La famiglia e la politica dinastica di Costantino
La politica dinastica ha assunto un ruolo di primo piano per la conservazione del potere sin dall’inizio del regno di Costantino: egli fece derivare la legittimità del suo potere da una linea di discendenza carica di gloria e strinse legami politici attraverso matrimoni dinastici. In questo contesto, introdusse un notevole numero di parenti nella propria domus divina, conferendo loro, talvolta, funzioni di spicco entro l’apparatus Imperii e accogliendo membri scelti della sua famiglia nei collegi imperiali concepiti in chiave dinastica1. Con la sua politica dinastica, Costantino mirava a distinguersi dalla tetrarchia d’ispirazione dioclezianea, per la quale il criterio decisivo ai fini della legittimazione del potere non era costituito dai legami di parentela, ma piuttosto dei meriti militari. L’introduzione di un principio essenzialmente dinastico rappresentò un’evoluzione decisiva nell’organizzazione del potere romano, attraverso la quale si poté sviluppare una dinastia costantiniana autonoma, che avrebbe segnato l’Impero per più di settant’anni – dall’ascesa a Cesare di Costanzo I, nell’anno 293, fino alla morte di Giuliano, nel 363 d.C. – e che avrebbe continuato a influenzare la forma dell’Impero romano tardoantico nel suo complesso. Questo contributo intende analizzare l’evoluzione della politica dinastica di Costantino. In particolare saranno analizzati la questione dei meccanismi attraverso i quali il potere poteva consolidarsi per via dinastica e i modi in cui era rappresentata la dinastia.
Quando, il 25 luglio 306, Costantino entrò a far parte del collegio tetrarchico, si trovò di fronte due problemi che riguardavano direttamente la questione della politica dinastica:
1. Nelle regioni sotto il suo dominio (Britannia, Gallia, Spagna) Costantino era in larga misura sconosciuto, perché aveva risieduto in Oriente fino all’elezione ad Augusto di suo padre nel 305. Lì si era affermato come generale e aveva ottenuto la posizione di tribunus ‹et comes› primi ordinis ‹in consistorio›2. La successiva rotazione tetrarchica, nella quale egli può riporre le proprie speranze di essere inserito nel collegio dei regnanti, era probabilmente prevista per l’anno 315: Costantino aveva perciò tempo sufficiente per proseguire con calma la sua carriera ed emergere anche in Occidente, occupando ruoli più elevati, come per esempio la prefettura del pretorio. Tuttavia, a causa della morte prematura del padre, Costantino si ritrovò improvvisamente a ricoprire il ruolo di Cesare all’interno del sistema tetrarchico, senza avere avuto la possibilità di dar prova delle proprie qualità di capo politico-militare di fronte alle élite occidentali, che ora erano chiamate a sostenere il suo potere.
2. Costantino non era figlio di Teodora, la moglie legittima di suo padre e sorella di Massimiano, ma di Elena, una concubina di Costanzo Cloro, la quale era indicata – forse anche prima di Ambrogio – come una stabularia. Il padre di Costantino si era separato da lei, certamente senza tanti riguardi, nel momento in cui gli si era offerta la possibilità di legarsi, anziché alla figlia del proprietario di una locanda, alla figlia del secondo uomo più potente nell’Impero romano3. Certamente Costantino era il maggiore tra i figli di suo padre, ma la sua scarsa legittimità dal punto di vista matrilineare costituiva uno svantaggio rispetto ai suoi fratellastri. Teodora aveva dato a Costanzo, infatti, cinque figli, di cui tre maschi – Flavio Dalmazio, Giulio Costanzo e Flavio Annibaliano (prematuramente scomparso) –, che erano perciò potenziali aspiranti al trono imperiale e, come tali, concorrenti diretti di Costantino.
Al fine di risolvere questa svantaggiosa situazione di partenza, Costantino reagì mettendo in atto una precisa politica dinastica. Per rafforzare il suo potere all’interno, fece in modo che il suo diritto al potere derivasse dalla sua discendenza da Costanzo Cloro, che fece divinizzare subito dopo la morte. In questo modo Costantino poteva sostenere di essere il figlio carnale di un Augusto divinizzato, e di avere perciò un particolare diritto all’esercizio del potere. Per sottolineare la vicinanza al padre, Costantino non solo diede ordine di coniare monete dedicate alla sua consacrazione, ma fece portare le spoglie mortali di suo padre da Eburacum (oggi York), nell’Inghilterra settentrionale, dove Costanzo era morto, a Treviri, dove, almeno fino al 316 d.C., si trovava la residenza principale di Costantino4. È evidente come Costantino abbia dato forma alla propria immagine di sovrano ricalcando il modello del padre: le monete coniate in epoca costantiniana mostrano chiaramente come Costantino avesse ereditato i caratteristici naso gibboso (nell’ambito degli studi sull’imperatore definito anche ‘naso aquilino’) e mento pronunciato di suo padre. Questi erano i tratti fisiognomici che, durante il periodo tetrarchico, contraddistinguevano Costanzo I dagli altri imperatori (figg. II 4, 38)5. Lo stretto legame tra Costanzo e Costantino è da ultimo sottolineato anche nella letteratura panegiristica, come si vede nei discorsi che risalgono agli anni 307 e 310: secondo gli oratori, in Costantino non si ritrovano solo l’aspetto fisico del padre, ma anche le virtù, passate da Costanzo I a Costantino6. Costantino sarebbe stato quindi un figlio somigliante al padre nell’aspetto e nel carattere, ma suo pari anche in relazione al potere imperiale: «filius similis adspectu, similis animo, par imperii potestate»7. In Costantino continuava a vivere Costanzo I, che conseguiva in questo modo quella particolare forma di immortalità che lo elevava addirittura al di sopra degli altri divi: «haec est tua praeter omnes divos propria immortalitas»8.
Sembra che in principio Costantino sottolineasse la sua origine dal divus Costanzo semplicemente nell’area posta sotto il suo controllo, ma non di fronte agli altri reggenti della tetrarchia – come argomento atto a rivendicare particolari privilegi, o per valorizzare il proprio status. Un indizio di questo stato di cose si trova nelle prime iscrizioni costantiniane, nelle quali è presentato il collegio tetrarchico imperiale nel suo insieme: in base all’ordine prestabilito, Costantino compare sempre al quarto e ultimo posto, e il titolo divi filius, che indica la discendenza di Costantino da suo padre divinizzato, non è neppure citato9. Il titolo compare solo in un’iscrizione proveniente dalla zona governata da Costantino, nella quale la dedica fa riferimento unicamente a Costantino stesso10. Il riferimento all’origine carnale da Costanzo I sembra essere servito in primo luogo ad assicurarsi l’accettazione nelle province galliche, germaniche e britanniche, ma non ad avanzare particolari pretese di potere rispetto agli altri reggenti. Il fatto che il giovane Cesare avrebbe potuto, in ogni circostanza, sottolineare le sue origini da un Augusto divinizzato probabilmente non passò inosservato agli altri tetrarchi. In ogni caso Galerio, Severo e Massimino Daia, pur avendo forse acconsentito formalmente alla divinizzazione di Costanzo, non distribuirono monete coniate per celebrare la consacrazione dello scomparso Augusto; evidentemente volevano evitare di compiere atti simbolici che favorissero un aumento di importanza di Costantino entro la tetrarchia.
A un’esaltazione di questo tipo, soprattutto politico-simbolica, Costantino accostò ulteriori provvedimenti volti a consolidare il suo potere in chiave dinastica. I fratellastri, che rappresentavano un potenziale pericolo per il suo potere, furono tenuti – almeno all’inizio – lontani dal centro nevralgico dell’apparato di potere costantiniano: nel loro esilio più che altro nominale (exilii specie, come si esprime Ausonio), soggiornarono a Tolosa (Toulouse) e Narbo (Narbonne)11. Solo con la progressiva affermazione dell’autorità di Costantino essi poterono ampliare i loro spazi d’azione e movimento, fino a che, da ultimo, furono inclusi nell’apparato del potere costantiniano: processo che si concluse solo dopo che Costantino, nel 324, divenne sovrano assoluto12.
In un certo senso la decisione di Costantino di porre in rilievo la fama di suo padre e di sminuire l’importanza dei suoi fratellastri reca in sé una contraddizione. Dato che aveva fondato la sua ascesa al potere sul recupero della discendenza da Costanzo Cloro, Costantino aveva con ciò fornito un argomento ancora più significativo alla rivendicazione di potere dei suoi fratellastri, che potevano fregiarsi di una discendenza da Teodora, la figlia di Massimiano, più rilevante rispetto a quella di Costantino, figlio di un’insignificante stabularia13. È possibile individuare nei Panegirici degli anni 307 e 310 la strategia argomentativa con cui Costantino cercò di affrontare tale questione. Da un lato è introdotto l’argomento della primogenitura: l’oratore del 307 sottolinea con enfasi che Costantino è il primogenito di suo padre («qui te primus patrem fecit»14); dall’altra, la madre, Elena, non è mai menzionata – forse perché la discendenza da quest’ultima non può accrescere il prestigio dinastico. Nei discorsi del 307 e del 310 all’argomento della primogenitura si aggiunge l’indicazione che Costanzo avrebbe generato il figlio «in primo aetatis suae flore», cioè all’inizio della sua vita, trasmettendo così a Costantino la prima iuventas del padre, la sua energia giovanile15. In questo caso la questione centrale non è quella del diritto di primogenitura, quanto piuttosto la giovinezza del padre nel periodo in cui ha generato il suo primo figlio. Tale argomento non è concepito per difendere la discendenza da una donna priva di importanza, bensì per distinguere Costantino dai suoi fratellastri. Così fu possibile conservare la paternità di Costanzo I come istanza legittimatrice di Costantino, che diveniva in questo modo l’unico ad avere diritto al potere che discendeva dal padre. L’argomento sottolinea dunque la progressiva fragilità del divus pater e sottintende una sua diminuita capacità di generare discendenti sani. Costanzo I era, infatti, noto per la sua salute cagionevole, che gli impedì di vivere a lungo e cui si deve l’epiteto di Chlorus, pallido16.
Il tentativo di distinguersi dai fratellastri si evince più chiaramente dal discorso del 310 anziché da quello del 307. Il discorso del 307, infatti, fu tenuto in occasione della stipula dell’alleanza tra Costantino e Massimiano nell’estate di quell’anno, e l’oratore non poteva, pertanto, eccedere nello sminuire il nipote di Massimiano; inoltre, per Costantino, la necessità di distinguersi da Dalmazio era probabilmente cresciuta con il trascorrere del tempo. Il Chronicon Paschale riferisce che, al momento dell’ascesa al potere di Costantino, i figli di Costanzo I e Teodora erano ancora piccoli (μικροί17). Non è possibile stabilire con certezza se questo significhi, come sostiene Ensslin18, che essi non fossero ancora in età da matrimonio oppure che non fossero abbastanza grandi per assumere il potere o, ancora, se questa indicazione sia da ricondurre a un altro argomento concepito da Costantino per svalutare la figura dei suoi fratellastri. In ogni caso nel 310, quattro anni dopo l’ascesa al potere di Costantino, i suoi fratellastri erano probabilmente giunti a un’età idonea a svolgere funzioni di governo. Inoltre l’usurpazione di Massimiano e la parziale defezione delle truppe di Costantino, nell’estate del 310, avevano reso ancor più necessario negare che i fratellastri godessero delle qualifiche per accedere al potere, perché in quel momento era l’autorità di Costantino a risultare instabile. Verosimilmente i fratellastri non avevano avuto alcun ruolo nel colpo di mano; in caso contrario di sicuro non sarebbero sopravvissuti. La parziale defezione delle truppe mostra, tuttavia, che membri influenti dell’amministrazione militare costantiniana avevano riflettuto sulle eventuali alternative a Costantino; e, accanto a Massimiano stesso, i figli di Costanzo I e Teodora rappresentavano l’opzione più prossima.
Nell’estate del 307, dopo la caduta politica di Severo, divenne chiaro che Galerio avrebbe rinunciato a elevare Costantino al ruolo di Augusto in base all’ordine della successione tetrarchica. Fu allora che Costantino strinse un’alleanza con Massimiano, che era disposto a conferirgli l’agognato titolo e a dargli sua figlia Fausta in moglie. Questa alleanza portò notevoli vantaggi a Costantino – in primo luogo la promozione ad Augusto, oltre che una posizione di maggior forza rispetto a Galerio –, ma essa, dal punto di vista delle conseguenze dinastiche, nascondeva anche qualche rischio. Ora, infatti, lo status di potenziale erede al trono di suo figlio Crispo era minacciato dai discendenti che sarebbero nati dall’unione con Fausta. Questa problematica traspare dal panegirico dell’anno 307. È interessante, infatti, come l’oratore colleghi la celebrazione della continentia di Costantino a una lode del matrimonio tra Costantino e la sua prima moglie Minervina (che comunque non è espressamente nominata), anche se il discorso era stato tenuto in occasione della celebrazione del matrimonio tra Costantino e la sua seconda moglie, Fausta: una circostanza che ha suscitato sconcerto nella maggior parte degli interpreti19. In questo modo, tra le righe, è stabilita un’analogia tra la prima moglie di Costantino e la prima ‘moglie’ di suo padre: la madre di Costantino. Così, tessendo le lodi di Minervina, si celebrava contemporaneamente anche Elena, ed è particolarmente significativo il fatto che il suo rapporto con Costantino fosse lo stesso che c’era tra Minervina e Crispo, il figlio di Costantino. Il riferimento implicito a Minervina persegue nascostamente diversi scopi tra loro collegati: rafforza l’argomento dinastico che predilige Elena rispetto a Teodora e, nello stesso tempo, conferisce stabilità al primato di Costantino e di suo figlio Crispo rispetto ai fratellastri di Costantino e ai loro futuri eredi. In questo modo è sostenuta anche la posizione di Crispo, il cui status era stato messo in pericolo dall’alleanza con Massimiano da due punti di vista: si trovava in una posizione di svantaggio in quanto nipote dell’insignificante Elena rispetto ai (futuri) nipoti di Teodora, la figlia di Massimiano, alla quale l’oratore faceva brevemente riferimento nella chiusura del suo discorso20, e inoltre con il matrimonio tra Costantino e Fausta, figlia di Massimiano, Minervina aveva perso importanza, e con lei anche suo figlio Crispo, la cui posizione di potenziale sovrano e presunto successore di Costantino era minacciata non solo dai futuri discendenti dei fratellastri di Costantino, ma anche dai figli che era lecito attendersi dall’unione con Fausta21. Crispo era certamente presente alla cerimonia, ma a causa della sua giovane età non comprese probabilmente il significato delle parole dell’oratore, riferite a sua madre22. Il messaggio era rivolto alle file dei capi dell’apparato di potere costantiniano. Nonostante l’alleanza con Massimiano, Costantino voleva evidentemente salvaguardare la sua autonomia dinastica rispetto al nuovo alleato e, soprattutto, mantenere saldo lo status di Crispo, suo primogenito, quale futuro sovrano e presunto successore. Un ulteriore punto di contrasto nella rappresentazione dinastica di Costantino si scorge nel panegirico del 307, ma solo nella misura in cui è completamente omesso: Massenzio, figlio di Massimiano e fratello di Fausta, che il 28 ottobre 306 aveva usurpato il potere in Africa e Italia, non è mai nominato nel discorso, anche se avrebbe potuto svolgere una funzione di spicco nella nuova alleanza. In questo momento, dunque, si delinea già chiaramente il conflitto tra Massimiano e Massenzio, un conflitto che avrebbe condotto a una profonda discordia tra padre e figlio.
Anche se in relazione ad alcuni punti è possibile riconoscere, quindi, un giustificato riserbo da parte di Costantino proprio rispetto alle conseguenze dinastiche scaturite dalla nuova alleanza, tuttavia egli decise di allearsi con Massimiano non da ultimo perché questi avrebbe potuto farsi garante proprio della fama della discendenza costantiniana: Massimiano, infatti, non solo aveva elevato Costanzo Cloro a Cesare, assumendo il ruolo di auctor Imperii rispetto al padre di Costantino, ma aveva anche adottato Costanzo ed era, perciò, nello stesso tempo il nonno adottivo di Costantino23. In qualità di senior Augustus glorioso, Massimiano godeva di grande considerazione non da ultimo tra gli eserciti di Costantino, poiché la maggior parte dei soldati aveva prestato servizio sotto l’Augusto Massimiano e il suo Cesare Costanzo: Massimiano aveva governato l’Occidente dell’Impero per vent’anni, dal 285 al 305, pressoché sin da principio con il titolo e i pieni poteri di un Augusto; la lista delle gesta gloriose di Massimiano era, infatti, corrispondentemente lunga. Secondo i consueti regularia del protocollo di corte, solo Massimiano poteva fungere da Augusto di rango superiore, tanto più che vantava dies natales anteriori – cioè era più anziano–, dies imperii precendenti e una tribunicia potestas maggiore, oltre che un periodo di governo sostanzialmente più lungo.
Tuttavia, nell’estate del 307 era Costantino, e non Massimiano, ad avere a disposizione l’esercito e una propria regione di governo. Di fatto, quindi, era Costantino che portava l’anello con il sigillo, come del resto avrebbe confermato più tardi l’oratore del 31024. Costantino espresse il suo primato nella Realpolitik anche attraverso un abile controllo della rappresentazione del potere dal punto di vista della comunicazione politica: dopo l’alleanza con Massimiano, l’effigie di questi ricorreva sempre più nel conio di monete, ma i due sovrani non furono mai rappresentati insieme, come era invece accaduto in precedenza ai membri del collegio tetrarchico. Nelle monete di epoca costantiniana non compaiono mai, per esempio, Massimiano che consegna il globus a Costantino, un’offerta fatta da entrambi o un doppio ritratto. Solo rinunciando del tutto a rappresentare visivamente l’alleanza con Massimiano Costantino poteva evitare di apparire come il partner più giovane25.
Nello stesso tempo, Costantino sfruttò la sua unione con Fausta per consolidare la propria posizione sul piano simbolico. Fece coniare per Fausta monete con l’effige di Venere, dimostrandosi così molto abile nell’amplificare gli aspetti semantici della sua serie di Marte26. Venere e Marte erano considerati i progenitori divini del popolo romano e avevano già avuto un ruolo decisivo per la legittimazione delle aspirazioni alla guida del potere politico di Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. Per consolidare ulteriormente la posizione di Costantino, nelle rappresentazioni del potere si sottolineava intenzionalmente come il giovane sovrano, già prima di essere elevato al rango di Cesare nella tetrarchia, nell’estate del 306, avesse conseguito notevoli successi militari e come fosse entrato a far parte dei piani dinastici di Massimiano molto tempo prima della sua effettiva presa del potere. Porre in rilievo questi aspetti era tanto più importante poiché, fino al momento dell’alleanza con Massimiano, Costantino poteva vantare conquiste militari relativamente insignificanti, rischiando di apparire troppo inesperto. Ci si può domandare come fossero, più specificamente, le rappresentazioni del potere di Costantino riferite al periodo antecedente la sua affermazione. Rispetto a questo interrogativo il panegirico dell’anno 307 fornisce la documentazione più dettagliata e sarà necessario, quindi, prenderlo in considerazione più da vicino nell’excursus che segue.
Molti anni prima della sua ascesa al potere, Costantino aveva intrapreso una carriera militare di tutto rispetto, probabilmente in vista di incarichi di maggior rilievo nell’ambito del sistema di potere della tetrarchia. Per rimarcare di fronte a suo suocero e auctor Imperii la propria attitudine alla guida delle truppe, poteva ora fare riferimento alle esperienze conseguenti all’alleanza con Massimiano: per il suo apologeta, che tenne il discorso in occasione della festa dell’encomio di Massimiano e Costantino, la fama del giovane sovrano raggiungeva quella dei successi dei due più importanti condottieri della storia romana, Scipione l’Africano e Pompeo Magno. Grazie alla grandezza della sua virtus incipiens, Costantino avrebbe potuto assumere l’imperium già in giovane età, e così a superare entrambi gli exempla, i quali, per le loro virtutes, avevano superato il normale cursus aetatis. Secondo l’oratore, la virtus incipiens di Costantino si era già manifestata nei prima stipendia, cioè durante il precedente servizio militare, svolto per maximos tribunatus. Senza dubbio l’oratore fa qui riferimento alle singole tappe della carriera di Costantino come tribuno militare, quando, prima della sua ascesa al potere, aveva condotto diverse spedizioni per conto dei sovrani della tetrarchia27.
