Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XIII secolo una nuova attenzione alla struttura e alle funzioni dell’anima, legata alle traduzioni di testi greci e arabi, produce una riflessione sul tema delle passioni che trova il suo assetto sistematico nel pensiero di Tommaso d’Aquino.
Il discorso sulle passioni che prende forma nel corso del XIII secolo rappresenta il primo tentativo di analisi psicologica “scientifica” e potenzialmente autonoma rispetto al discorso etico e teologico. Ma l’attenzione ai moti dell’anima non è del tutto assente dalla riflessione filosofica e teologica dei secoli precedenti. Frammenti di analisi psicologica, tentativi di descrizione dell’universo emozionale, abbozzi di sistemi di passioni si ritrovano, in contesti diversi e in diversi generi letterari, a partire dai primi secoli del Medioevo.
Punto di partenza è la breve ma pregnante riflessione che Agostino affida soprattutto alle pagine del De civitate Dei. In un continuo confronto-scontro con le dottrine stoiche, conosciute attraverso la mediazione di Cicerone, Agostino traccia le linee essenziali per una riflessione specificamente cristiana sulle emozioni. Struttura portante dell’affettività sono le quattro passioni principali di ascendenza stoica (desiderio, gioia, timore, tristezza), ma esse non sono altro che declinazioni dell’amore, cioè moti della volontà. È la volontà che, determinando la direzione dell’amore, definisce anche lo statuto etico delle singole passioni: buone, se ben direzionate dall’amore ordinato che anima i cittadini della città di Dio, cattive, se disordinate e guidate da quell’amor sui che sta alla base di ogni colpa e che costituisce il fondamento stesso della città degli uomini. Rigettando l’idea stoica delle passioni come malattie dell’anima, Agostino contrappone al modello del saggio, immune dalle passioni o indifferente ad esse, il prototipo del Cristo, che condivide con l’uomo l’intera gamma degli affetti, e l’esempio del cristiano, che si salva non già annullando le passioni, ma facendone un “buon uso”.
In realtà, nonostante la netta contrapposizione agostiniana, tratti della concezione stoica delle passioni sopravvivono nella tradizione patristica e riemergono nelle riflessioni dei primi secoli medievali: l’ideale dell’apatia, rielaborato dai padri greci, ispira molta parte dell’etica monastica, e sta alla base di quella dottrina del contemptus mundi che, imponendo al monaco un percorso ascetico sempre più rigido, finisce di fatto per ricondurre i moti psicologici alla matrice della concupiscenza e per identificare quindi le passioni con vizi e peccati. Il sistema dei vizi capitali, messo a punto da Cassiano e riorganizzato da Gregorio Magno, rappresenta di fatto il luogo di elaborazione di una dottrina morale che è al tempo stesso una raffinata analisi psicologica, volta a individuare i moti dell’anima che stanno alla base dei diversi vizi: l’eccesso di autostima che genera la superbia, il desiderio smodato di ricchezza, di cibo o di sesso che sottendono avarizia, gola e lussuria, la tristezza sregolata o malriposta che anima accidia e invidia, l’aggressività incontrollata che si traduce in ira. In questo tentativo di descrivere la multiforme e tentacolare presenza del peccato, l’idea agostiniana dell’ambivalenza delle passioni sembra andare perduta e il discorso sulle passioni “buone” (l’amore ordinato, il desiderio e il timore di Dio, l’indignazione per il peccato, il dolore salvifico della penitenza, la speranza nella felicità futura), affrontato al di fuori di ogni riferimento ad un sistema complessivo dell’affettività, finisce col dimenticare il rapporto speculare che le lega alle passioni “cattive”.
Soltanto nei testi monastici del XII secolo, di ambito soprattutto cistercense o vittorino, una nuova attenzione agli aspetti emozionali dell’esperienza religiosa ripropone l’esigenza di un sapere psicologico più sofisticato, che si traduce nella ripresa, in forme più o meno articolate, dello schema agostiniano delle quattro passioni principali.
Funzionale ad un’iniziativa pedagogica che punta al perfezionamento morale del monaco, l’analisi psicologica condotta da Riccardo di San Vittore nel Beniamin Minor riscopre l’ambivalenza delle passioni, e ne propone, attraverso la lettura allegorica del testo biblico, un complesso sistema che scandisce il percorso di preparazione alla contemplazione: simboleggiate dai figli di Giacobbe, le sette passioni principali (speranza, timore, gioia, dolore, odio, amore, vergogna) mettono capo, se correttamente ordinate, ad altrettante virtù.
Nel De natura corporis et animae Guglielmo di Saint-Thierry riprende e rielabora il sistema agostiniano dei quattro affetti principali, innestandolo su una concezione tripartita dell’anima di ascendenza platonica (anima concupiscibile, irascibile, razionale); grazie all’equilibrio di queste diverse componenti, le passioni appaiono come la cifra distintiva dell’uomo, l’elemento che lo colloca in una posizione intermedia tra la perfetta impassibilità divina e la natura animalesca dominata dagli istinti. L’universo affettivo si presenta allora come il campo in cui si gioca la scelta tutta umana tra razionalità e irrazionalità, tra virtù e vizi. Il trattato di Guglielmo, composto intorno al 1140, appare improntato ad una concezione più “scientifica” dell’anima, ma non può avvalersi ancora di una serie di fonti che ripropongono all’occidente medievale saperi psicologici dimenticati o di più recente elaborazione.
