle Isole Hawaii hanno permesso di dimostrare come l'articolazione dei canali irrigui, alcuni dei quali si estendono per chilometri, rifletta la natura delle relazioni sociali tra le comunità indigene. Lo sviluppo dei sistemi di irrigazione nella preistoria più recente del Pacifico è inquadrabile in un processo generale di intensificazione produttiva, espresso sia dalla costruzione e dalla manutenzione di strutture agronomiche, sia da un aumento delle rese delle colture. La domanda crescente di prodotti commestibili si collega direttamente con la crescita demografica e con la richiesta di eccedenze per gli scambi commerciali, per le attività rituali e per le élites di società altamente gerarchizzate. La realizzazione dei sistemi più elaborati richiese l'impiego di una manodopera numerosa, spesso organizzata e diretta da personaggi di rango, i quali affermavano il loro ruolo dominante mediante il controllo delle risorse idriche.
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