Come si è già visto, prima del 306 Costantino era stato tribunus ‹et comes› primi ordinis ‹in consistorio›; secondo l’Anonimo Valesiano, egli aveva prestato servizio sotto Diocleziano e Galerio «in Asia», probabilmente durante le guerre contro i persiani (296-298)28; nella sua Oratio ad sanctorum coetum lo stesso Costantino sostiene di avere visto le rovine di Memphis e Babilonia29; Eusebio lo colloca in Palestina come braccio destro di Diocleziano30; negli anni 303 e 305 è possibile individuarlo alla corte di Nicomedia31; inoltre sotto Galerio aveva combattuto contro i sarmati32. Le singole tappe della sua carriera come tribuno militare erano note ai membri delle élite civili e militari dell’Impero, perciò all’oratore del 307 era sufficiente un breve riferimento al tribunato di Costantino, senza che fosse necessario scendere nei dettagli.
Dietro questo breve riferimento si cela un topos che ha svolto una funzione importante sin dal panegirico di Plinio in onore di Traiano, che in seguito entrerà a far parte del repertorio standard dell’encomiastica romana destinata alla celebrazione dei sovrani. Come spiega Plinio, le capacità tattiche e strategiche e la dimestichezza con diversi tipi di armi, così come le indispensabili conoscenze geografiche ed etnologiche del futuro princeps, si devono proprio alla carriera pregressa di Traiano come tribuno militare. In questo periodo, infatti, Traiano avrebbe combattuto a fianco a fianco con i soldati posti sotto il suo comando. L’imperatore avrebbe conosciuto i loro nomi, i meriti e i desideri, diventando quasi un commilito dei suoi soldati. Dando rilievo alla carriera militare di Traiano e interpretandola come auspicia fortunae, l’oratore del 307 si rifaceva a un modello interpretativo più antico, potendo così mostrare, nello stesso tempo, che Costantino era perfettamente in grado di adempiere le richieste che la tetrarchia avanzava a un imperatore, che doveva essere prima di tutto un abile condottiero33.
Il topos della giovinezza di Costantino rompe e sovverte questa logica34: pur avendo Costantino meritato il potere nella gerarchia tetrarchica grazie alla sua carriera militare, esso gli sarebbe comunque spettato per nascita. In questo senso l’oratore termina la parte dedicata alla carriera militare con l’annuncio che l’imperium sarebbe stato lasciato a Costantino da suo padre35. La circostanza che Costantino, prima di essere nominato coreggente, non avesse ancora mai occupato una posizione ai vertici dell’esercito – per esempio la prefettura del pretorio – non rappresenta un elemento deficitario per la ratio dell’encomio del panegirico, ma esprime piuttosto il peculiare ruolo di Costantino dal punto di vista dinastico36.
Nella logica del componimento, lo speciale ruolo dinastico di Costantino non dipende dal fatto che il giovane sovrano era stato nominato Cesare da suo padre37, poiché, come spiega il redattore dell’encomio in un passaggio pregnante del suo discorso, molto tempo prima della sua ascesa al potere Massimiano aveva già previsto che Costantino avrebbe preso il potere e perciò aveva fatto fidanzare sin da bambini Costantino e Fausta, sua figlia. Il matrimonio tra Costantino e Fausta svolge dunque una funzione peculiare come punto di collegamento tra Massimiano e suo genero e, contemporaneamente, come momento legittimante del potere di Costantino: al centro del discorso c’è la descrizione di un dipinto che secondo l’oratore decorava la sala da pranzo del palazzo della residenza imperiale di Aquileia, quando ancora Costantino era soltanto un ragazzo («etiam tum puer»). Il dipinto rappresenta Fausta come una puella nell’atto di consegnare un elmo, regalo di fidanzamento («sponsale munus»), a un Costantino altrettanto giovane38. Questo passaggio è stato spesso riferito al fatto che ci fosse un legame dinastico tra Massimiano e Costantino già nel periodo della prima tetrarchia. La ripresa in buona fede di tale informazione nell’immagine moderna di Costantino indica semplicemente il duraturo successo di un processo di costruzione intenzionale della storia39. I panegiristi non sono storici: la loro opera è metaforica, non investigativa. Nel contesto del discorso, a prescindere da chi venisse rappresentato nel dipinto – sempre che sia esistito –, alla descrizione è attribuita una funzione la cui semantica culmina nella consegna dell’elmo: una Fausta bambina caratterizzata da una bellezza divina consegna al giovane Costantino un elmo decorato d’oro e di pietre preziose, ornato con sontuose piume d’uccello («galea auro gemmisque radians, et pennis pulchrae alitis eminens»). Quale parte integrante del corredo da battaglia del soldato, l’elmo rappresenta la virtus e la fortitudo di colui che lo indossa. Nell’interpretazione del panegirico, esso rappresenta l’idea stessa di potere sovrano: l’oratore, infatti, non raffigura il tipo più comune di elmo ma un elmo sfarzoso, riccamente decorato, che ha il compito di accrescere la pulchritudo dell’immagine di Costantino (divina species). Qui l’oratore descrive senza dubbio un’insegna del sovrano definita con la consegna dell’elmo a Costantino, ritenuto già dotato di qualità divine40.
Sul piano della rappresentazione, il dipinto raffigura gli auspicia fortunae di Costantino, che l’oratore aveva già individuato nella precedente carriera militare dell’imperator adolescens: sotto forma di elmo, a Costantino è conferito, insieme all’ingresso nella dinastia di Massimiano, anche l’imperium. Questo riconduce la potestà imperiale all’auctor Imperii di Costantino e istituisce un legame tra Massimiano e suo genero come risultato di un disegno preparato da lungo tempo. Grazie a una tale panegiristica riduzione dell’incertezza sono messi sullo sfondo i concreti interessi politici da cui era nata l’alleanza creando così lo spazio per interpretazioni in cui gli avvenimenti sembravano derivare dall’azione del fato.
L’alleanza tra Costantino e Massimiano durò appena tre anni. Si ruppe nella primavera del 310, quando Massimiano tentò di prendere il potere nella regione governata da Costantino41, riuscendo, evidentemente, a indurre alla defezione una parte non indifferente delle truppe costantiniane42. Dall’usurpazione Costantino uscì indenne. Massimiano, infatti, non cercò lo scontro violento diretto ma prese la direzione opposta, dirigendosi verso le coste del Mediterraneo; forse voleva tentare di nuovo la fortuna in Italia, dalla quale due anni prima era dovuto fuggire, rifugiandosi alla corte di Costantino, dopo un fallito tentativo di usurpazione contro Massenzio. Costantino riuscì a inseguire Massimiano con i contingenti rimastigli fedeli per soffocare l’usurpazione a Marsiglia. Ciò non di meno, questi precedenti avevano drasticamente rivelato la fragilità del potere di Costantino e l’insufficiente lealtà dei suoi capi militari. Nello stesso tempo, il fallito tentativo di usurpazione aveva determinato la caduta e il tramonto di Massimiano. L’auctor Imperii e suocero di Costantino – il garante del successo del suo Sonderweg politico, ampiamente indipendente da Galerio – era morto. Così era venuto meno uno dei più importanti punti di riferimento per la legittimazione del dominio di Costantino, che attraversava un momento di grande difficoltà ed era giunto a un punto di svolta drammatico per la sua carriera politica.
La fallita usurpazione portò con sé una resa dei conti simbolica con Massimiano: Costantino impose contro di lui una damnatio memoriae, in conseguenza della quale, nella zona sotto l’influenza di Costantino, tutti i ritratti, i busti, le statue e le altre immagini di Massimiano furono sistematicamente danneggiati o distrutti, inoltre il nome dell’usurpatore fu cancellato dalle iscrizioni e dai documenti ufficiali e fu, infine, interrotta l’emissione di monete con il suo nome. Lattanzio riferisce che la damnatio memoriae contro Massimiano fu condotta in modo talmente meticoloso da coinvolgere in parte anche le rappresentazioni di Diocleziano, il quale, nel periodo della prima tetrarchia, si era di norma fatto raffigurare insieme a Massimiano43.
Nonostante questa apparente presa di distanza radicale, la damnatio memoriae nei confronti di Massimiano non portò a una posizione chiara di Costantino nei confronti di suo suocero. Il panegirico del 310, tenuto poche settimane dopo la fine dell’usurpazione, è la prova precoce di un atteggiamento ambivalente di Costantino verso Massimiano: l’oratore rinuncia a screditare Massimiano come tiranno44, e sviluppa invece una spiegazione complessiva del fatale tradimento che, per certi versi, finisce per difenderlo, vedendo il motivo dell’usurpazione non nel carattere folle di Massimiano, bensì in parte in un effetto del fato, in parte nella demenza senile45.
Di primo acchito il trattamento che l’oratore riserva a Massimiano è sorprendente, eppure è facile da chiarire. Se si tiene conto della coreggenza portata avanti con successo per tre anni da Massimiano e Costantino, sullo sfondo del significato che Massimiano aveva per il potere di Costanzo I, il padre di Costantino, e sulla scorta del matrimonio tra Costantino e Fausta, la figlia di Massimiano, è evidente che non sarebbe stato possibile circoscrivere esclusivamente a Massimiano la critica per cui questi sarebbe stato un tiranno, senza danneggiare anche uno dei fattori centrali della legittimazione dell’autorità costantiniana. Dato che fino a quel momento la rappresentazione del potere di Costantino era stata legata nei suoi aspetti centrali, in modo diretto o indiretto, a Massimiano, era necessario che l’oratore sviluppasse un’interpretazione che, per un verso, riuscisse a spiegare il tradimento di Massimiano, ma che, per l’altro, rendesse possibile per Costantino conservare nel modo più ampio e incorrotto gli aspetti della rappresentazione di sé che traevano origine da Massimiano.
La presa di distanza da Massimiano doveva essere, dunque, cauta e fare in modo che, in seguito, Costantino potesse continuare a utilizzare i meriti di suo suocero nella rappresentazione di sé. Tuttavia, l’infame caduta di Massimiano rese necessario reimpostare la politica dinastica, poiché la legittimazione del Sonderweg costantiniano si basava in larga misura sull’argomento di un prestigio dinastico fuori del comune. La necessità di una legittimazione dinastica non risultava affatto diminuita dopo la caduta di Massimiano, ma, viceversa, era aumentata. Costantino decise quindi di perseguire il già intrapreso Sonderweg con veemenza ancora maggiore. A questo scopo, dopo l’ingloriosa fine di Massimiano, aveva bisogno più che mai di una legittimità dinastica. Si decise di rivedere il ruolo di Costanzo I. Infatti, essendo venuto meno un suocero e padre adottivo di così grande prestigio quale era stato Massimiano, la linea di ascendenza di Costantino si riduceva in prima battuta al padre e non solo risultava essere comparativamente di scarsa rilevanza di fronte al sistema dinastico escogitato per la tetrarchia, ma era altresì connessa con la tetrarchia stessa: Costanzo I faceva infatti discendere la legittimità della sua posizione dal ruolo che occupava entro il sistema della tetrarchia di Diocleziano.
Era dunque necessario intraprendere una riconfigurazione della linea di ascendenza con una certa libertà creativa: nel discorso del 310 si incontra per la prima volta, come auctor generis, Claudio il Gotico (268-270), un famoso imperatore soldato, anche se morto prematuramente per malattia. La discendenza da Claudio il Gotico è puramente fittizia46. Si può sicuramente escludere che questa aggiunta alla linea di ascendenza di Costantino vada ricondotta a una semplice iniziativa dell’oratore. Il discorso resta la prima testimonianza disponibile in cui si individua il ricorso diretto da parte di Costantino a Claudio il Gotico. All’oratore va riconosciuto l’onore di essere stato tra i primi ad avere veicolato questo nuovo aspetto della rappresentazione del potere costantiniano: l’oratore stesso spiega che la maggioranza non saprebbe ancora nulla della discendenza di Costantino da Claudio il Gotico e aggiunge che il legame genealogico sarebbe stato già noto solo alla cerchia più ristretta degli amici dell’imperatore («plerique [...] nesciunt» – «qui te amant sciunt»).
Claudio il Gotico fu uno dei pochi imperatori del III secolo di cui si è conservata intatta la memoria. La Historia Augusta lo descrive come «vir sanctus ac iure venerabilis et bonis omnibus carus, amicus patriae, amicus legibus, acceptus senatui, populo bene cognitus»47. Inoltre, in ragione dei numerosi paralleli con Costanzo I, Claudio il Gotico si prestava a essere un nuovo parens. Come Costanzo I, Claudio il Gotico era stato divinizzato e faceva dunque parte dei divi: la testimonianza più elevata di una memoria positiva. A parte i due Tetrici (sui quali aveva trionfato Aureliano e che, ciononostante, erano sopravvissuti), Claudio il Gotico era stato l’ultimo imperatore prima di Costanzo I a non aver perso la vita a causa di un omicidio o di un suicidio. Claudio il Gotico veniva, come Costanzo I e Costantino, dall’Illirico, era stato un militare di successo e aveva ottenuto una vittoria grandiosa sulle tribù gotiche proprio a Naissus, il luogo di nascita di Costantino, che gli era valsa l’epiteto di Gothicus.
Per Costantino – e di conseguenza anche per gli autori dei suoi encomi – il ricorso a Claudio il Gotico dava la possibilità di scindere completamente il diritto al potere di Costanzo I dalla tetrarchia e dalla nomina per mano di Massimiano. Era così possibile fondare saldamente l’origine del potere di Costantino a prescindere dalla tetrarchia, cosa che consentiva all’oratore di formulare per la prima volta l’idea di un antagonismo esplicito tra la linea di ascendenza di Costantino da un lato e, dall’altro, «coloro che partecipano della tua regale dignità» (cioè i coreggenti della tetrarchia): «Inter omnes, inquam, participes maiestatis tuae hoc habes, Constantine, praecipuum, quod imperator es natus, tantaque est nobilitas originis tuae ut nihil tibi addiderit honoris imperium nec possit Fortuna numini tuo imputare quod tuum est»48.
Ricollocandosi in questo modo come membro di una sequenza di antenati gloriosi, Costantino riuscì in un certo senso a limitare gli effetti negativi dell’usurpazione di Massimiano sulla legittimazione del suo potere. Così, dopo l’usurpazione, Costantino poté restare sposato con Fausta, la figlia di Massimiano, e non gli fu necessario mettere fuori gioco i suoi fratellastri che, quali figli di Teodora, erano anch’essi nipoti di Massimiano e perciò suoi possibili successori.
Dopo la caduta di Massimiano, il confronto militare tra Costantino e Massenzio era solo questione di tempo. I due sovrani avevano, infatti, già dato l’avvio alle operazioni di preparazione della guerra. In vista dello scontro, Costantino strinse un’alleanza strategica con Licinio, che era stata siglata con gli strumenti della politica dinastica: Costantino aveva promesso a Licinio di dargli in sposa Costanza, la sua sorellastra, al termine dell’impresa; l’alleanza con Licinio doveva servire a Costantino per rendere più sicura la sua spedizione in Italia contro Massenzio. La sottrazione delle forze necessarie alla campagna in Italia avrebbe acuito la situazione, già di per sé tesa, sul confine del Reno. C’era da aspettarsi che le tribù germaniche avrebbero approfittato dell’indebolimento delle truppe romane sul confine49. Non era inoltre chiaro se, in assenza di questa nuova alleanza, Licinio sarebbe rimasto neutrale oppure se – nel caso più sfavorevole – Costantino sarebbe stato attaccato alle spalle dall’Illirico. Se teniamo conto di questa situazione spinosa, è plausibile l’indicazione del redattore dell’encomio del 313 secondo la quale i consiglieri di Costantino gli avrebbero suggerito di evitare una campagna militare in Italia50. I calcoli di Costantino si rivelarono tuttavia esatti: poiché, come previsto, Licinio restò passivo, con la sua vittoria contro Massenzio Costantino rimase l’unico sovrano dell’Occidente dell’Impero. Nella primavera del 313, in occasione di un incontro solenne dei due imperatori a Milano, Licinio, come previsto, sposò Costanza. Quando, poco tempo dopo, Licinio riuscì a sconfiggere Massimino Daia, gli unici Augusti dell’epoca della tetrarchia rimasti erano Costantino e Licinio stesso, i quali potevano ora spartirsi l’intero Impero romano.
La vittoria di Costantino contro Massenzio ebbe ulteriori conseguenze sulla politica e sulla rappresentazione dinastiche di Costantino. Egli restava, infatti, sposato con Fausta, della quale aveva tolto di mezzo prima il padre, Massimiano, e poi il fratello, Massenzio. Su entrambi fu fatta ricadere una damnatio memoriae che normalmente, nella tradizione romana, non lasciava incolumi gli altri membri della famiglia. Nella rappresentazione del potere di Costantino era necessario, dunque, trovare il modo adeguato per trattare Massimiano e Massenzio limitando gli effetti negativi su Fausta, che continuava a essere vista come la futura madre degli eredi e dei successori al trono di Costantino.
Già all’indomani della vittoria contro Massenzio è possibile individuare alcune tracce della soluzione di questo problema. Il redattore del panegirico del 313 sostiene, infatti, che la paternità di Massenzio da parte di Massimiano sarebbe stata solo presunta51. Alcune fonti successive dicono che Costantino avrebbe addirittura fatto circolare pubblicamente una conferma giurata della vedova di Massimiano, secondo la quale suo figlio Massenzio sarebbe nato da una relazione adulterina con un siro52. L’argomento di una nascita illegittima negava l’esistenza di una relazione di parentela vera e propria tra Massenzio, da un lato, e Massimiano – e quindi Fausta – dall’altro. La strategia di Costantino di rappresentare Massenzio come figlio illegittimo di Massimiano è sorprendente, perché Massimiano era comunque caduto in disgrazia. Come si è detto, però, Costantino non aveva ancora preso del tutto le distanze da Massimiano. Se lo avesse fatto, l’oratore avrebbe potuto spiegare l’essenza tirannica di Massenzio senza difficoltà, facendo riferimento alla sua discendenza da Massimiano. Che l’oratore abbia evitato di mettere in relazione Massenzio e Massimiano indica chiaramente quanto fosse ambivalente il trattamento che Costantino riservava a Massimiano, morto nel contesto di una guerra civile. Nel 318, nelle zone sotto il dominio di Costantino, la damnatio memoriae nei confronti di Massimiano fu completamente abbandonata: nelle città in cui si batteva moneta (Arles, Treviri, Roma, Aquileia, Siscia e Thessalonica) Costantino fece preparare delle monete in ricordo di Massimiano, che indicavano il defunto come divus e come optimus imperator (si veda a questo riguardo il paragrafo dedicato alla seconda alleanza con Licinio).
Costantino sfruttò la sua vittoria contro Massenzio anche per ridefinire a suo favore la gerarchia di rango rispetto a Licinio, il suo nuovo alleato e (semi) cognato. Costantino si fece conferire dal Senato il titulus primi nominis, che, dopo la morte di Galerio nel maggio del 311, Massimino Daia rivendicava a giusto titolo per sé: quest’ultimo infatti era già stato nominato Cesare il 1° maggio del 305 e vantava una tribunicia potestas superiore a quella di Costantino53. Nella logica dell’ideologia del potere tetrarchico il titulus primi nominis comportava, tra le altre cose, il diritto di comando sugli altri reggenti, il diritto di promulgare editti validi per tutto l’Impero, il diritto di nomina dei consoli ordinari e il primato cerimoniale e rappresentativo dell’imperatore del rango più elevato. Costantino, inoltre, diede espressione alle prerogative vantate verso Licinio e Massimino Daia e derivanti dal titulus primi nominis, che si era fatto attribuire, anche con l’assunzione del titolo di Maximus Augustus54. In relazione a Massimino Daia, Lattanzio sottolinea come questi messaggi fossero giunti ai rispettivi destinatari: «Poi appena seppe del decreto del Senato provò un dolore così bruciante che espresse apertamente la sua avversione, mischiando invettive a battute sarcastiche contro l’imperatore supremo»55. La questione del rapporto con Licinio sarebbe stata di grande importanza per Costantino, poiché poneva il problema di fissare competenze e prerogative dei partner nella nuova alleanza con Licinio56. Con l’intenzione di Costantino di assumere una posizione di preminenza giuridica nell’Impero, lo status di Licinio risultava seriamente in pericolo (in base alle decisioni prese con l’autorità di Diocleziano nella conferenza di Carnunto, non solo Massimino Daia ma anche Licinio era sovraordinato a Costantino). A Costantino non sarebbe quindi spettato il rango più elevato tra gli altri sovrani ma, in realtà, quello più basso: per questo motivo egli tentava di attribuire al suo nuovo alleato il ruolo di partner iunior57.
Nell’ambito dei decennalia del 315, Costantino sembra aver tentato di trasformare l’alleanza di potere con Licinio in una forma di sovranità di più imperatori, strutturata dinasticamente e fondata su ampie basi personali. Un’indicazione piuttosto difficile da interpretare a proposito di questi eventi si trova nell’Anonimo Valesiano I 5,13-15). Di recente Timothy D. Barnes ha presentato una possibile ricostruzione degli eventi che, però, non è possibile confermare a causa dello stato poco chiaro delle fonti58. Il progetto di Costantino prevedeva la realizzazione di una sorta di tetrarchia dinastica nella quale al collegio imperiale composto di due Augusti, Costantino e Licinio, erano aggiunti due Cesari. In Occidente il candidato al ruolo di Cesare sarebbe stato l’aristocratico romano Bassiano, che poco prima si era unito in matrimonio con Anastasia, la sorellastra di Costantino. In Oriente sarebbe stato nominato Cesare Crispo. Barnes suppone che Licinio, cui nel frattempo Costanza, la sorellastra di Costantino, aveva dato un figlio, non avrebbe preso seriamente in considerazione la proposta di Costantino. Quando anche Costantino ebbe un figlio da Fausta, si rese necessario sbarazzarsi di Bassiano per non mettere in pericolo i mutati progetti dinastici, per i quali ormai Costantino puntava solo sui suoi discendenti. La notizia che Bassiano volesse usurpare il ruolo di Costantino è invece ritenuta, a ragione, del tutto inattendibile da Barnes. Quando i piani di Costantino fallirono, i suoi fratellastri e le sue sorellastre, che nel sistema di potere previsto avrebbero dovuto avere nel complesso un’importanza notevole, dovettero ritirarsi in città di provincia59. Oltre ad Anastasia, ciò riguardò anche Giulio Costanzo che, secondo la testimonianza contenuta nell’Anonimo Valesiano, nel contesto dei progetti dell’anno 315 era stato impiegato da Costantino come messo. La prima guerra civile tra Costantino e Licinio scoppiò quando Senecione, il fratello di Bassiano, il cui ruolo resta comunque poco chiaro, si rifugiò presso Licinio, che si rifiutò di consegnarlo a Costantino, fornendogli così un casus belli.
Se consideriamo questa ricostruzione corretta anche solo parzialmente, allora la prima guerra fu condotta, almeno in parte, per questioni dinastiche. Prima di analizzare i successivi sviluppi è però necessario prendere in considerazione quali effetti ebbe la svolta politico-religiosa di Costantino – introdotta negli anni dal 312 al 315 con le prime misure spettacolari in favore della religione cristiana – sulla sua politica dinastica e sulla rappresentazione della sua dinastia.
Lo sforzo operato da Costantino per ricondurre la propria legittimazione al potere a una linea di discendenza importante rappresentò un problema per la politica di integrazione in materia di religione del giovane sovrano, il quale, a partire dal 312, parificò dal punto di vista giuridico il cristianesimo alle religioni pagane e cercò, successivamente, di privilegiarlo in modo significativo. In questo contesto, l’ascesa di Costantino entro la tetrarchia, così come i richiami a Claudio il Gotico, Massimiano e Costanzo Cloro, risultavano problematici per varie ragioni: 1. Costantino stesso aveva assolto i suoi prima stipendia, cioè l’inizio della sua carriera militare, entro il sistema di governo della tetrarchia. I seguaci della religione cristiana consideravano questo fatto in modo molto critico a causa della politica di rifiuto, se non direttamente di ostilità, nei confronti dei cristiani da parte della tetrarchia; 2. l’ascesa del padre di Costantino ad Augusto e l’ingresso di Costantino nella tetrarchia avvennero proprio nel periodo delle persecuzioni di Diocleziano contro i cristiani; 3. a quel tempo, quando, dal maggio del 305 fino alla sua morte nel luglio del 306, deteneva il titulus primi nominis e dunque il diritto di comando entro il collegio imperiale della tetrarchia, Costanzo Cloro non aveva interrotto le persecuzioni contro i cristiani; 4. nemmeno Massimiano e Costantino, nel periodo della loro alleanza, avevano annunciato di voler introdurre mutamenti politici fondamentali (è evidente che, nel caso di Massimiano e Costanzo Cloro, Costantino faceva riferimento a due imperatori che senza dubbio praticavano culti pagani e che avevano in modo fondamentale contribuito alle persecuzioni dei cristiani da parte di Diocleziano); 5. anche dopo la rottura dell’alleanza con Massimiano nel 310, Costantino non aveva fatto ricorso a misure speciali per la parificazione della religione cristiana ai culti pagani: solo sei anni dopo la sua ascesa al potere è possibile individuare le prime disposizioni legislative con le quali egli reagiva agli interessi dei suoi sudditi cristiani – diversamente da suo padre, che aveva preso parte all’introduzione delle misure promosse dai suoi coreggenti con atti simbolici concordi, Costantino prima di allora aveva, ad ogni evidenza, sostanzialmente ignorato la questione cristiana60; 6. infine, Costantino era estraneo alla cessazione delle persecuzioni nell’anno 311 a opera del cosiddetto editto di tolleranza di Galerio: per la fine delle persecuzioni i cristiani dovevano dunque ringraziare Galerio, uno dei loro maggiori oppositori, e non Costantino, il primo imperatore cristiano.
Con l’abbrivio della svolta politico-religiosa, Costantino doveva rendere conto davanti ai suoi sudditi cristiani del modo in cui si era comportato, nei confronti della religione cristiana, prima di prendere il potere e nei primi anni del suo dominio, e del ruolo che aveva avuto suo padre in questo contesto. Anche nel periodo finale del regno di Costantino i cristiani più attenti potevano, infatti, ancora ricordare molto bene i lunghi anni della sua passività politico-religiosa. Ciò si vede molto chiaramente nella Vita Constantini, ma anche nel discorso del vescovo Eusebio di Cesarea per i tricennalia dell’anno 336: qui non viene attribuito alcun ruolo a Costantino nella fine delle persecuzioni dei cristiani da parte di Diocleziano; viceversa, nella sua rappresentazione Eusebio introduce il primo imperatore cristiano in chiusura del passo relativo alla fine delle persecuzioni come figura storicamente influente. Costantino diviene un miles Christi solo grazie alla rivelazione dei segni divini61. Nella Vita Constantini Eusebio tiene inoltre a sottolineare che il significato cristiano della sua visione era stato spiegato a Costantino da sacerdoti cristiani solo in un secondo momento62. Ciò mostra chiaramente che Costantino di fronte ai cristiani soffriva di un deficit di legittimazione che derivava proprio dal suo legame con la tetrarchia e dal suo richiamo genealogico a membri influenti del sistema di potere tetrarchico.
Nella sua opera Eusebio tratteggia il modello argomentativo con il quale Costantino affrontava il problema del suo passato tetrarchico (e con ciò, allo stesso tempo, pagano), e il modo in cui tentava di giustificare il suo successivo cambiamento di opinione63: egli avrebbe trovato solo più tardi, per mezzo di ripetute rivelazioni, la strada verso la religione cristiana, ma allora avrebbe stabilito un legame particolarmente stretto con Dio e sarebbe stato in grado di rivolgere uno sguardo privilegiato sulle verità divine. Un modello incompatibile con questo tentativo di interpretazione – anch’esso, probabilmente, riconducibile a strategie ufficiali tese a rendere plausibile la svolta – si trova nello scritto De mortibus persecutorum del retore cristiano Lattanzio, che nel periodo precedente all’ascesa al potere di Costantino godeva plausibilmente di una certa vicinanza al primo imperatore cristiano. Lattanzio attribuisce a Costantino un cambiamento di atteggiamento politico-religioso già nel periodo immediatamente successivo alla sua ascesa al potere e lo rappresenta come un pioniere antitetrarchico contro la penalizzazione e la persecuzione dei cristiani. Perciò, immediatamente dopo aver conquistato il potere, Costantino avrebbe avuto la prima e più importante occasione di «rendere i cristiani al loro culto e al loro Dio. Fu il primo provvedimento con cui egli sanzionò il ripristino della santa religione»64. Il fatto che Eusebio preferisca il racconto di una conversione successiva mostra che non tutti i cristiani erano disposti a seguire il modello di interpretazione di Lattanzio.
Inoltre, sembra che alcuni cristiani abbiano mostrato particolare interesse nei confronti della ragione per cui Costantino non aveva, in sostanza, impedito la loro persecuzione. Infatti, quando nell’anno 303 a Nicomedia fu presa la decisione di perseguitare i cristiani, Costantino risiedeva proprio presso la corte di Diocleziano e non era solo un influente tribuno, ma anche il figlio di un sovrano della tetrarchia, e dunque anche un pretendente al trono con grandi prospettive. Costantino sembra voler respingere la critica mossa al suo ruolo presso la corte di Diocleziano sostenendo che allora era solo un «fanciullo» (παῖς), e voler così suggerire di non aver fatto parte del circolo di coloro cui spettavano le decisioni e, pertanto, di non avere responsabilità per le persecuzioni65. È difficile definire esattamente il ruolo di Costantino in questo periodo alla corte di Diocleziano. Come si è già visto, era probabilmente tribunus ‹et comes› primi ordinis ‹in consistorio›, e tuttavia resta dubbia l’influenza che poteva esercitare in questo modo sugli affari di governo. È chiaro, in ogni caso, che in quel periodo egli aveva da tempo abbandonato la fanciullezza66.
Nel complesso, i numerosi legami fra Costantino e la tetrarchia ponevano il primo imperatore cristiano di fronte ad alcune difficoltà nel delineare una narrazione persuasiva della sua conversio, soprattutto se si considera la sua intenzione di non rinunciare a utilizzare la fama dei suoi predecessori come strumento di legittimazione del potere. Secondo le fonti più importanti, Costantino ha fondato la sua svolta religiosa sulla tardiva comprensione delle verità divine e, in Occidente, ha ricondotto questa comprensione a ripetute rivelazioni67. Egli ha tentato di mostrare con mirate decisioni politico-religiose e con un generoso sostegno alle istituzioni cristiane – fino all’edificazione delle prime chiese imperiali68 – che la sua conversione alla vera religione si poteva ritenere credibile.
Al contempo Costantino non perse di vista la religione pagana, poiché le istituzioni tradizionali dei culti romani erano estremamente funzionali alla rappresentazione dinastica della casata imperiale. Come riferisce Aurelio Vittore, dopo la sua vittoria contro Massenzio Costantino fece edificare «per la stirpe dei Flavi» (Flaviae genti), nella città nord-africana di Cirta, un centro di culto dell’imperatore con i relativi sacerdoti69. Nello stesso periodo, il tempio eretto da Adriano nel centro di Roma, dedicato a Venere e Roma, fu ridedicato «ai meriti di Flavio» (Flavii meritis). In questa riconversione furono coinvolti anche i sacerdoti di quel tempio, la cui presenza pare attestata in diverse iscrizioni. Il tempio di Venere e Roma serviva già dal II secolo al culto degli imperatori e delle loro dinastie: qui, per esempio, si onoravano le immagini di Marco Aurelio e della diva Faustina70. Ancora negli anni Trenta del Trecento, venne eretto nella città di Hispellum un «tempio per le genti Flavie» (templum Flaviae gentis)71.
Analogamente, molti cambiamenti di nome, cioè rifondazioni nominali di città, servirono a diffondere in tutto l’Impero la fama della dinastia costantiniana. Di norma le città ricevevano nomi nuovi riferiti direttamente alla dinastia di Costantino o a singoli membri della domus divina, e assumevano un nuovo aspetto urbanistico grazie a programmi di costruzione finanziati con mezzi imperiali. Tra le città rifondate da Costantino, sono note: Antaradus (Costanza), Arelate (Constantina), Augustodunum (Flavia Aeduorum), Byzantion (Constantinopolis), Cirta (Colonia Constantina), Drepanum (Helenopolis), Maiuma (Costanza), Maximianopolis (Costanza o Constantina) e Portus (Flavia Constantiniana); inoltre sono noti un forte sul Danubio chiamato Costanza, un avamposto militare nell’Osroene chiamato Constantina, un luogo in Traconitide chiamato Costanza o Constantina72. Con misure quali la fondazione di chiese, la costruzione di centri di culto imperiale e la rifondazione di città, Costantino poté rendere visibile la fama della sua dinastia in tutto l’Impero.
Il 1° marzo 317, con la sottoscrizione di una nuova alleanza, era terminata formalmente la guerra civile che Costantino e Licinio avevano condotto negli anni 316 e 317. Poiché nello scontro Costantino aveva ottenuto una vittoria parziale, aveva potuto dettare le sue condizioni alla controparte nell’accordo noto come armistizio di Serdica, del 1° marzo 317. L’accordo definiva i confini territoriali dei rispettivi ambiti di influenza ed elencava i capisaldi formali della nuova alleanza tra Costantino e Licinio. Quest’ultimo doveva cedere a Costantino la maggior parte delle sue province in Illiria e Pannonia, e ritirarsi da gran parte dell’Europa; solo le province del Mar Nero della diocesi di Tracia restavano sotto il suo controllo. A Costantino toccava così un’ampia parte del confine danubiano, con i relativi contingenti militari73. Inoltre, grazie alla vittoria, passavano sotto il dominio di Costantino anche la principale città di residenza di Licinio, Sirmium, le città dove si batteva moneta, Siscia e Thessalonica, e anche la città natale di Costantino, Naissus. Oltre a questo riordino territoriale, che portò con sé un notevole spostamento di peso politico e militare, l’armistizio di Serdica definiva anche l’ordinamento interno del nuovo collegio imperiale. Costantino e Licinio si riconoscevano reciprocamente come Augusti, e Licinio iunior e Costantino iunior erano nominati Cesari, fissando così per gli anni a seguire la successione delle coppie consolari.
L’accordo svela un altro aspetto riconducibile alla politica dinastica costantiniana. Costantino aveva scelto con avvedutezza anche la data della firma dell’alleanza: il 1° marzo, infatti, era il dies imperii di Costanzo I e divenne il giorno del 25° anniversario della sua ascesa al potere come Cesare; con la stipula di una nuova alleanza si festeggiava, inoltre, anche il dies imperii dei figli di Costantino, Crispo e Costantino iunior74. Infine, come annota il calendario di Filocalo del 354, ogni 1° marzo si celebrava il natalis Martis75. Già con la scelta della data Costantino era dunque riuscito a introdurre nell’alleanza riferimenti al carisma vittorioso della sua dinastia. A riguardo dell’ordine gerarchico interno al nuovo sistema di alleanza, Costantino conferì molta importanza a un primato chiaramente visibile della propria famiglia: lui stesso deteneva il titulus primi nominis e, con esso, il diritto nominale di comando sull’intero collegio; con Crispo e Costantino iunior poteva così far eleggere Cesari due dei suoi figli, mentre Licinio, con suo figlio Licinio iunior, poteva controllare solo un Cesare. Anche l’avvicendamento dei consoli indica chiaramente il primato dei membri della dinastia costantiniana rispetto a Licinio e suo figlio76: dal 318 al 319 Licinio e Licinio iunior ricoprirono solo due dei sei consolati di norma disponibili, mentre Costantino e i suoi figli ne ricoprirono quattro. È evidente che Costantino, dando risalto a questi aspetti politico-simbolici, cercava di sovrastare Licinio sul piano dimostrativo e di manifestare la propria supremazia di fronte ai partner orientali. In un certo senso, è possibile interpretare questa tendenza come una compensazione simbolica della sua vittoria su Licinio. Infatti, dato che la guerra civile era terminata con la firma dell’alleanza tra le due parti, il vincitore non aveva potuto festeggiare secondo le regole il successo militare.
In questo contesto, il ricorso a una linea di discendenza gloriosa ebbe per Costantino di nuovo un significato importante poiché, con il riferimento alla sua origine illustre, poteva dare un fondamento credibile alle mire di primazia della sua gens rispetto a Licinio e suo figlio. Nel 318 e nel 319, il significato e l’importanza della dinastia costantiniana all’interno del nuovo collegio imperiale si rafforzano incredibilmente attraverso un notevole incremento dei conii commemorativi in onore di Costanzo Cloro e, per la prima volta, anche di Claudio il Gotico e Massimiano (figg. II 37, 39, 42)77. Le monete vennero prodotte in grande quantità e coniate in bronzo nelle città di Treviri, Arles, Aquileia, Roma, Siscia e Thessalonica. Esse recavano il ritratto dell’imperatore divinizzato capite velato con gli epiteti optimus imperator, pius princeps, oppure – nel caso di Massimiano – senior fortissimus imperator78. Per questi conii commemorativi, sul rovescio delle monete furono poste due diverse legende: memoriae aeterne (l’aquila o il leone) e reqvies optimorvm meritorvm (l’imperatore divinizzato capite velato sulla sella curulis).
È possibile comprendere il sorprendente recupero di Massimiano – messo da parte dopo il suo fallito tentativo di usurpazione contro Costantino nell’anno 310 e sottoposto a un’umiliante damnatio memoriae – se si considera che egli, da molti punti di vista, era idoneo, ora come prima, a costituire un riferimento positivo: era auctor Imperii, suocero e padre adottivo di Costanzo Cloro, oltre che auctor Imperii e suocero di Costantino.
Costantino rimaneva il marito di Fausta, la figlia di Massimiano, che negli anni 316-317 gli aveva dato due figli di cui il maggiore, Costantino iunior, era stato nominato Cesare alla tenera età di appena un anno, mentre entrambi erano potenziali successori al trono; quindi il richiamo a Massimiano rafforzava ora in modo concreto la legittimità dinastica delle future generazioni della dinastia costantiniana. Nel contesto di una nuova rivalutazione di Massimiano sembra che anche Eutropia, vedova di Massimiano e madre di Fausta, abbia ottenuto nuovi onori. Vi fa riferimento uno scritto di Costantino del periodo tra il 324 e il 326 indirizzato a Macario e agli altri vescovi di Palestina, citato nella Vita Constantini, nel quale Costantino indica Eutropia come la sua «santissima suocera» (ὁσιωτάτη κηδεστρία)79.
Perciò i riferimenti genealogici sulle monete coniate in occasione della consacrazione erano chiaramente riservati, nel complesso, al versante costantiniano del nuovo sistema di potere, e costituivano, nella rappresentazione del potere di Costantino, un’evidente asimmetria tra la dinastia costantiniana e quella liciniana, sebbene nel periodo fra il 317 e il 321 Costantino avesse fatto realizzare nelle sue zecche anche conii in onore di Licinio e Licinio iunior. La rinnovata considerazione per Massimiano mostra come il recupero di Claudio il Gotico non fosse più concepito come una presa di distanza da Massimiano stesso. Tutti e tre gli imperatori divinizzati servivano a Costantino come cifra della sua nascita nobile e del suo diritto indubitabile a esercitare il potere80.
In ogni caso è chiaro che, dopo l’armistizio di Serdica, Costantino mise in campo tutti gli argomenti dinastici disponibili che gli consentivano di esprimere una posizione privilegiata rispetto a quella di Licinio. A questo scopo fece disinvoltamente riferimento a tre generazioni di predecessori di fama: Claudio il Gotico, Massimiano e Costanzo Cloro. Com’era prevedibile, Licinio non riprese i riferimenti ai predecessori di Costantino nelle matrici delle proprie zecche, ma allo stesso tempo rinunciò a propagandare i propri auctores Imperii, Diocleziano e Galerio. A causa delle sue umili origini Licinio non era in grado di contrapporre nulla di paragonabile alla rappresentazione dinastica fortemente nutrita di Costantino: nell’ambito di tale rappresentazione le due parti non potevano essere più diverse.
Nella primavera del 321 Costantino e Licinio infransero la loro alleanza e interruppero le relazioni diplomatiche. L’apice simbolico di questa rottura fu raggiunto il 1° marzo 321, quando a Serdica, in occasione del comune quinquennale, Crispo e Costantino iunior furono nominati consoli senza che questo fosse stato pianificato. In base al protocollo concordato nella primavera del 317, il 1° gennaio 321, nella parte dell’Impero sotto il controllo di Costantino, Licinio e Licinio iunior erano già stati riconosciuti come consoli; solo tre mesi più tardi la linea di conflitto da poco emersa con l’irregolare processus consolaris dei due figli di Costantino fu consolidata sul piano simbolico81. Contemporaneamente il noto oratore Nazario tenne davanti al Senato romano un discorso in elogio di Costantino e dei due Cesari, nel quale né Licinio né Licinio iunior erano più nominati82. Costantino e Licinio rifiutarono di riconoscersi reciprocamente anche negli anni seguenti. Il conflitto tra i due imperatori, le cui ragioni sono largamente ritenute poco chiare, avrebbe condotto, in ultima istanza, a un confronto militare, una guerra civile tra le due parti dell’Impero dalla quale Costantino, nel 324, sarebbe uscito vincitore e unico sovrano dell’Impero romano. Prima di arrivare al confronto militare dovevano passare altri tre anni, un lasso di tempo nel quale Costantino poteva guardare per la prima volta a un collegio imperiale dinastico formato solo da lui e dai suoi figli carnali e sulla cui concezione vale la pena esprimere alcune considerazioni.
Per capire i progetti dinastici di Costantino in questo periodo è decisiva la questione della relazione di rango tra i due Cesari. Nelle iscrizioni tramandate Crispo è sempre nominato prima di Costantino iunior, ma non è possibile cogliere ulteriori differenze83. Il conio di monete e medaglioni offre un’immagine più precisa. Soprattutto nei conii provenienti da Sirmium si vede in modo particolarmente chiaro come fosse concepito il rapporto ufficiale tra Crispo e Costantino iunior dal 321 fino al 324 (tracce paragonabili della fisionomia del rapporto tra i due Cesari si trovano anche nelle altre città in cui si batteva moneta). Si scelsero le seguenti opzioni: 1. in una parte dei conii non vennero introdotte differenze tra lo status dei due Cesari. Grazie a legende come virtvs avg et caess si faceva riferimento al plurale per entrambi, senza mettere a tema il loro preciso rapporto di rango84; 2. più volte fu usato lo stesso tipo del rovescio per fabbricare diversi conii per entrambi i Cesari: solo il nome sul ritratto che, di volta in volta, si trovava sul dritto, era adattato – anche in questo caso non è possibile individuare differenze di status tra i due Cesari85; 3. molti conii mostrano sulla faccia anteriore e posteriore i ritratti di entrambi i Cesari, anche se Crispo è nominato sempre per primo – per esempio in un multiplo da un solido e mezzo battuto a Siscia, che sul rovescio, sotto la legenda crispvs et constantinvs nobb caess, reca i due busti dei Cesari rivolti l’uno verso l’altro, oppure una serie di miliarenses leggeri di Sirmium, sul cui rovescio i Cesari affiancano l’imperatore sotto la legenda felicitas romanorvm. I due busti e le due figure non differiscono per forma ma per dimensione, anche se di poco, in modo tale che la differenza potesse essere comunque notata86. Come mostra il miliarensis di Sirmium, le proporzioni si approfondiscono in modo significativo unicamente quando il Cesare più anziano viene rappresentato non a sinistra, ma a destra.
Il fatto che, grazie a questi tratti identificativi, a Crispo fosse attribuito uno status più elevato rispetto al fratellastro è comprensibile. Come si è detto, infatti, Crispo era significativamente più vecchio di Costantino iunior (nell’anno 321 il panegirista Nazario aveva elogiato il Cesare più giovane perché sapeva già scrivere il proprio nome) ed era in grado di svolgere in modo completamente autonomo il ruolo di condottiero militare sul confine del Reno87. Inoltre nell’anno 322 Elena, la moglie di Crispo, aveva dato al Cesare un futuro successore al trono, il cui nome è, però, rimasto ignoto. Che la giovane famiglia di Crispo giocasse già in precedenza un ruolo peculiare nei piani dinastici di Costantino si evince dal fatto che Elena, la moglie di Crispo, era stata elevata al rango di nobilissima femina e probabilmente negli anni 319-320 le era stato reso omaggio con una propria serie di monete in bronzo88. Grazie alle sue vittorie contro i franchi e contro gli alamanni negli anni 320 e 323, Crispo ottenne un certo prestigio e poté consolidare la sua posizione a livello locale89. Viceversa, in questo periodo Costantino iunior, non ancora maturo, rimase nella cerchia di Costantino non potendo svolgere autonomamente nessun incarico90. A fronte di queste differenze tra i due Cesari, risulta perciò complessivamente ancor più sorprendente che nelle rappresentazioni del potere di Costantino negli anni fra il 321 e il 324 esse non fossero state messe in evidenza in modo ancor più marcato. Fra il 317 e il 321 Crispo era stato trattato in modo nettamente privilegiato rispetto al suo fratellastro; nel collegio imperiale gli era stata attribuita una posizione molto più elevata dal punto di vista del protocollo: aveva occupato il terzo posto, mentre Costantino iunior il quinto e ultimo. Era adesso necessario riavvicinare i due fratellastri che si trovavano in posizioni così diverse a livello protocollare.
Le interpretazioni di questo cambiamento nella politica di Costantino nei confronti di Crispo possono essere varie: da un lato si può ipotizzare che nel periodo successivo al 1° marzo 321 Costantino si fosse sforzato di ridurre il più possibile le differenze di rango tra i suoi due Cesari e di relativizzare la posizione sovraordinata del figlio maggiore. È possibile quindi individuare la tendenza, da parte di Costantino, a far sì che i Cesari partecipassero in modo equilibrato alla rappresentazione imperiale grazie all’adozione di alcuni specifici accorgimenti nelle rappresentazioni politiche e a un bilanciamento delle asimmetrie tra i due. Ciò si evidenzia in modo particolare nella sincronizzazione dei consolati. Crispo e Costantino iunior, nel 318 e nel 320, avevano ricoperto i relativi consolati senza l’altro Cesare, ma questa volta intrapresero insieme il secondo consolato nell’anno 321 e il terzo nel 324, in modo tale che Crispo non potesse più ambire a un rango più elevato, facendo riferimento al maggior numero di consolati ricoperti. Il nuovo rapporto tra Crispo e Costantino iunior si evince chiaramente anche dai carmina di Optaziano: nel carmen 10, molto probabilmente precedente al 1° marzo 321, Crispo è ancora messo sensibilmente in risalto rispetto al fratellastro. Viceversa, nei carmina 7, 8 e 16, risalenti al periodo che va dal 1° marzo 321 alla vittoria definitiva contro Licinio, non è possibile individuare differenze di status tra i due Cesari: un cambiamento lampante, che va ricondotto probabilmente alle premesse della rappresentazione ufficiale della dinastia costantiniana91.
Qui balza all’occhio il modo in cui Costantino mise in scena la sua vittoria contro i sarmati dell’anno 322: anche in questo caso è possibile ravvisare il fine di delineare una rappresentazione dinastica simmetrica. In occasione della vittoria contro i sarmati, accanto a una lunga serie di conii di monete in bronzo, furono realizzate anche monete in oro. Tra questi conii non ci sono monete d’oro provenienti da Sirmium i cui programmi iconografici o epigrafici facciano riferimento direttamente alla vittoria contro i sarmati – Sirmium, oltre a Treviri, in questo periodo era l’unica città nella quale si coniavano monete d’oro nonché la sede dei festeggiamenti per il trionfo dopo la vittoria. Solo a Treviri fu coniata una serie completa di monete auree con riferimento alla victoria sarmatica di Costantino; tra le monete, oltre ai solidi, c’erano anche multipla di uno e mezzo, due e tre, e i corrispondenti sottomultipli: dunque, complessivamente, un conio commemorativo molto ricco92. Le facce anteriori delle monete d’oro non mostrano però Costantino, il vero vincitore contro i sarmati, ma il ritratto e la titolatura di Costantino iunior, figlio di Costantino nonché Cesare, nonostante il fatto che il Cesare, al momento della vittoria, avesse solo sei anni e non potesse avere avuto un influsso degno di nota sugli eventi, e nonostante il fatto che nel periodo in questione né Costantino né Costantino iunior risiedessero in Occidente. Sul rovescio delle monete sotto la legenda principia ivventvtis si trova invece il principe in abito militare – una hasta nella mano sinistra e un globus nella destra – nell’atto di calpestare l’avversario in gestus di supplica (secondo il tema iconografico della calcatio); nel campo sotto la rappresentazione, l’iscrizione sarmatia fa riferimento alla vittoria corrispondente.
I conii realizzati in occasione della vittoria contro i sarmati sono stati probabilmente utilizzati a Treviri sia per i donativi sia per le elargizioni seguite alla vittoria di Crispo contro gli alamanni nell’estate del 323. Inoltre, i conii realizzati in occasione della vittoria contro i sarmati furono utilizzati insieme a quello in onore di Crispo, facendo in modo di conferire alla vittoria del più anziano dei Cesari un contrappeso simbolico e di rafforzare l’impressione di una concezione d’insieme perfettamente bilanciata della rappresentazione dinastica del potere. Che Costantino avesse fatto entrare in scena in modo così accentuato il suo secondo Cesare proprio a Treviri, la città di residenza di Crispo, e che lo avesse messo in relazione alla vittoria contro i sarmati su solidi e medaglioni, mostra chiaramente come l’imperatore avvertisse la necessità di contrastare la rapida ascesa del figlio maggiore e la conseguente asimmetria tra i due Cesari, per lo meno sul piano simbolico93.
Pertanto, è possibile mostrare con numerosi esempi come dal 321 al 324 Crispo e Costantino iunior fossero tenuti in considerazione in modo generalmente equilibrato nelle rappresentazioni costantiniane del potere. Ciò necessita di una spiegazione, soprattutto se si considera la precedente, netta prevalenza della posizione di Crispo. A un osservatore esterno doveva sembrare che già prima del 321 Crispo non fosse lontano dall’elezione ad Augusto. Nel momento in cui, con la rottura dell’alleanza con Licinio, Costantino avrebbe potuto nominare Crispo al suo fianco nel ruolo di Augusto, l’imperatore scelse di intraprendere la strada opposta. Il ruolo di Crispo fu chiaramente limitato in modo che Costantino potesse ampliare la differenza di status tra sé stesso in qualità di Augusto, da un lato, e i suoi due Cesari dall’altro. È evidente che Costantino, nell’immediato futuro, voleva essere l’unico a fregiarsi del titolo di Augusto. La crisi di palazzo dell’anno 326, di cui si parlerà più diffusamente in seguito, fa pensare che Crispo potesse avere progetti diversi.
Dopo la vittoria contro Licinio, Costantino dovette rinunciare in parte ai suoi sforzi di frenare l’ascesa del figlio maggiore. È possibile verificare che, anche dopo il 324, ci fu un trattamento del tutto uguale nei confronti di Crispo e Costantino iunior nei programmi iconografici ed epigrafici dei conii costantiniani, ma, allo stesso tempo, in questo periodo si moltiplicano gli indizi del fatto che Crispo era nella posizione di trasformare direttamente in capitale politico il proprio ruolo nella guerra civile. Costantino, infatti, era riuscito a ottenere la vittoria contro Licinio non da ultimo grazie a una potente flotta, fatta costruire tra il 318 e il 324 a Thessalonica e al Pireo94. Aveva affidato il comando della flotta a Crispo, che si era scontrato con successo contro la flotta di Licinio nella battaglia di Crisopoli il 18 settembre 324, contribuendo in modo determinante alla vittoria di Costantino. Nella rappresentazione costantiniana del potere questo evento è stato molto sfruttato, secondo una modalità che reca chiaramente dei tratti augustei: nei conii costantiniani del periodo successivo alla vittoria su Licinio ci sono pressoché ovunque rostri, come si trovavano anche nelle rappresentazioni di sé dell’Augusto dopo la battaglia di Azio: nel periodo in cui Costantino è stato sovrano assoluto, la Victoria che poggia i piedi sul rostro di una nave, che naviga su una triremi o solleva la corona della vittoria stando in piedi su una nave è un segno inconfondibile della vittoria navale di Crisopoli.
La monetazione costantiniana indica inoltre che il grandioso successo del Cesare non onorava Crispo solo in modo astratto, ma gli veniva molto concretamente attribuito come merito. Immediatamente dopo la vittoria, infatti, nelle zecche di Nicomedia e Thessalonica è messa in circolazione una serie di solidi recanti la legenda virtvs caesari solo ed esclusivamente per Crispo95. Le monete d’oro furono probabilmente spese per donativi ed elargizioni, come doni di Crispo ai soldati e ai membri dello stato maggiore, sia dopo che Costantino e i suoi figli, nel settembre del 324, avevano ricevuto la notizia della capitolazione di Licinio a Nicomedia sia quando lo stesso Crispo, sulla strada del ritorno verso Treviri, dopo avere concluso con successo la sua impresa, si era fermato a Thessalonica. Da qui, poche settimane prima, aveva preso il largo la sua flotta contro Licinio. Questa volta non furono realizzati conii analoghi per Costantino iunior. Che Costantino autorizzasse conii straordinari in occasione della vittoria è indizio di come, dopo la sconfitta di Licinio, egli avesse rinunciato di nuovo al tentativo di moderare la posizione di Crispo. Dopo la vittoria in mare di Crisopoli la posizione di Crispo nel collegio imperiale era migliorata a tal punto che ora si offrivano opzioni del tutto nuove per la rappresentazione del Cesare. Anche nei carmina di Optaziano si ritrova questa evoluzione: nei carmina 5, 9 e 20a, che è possibile datare con certezza al periodo successivo alla vittoria di Costantino contro Licinio, Crispo è posto nuovamente in rilievo rispetto agli altri Cesari: la fama della linea di ascendenza passa in special modo a lui, in quanto figlio di Costantino, e si amplia grazie ai suoi successi. È dunque possibile indicare Crispo come avis melior (carm. 9,24), ma, soprattutto, egli è elogiato come nobile vanto di suo padre96; Optaziano gli riconosce esplicitamente di avere superato le grandi e celebri imprese di Claudio il Gotico e Costanzo I, e di apparire come il successore al trono di suo padre. Il carisma di Crispo deriva dunque dalle sue imprese belliche e dalle sue capacità: nel carmen 5, che è possibile datare con relativa certezza alla primavera del 326, Optaziano dice di aspettarsi da Crispo soprattutto una soluzione militare definitiva alla situazione sempre problematica sul Reno, che soggioghi i franchi con un pesante impegno finanziario e che crei una situazione sicura e durevole nelle province galliche: le forze di Crispo, anche se indubitabilmente in pericolo, si prepararono per difendere il confine del Reno e del Rodano prevedendo aspre imposizioni per i franchi. Il fanciullo sacro inviato dal cielo è la giusta speranza per una grande pace97.
È evidente che, dopo la vittoria contro Licinio, Costantino dovette concedere al figlio maggiore un certo spazio di manovra per la sua rappresentazione di sé. Ma già pochi mesi dopo si delineò un cambiamento che solo in una certa misura poteva corrispondere alle intenzioni di Crispo: l’8 novembre 324, assieme a Costanzo, fu eletto Cesare un altro figlio di Costantino e di Fausta. Quasi contemporaneamente, anche Fausta fu eletta Augusta, assumendo ora un ruolo più ampio nella rappresentazione dinastica della casata regnante di Costantino, e conferendo così un maggior valore anche allo status dei suoi figli. Viceversa Minervina, la madre di Crispo, continuava a non rivestire alcun ruolo nella rappresentazione dinastica di Costantino. Al più tardi proprio in questo periodo Crispo si è posto la questione incalzante di quale ruolo avrebbe voluto giocare in futuro nel collegio imperiale guidato da Costantino e di quali mezzi era disposto a usare per affermare i propri interessi.
La cosiddetta crisi di palazzo dell’anno 326 rappresenta il punto di discontinuità più profondo della politica dinastica di Costantino e modificò sensibilmente la composizione non solo della domus divina, ma anche del collegio imperiale costantiniano. Sussistono tuttora interpretazioni molto diverse del conflitto, non da ultimo in ragione del fatto che nelle fonti antiche non è possibile rintracciare ragioni plausibili per questi drastici cambiamenti98. Per valutare i fatti e le loro conseguenze sulla politica dinastica di Costantino è necessario in primo luogo ricostruire e valutare per quanto possibile gli eventi nel dettaglio.
Il 326 sarebbe dovuto essere un anno commemorativo grandioso, con il quale si doveva rendere omaggio anche alle imprese della dinastia costantiniana. I decennalia incipientia dei due Cesari, Crispo e Costantino iunior, cadevano il 1° marzo 326, i vicennalia perfecta di Costantino il 25 luglio 326. Molti indizi suggeriscono che entrambi gli anniversari avrebbero dovuto aver luogo a Roma, con festeggiamenti comuni, il 25 luglio 32699. Ma non fu possibile condurre a termine questi piani poiché Crispo, il maggiore dei figli di Costantino e Cesare di maggiore successo, fu condannato a morte e giustiziato solo poche settimane prima della festa programmata – probabilmente nell’aprile o nel maggio del 326 – a Pola (nell’attuale Croazia) durante il viaggio verso Roma, su ordine di Costantino100. Il procedimento giudiziario che portò alla condanna di Crispo fu condotto ad ogni evidenza da Costantino stesso, con il coinvolgimento di alcuni dei suoi più stretti confidenti101. Eutropio riferisce inoltre che anche «numerosi amici» sarebbero rimasti vittime della crisi di palazzo102. Sembra quindi che Costantino abbia ordinato un’epurazione politica tra i confidenti di suo figlio. Ciò deve avere riguardato soprattutto il ceto dirigente militare e civile nelle Gallie, poiché in precedenza, negli anni tra il 317 e il 326, Crispo, in qualità di Cesare, aveva mantenuto la sua residenza, con poche interruzioni, a Treviri e lì aveva potuto costruirsi – come si è già visto – una fama di promettente pretendente al trono imperiale romano grazie alle campagne vittoriose contro i franchi e gli alamanni103. Non è possibile stabilire chi o quali gruppi siano rimasti coinvolti. Timothy D. Barnes ha suffragato l’ipotesi che l’aristocratico romano Ceionio Rufio Albino sia stato esiliato in conseguenza della crisi di palazzo104. In concomitanza con la caduta di Crispo fu uccisa anche la moglie di Costantino, Fausta, evidentemente però non nell’ambito di un procedimento regolare105. Poiché di Elena, moglie di Crispo, e del loro figlio non ci sono più notizie, è probabile che anche loro siano stati uccisi, arrestati oppure esiliati. Tracce archeologiche rinvenute sotto il duomo di Treviri fanno pensare, in ogni caso, che anche le stanze del palazzo di Treviri abitate da Crispo siano state distrutte a causa del conflitto106. A Crispo e Fausta fu inflitta inoltre una damnatio memoriae umiliante; la loro memoria fu screditata dalla distruzione delle loro immagini e dalla cancellazione delle iscrizioni loro dedicate.
Zosimo e Zonara sostengono la tesi, largamente condivisa nella ricerca storica, secondo la quale Costantino, con l’assassinio di suo figlio Crispo e sua moglie Fausta, avrebbe reagito a una relazione illecita tra i due107. In questo modo, tuttavia, non è possibile spiegare per quale ragione Crispo, il figlio di Costantino più ricco di ambizioni e di successi, che per più di un decennio era stato sostenuto quale presunto successore e cui erano stati conferiti i maggiori poteri, avesse potuto perdere i favori di suo padre in modo così improvviso da persuadere Costantino a condurre personalmente un processo giudiziario formale contro di lui, né per quale ragione fossero caduti vittima della crisi di palazzo non solo Crispo, ma anche numerosi suoi amici, o perché Costantino abbia imposto una damnatio memoriae su Crispo e Fausta, e infine perché la crisi sia avvenuta proprio in concomitanza con i decennalia.
Nel complesso, le circostanze suggeriscono piuttosto la dimensione politica del conflitto tra Crispo e Costantino: Diocleziano aveva introdotto un automatismo nella promozione ad Augusto dopo un cesarato decennale, al quale un Cesare consapevole e di successo poteva agevolmente richiamarsi. Nella fase dei suoi decennalia Crispo aveva ventiquattro anni, e lui e sua moglie Elena avevano un figlio di quattro anni, mentre entrambi i suoi fratellastri maggiori avevano all’incirca dieci anni108. Il lasso di tempo nel quale Crispo avrebbe potuto avanzare le sue pretese per un rango più elevato all’interno del sistema di potere costantiniano senza essere costretto a prendere in considerazione anche il suo fratellastro era, quindi, limitato. A questo si aggiunse che i fratellastri di Crispo erano nati dal matrimonio di Costantino con Fausta, la quale – come si è visto – fu eletta Augusta dopo la vittoria contro Licinio, mentre viceversa Minervina, la madre di Crispo, dopo il 307 non aveva più avuto alcun ruolo nella rappresentazione costantiniana, comparendo nelle fonti tardoantiche (forse a torto) come concubina109. Crispo, dunque, probabilmente temeva di essere destinato a perdere lentamente il suo posto di primo piano nel collegio imperiale costantiniano in conseguenza di sviluppi successivi. Queste considerazioni presuppongono che egli aspirasse consapevolmente al titolo di Augusto e che, forse, mostrasse di essere pronto a ottenere questo status anche contro la volontà dell’imperatore. A causa dello stato indecifrabile delle fonti, resta impossibile da chiarire quale ruolo possa avere giocato Fausta in questo contesto. La mancata sedimentazione nelle fonti antiche della dimensione politica del conflitto tra Crispo e Costantino può essere interpretata come espressione del fatto che Costantino poté risolvere il problema prima dell’esplosione del conflitto aperto, mediante mirate epurazioni politiche.
La crisi di palazzo del 326 comportò una rifondazione completa della casata costantiniana. Rispetto al periodo precedente, Costantino rafforzò molto il legame tra la domus divina e i membri della linea cadetta che discendevano da Teodora, prevedendo per loro funzioni d’alto rango e tenendoli in considerazione nei suoi progetti dinastici. Ciò fu necessario anche perché Costantino, dopo la morte di Fausta, non prese altre mogli e non poteva, dunque, attendersi altri discendenti110. Perciò, dopo la crisi di palazzo, la casata regnante costantiniana comprendeva – accanto a Costantino e sua madre Elena, che assunse un ruolo del tutto particolare che sarà preso in considerazione più avanti – una serie di persone legate da vincoli dinastici, che si indicheranno qui a seguire, relativamente al periodo che giunge fino al 337.
I figli di Costantino e Fausta
1) Flavio Claudio Costantino (316-340)111. Nato nell’estate del 316 ad Arles, Costantino iunior fu nominato Cesare il 1° marzo 317. Ricoprì il consolato ordinario negli anni 320, 321, 324 e 329. Il 9 settembre 337 fu nominato Augusto, insieme con Costanzo II e Costante. Eusebio racconta che Costantino iunior era già sposato prima dei tricennalia perfecta del 336. È probabile che avesse contratto matrimonio l’anno precedente112 e sembra che sia stato il primo a sposarsi tra i Cesari rimasti dopo la crisi di palazzo (questo è ciò che implica il racconto di Eusebio). Il nome di sua moglie non è noto; forse si trattava della figlia di Flavio Optato, console ordinario nel 334 e patricius113, a sua volta forse imparentato con la madre di Costantino114. Dapprima, negli anni dal 316 al 328, Costantino iunior rimase nell’immediata cerchia di Costantino115 e, a partire dal 328, risiedette a Treviri116. Successivamente è stata registrata la sua presenza nelle Gallie, forse nel 330 durante una campagna militare contro gli alamanni, nel 332 a Colonia, nel 336 in Gallia e nel 337 a Treviri117.
2) Flavio Giulio Costanzo (317-361)118. Nato il 7 agosto 317, Costanzo fu nominato Cesare a Bisanzio. Nel 326 ricoprì il consolato ordinario e il 9 settembre 337 fu nominato Augusto insieme con Costantino iunior e Costante. Nel luglio del 336, durante i festeggiamenti per i tricennalia a Costantinopoli, sposò una figlia di Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino), il cui nome è rimasto ignoto (si veda infra)119. Probabilmente Costanzo rimase nella cerchia di Costantino fino al 335120, anno a partire dal quale risiedette ad Antiochia121, dove nella primavera del 337 fu raggiunto dalla notizia della malattia di Costantino122. Nel maggio del 337, dopo la morte di suo padre, giunse a Nicomedia e fece traslare la salma a Costantinopoli, dove guidò la cerimonia funebre123.
3) Flavio Giulio Costante (320/323-350)124. Nato nel 320 o nel 323125, probabilmente il 25 dicembre 333 (cioè il giorno del natalis invicti o natalis Christi) fu nominato Cesare a Costantinopoli e Augusto, come si è detto, il 9 settembre 337 insieme a Costantino iunior e Costanzo126. Probabilmente dal 335 Costante fu fidanzato con Olimpia, la figlia del prefetto del pretorio Flavio Ablabio127, ma non risulta che siano giunti a sposarsi. Fino al 335 sembra che Costante avesse la sua residenza nelle immediate vicinanze di Costantino mentre nel periodo del suo cesarato risiedette probabilmente a Milano128.
Le figlie di Costantino e Fausta
1) Costantina (morta nel 354)129. Era la figlia maggiore di Costantino, ma non ci sono testimonianze che attestino la sua data di nascita. Filostorgio racconta che Costantina fu elevata da Costantino al rango di Augusta130. Questo tuttavia è poco plausibile poiché non ci sono conii in suo onore (probabilmente è stata scambiata con Costanza, sorellastra di Costantino, che a sua volta non era Augusta ma a cui, tuttavia, è stato reso omaggio in qualità di nobilissima femina nella monetazione costantiniana). Costantina sposò Annibaliano quando Costantino lo nominò rex regum131. Fino alla sua morte Costantina ebbe un ruolo importante nella politica dinastica dei successori. In seguito sposò Costanzo Gallo132, nominato Cesare il 1° marzo 351 e messo a morte nel 354. Anche nella vicenda di Vetranione, Costantina svolse una parte fondamentale. In un frammento di Pietro Patrizio si trova un’indicazione secondo la quale Magnenzio, nei suoi tentativi di stringere un’alleanza con Costanzo II, avrebbe aspirato alla mano della figlia di Costantino133. Negli anni Quaranta del IV secolo Costantina visse a Roma134; fondò la chiesa di S. Agnese e l’annesso mausoleo (S. Costanza), dove fu in seguito seppellita. Costantina morì in Bitinia nell’anno 354135.
2) Elena (morta nel 360/361)136. Era probabilmente sposata con Dalmazio Cesare137, il quale morì in seguito agli intrighi per la successione al trono del 337. Costanzo II la diede in sposa a Giuliano, dopo la sua nomina a Cesare il 6 novembre 355. Secondo il Liber Pontificalis, Elena fu una fervente cristiana138.
I figli di Teodora
1) Flavio Dalmazio (morto nel 337)139. Dalmazio era probabilmente il maggiore dei figli che Teodora diede a Costanzo140. Ricoprì la carica di console nell’anno 333. Le leggi destinate a Dalmazio indicano che già nel 324 occupava un ufficio di rango elevato141. Intorno all’anno 333 fu nominato censor e occupava perciò un rango superiore a quello di un prefetto del pretorio, aveva la sua residenza ad Antiochia e, probabilmente, fungeva da comandante delle truppe sul fronte orientale; nel Chronicon Paschale è indicato come στρατηγὸς ωμαίων142. Condusse la spedizione militare che soffocò l’usurpazione di Calocero e la messa a morte dell’usurpatore a Tarso. Dalmazio condusse anche procedimenti civili, per esempio nel caso di Atanasio di Alessandria143, quindi fu attivo politicamente nel contesto delle tensioni politico-religiose in Oriente. In conseguenza delle trame per la successione al trono, Dalmazio fu ucciso nell’estate del 337. Aveva due figli: Dalmazio e Annibaliano, di cui si dirà oltre.
2) Flavio Annibaliano144. In ordine di età Annibaliano era probabilmente il secondo fratellastro di Costantino. Essendo egli morto molto presto, non è possibile indicare con maggiore dettaglio le date riguardanti la sua vita.
3) Giulio Costanzo (morto nel 337)145. Era forse il fratellastro più giovane di Costantino. Ricoprì l’incarico di console ordinario nel 335 e insieme a Dalmazio e Annibaliano fu elevato al rango di nobilissimus e nominato patricius nel 335. Pur non essendo membro del collegio imperiale, godeva di un rango superiore a quello di tutti gli altri che erano in carica146. Costanzo si sposò due volte e ebbe tre figli: Galla, la sua prima moglie, diede alla luce Costanzo Gallo (nato nel 326 a Massa Veterensis, in Etruria147), il quale fu nominato Cesare nel 351. Basilina, la sua seconda moglie, diede alla luce Giuliano, che Costanzo II nominò a Cesare nel 355 e che nel 360 usurpò il titolo di Augusto. Un altro figlio, non meglio noto, più anziano degli altri due, fu ucciso in conseguenza delle epurazioni politiche del 337. Anche Costanzo perse la vita a Costantinopoli in queste stesse circostanze.
I figli di Flavio Dalmazio
1) Dalmazio (315 circa-337)148. Nato intorno al 315, aveva pressoché la stessa età dei due figli maggiori di Fausta149. Costantino lo nominò Cesare il 18 settembre 335150, anniversario della battaglia di Crisopoli, durante la stessa settimana in cui ebbe luogo la solenne consacrazione della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Con la sua nomina a Cesare, Dalmazio fu l’unico membro della linea cadetta di Teodora a fare parte del collegio imperiale costantiniano, dove godeva del rango più basso. L’accettazione pubblica della decisione di Costantino di accogliere Dalmazio nel collegio imperiale è scarsamente testimoniata nelle risultanze epigrafiche: in numerose iscrizioni del periodo che va dal 335 al 337, in cui vengono citati i membri del collegio imperiale, gli incisori hanno rinunciato a nominare Dalmazio151. Aurelio Vittore sostiene che l’elezione di Dalmazio fosse avvenuta obsistentibus valide militaribus: si tratta di una considerazione verosimilmente segnata da un punto di vista successivo su tali questioni152. Nei conii, Dalmazio è considerato nella sua funzione di Cesare. Probabilmente egli si sposò nel 336, forse con Elena, la più giovane delle due figlie di Costantino. Morì nell’estate del 337 in seguito alle trame per la successione al trono.
2) Annibaliano (morto nel 337)153. Era il fratello minore di Dalmazio. Elevato al rango di nobilissimus già prima del 335154, negli anni 335-337 Costantino gli conferì il titolo di rex regum et Ponticarum gentium, dandogli l’incarico di re cliente dell’Armenia, probabilmente con residenza a Ktesiphon155. Con la designazione a rex regum Annibaliano assunse un titolo che aveva anche Shabur. Thomas Grünewald ha spiegato con argomenti plausibili come questo non debba necessariamente significare che Annibaliano dovesse sostituire Shabur156. Si pensava piuttosto «a un protettorato romano sugli Stati cuscinetto tradizionali»; infatti, «non ci sono documenti circa il fatto che l’impero persiano dovesse essere trasformato in uno Stato cliente di Roma, e ciò comporterebbe un eccesso di stima di sé che sarebbe sbagliato attribuire a Costantino»157. Nella zecca di Costantinopoli furono coniate monete con la titolatura regi Hannibaliano, sul rovescio delle quali era rappresentato Eufrate, il dio del fiume158. Annibaliano sposò, probabilmente nell’anno 336, la maggiore delle figlie di Costantino159. Fu ucciso a Costantinopoli in conseguenza delle trame per la successione al trono dopo la morte di Costantino.
Le figlie di Teodora
1) Costanza160. Si è già parlato del ruolo di Costanza come nesso dinastico tra Costantino e Licinio. Dopo la morte di Licinio, nel 325, sembra che Costanza si trovasse alla corte di Costantino. Nelle storie della Chiesa più tarde si dà notizia del fatto che Costanza si era impegnata affinché l’esilio di Ario fosse revocato161. Non è chiaro quanto sia attendibile questa indicazione. Ci sono altrettanti dubbi su quanto a lungo Costanza sia vissuta. Per Costanza, in qualità di soror constantini avg, Costantino fece realizzare delle monete in bronzo che recavano la titolatura constantia n f162; la città di Costanza in Palestina deve a lei il suo nome.
2) Anastasia163. Non è chiaro quale ruolo abbia avuto Anastasia dopo il 326. Alla vigilia della prima guerra civile tra Costantino e Licinio era sposata con Bassiano, che fu messo a morte nel 316. Non si sa altro di lei, se non il fatto che a Costantinopoli una stazione termale recava il suo nome164. Negli studi su Costantino il suo nome è considerato, da diverse prospettive, come indizio del fatto che Costanzo e/o Teodora guardassero con favore al cristianesimo.
3) Eutropia165. Eutropia era sposata probabilmente con Virio Nepoziano, console ordinario nel 336. Dal matrimonio era nato Nepoziano, che il 3 giugno del 350 (in concomitanza con l’usurpazione di Magnenzio) si fece nominare Augusto, riuscendo a rimanere al potere solo fino alla fine del mese, probabilmente sostenuto da una truppa di gladiatori166. In conseguenza della repressione del tentativo di usurpazione di suo figlio, deve essere stata uccisa anche Eutropia.
Elena, la madre di Costantino, ha avuto un ruolo peculiare nella sua politica dinastica. Durante la lenta ascesa di Costantino alla sovranità assoluta, negli anni dal 306 al 324, Costantino aveva evitato di sottolineare in modo particolare la sua discendenza da Elena. La ragione è chiara ed è stata già analizzata: la discendenza da Teodora, figlia di Massimiano, conferiva ai fratellastri di Costantino un prestigio dinastico significativamente superiore al suo, figlio di una semplice stabularia. Questa potrebbe anche essere la ragione per la quale, sin da principio, Costantino (diversamente dagli altri tetrarchi) aveva rinunciato a festeggiare i suoi dies natales: nella rappresentazione del proprio potere Costantino non conferiva un particolare significato alle circostanze della sua nascita, né alla sua discendenza da parte di madre. Elena non compare praticamente mai prima del 312 e non sembra abbia dimorato vicino a Costantino fino al 324. Ma dopo il 312 risiedette in una proprietà imperiale e fu molto attiva dal punto di vista evergetico, tra le altre cose con donazioni a chiese e restauri di terme; per il resto non è possibile fornire dati certi sulle sue attività in questo periodo167. Sembra che la conversione di Elena al cristianesimo sia da datare dopo il 312168.
Dal momento in cui Costantino regnò da solo, le premesse della sua politica dinastica mutarono in modo talmente profondo che, da lì in avanti, Elena poteva essere considerata senza difficoltà una rappresentante di spicco della domus divina e, come tale, oggetto di rappresentazioni in tutto l’Impero. Immediatamente dopo la vittoria definitiva contro Licinio, fu elevata, insieme con Fausta, al rango di Augusta e, da quel momento in poi, fu presa in considerazione nei conii imperiali. Il fatto che nei ritratti sulle monete Elena fosse rappresentata di norma con un diadema, mentre Fausta era rappresentata nella maggior parte dei casi senza corona, lascia presupporre che la prima godesse di un rango superiore nonostante avessero entrambe lo stesso titolo (figg. II 45, 49)169. Fino alla sua morte, avvenuta approssimativamente nel 328-329, alla madre dell’imperatore rimanevano solo pochi anni per sviluppare, dal punto di vista rappresentativo, la sua attività di Augusta al servizio di Costantino; il suo impegno in favore della monarchia costantiniana fu, tuttavia, talmente spettacolare che Elena avrebbe segnato l’immagine del potere di Costantino in modo duraturo. In questo senso, il contributo di Elena è derivato quasi interamente da un viaggio nell’Oriente dell’Impero. Il viaggio di Elena è spesso interpretato come pellegrinaggio in Terrasanta. Ciò dipende, non da ultimo, dal fatto che, con Eusebio di Cesarea, già un osservatore cristiano contemporaneo aveva messo in primo piano gli aspetti religiosi del viaggio, inserendo poi la descrizione degli eventi nella Vita Constantini. L’interesse dei posteri nei confronti di quanto Elena aveva fatto in Palestina si nutre anche del significato che questo avrà per la storia successiva della Chiesa: in Terrasanta Elena sostenne comunità cristiane e fondò chiese, ma soprattutto sembra avesse rinvenuto la santa croce. In questa chiave, ella rappresenta in modo peculiare il carattere cristiano della monarchia di Costantino. Inoltre, il viaggio di Elena svolse anche altre funzioni, ed è possibile arrivare a un’interpretazione dettagliata del ruolo di Elena quale rappresentante della dinastia costantiniana in Oriente soltanto valutando complessivamente tutta la sua attività.
Il viaggio di Elena in Terrasanta iniziò nella primavera del 327, immediatamente dopo la fine dei festeggiamenti per i vicennalia, tenutisi a Roma il 25 luglio 326, ai quali anche Elena aveva preso parte, e dopo il successivo rientro di Elena stessa a Costantinopoli insieme alla corte170. Quando Elena partì da Costantinopoli diretta in Oriente, erano passati già due anni e mezzo dalla vittoria definitiva di Costantino contro Licinio; nonostante viaggiasse molto, Costantino fino ad allora non si era mai spinto a oriente di Nicomedia171. Un viaggio fino ad Antiochia era previsto per l’inverno 324-325, ma non fu mai portato a termine172 e, fino al momento della sua morte, sembra che Costantino non abbia mai viaggiato in Oriente. Dal punto di vista dell’esercizio del potere, ciò rappresentava in un certo senso un problema poiché proprio in una regione militarmente sensibile, con un’elevata concentrazione di truppe, l’imperatore restava vincolato alla lealtà dei suoi sottoposti nei ranghi superiori dell’amministrazione civile e militare. Inoltre, dall’Oriente continuavano a generarsi gravosi conflitti entro la Chiesa cristiana, che da Costantino fu interpretata come unione degli adepti della sua divinità protettrice personale, la cui unità interna divenne di conseguenza per lui una priorità di primo piano173. Alla fine degli anni Venti del IV secolo, Costantino poteva, o non voleva evidentemente recarsi personalmente in Oriente per risolvere i problemi interni alla Chiesa e assicurarsi il sostegno della popolazione e delle sue truppe. A colmare questa lacuna furono dapprima Eutropia, sua suocera, la quale perse però il suo ruolo rappresentativo probabilmente nell’ambito della domus divina in conseguenza della crisi di palazzo174, e in seguito Elena che – come è detto in modo chiaro in un passo della Vita Constantini – in Oriente era quasi una sostituta dell’imperatore. Eusebio descrive questa circostanza come segue:
Visitò infatti tutto l’Oriente nella magnificenza della sua dignità imperiale e beneficò con innumerevoli donativi sia le popolazioni nel loro insieme, città per città, sia i singoli individui che si rivolgevano a lei; distribuì elargizioni anche agli eserciti con mano munifica, e fece moltissime offerte ai poveri ignudi e inermi, rifornendo alcuni di denaro e offrendo con generosità ad altri le vesti per riparare il corpo, liberò altri ancora che erano oppressi dalle sofferenze del carcere e delle miniere, affrancò quanti erano vittime di abusi, altri, infine, li richiamò dall’esilio175.
Anche se, proseguendo il suo resoconto, Eusebio si concentra soprattutto sul comportamento caritatevole di Elena nei confronti della Chiesa cristiana e sulla sua attività come fondatrice di chiese, in questo passaggio la vediamo chiaramente comparire nel modo più classico come autorevole rappresentante della domus divina. Come spiega Eusebio, fa chiaramente visita ai reparti dell’esercito nel ruolo di mater castrorum, rendendo omaggio con donativi ai meriti dei soldati e con elargizioni alle imprese del personale di comando, solitamente una prerogativa dell’imperatore. In un altro passaggio si legge che, in risposta, le truppe la acclamarono come Augusta176.
A questo proposito, Eusebio sottolinea che Elena disponeva di un pieno accesso ai mezzi finanziari di Costantino177; ciò implica che i donativi e le elargizioni fossero finanziati con le regolari casse dello Stato e perciò venissero intese come doni dell’imperatore. Poiché Costantino negli anni 324-329 aveva fatto realizzare un alto numero di conii per la madre – anche nelle città d’Oriente dove si batteva moneta, come Costantinopoli, Cizico, Nicomedia, Antiochia e Alessandria –, è possibile ipotizzare che quando Elena fece la sua comparsa di fronte alle truppe, siano state impiegate proprio queste monete come doni per i soldati e per il personale di comando178. Anche sul confine orientale dell’Impero, notoriamente problematico, Elena funse da rappresentante di suo figlio anche nelle sue qualità di capo carismatico delle truppe e condottiero vittorioso: il ruolo di madre dell’imperatore era, dal punto di vista della prassi del potere, probabilmente più importante di quello di costruttrice di chiese. Non è certo, infatti, che le truppe nell’Oriente dell’Impero, di norma blandite dalla presenza dell’imperatore, sarebbero rimaste fedeli in assenza di atti dimostrativi di questo tipo, che indicavano dedizione diretta da parte della famiglia regnante nei lunghi anni in cui Costantino regnò da solo: fu per la prima volta nel 333 che Costantino mandò il suo fratellastro Flavio Dalmazio ad Antiochia in qualità di censor, e ci vollero ancora due anni perché giungesse a oriente il Cesare Costantino iunior, un membro del collegio imperiale. Nell’anno 337 lo stesso Costantino volle partecipare a una campagna militare persiana, ma si ammalò nella fase della preparazione e morì quasi tredici anni dopo l’inizio del suo principato, senza essersi mai recato, come imperatore, sul confine orientale.
Secondo il resoconto di Eusebio, nell’Oriente dell’Impero Elena si prodigò in liberalitas imperiale nei confronti sia delle truppe sia delle popolazioni urbane179. Anche in questo caso seguì con evidenza il modello classico della messa in scena del potere: i doni in denaro alle popolazioni urbane – i cosiddetti congiaria – erano, infatti, gesti consueti della generosità imperiale, attraverso i quali il sovrano cercava di assicurarsi il favore della popolazione, in genere in occasione dell’ingresso dell’imperatore in città o di particolari festività. Anche l’amnistia per i condannati ai lavori forzati o per coloro che erano stati colpiti da un bando imperiale, menzionata da Eusebio nel passo citato, fa parte del repertorio classico delle misure imperiali con le quali il signore esprimeva la sua clementia e la sua humanitas nei confronti della popolazione.
Nonostante il significato senza dubbio elevato di tali forme classiche della rappresentazione del potere di fronte alle truppe e alla popolazione civile, rispetto al viaggio di Elena in Oriente le fonti che danno notizia dell’azione della madre dell’imperatore pongono l’attenzione su un’altra questione: si concentrano quasi esclusivamente sull’azione di Elena in favore della Chiesa cristiana. Questo è, di fatto, anche l’aspetto maggiormente innovativo della sua attività. Eusebio racconta che Elena avrebbe consacrato due chiese in Terrasanta180: la basilica della Natività a Betlemme e la chiesa dell’Assunzione, ovvero la chiesa dell’Eleona sul monte degli Ulivi. La fondazione delle due chiese va probabilmente ricondotta all’iniziativa di Costantino181; sembra infatti che Elena non abbia dato inizio al processo di costruzione, ma che l’abbia esaminato e abbia preso parte al finanziamento degli allestimenti. Probabilmente le due citate in modo esplicito da Eusebio sono le costruzioni di chiese più rilevanti che si possono ricollegare a Elena in qualità di benefattrice. Inoltre Eusebio racconta in modo convincente che ella avrebbe degnato della sua attenzione anche «i templi delle piccole città»182 e che avrebbe partecipato a numerose funzioni. Lo storico di Cesarea lodò Elena anche per la sua attività caritatevole, ed è legittimo presupporre che gli atti di generosa carità in favore dei bisognosi, anche al di fuori di contesti genuinamente religiosi, dovessero dare prova in modo particolarmente convincente dell’atteggiamento cristiano dell’imperatrice.
L’atto più spettacolare, che nella tradizione successiva è attribuito a Elena, è verosimilmente una costruzione letteraria: Elena avrebbe rinvenuto la santa croce nel centro di Gerusalemme, cosa che sembra avere spinto Costantino a demolire il tempio di Venere, fatto costruire da Adriano, per farvi edificare la basilica del Santo Sepolcro183. Jan Willem Drijvers ha esaminato a fondo la questione mostrando in modo convincente che già negli anni Venti del IV secolo la costruzione della basilica del Santo Sepolcro era messa in relazione con il ritrovamento della santa croce; tuttavia pare che Elena non abbia avuto nulla a che vedere con tutto ciò184. L’attività di costruzione di chiese messa in opera da Costantino in Palestina e l’impegno di Elena in favore della Chiesa cristiana in Oriente si intrecciavano in modo armonico, presentando la casata regnante come il centro personale di una monarchia cristiana pronto a impegnarsi al più alto grado per le esigenze del cristianesimo. Grazie all’imponente promozione dei luoghi degli eventi sacri della Bibbia, la politica di Costantino e l’attività di Elena diedero l’avvio a un processo che può essere definito una «costruzione della Terrasanta», come rivalutazione cultuale generale dei luoghi biblici, cui prima era stato reso onore solo in occasione di singole azioni di culto185.
Sullo sfondo di queste considerazioni sul viaggio di Elena in Oriente è possibile, in sintesi, affermare che la madre dell’imperatore non intraprese un pellegrinaggio, ma nella sua qualità di Augusta svolse ruoli molto diversi, cercando di rispondere a uno spettro molto ampio di richieste che i differenti gruppi di popolazioni rivolgevano alla casata regnante: come mater castrorum rappresentò, di fronte ai soldati, soprattutto la virtus e la fortitudo dei membri della stirpe regale; come supremo giudice, con le sue amnistie, dimostrò iustitia, clementia e humanitas; con i suoi doni in monete e oggetti alle popolazioni urbane fornì prova di liberalitas da parte della dinastia regnante; come benefattrice cristiana mise in pratica la caritas e con le sue donazioni alla Chiesa e la partecipazione alle funzioni diede prova della sua pietas. L’ampio spettro di modelli di comportamento convenzionali e innovativi messi in atto dall’anziana madre dell’imperatore nel suo mirabile viaggio non ha solo dato a Elena un posto sicuro nell’immagine della dinastia costantiniana, ma potrebbe anche avere contribuito in modo molto concreto ad assicurare il potere di Costantino in Oriente.
Non si conosce molto del periodo successivo al viaggio di Elena. Eusebio racconta che, prima della sua morte, Elena avrebbe fatto testamento, lasciando a suo figlio e a suo nipote tutti i suoi possedimenti186. Non ci sono testimonianze dirette circa la data della morte di Elena ed è quindi necessario ricavarla da altre indicazioni. Probabilmente Elena è morta nell’inverno tra il 328 e il 329, forse a Treviri, alla presenza di Costantino, pochi mesi prima dell’interruzione delle coniazioni che la celebravano come Augusta, che è possibile datare in modo relativamente certo alla primavera del 329187. La sua salma fu portata nella «città imperiale» – cioè a Roma – e inumata con gli onori militari nel mausoleo imperiale in via Labicana, in un sarcofago in porfido conservato ancora oggi188.
Quando morì, nel 337, Costantino non aveva nominato Augusto nessuno dei suoi figli e non aveva dato a questo proposito alcuna disposizione testamentaria che potesse chiarire la questione della successione189. Il modo in cui Costantino aveva pianificato l’ordine di successione costituisce, dunque, un problema molto controverso, oggetto di una ricerca intensa durata molto tempo. Per dedurre la regola di successione che aveva inteso applicare, di norma è analizzato lo sviluppo del collegio imperiale costantiniano fino alla morte dell’imperatore, avvenuta nella primavera del 337.
Verso la fine del suo regno, Costantino disponeva di un collegio di quattro Cesari, di cui solo tre erano suoi figli di sangue. La circostanza per la quale, con Dalmazio, Costantino aveva introdotto nel collegio un membro della linea di discendenza cadetta di Teodora indica che, rispetto al passaggio di potere che si sarebbe innescato alla sua morte, egli mirava a un collegio imperiale complessivamente composto da quattro persone, e che quindi volesse stabilire una sorta di tetrarchia dinastica. Restano molti dubbi su quale forma avrebbero dovuto assumere in tutto ciò i rapporti di rango, e dunque il diritto di comando e i rapporti di soggezione, nonché sulla suddivisione territoriale dell’Impero nelle corrispondenti regioni su cui ciascuno avrebbe dominato e di cui sarebbe stato responsabile. È chiaro, tuttavia, che era necessario per Costantino valorizzare la linea cadetta discendente da Teodora al fine di rendere plausibile l’incorporazione del figlio di un fratellastro nel collegio imperiale. In questa situazione balza all’occhio il fatto che Teodora, a partire dal 335, fosse rappresentata nei conii costantiniani190. Dove i quattro Cesari erano rappresentati insieme – per esempio su un medaglione d’oro dell’anno 335 – Dalmazio era comunque ritratto in modo significativamente più piccolo rispetto agli altri Cesari191.
Una suddivisione delle diverse regioni di dominio si delinea già negli anni dal 335 al 337192. Dalla nuova metropoli, Costantino avrebbe perciò dovuto cogliere con lo sguardo tutto l’Impero, mentre i singoli Cesari avrebbero avuto sotto il loro controllo determinate regioni dotate di una residenza principale. La residenza principale di Costantino iunior si trovava a Treviri e abbracciava la Britannia, la Gallia e la Spagna; Costanzo risiedeva ad Antiochia ed era responsabile della praefectura Orientis, che includeva anche l’Egitto; Costante probabilmente risiedeva a Milano e vigilava sull’Italia, l’Africa e l’Illirico; infine Dalmazio risiedeva probabilmente a Naisso ed era responsabile della regione del Danubio, cioè Mesia e Tracia. Ai Cesari furono affiancati dei prefetti del pretorio – ma nel caso di Dalmazio non ci sono documenti che attestino l’esistenza di una prefettura193. A partire da questo collegio composto da quattro Cesari, dopo la morte di Costantino si doveva istituire una nuova tetrarchia dinastica con due Augusti e due Cesari194. In Occidente, Costantino iunior si sarebbe fregiato del titulus primi nominis; Costante lo avrebbe appoggiato in qualità di Cesare. Costanzo avrebbe regnato come Augusto di secondo rango in Oriente, con Dalmazio quale suo Cesare. Inoltre era prevista l’edificazione del mausoleo della gens Flavia a Roma195.
A prescindere da come Costantino volesse regolare la successione, è possibile fare alcune considerazioni: in primo luogo, egli perse l’occasione di fissare per iscritto la sua idea e definirla con un testamento; in secondo luogo, prima della sua morte avrebbe dovuto eleggere almeno uno dei suoi Cesari al rango di Augusto, per fornirgli la competenza al comando necessaria a un passaggio di potere regolamentato. La situazione di partenza non chiarita rese possibile, per Costanzo, prendere l’iniziativa e regolare la questione secondo i propri piani. Dopo la sua morte, Costantino fu rapidamente inumato a Costantinopoli, mentre Costanzo chiaramente non aveva alcun interesse a fare in modo che i suoi due fratelli potessero prendere parte alle esequie. Così Costanzo riuscì a diventare colui che avrebbe regolato la questione della successione, giocando un ruolo di primaria importanza nel collegio del successore di Costantino. I membri della linea cadetta di Teodora, furono pressoché completamente cancellati dai sostenitori del Cesare, che si trovavano quasi tutti tra i militari, fino a che i figli di Costantino, il 9 settembre 337 –, circa tre mesi dopo la sua morte – assunsero insieme il titolo di Augusto, potendo così accedere anche dal punto di vista formale al potere nelle regioni sotto il loro dominio. Anche se, quindi, Costantino stesso non era riuscito a creare le condizioni di partenza per un passaggio di potere ordinato, il principio dinastico che aveva contribuito ad affermare riuscì a influenzare in modo duraturo l’organizzazione del potere nella tarda antichità.
1 Bisogna intendere come membri del collegio imperiale solo quelle persone che compaiono quali firmatari delle comunicazioni imperiali; a questo proposito si veda T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA), 1982, p. 9. Il panegirista dell’anno 311 indica come apparatus Imperii l’élite dell’amministrazione civile e militare costantiniana: Paneg. 5(8),2,1. Di consueto sono considerati appartenenti alla domus divina i membri della famiglia coinvolti direttamente o indirettamente nel governo. Nella sterminata letteratura sulla storia di questi eventi, cfr. T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA), 1981, pp. 3-77; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, pp. 13-162; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011, pp. 27-172. A proposito delle persone nominate in seguito, si vedano inoltre le voci corrispondenti in RE e in PLRE I.
2 Lact., mort. pers. 18,10 (l’emendazione è stata introdotta in Lucius Caecilius Firmianus Lactantius, De la mort des persécuteurs, éd. par J. Moreau, 2 voll., Paris 1954, pp. 313-314; questo ruolo implica un precedente tribunato; a questo proposito si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, 284-602: A Social Economic and Administrative Survey, 4 voll., Oxford 1964, pp. 640-641.
3 Su Elena è fondamentale J.W. Drijvers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of Her Finding of the True Cross, Leiden 1992. Correzioni decisive dei dettagli in T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 30-38. Elena è indicata come una stabularia in Ambr., obit. Theod. 42. Barnes ha spiegato in modo convincente (Constantine, cit., pp. 32-33) «that Helena was the daughter of the inn-keeper at an imperial mansio or stabulum where Constantius changed horses and lodged overnight». In alcune fonti Teodora è indicata come privigna (figliastra) di Massimiano, ma Barnes (The New Empire, cit., p. 33, cfr. Constantine, cit., pp. 38-42) ha reso plausibile l’idea che fosse nata da una precedente moglie di Massimiano, forse una figlia del prefetto del pretorio Afranio Annibaliano (console nell’anno 292); a questo proposito si veda anche B. Leadbetter, The Illegitimacy of Constantine and the Birth of the Tetrarchy, in Constantine. History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London 1988, pp. 74-85, in partic. 76 segg. Sulla circostanza del matrimonio tra Costanzo I e Teodora cfr. B. Leadbetter, The Illegitimacy of Constantine, cit., p. 82, e T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 38-39.
4 Questo è implicito in Iul., ad Ath. 287A.
5 Ciò si vede chiaramente nelle monete coniate a Treviri risalenti al periodo della seconda tetrarchia. In particolar modo nelle monete di metallo pregiato finemente lavorate è palese come il naso aquilino e il mento pronunciato rappresentino i tratti distintivi di Costanzo I; anche nelle monete di bronzo questo tratto caratteristico viene messo bene in rilievo.
6 Sul significato della similitudo nel Panegirico si veda H.P. L’Orange, R. Unger, Das spätantike Herrscherbild von Diokletian bis zu den Konstantin-Söhnen: 284-361 n. Chr., Berlin 1984, pp. 3-6, 30-31; S.G. MacCormack, Art and Ceremony in Late Antiquity, Berkeley 1981, pp. 179-180; M. Mause, Die Darstellung des Kaisers in der lateinischen Panegyrik, Stuttgart 1994, p. 71.
7 Paneg. 7(6),14,5.
8 Paneg. 7(6),14,5; si veda Paneg. 6(7),2,3; 2,5; 3,1-2; 3,4; 4,2-3; 4,6.
9 Cfr. CIL XII 5516 e CIL XII 5527.
10 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit.: nn. 5-6, 12a, 14, 21, 23, 41, 46-48, 63, 79-80.
11 Una testimonianza dell’esilio di Tolosa si trova in Auson., Prof. Burd. 16,11-12 («dum Constantini fratres opulenta Tolosa / exilii specie sepositos cohibet»). Che per lo meno Flavio Dalmazio insieme con i suoi due figli Dalmazio e Annibaliano – nati in esilio – (forse in un momento successivo) risiedesse a Narbo si deduce da Auson., Prof. Burd. 17,8-11. Esuperio (Auson., Prof. Burd. 17) ed Emilio Magno Arborio sostengono che i figli del fratellastro di Costantino fossero stati formati da un retore gallico molto in vista, il quale più tardi (circa nel 328) fu chiamato a Costantinopoli, forse addirittura dietro consiglio di Flavio Dalmazio, per diventare il praeceptor di Dalmazio (Auson., Prof. Burd. 16; J.F. Matthews, Western Aristocracies and Imperial Court AD 364-425, Oxford 1975, p. 82; T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 164). A proposito dell’esilio dei fratellastri di Costantino si veda anche RE VII, O. Seeck, s.v. Iulius Constantius, cc. 1043-1044, in partic. 1044, e RE VIII, O. Seeck, s.v. Dalmatius 3, cc. 2455-2456, in partic. 2455.
12 La situazione sarebbe migliorata per il fratellastro di Costantino al più tardi nella primavera del 313, quando l’imperatore diede in sposa la sua sorellastra Flavia Giulia Costanza, a sua volta nata dal matrimonio tra Costanzo I e Teodora, al suo alleato Licinio. Solo dopo essere riuscito a conquistare il potere assoluto Costantino integrò nel suo apparato di potere anche parenti maschi della linea cadetta che discendeva da Teodora, prevedendo alte cariche per i suoi fratellastri e i loro figli. Si veda infra, il paragrafo dedicato alla politica dinastica di Costantino dopo il 326.
13 Questo è stato notato anche da Libanio; cfr. Lib., Or. 18,8.
14 Paneg. 7(6),14,4; si vedano anche Paneg. 7(6),3,3: «Divi, inquam, Constantii filium, in quem se prima illius iuventa transfudit, in cuius ore caelestes illius vultus natura signavit»; Paneg. 7(6),14,4: «filium tuum, qui te primus patrem fecit».
15 Paneg. 6(7),4,2-6; Paneg. 7(6),3,3.
16 Nelle fonti contemporanee il soprannome non è tuttavia indicato.
17 Chron. Pasch. p. 517 ed. Dindorf.
18 W. Ensslin, Dalmatius Censor, der Halbbruder Konstantins I, in Rheinisches Museum für Philologie, 78 (1929), pp. 199-212, in partic. 201.
19 Paneg. 7(6),4,1. Brigitte Müller-Rettig (B. Müller-Rettig, Lobreden auf römische Kaiser, I, Von Diokletian bis Konstantin, Darmstadt 2008, p. 245) per esempio scrive, giungendo a una conclusione poco convincente: «in ogni caso né il concubinato con Minervina né la separazione da lei per sposare Fausta costituivano un argomento rilevante in quest’occasione, tutt’al più un ritocco».
20 Paneg. 7(6),14,7: «quin etiam ut omnibus modis tua necessitudo renovetur, rursus hic socer, rursus hic gener est, ut beatissimus imperator semper ex tua subole nepotibus augeatur».
21 Probabilmente qui l’oratore riflette un argomento messo in circolazione da Costantino e dalla sua cerchia più ristretta. Di fronte al fatto che Minervina era comunque imparentata con Diocleziano (a questo proposito cfr. T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 48 seg.), l’utilizzo del precedente legame di Costantino con Minervina costituisce un notevole cambio di prospettiva allo scopo di valorizzare la figura di Crispo, senza avvicinare Costantino a Diocleziano.
22 Crispo nacque nel 302 circa e perciò nel settembre del 307 aveva più o meno 5 anni; a questo proposito cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors. The Panegyrici Latini, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1994, p. 195 nota 10.
23 Sul concetto di auctor Imperii si veda J. Szidat, Usurpator tanti nominis. Kaiser und Usurpator in der Spätantike (337-476 n.Chr.), Stuttgart 2010, pp. 94-102.
24 Una circostanza alla quale avrebbe fatto riferimento tre anni dopo un panegirista: Paneg. 6(7),15,1: «anulos dederas». Questo passo è corrotto: a questo proposito cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., p. 239 nota 67.
25 A questo proposito cfr. B.H. Warmington, Aspects of Constantinian Propaganda in the Panegyrici Latini, in Transactions of the American Philological Association, 104 (1974), pp. 371-384, in partic. 374: «Constantine had to acquiesce in this public portrayal of his inferiority but he did nothing to help its realization».
26 RIC VI, Treveri 756.
27 A proposito della carriera militare di Costantino prima del 306 si veda T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 41-43; C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., p. 197 nota 16.
28 Anon. Vales., I 2,2.
29 Const., or. s.c. 16,2. È evidente che qui si intende la Babilonia egiziana; su questo luogo si veda A. Calderini, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell’Egitto greco-romano, 2,1, Milano 1973, pp. 17-18. Per ulteriori indicazioni cfr. ivi, suppl. 1 (1935-1986), Milano 1988, p. 75. Di recente T.D. Barnes (Constantine, cit., p. 52) ha tratto alcune conseguenze dall’ipotesi poco plausibile secondo la quale Costantino sarebbe stato nella Babilonia mesopotamica: «That he availed himself of the opportunity to inspect them [the ruins of Babylon] is extremely significant. For it implies that in 298 he already had an interest in the Old Testament».
30 Eus., v.C. I 19.
31 Const., or. s.c. 25; Lact., mort. pers. 18,10; 19,1-4.
32 Lact., mort. pers. 24,4; Anon. Vales., I 2,3; Zonar., XII 33. Anche il panegirista del 310 sottolinea un lungo periodo di apprendistato militare: Paneg. 6(7),3,3.
33 L’oratore del 307 si è mosso seguendo, sia nella scelta dei termini sia nell’intenzione del discorso, questo passaggio del Panegyricus pliniano. In entrambi i testi i concetti chiave corrispondono e anche la praemonens fortuna di Plinio si ritrova come auspicia fortunae nel panegirista dell’anno 307: Plin., paneg. 15,1-5; Paneg. 7(6),5,3. Nei panegirici al più tardi del periodo della diarchia dioclezianea e della prima tetrarchia il riferimento alla carriera militare è divenuto una parte obbligata dell’encomiastica regale, perché secondo l’ideologia dioclezianea la posizione del sovrano non derivava da nobili origini, ma andava ricondotta all’impegno per il bene della res publica: F. Kolb, Herrscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001, pp. 54-58.
34 I riferimenti alla giovinezza di Costantino attraversano l’intero discorso: Paneg. 7(6)5,2-3; 9,4; 13,3; 13,5; 14,1.
35 Paneg. 7(6),5,3: «tibi pater imperium reliquisset».
36 Il padre di Costantino aveva in ogni caso ricoperto ruoli più elevati prima di essere incluso nel collegio sovrano (a proposito della sua carriera T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 27-42), anche se probabilmente non aveva mai rivestito la carica della prefettura pretoriana (di nuovo T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 125-126; e anche C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., pp. 70-71 nota 38, e T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 40 seg.). Non ci sono prove certe che Galerio e Severo abbiano ricoperto la carica della prefettura pretoriana ma si tratta di permissible conjecture (T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 38) e speculative conjecture (T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 205 nota 16). A proposito della carriera di Massimino Daia prima del 305 racconta Lact., mort. pers. 19,6: «statim scutarius, continuo protector, mox tribunus, postridie Caesar».
37 A proposito della tesi secondo la quale Costantino non sarebbe stato nominato, da suo padre, Augusto ma Cesare, cfr. J. Wienand, Der Kaiser als Sieger. Metamorphosen triumphaler Herrschaft unter Constantin, Berlin 2012, pp. 119-135.
38 Per l’intero passaggio vedi Paneg. 7(6),6,2-7,4. Non essendo stato possibile sin qui documentare sul piano archeologico la presenza di un palazzo di residenza ad Aquileia, non è chiaro che cosa si debba intendere con palatium. Forse si tratta della residenza del corrector Venetiae et Histriae; a questo proposito si veda C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., pp. 198-199 nota 19.
39 La descrizione del dipinto che si trova nel Panegirico è analizzata da É. Galletier, Panégyriques Latins, II, Les Panégyriques Constantiniens (VI-X), Paris 1952, pp. 6-7 e nota 2; G.G. Belloni, La bellezza divinizzante nei Panegirici e nei ritratti monetali di Costantino, in Religione e politica nel mondo antico, a cura di M. Sordi, Milano 1981, pp. 213-222, in partic. 214 segg.; C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., pp. 198-200 note 18-22; R. Rees, Layers of Loyalty in Latin Panegyric: AD 289-307, Oxford 2002, pp. 168-171; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 55 seg.
40 Sullo sviluppo dell’elmo come insegna del potere cfr. A. Alföldi, Insignien und Tracht der römischen Kaiser, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 50 (1935), pp. 1-171; K. Kraft, Der Helm des römischen Kaisers. Ein Beitrag zur Vorgeschichte der mittelalterlichen Herrscherinsignien, in Wissenschaftliche Abhandlungen des deutschen Numismatikertages in Göttingen, hrsg. von E. Boehringer, Göttingen 1951, pp. 47-58, fig. 13; P.E. Schramm, Herrschaftszeichen und Staatssymbolik. Beiträge zu ihrer Geschichte vom dritten bis zum sechzehnten Jahrhundert, 3 voll., Stuttgart 1954-1956; A. Alföldi, Die monarchische Repräsentation im römischen Kaiserreiche, Darmstadt 1970; M.R. Alföldi, Bild und Bildersprache der römischen Kaiser. Beispiele und Analysen, Mainz 1999. Sul significato dell’elmo si veda inoltre P. Bastien, Le buste monétaire des empereurs romains, I, Wetteren 1992, pp. 201-223.
41 A proposito della datazione del tentativo di usurpazione da parte di Massimiano contro Massenzio cfr. P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon. De la réforme monétaire de Dioclétien à la fermeture temporaire de l’atelier en 316 (294-316), Wetteren 1980, pp. 20 seg.
42 Nel panegirico del 310 l’oratore fa solo indirettamente riferimento a quanto fosse grave la mancanza di lealtà dei soldati. La misura di quanto la questione abbia impegnato il panegirista si può intuire attraverso i riferimenti che si trovano in Paneg. 6(7),21,1-3, con i quali l’oratore affronta il problema delle conseguenze della spoliazione del confine del Reno, che Costantino doveva mettere in conto con la fine dell’usurpazione. Resta ancora da chiarire nell’insieme quale parte di preciso delle truppe lo abbandonò e quanto fosse complessivamente grande il numero di coloro che non gli restarono fedeli.
43 Lact., mort. pers. 42,1-2. Anche le risultanze epigrafiche mostrano quanto approfonditamente sia stata condotta la damnatio memoriae. In alcune iscrizioni non sono stati cancellati solamente il nome e la titolatura a Massimiano, ma sono state anche riposizionate le indicazioni della filiazione di Costantino. A questo proposito si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 46, nn. 36-37, 43-44. Più in generale sulla damnatio memoriae cfr. F. Vittinghoff, Der Staatsfeind in der römischen Kaiserzeit. Untersuchungen zur ‘damnatio memoriae’, Berlin 1936; P. Stewart, The Destruction of Statues in Late Antiquity, in Constructing Identities in Late Antiquity, ed. by R. Miles, London 1999, pp. 159-189; E.R. Varner, Mutilation and Transformation. Damnatio Memoriae and Roman Imperial Portraiture, Leiden-Boston 2004; F. Krüpe, Die damnatio memoriae – Über die Vernichtung von Erinnerung. Eine Fallstudie zu Publius Septimius Geta (198-211 n.Chr.), Gutenberg 2011.
44 A questo proposito si veda anche C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., p. 237 nota 61.
45 Così Massimiano sarebbe «incappato in una sorte inesorabile» (Paneg. 6(7),14,5), inoltre l’oratore parla dell’«inesorabilità del fato» (14,6), ma anche di «una sete talmente violenta se non passionale libido per il potere, ma quanto meno di un traviamento di un’età che già di per sé esce dai binari del buon senso (15,2)». L’oratore prosegue rivolgendosi a Massimiano affermando che «non è certo un dono della fortuna che il cuore sia soddisfatto dai desideri appassionati: la ragione non è un limite (15,3)».
46 In h.A. Claud. XIII si trova l’affermazione che Costanzo I sarebbe stato il figlio di una nipote di Claudio II. Poiché, però, si può individuare nel periodo tetrarchico-costantiniano il recupero di un collegamento della dinastia costantiniana con il presunto avo solo nel discorso del 310, è possibile anche che il riferimento nella Historia Augusta recuperi i cambiamenti intercorsi a causa della caduta di Massimiano. A. Lippold, Constantius Caesar, Sieger über die Germanen – Nachfahre des Claudius Gothicus?, in Chiron, 11 (1981), pp. 347-369, in partic. 357-360, ha di contro cercato di rendere plausibile l’ipotesi secondo la quale il passaggio in questione rifletterebbe lo stato delle conoscenze dell’anno 297. Ciò rimane poco convincente anche perché Diocleziano avrebbe corso un rischio non indifferente accogliendo nel suo collegio di generali di origini più umili un imperatore divinizzato. Che Costanzo I possa avere inventato la discendenza da Claudio il Gotico è meno plausibile, poiché egli si era mostrato decisamente leale verso gli altri sovrani della tetrarchia.
47 h.A. Gall. XV 4.
48 Paneg. 6(7),2,5.
49 Cfr. J. Engemann, “Dich aber, Konstantin, sollen die Feinde hassen!”: Konstantin und die Barbaren, in Konstantin der Große. Geschichte – Archäologie – Rezeption, internationales Kolloquium (Trier 10.–15. Oktober 2005), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, pp. 173-187.
50 Paneg. 12(9),2,4.
51 Paneg. 12(9),4,3 seg.
52 Anon. Vales., I 12; cfr. epit. de Caes. 40,13.
53 Lact., mort. pers. 44,11-12: «Senatus Constantino virtutis gratia primi nominis titulum decrevit, quem sibi Maximinus vindicabat».
54 Thomas Grünewald (Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 86-92) sostiene a questo proposito che il titolo di Maximus Augustus sviluppò a pieno la sua dinamica solo nel contesto dei decennalia. Per il periodo antecedente al 315 egli prende in considerazione unicamente il famoso medaglione in oro di Ticinum (l’odierna Pavia) dell’anno 313 (RIC VI Ticinum) e l’iscrizione, riportata in Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 241, voluta da C. Ceionio Rufo Volusiano, dell’anno 314. Ma Grünewald non considera il fatto che Lact., mort. pers. 44,12 mette in relazione questo titolo con il conferimento del titulus primi nominis. Accanto a questa iscrizione, Grünewald introduce nel suo catalogo una serie di ulteriori iscrizioni che contengono il titolo di Maximus Augustus, che vanno datate agli anni 312-315: nn. 33, 66, 97, 98, 118, 146, (165?), 247, 259, 283. Il catalogo fa riferimento ad alcune iscrizioni che recano questo titolo, la cui datazione all’anno 315 non va esclusa. Inoltre Optaziano attribuisce all’imperatore questo titolo in una sua lettera a Costantino, che va forse datata al mese successivo alla vittoria di ponte Milvio (a proposito di questa datazione cfr. T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 84, e R. Van Dam, Remembering Constantine at the Milvian Bridge, New York-Cambridge 2011, p. 158). Complessivamente le testimonianze disponibili suggeriscono che Costantino avesse assunto questo titolo già durante il suo soggiorno a Roma nell’inverno 312-313 e che al momento del suo incontro con Licinio nella primavera del 313 se ne fregiasse intenzionalmente.
55 Lattanzio, Come muoiono i persecutori, a cura di M. Spinelli, Roma 2005, p. 117; Lact., mort. pers. 44,12: «Cognito deinde senatus decreto sic exarsit dolore, ut inimicitias aperte profiteretur, convicia iocis mixta adversus imperatorem maximum diceret».
56 Che Lattanzio nella sua rappresentazione degli eventi (mort. pers. 44,11 seg.) si concentri sulla reazione di Massimino Daia e non prenda in considerazione Licinio può dipendere dal fatto che nel periodo in cui è stato redatto questo scritto in favore di Costantino egli fosse alleato di Licinio e che, quindi, Licinio stesso si prestasse poco a essere oggetto di polemica.
57 In questo contesto Costantino poteva appellarsi alla sua superiore tribunicia potestas e al fatto che il titolo di Augusto gli era stato conferito prima. Licinio avrebbe potuto evitare di accettare questo argomento – come aveva già fatto Galerio prima di lui –, ma, in vista di una cooperazione non conflittuale con Costantino, rinunciò a riaffermare rispetto a quest’ultimo il primato che gli spettava secondo le decisioni della conferenza di Carnunto.
58 T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 100-102.
59 Dopo il 316-317 è possibile individuare Giulio Costanzo a Corinto: Anon. Vales., I 5,14; Lib., Or. 14,29-39.
60 Lact., mort. pers. 15,7 narra di distruzioni di chiese sotto Costanzo I. Quanto raccontato in Eus., v.C. I 16 implica che Costanzo I avesse preso parte alle persecuzioni. Anche se Lact., mort. pers. 24,9 sostiene che Costantino avrebbe restaurato la libertà della religione cristiana nella regione sotto il suo dominio, egli suggerisce comunque che Costanzo I abbia partecipato alle persecuzioni. La circostanza più importante resta comunque quella per la quale Costanzo I non fece cessare le persecuzioni quando nell’anno 305 – come afferma Eusebio v.C. I 18,1 – divenne “πρῶτος αὔγουστος”, disponendo quindi del potere di comando su tutto il collegio sovrano della tetrarchia. Sulla politica religiosa di Costanzo I si veda anche K.M. Girardet, Die konstantinische Wende. Voraussetzungen und geistige Grundlagen der Religionspolitik Konstantins des Großen, Darmstadt 2006, pp. 27-32.
61 Non ci sono testimonianze del periodo precedente al 312 di misure favorevoli ai cristiani da parte di Costantino che vadano oltre la mera rinuncia alla persecuzione. A proposito della ricostruzione degli eventi da parte di Eusebio cfr. per esempio Eus., v.C. I 32; l.C. 7,11.
62 Eus., v.C. I 32. Davanti a questo modello di interpretazione, non sembra affatto plausibile supporre che Costantino sia stato introdotto al cristianesimo da suo padre oppure da sua madre.
63 Eus., v.C. I 28; III 15-21; la versione del racconto della visione alla quale fa riferimento Eusebio è stata probabilmente narrata da Costantino ai vescovi presenti al concilio di Nicea.
64 Lattanzio, Come muoiono i persecutori, cit., p. 86; Lact., mort. pers. 24,9: «Suscepto imperio Constantinus Augustus nihil egit prius quam Christianos cultui ac deo suo reddere. Haec fuit prima eius sanctio sanctae religionis restitutae».
65 Eus., v.C. II 51.
66 T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 38, data la nascita di Costantino al 27 febbraio 273, ma questa indicazione è sotto molti punti di vista soltanto ipotetica.
67 A proposito delle visioni di Costantino cfr. J. Moreau, Sur la vision de Constantin, in Revue des études anciennes, 55 (1953), pp. 307-333; B.S. Rodgers, Constantine’s Pagan Vision, in Byzantion, 50 (1980), pp. 259-278; P. Weiß, Die Vision Constantins, in Colloquium aus Anlass des 80. Geburtstags von Alfred Heuß, hrsg. von J. Bleicken, Kallmünz 1993, pp. 143-169; P. Barceló, Constantins Visionen zwischen Apollo und Christus, in Humanitas – Beiträge zur antiken Kulturgeschichte. Festschrift für Gunther Gottlieb zum 65. Geburtstag, hrsg. von P. Barceló, V. Rosenberger, München 2001, pp. 45-61.
68 A proposito del programma di edificazione di chiese di Costantino si veda in particolare R. Leeb, Konstantin und Christus. Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin-New York 1992, pp. 71-120; R.R. Holloway, Constantine & Rome, New Haven (CT)-London 2004, pp. 57-155; S. Diefenbach, Römische Erinnerungsräume. Heiligenmemoria und kollektive Identitäten im Rom des 3. bis 5. Jahrhunderts n. Chr., Berlin-New York 2007, pp. 81-214.
69 Aur. Vict., Caes. 40,26.
70 Aur. Vict., Caes. 40,28; a proposito del clero documentato nelle iscrizioni si veda R. Mellor, The Goddess Roma, in ANRW, II,17,2, pp. 950-1030, in partic. 1023-1025; a proposito delle immagini dell’imperatore si veda D. Fishwick, The Imperial Cult in the Latin West. Studies in the Ruler Cult of the Western Provinces of the Roman Empire, II/1, Leiden-New York-Københaven-Köln 1991, p. 546.
71 J. Gascou, Le rescrit d’Hispellum, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire, 79 (1967), pp. 609-659; R. Van Dam, The Roman Revolution of Costantine, Cambridge 2007; M. Clauss, Kein Aberglaube in Hispellum, in Klio, 93 (2011), pp. 429-445.
72 Le indicazioni delle fonti corrispondenti e ulteriori indicazioni bibliografiche si trovano in J.W. Drijvers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of her Finding of the True Cross, Leiden-New York-Københaven-Köln 1992, pp. 9-12; R. Van Dam, The Roman Revolution, cit., pp. 112-113; T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 203 nota 17.
73 In base a quanto riportato nella Notitia Dignitatum all’inizio del V secolo, in tale settore erano di stanza quattordici legioni, cifra questa che corrisponderebbe anche all’ordine di grandezza dell’inizio del IV secolo: cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., III, pp. 368-375 (tavola IX).
74 Il numero degli anni in cui erano stati al potere dipendeva da un calcolo inclusivo in base al quale il 1° marzo 317 i dies imperii di Crispo e Costantino iunior andavano a sommarsi ai quinvicennalia del padre di Costantino (che erano meramente ipotetici a causa della morte precoce di Costanzo I).
75 Cfr. M.R. Salzman, On Roman Time. The Codex-Calendar of 354 and the Rhythms of Urban Life in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1990, p. 122.
76 A proposito dello schema dei consolati degli anni dal 318 al 320 si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 116 seg.
77 RIC VII data erroneamente l’inizio di questa serie a prima del periodo della riforma monetaria del 318; viceversa si veda (per le monete coniate ad Arles) G. Depeyrot, Les monnaies d’or de Diocletien à Constantin I (284–337), Wetteren 1995.
78 divo clavdio optimo imp: RIC VII Treveri 203, 207; Arelate 173, 176; Aquileia 23, 26; Roma 106, 109, 112, 115-116, 119, 122, 125, 128; Siscia 43, 45; Thessalonica 26. divo maximiano optimo imp oppure sen fort imp: RIC VII Arelate 174, 177; Treveri 200, 204-205; Roma 104, 107, 110, 113, 117, 120, 123, 126; Siscia 41, 44; Thessalonica 24. divo constantio optimo imp oppure pio principi: RIC VII Treveri 201, 202, 206; Arelate 175, 178; Aquileia 22, 25; Roma 105, 108, 111, 114, 121, 124, 127; Siscia 42, 46; Thessalonica 25.
79 Eus., v.C. III 52.
80 Il riferimento a Massimiano si trova tuttavia solo in conii costantiniani ma non nelle iscrizioni e neppure nei carmina di Optaziano.
81 A proposito della data del processus consularis non pianificato cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 96 nota 24 (un’interpretazione diversa si trova in Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 116); per una lettura di questi eventi si veda ancora A. Piganiol, L’empereur Constantin, Paris 1932, p. 133, e A. Chastagnol, Les Quinquennalia des trois Césars (Crispus, Licinius II, Constantin II) en 321, in Romanitas – Christianitas. Untersuchungen zur Geschichte und Literatur der römischen Kaiserzeit. Johannes Straub zum 70. Geburstag am 18. Oktober 1982 gewidmet, hrsg. von G. Wirth, K.-H. Schwarte, J. Heinrichs et al., Berlin 1982 pp. 367-374, in partic. 369. A favore della tesi secondo la quale il processus consularis dei due Cesari avvenne nel contesto del festeggiamento per il quinquennale rileva anche la circostanza che la zecca di Sirmium creò una serie completa di conii speciali che collegavano l’uno all’altro questi avvenimenti (cfr. P. Bastien, Monnaie et donativa au Bas-Empire, Wetteren 1988, p. 77 nota 2; poiché nell’anno 321 Serdica non disponeva di una propria zecca, le monete commemorative furono prodotte a Sirmium e portate a Serdica in occasione delle festività).
82 Cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., pp. 338-342.
83 Cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit.: nn. 124, 269, 277, 339, 381-382, 384, 479b, 480b.
84 Cfr. anche RIC VII Sirmium 17.
85 È questo il caso dei solidi RIC VII Sirmium 26-27 con la legenda victoria crispi caes // vot/x oppure victoria constantini caes // vot/x.
86 RIC VII Siscia 26; Sirmium 11-14. Una concezione simile della rappresentazione comune dei due Cesari è alla base anche del multiplo da un solido e mezzo (RIC VII Sirmium 20), il cui dritto reca la dicitura crispvs et constantinvs nobb cc coss ii, con i due busti rivolti l’uno verso l’altro che reggono insieme la Vittoriola. A questo contesto va ricondotto anche il raro multiplo da due solidi di Treviri con la legenda felix progenies constantini avg (RIC VII Treveri 442) coniato nell’anno 324, che mostra i due Cesari con corpi di grandezza leggermente diversa in un gesto di concordia accompagnato da Fausta; a questo proposito si veda Gloria Romanorum. Schriften zur Spätantike, hrsg. von M. R. Alföldi, H. Bellen, H.-M. von Kaenel, Stuttgart 2001, pp. 14-15.
87 Paneg. 4(10),37,5: «iam maturato studio litteris habilis, iam felix dextera fructuosa subscriptione laetatur».
88 RIC VII Thessalonica 48-50; a questo proposito si veda J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 39-41, che infatti giunge alla conclusione che la serie fu realizzata per Elena la madre dell’imperatore, e non per la moglie di Crispo. Il ritratto si differenzia in modo evidente dai conii per la madre dell’imperatore cui non viene mai, nemmeno in altre monete, attribuito il titolo di nobilissima femina, ma piuttosto quello di Augusta.
89 La datazione della prima vittoria si deduce dal fatto che Crispo ha potuto intraprendere il viaggio da Treviri a Serdica solo tra la fine del 320 e l’inizio del 321 (Paneg. 4[10]36,4-37,3: «cruda adhuc hieme iter gelu intractabile, immensum spatio, nivibus infestum incredibili celeritate confecit»; cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., p. 382 nota 165); il comune processus consularis dei due Cesari Crispo e Costantino iunior non sarebbe avvenuto il 1° gennaio bensì il 1° marzo 321.
90 Che Costantino iunior sia rimasto almeno sino al 321 presso Costantino è mostrato da Paneg. 4(10),36,4-37,3; a questo proposito si veda anche T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 84.
91 A proposito della datazione del testo si veda la panoramica che si trova in M.-O. Bruhat, Les Carmina figurata de Publilius Optatianus Porfyrius: La métamorphose d’un genre et l’invention d’une poésie liturgique impériale sous Constantin, Thèse, Paris IV janvier 1999, p. 496.
92 RIC VII Treveri 358-361, 364A (principia ivventvtis / sarmatia); Treveri 364, 367; G. Depeyrot, Les monnaies, cit., 1995: Trèves 29/2 (gavdivm romanorvm / sarmatia). Della serie in onore della vittoria fanno parte dei tipi erroneamente datati da Patrick Bruun all’anno 332: cfr. RIC VII Treveri 532-533 e 536 (principia ivventvtis / sarmatia).
93 Anche P. Bruun (RIC VII, p. 146) fa riferimento a questa circostanza: «It would have been tempting to interpret the whole issue in the light of the tragedy of 326, with Crispus possibly a trifle too independent»; a proposito dell’anno di nascita di Crispo (circa il 302) cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise, cit., p. 195 nota 10.
94 A proposito degli armamenti navali si veda Zos., II,22,1-2.; P. Bruun, Studies in Constantinian Chronology, New York 1961, pp. 74 segg.
95 RIC VII Nicomedia 84 seg.; Thessalonica 136. Né Pierre Bastien (P. Bastien, Monnaie et donativa, cit.) né Markus Beyeler (M. Beyeler, Geschenke des Kaisers. Studien zur Chronologie, zu den Empfängern und zu den Gegenständen der kaiserlichen Vergabungen im 4. Jahrhundert n.Chr., Berlin 2011) riconoscono questi conii come propriamente destinati ai donativi.
96 Opt. Porf., carm. 9,26: «nobile tu decus es patri».
97 Opt. Porf., carm. 5,30-34: «sed Crispi in fortia vires / non dubiae ripa Rhenum Rhodanumque tueri / ulteriore parant et Francis tristia iura. / Iam tu, sancte puer, spes tantae rite quieti / missa polo».
98 Per una ricostruzione diversa si veda A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, cit., p. 85; P. Guthrie, The Execution of Crispus, in Phoenix, 20 (1966), pp. 325-331; N.J.E. Austin, Constantine and Crispus, in Acta Classica, 23 (1980), pp. 133-138; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., pp. 220 seg.; H.A. Pohlsander, Crispus: Brilliant Career and Tragic End, in Historia, 33 (1984), pp. 79-106; J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 60-63; M. Clauss, Konstantin der Große und seine Zeit, München 20052, p. 50; T.G. Elliott, The Christianity of Constantine the Great, Scranton 1996, p. 233; D. Woods, On the Death of the Empress Fausta, in Greece and Rome, 45 (1998), pp. 70-86; R. Van Dam, Remembering Constantine, cit., pp. 110 seg.
99 Opt. Porf., carm. 5 collega direttamente i vicennalia dell’imperatore e i decennalia dei Cesari. La conniazione costantiniana di medaglioni (elencati da P. Bastien, Monnaie et donativa, cit., pp. 78-80) va in una direzione analoga. I conii in occasione dei decennalia dei Cesari furono emessi nel mese di marzo; è perciò possibile presumere che per queste occasioni siano state realizzate festività autonome, il cui apice vero e proprio non sarebbe stato prima del mese di luglio, in un festeggiamento comune per i decennalia dei Cesari e per i vicennalia di Costantino a Roma. Ciò è reso chiaro anche dal fatto che vennero realizzati solo pochi conii in onore dei decennalia di Crispo e che il punto culminante delle emissioni giunte sino a noi in numero molto elevato per i decennalia di Costantino iunior cade nel periodo successivo alla morte del suo fratellastro.
100 Le fonti a proposito della morte di Crispo sono: epit. de Caes. 41,11-12; Hier., chron. a. Abr. 2340; Philost., h.e. II 4; Sidon. epist. 5,8,2; Zos., II 29,2; Passio Artemii 45. Per la datazione della morte di Crispo si veda T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 146 seg. L’indicazione del luogo si trova in Amm., XIV 11,20.
101 È sempre T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 144-150, ad avere chiaramente elaborato questo punto.
102 Eutr., X 6,3.
103 Cfr. Opt. Porf., carm. 5,33-34: «iam tu, sancte puer, spes tantae rite quieti / missa polo»; carm. 9,23-27: «sancte, salus mundi, armis insignibus ardens, / Crispe, avis melior, te carmine laeta secundo / Clio Musa sonans tua fatur pulchra iuventae. / Nobile tu decus es patri, tuque alme Quiritum / et spes urbis eris».
104 T.D. Barnes, Two Senators under Constantine, in Journal of Roman Studies, 65 (1975), pp. 40-49, in partic. 48; Id., Constantine, cit., pp. 148 seg.
105 epit. de Caes. 41,12.
106 J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 24-30; sembra che la camera con il grandioso affresco sul soffitto conservato sotto il duomo di Treviri fosse la camera da letto della giovane Elena, la moglie di Crispo.
107 Zos., II 29,1-2; Zonar., XIII 2,38-41.
108 Per la data di nascita del figlio di Crispo si veda T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 104.
109 epit. de Caes. 41,4; Zos., II 20,2; Zonar., VIII 2.
110 Ciò è stato di recente provato da Timothy Barnes (T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 150-152) contro l’interpretazione di François Chausson (F. Chausson, Stemmata aurea. Constantin, Justine, Théodose. Revendications généalogiques et idéologie imperiale au IVe siècle ap. J.-C., Roma 2007, pp. 107-116). Una certa Costanza, che in alcune fonti (Philost., h.e. III 22, III 28; Petr. Patr., Malal., Chron. 16; Liber Pontificalis 37,4) compare come la figlia di Costantino e in questo modo fa pensare a una terza moglie dell’imperatore, è in realtà scambiata con Costantina, la terza figlia di Costantino e Fausta.
111 PLRE I, s.v. Fl. Claudius Constantinus 3, p. 223; T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 44 seg.; Id., Constantine, cit., p. 102 e nota 19. Viceversa c’è chi sostiene che Costantino iunior non fosse figlio di Fausta ma di un’altra concubina di Costantino di nome ignoto (per esempio PLRE I, s.v. Constantinus 3). La tesi di una nascita illegittima è stata confutata con ottimi argomenti; a questo proposito si veda P. Guthrie, The Execution of Crispus, cit., pp. 330 seg.; T.D. Barnes, Lactantius and Constantine, in Journal of Roman Studies, 63 (1973), pp. 29-46, in partic. 36 nota 71 e p. 38 nota 110; Id., The New Empire, cit., p 45; Id., Constantine, cit., p. 212 nota 19.
112 T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 171 seg., ipotizza che i matrimoni dei tre figli di Costantino e dei due figli di Flavio Dalmazio, Dalmazio e Annibaliano, siano avvenuti negli anni 335 e 336, e quindi in diretta correlazione con i festeggiamenti per i tricennalia. Una conferma è possibile però solo per Costanzo II, che si sposò nell’estate del 336, e per Costantino iunior, che si sposò nell’estate del 335, almeno nella misura in cui le iscrizioni AE 1925, 72 e AE 1985, 823 – come ipotizza Barnes (T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 162) – siano state realizzate in occasione del matrimonio.
113 A proposito della carriera di Flavio Optato cfr. Zos., II 40,2; Lib., Or. 42,26-27.
114 A questo proposito si veda T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., p. 251; Id., The New Empire, cit., p. 107.
115 Questo è implicito in Paneg. 4(10),37,3 e si ricava dall’assenza di indicazioni contrarie.
116 T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 84 nota 157, ha ipotizzato che il viaggio di Costantino a Treviri durante quest’anno servisse, tra le altre cose, a insediare il Cesare con la sua amministrazione.
117 Le indicazioni corrispondenti si trovano in T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 84-85.
118 PLRE I, s.v. Fl. Iul. Constantius 8, p. 226; T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 45.
119 Eus., v.C. IV 49; l.C. 3,4; Ath., h. Ar. 69,1; Iul., ad Ath. 272D.
120 Lib., Or. 59,42-43; a questo proposito cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 85 nota 162.
121 Eus., l.C. 3,4; Iul., Or. 1,13B; Soz., h.e. III 5,1.
122 Zonar., XIII 4.
123 Iul., Or. 1,16D; Zonar., XIII 4; in generale sull’itinerario del Cesare si veda T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 85-86.
124 PLRE I, s.v. Fl. Iul. Constans 3, p. 220; T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 45.
125 La data di nascita è sconosciuta e nelle fonti si trovano indicazioni discordanti sull’età di Costante al momento della sua morte (30 anni: Eutr., X 9 e Zonar., 13,6; 27 anni: epit. de Caes. 41,23 e Malal., Chron. 325 ed. Dindorf). PLRE I, s.v. Fl. Iul. Constans 3, lascia aperta la questione della corretta data di nascita; T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 45, si pronuncia in favore dell’anno 323.
126 MGH CM I 234; Eus., v.C. IV 40; PLRE I, s.v. Fl. Iul. Constantius 8, p. 226; T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 45.
127 Ath., h. Ar. 69,1-2; Amm., XX 11,3.
128 Così T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 86.
129 PLRE I, s.v. Constantina 2, p. 222.
130 Philost., h.e. III 22 e III 28.
131 Anon. Vales. I 35; Amm., XIV 1,2.
132 Amm., XIV 1,2-3; 7,4 la descrive al fianco del Cesare Gallo ad Antiochia.
133 Petr. Patr., Fr. 16. Che Magnenzio da principio abbia puntato a un appianamento con Costanzo II e a sposare un membro della dinastia costantiniana non è del tutto improbabile, perché nelle monete coniate in origine aveva addirittura assunto il nomen gentile Flavius.
134 CIL VI 40790.
135 L’iscrizione che documenta la fondazione di Sant’Agnese è stata tramandata: ICUR II, p. 44 = ILCV 1768.
136 RE VII.14, O. Seeck, s.v. Helena 4, c. 2823; PLRE I, s.v. Helena 2, p. 409. Secondo Zonar., XIII 3 Elena era una figlia di Fausta.
137 Così ipotizza T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 151.
138 Liber Pontificalis 37,4.
139 RE VIII, O. Seeck, s.v. Dalmatius 2, cc. 2455-2456; PLRE I, s.v. Dalmatius 6, p. 240.
140 In ogni caso ha rivestito la carica di console per primo e viene nominato nella documentazione ufficiale sempre prima di suo fratello.
141 Cod. Theod. XII 17,1; Cod. Iust. V 17,7.
142 Chron. Pasch. a.m. 335.
143 Ath., apol. sec. 65.
144 RE XIV, O. Seeck, s.v. Hannibalianus 2, c. 2352; PLRE I, s.v. Hannibalianus 1, p. 407.
145 PLRE I, s.v. Iulius Constantius 7, p. 226.
146 Sull’evoluzione di questo titolo nel IV e nel V secolo cfr. T.D. Barnes, Patricii under Valentinian III, in Phoenix, 29 (1975), pp. 155-170.
147 Amm., XIV 11,27.
148 RE VIII, O. Seeck, s.v. Dalmatius 3, c. 2456; PLRE I, s.v. Dalmatius 7, p. 241; T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 43; R. Klein, Die Kämpfe um die Nachfolge, cit., pp. 106-109.
149 D. Kienast, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischen Kaiserchronologie, Darmstadt 19962, p. 307; T.D. Barnes, Costantine, cit., p. 159.
150 MGH CM I 235.
151 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 152 seg.
152 Aur. Vict., Caes. 41,15.
153 RE XIV, O. Seeck, s.v. Hannibalianus 3, c. 2352; PLRE I, s.v. Hannibalianus 2, p. 407.
154 Zos., II 39,2.
155 Anon. Vales. I 35; epit. de Caes. 41,20; MGH CM I SS 522; Anon Vales. I 6,35; R. Klein, Die Kämpfe um die Nachfolge, cit., pp. 109-111; I. König, Origo Constantini. Anonymus Valesianus, Teil 1, Text und Kommentar, Trier 1987, pp. 182-184; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 151.
156 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 151 nota 121. Grünewald in questo modo argomenta contro T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 259.
157 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 151 nota 121.
158 RIC VII, Constantinopolis 100, pp. 145-148.
159 Amm., XIV 1,2; Philost., h.e. III 22.
160 PLRE I, s.v. Constantia 1, p. 221.
161 Rufin., hist. X 12; Socr., h.e. I 25; Thdt., h.e. II 3,1-3; Soz., hist. II 27,1-4. Non è chiaro inoltre quanto sia affidabile CPG 3503, una lettera che si suppone sia stata inviata a Costanza da Eusebio.
162 RIC VII, Constantinopolis 15 (326/327 d.C.).
163 RE I.2, O. Seeck, s.v. Anastasia 1, c. 2065; PLRE I, s.v. Anastasia 1, p. 58.
164 Amm., XXVI 6,14; Not. urb. Const. 10,8.
165 RE VI.2, O. Seeck, s.v. Eutropia 2, c. 1519; PLRE I, s.v. Eutropia 2, p. 316.
166 RE XXXII, W. Enßlin, s.v. Nepotianus 3, cc. 2513-2514; PLRE I, s.v. Nepotianus 5, p. 624.
167 A questo proposito si veda J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 21-34. Sono inoltre note due iscrizioni provenienti da Roma che fanno riferimento a Elena: CIL VI 1134-1136; ulteriori iscrizioni provenienti dall’Italia e dall’Africa dicono che Elena ha visitato i luoghi corrispondenti: CIL VIII 1633, IX 2446,X 517, X 678, X 1483 seg.
168 J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 35-38.
169 P. Bruun, The Roman Imperial Coinage VII: Constantine and Licinius (A.D. 313–337), London 1966, p. 45; contra J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 42 seg.
170 A proposito della cronologia si veda J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 59-63.
171 In generale sull’itinerario dell’imperatore negli anni 324-327 cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 76.
172 P. Bruun (RIC VII, p. 664 nota 2) suppone che Costantino si trovasse ad Antiochia; lo stesso fanno Barnes (T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., p. 212; Id., The New Empire, cit., p. 76) e Beyeler (M. Beyeler, Geschenke des Kaisers, cit., pp. 117-118). Viceversa si veda P. Bastien, Monnaie et donativa, cit., p. 78 nota 10: «la présence de Constantin semble peu probable. Son séjour dans la capitale syrienne aurait été particulièrement bref puisqu’il se trouve à Nicomédie le 25 février 325». Il lasso di tempo che trascorre tra il soggiorno di Costantino a Costantinopoli, l’8 novembre 324, e la sua permanenza a Nicomedia il 25 febbraio 325 permette di ipotizzare tutt’al più una visita molto breve. La legenda adventvs avgvsti n di un solidus coniato in questo periodo ad Antiochia (RIC VII, Antiochia 48) lascia supporre che l’imperatore abbia visitato la città. Eus., v.C. II 72-73 sembra suggerire tuttavia che Costantino abbia rinunciato al progetto di recarsi ad Antiochia nel volgere di breve tempo. È perciò probabile che la moneta celebrante l’adventus fosse stata coniata in previsione di questo evento, che poi non sarebbe avvenuto, e che quindi i festeggiamenti ad Antiochia dovessero aver luogo in assenza di Costantino.
173 Non è necessario presupporre qui ulteriori rifiuti che avrebbero potuto derivare dal cambiamento politico-religioso nei rapporti tra cristiani e pagani o dalla crisi di palazzo (come sostiene per esempio J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 65-72). Che invece le tensioni interne alla Chiesa avessero direttamente a che fare con il viaggio di Elena si mostra nel fatto che Elena entrò chiaramente in conflitto con il vescovo Eustazio di Antiochia, di orientamento antiariano, il quale poco più tardi fu deposto: Ath., h. Ar. 4; Thdt., h.e. II 31,11; H. Chadwick, The Fall of Eusthatius of Antioch, in Journal of Theological Studies, 49 (1948), pp. 27-35; J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 71-72.
174 A proposito di Eutropia si veda RE VI.2, O. Seeck, Eutropia 1, c. 1519; PLRE I, s.v. Eutropia 2, p. 316.
175 Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Milano 2009, p. 299; Eus., v.C. III 44.
176 Eus., v.C. III 47,2.
177 Eus., v.C. III 47,3.
178 I conii in oro: RIC VII Ticinum 183, Sirmium 60, Thessalonica 134, 149, Nicomedia 79-80 (solidi) e Antiochia 75 (multipla). Eusebio (v.C. III 47,2) sottolinea l’alto valore ideale dei conii in oro che recano il ritratto e la titolatura di Augusta. Oltre ai conii in oro, per Elena vennero realizzati dei medaglioni in bronzo: RIC VII Roma 248, 250. I normali conii in bronzo sono troppo numerosi per essere presi qui dettagliatamente in considerazione. Sulle monete coniate per Elena si veda J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 39-43.
179 Cfr. a questo proposito Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, cit., p. 297; Eus., v.C. III 42,1: «l’anziana donna giunse con entusiasmo giovanile, nella sua straordinaria saggezza, a conoscere quella terra mirabile e a visitare le province e le popolazioni orientali con premura regale».
180 Eus., v.C. III 43,1.
181 Cfr. J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 63-65; sulla politica di edificazione di chiese di Costantino in Palestina si veda in generale P.W. Walker, Holy City, Holy Places? Christian Attitudes to Jerusalem and the Holy Land in the Fourth Century, Oxford 1990.
182 Eus., v.C. III 45.
183 Sulla questione del ritrovamento della croce a opera di Elena e sullo stato delle fonti corrispondenti cfr. S. Heid, Der Ursprung der Helenalegende im Pilgerbetrieb Jerusalems, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 32 (1989), pp. 41-71; J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 81-93.
184 J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 81-93.
185 A questo proposito si veda K. Trampedach, Die Konstruktion des Heiligen Landes. Kaiser und Kirche in Palästina von Constantin bis Justinian, in Die Levante. Beiträge zur Historisierung des Nahostkonfliktes, hrsg. von M. Sommer, Freiburg im Breisgau 2001, pp. 83-110.
186 Eus., v.C. III 46.
187 J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., p. 73.
188 Eus., v.C. III 47; sul funerale: J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., p. 74; sul mausoleo: F.W. Deichmann, A. Tschira, Das Mausoleum der Kaiserin Helena und die Basilika der heiligen Marcellinus und Petrus an der Via Labicana vor Rom, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 72 (1957), pp. 44-110; sul sarcofago: A. Lippold, Die Skulpturen des Vaticanischen Museums, III/1, Berlin 1936, pp. 195-205 (n. 589).
189 Barnes (T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 167) ha definito la circostanza secondo la quale Costantino avrebbe omesso di chiarire la questione del suo successore come «a final, though doubtless this time unintended, imitation of Trajan».
190 RIC VII, Constantinopolis 36,50-51; RIC VIII, Treveri 43, 48, 56, 65, 79, 91, Roma 28, 54. J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., p. 44, data i conii di Costantinopoli (anche se in modo non del tutto plausibile) al periodo di interregno che va dal 22 maggio al 9 settembre 337.
191 RIC VII, Thessalonica 204 (solidus da nove).
192 A questo proposito si veda Anon. Vales. I 6,35; I 35; Epit. de Caes. 41,20; T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 198-200; I. König, Origo Constantini. Anonymus Valesianus, cit., pp. 184-186; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 151; T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 164.
193 A proposito dei prefetti e delle prefetture si veda T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 158-163.
194 Questa idea è stata elaborata in modo persuasivo da H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung Constantins des Großen, Stuttgart 1992; si veda anche R. Burgess, Summer of Blood. The “Great Massacre” of 337 and the Promotion of the Sons of Constantine, in Dumbarton Oaks Papers, 62 (2008), pp. 5-51, in partic. 7-9.
195 F.W. Deichmann, A. Tschira, Das Mausoleum der Kaiserin Helena, cit.