A partire dalla metà del XII secolo, le traduzioni dal greco o dall’arabo mettono in circolazione una serie di testi in cui il discorso sulle passioni viene sviluppato in forma assai più articolata sullo sfondo di una complessa analisi delle facoltà dell’anima: i trattati Sulla fede ortodossa di Giovanni Damasceno e Sulla natura dell’uomo di Nemesio di Emesa fanno spazio ad un’analisi psicologica in cui, a partire dalla distinzione tra potenza concupiscibile e potenza irascibile, è possibile delineare una sorta di classificazione delle passioni. Anche il De anima di Avicenna propone un sistema di sei passioni principali la cui natura si definisce all’intersezione di anima e corpo. Ma sono soprattutto i testi aristotelici (De anima, Etica Nicomachea, Retorica) che forniscono il materiale per una più ampia riflessione sulla natura, sullo statuto etico e sulla classificazione delle passioni.
È attraverso un intenso lavoro di commento e di discussione delle nuove fonti che la riflessione sull’affettività riprende nel XIII secolo con un’ampiezza e una profondità sconosciute nei secoli precedenti: avvalendosi soprattutto dei testi avicenniani, il maestro francescano Giovanni della Rochellemette a punto un sistema di 25 passioni distribuite tra irascibile e concupiscibile, mentre in un continuo corpo a corpo con i testi aristotelici (soprattutto il De animalibus e l’Etica Nicomachea) il domenicano Alberto Magno illustra il processo psico-fisico che mette capo alle passioni e ne indaga lo statuto morale.
Punto d’arrivo della riflessione filosofica sulle passioni che si sviluppa nel corso del XIII secolo è il lungo trattato che Tommaso d’Aquino inserisce nella Summa Theologiae e che rappresenta l’analisi più ricca dell’universo emozionale fino a Cartesio. La collocazione del trattato nella seconda parte della Summa segnala la curvatura morale dell’analisi psicologica che Tommaso costruisce: la riflessione sugli atti umani volontari che costituiscono l’oggetto specifico dell’etica richiede una preliminare analisi psicologica degli atti involontari, che l’uomo condivide con gli animali e che costituiscono il mondo delle passioni. Indispensabile dunque per il discorso morale, l’analisi delle passioni è tuttavia preliminare e indipendente da esso e si configura, in linea con i principi aristotelici che distinguono nettamente le passioni dagli habitus, come un discorso “scientifico” affidato alle conoscenze della biologia e della fisica.
Si tratta allora di spiegare in primo luogo che la passione è un movimento; movimento che ha sede nell’anima, ma che riguarda propriamente l’intero composto umano. La passione si definisce infatti come un moto dell’appetito sensitivo; se impropriamente possiamo parlare di “passioni dell’anima”, è perché l’anima, di per sé attiva, “patisce” indirettamente, risente cioè di una modificazione che avviene a livello fisiologico. A partire da tale premessa è possibile comprendere il meccanismo psico-fisico della passione, che è innescato da una percezione sensibile, ovvero la sensazione di qualcosa che il soggetto percepisce come bene o come male ai fini della sua conservazione. Il movimento dell’appetito sensitivo è la risposta a tale percezione, risposta del tutto istintiva, che esclude quindi il coinvolgimento della volontà nel meccanismo passionale, e che si accompagna sempre ad una modificazione a livello fisico.
Tale meccanismo sta alla base di tutte le passioni, ma si articola in maniera diversa per le passioni del concupiscibile e per quelle dell’irascibile. Le prime sono caratterizzate dalla percezione immediata di un oggetto come bene o come male e rappresentano la risposta dell’appetito sensitivo che si traduce nei due moti opposti di avvicinamento (al bene) e allontanamento (dal male): la presenza di un oggetto percepito come bene genera un moto di attrazione che è l’amore, la tensione per raggiungere un tale oggetto è il desiderio, l’acquietamento dell’appetito nel bene ormai raggiunto è il piacere. Sul versante opposto l’allontanamento si traduce in un moto di repulsione dell’oggetto percepito come male che è l’odio, in un movimento di vera e propria fuga da esso e infine nell’acquietarsi dell’appetito in un male ormai subìto che è il dolore.
Più complicato il meccanismo che regola le passioni dell’irascibile, nelle quali la percezione di un oggetto come bene o come male si accompagna alla nozione di difficoltà: un bene quindi arduo da raggiungere, un male arduo da respingere. La presenza della difficoltà introduce una contrapposizione all’interno dell’oggetto e genera così un doppio movimento cui corrispondono coppie di passioni opposte. Il bene arduo da raggiungere è oggetto tanto della speranza, moto di avvicinamento che nasce dall’attrazione del bene, quanto della disperazione, moto di allontanamento che nasce dalla repulsione dell’arduo. Il male arduo da respingere genera a sua volta un doppio movimento di allontanamento (timore) e di avvicinamento (audacia). A queste quattro passioni si aggiunge il moto che nasce dalla percezione di un male arduo da respingere, ma già subíto, e che si traduce nel desiderio di vendetta che anima l’ira, l’unica passione priva di contrari.
La costruzione del sistema delle 11 passioni si completa con la discussione sul loro statuto etico. Moti dell’appetito sensitivo, le passioni sono di principio sottratte al giudizio morale finché non ricadono nell’ambito della volontà guidata dalla ragione; ma nel momento in cui soggiacciono al dominio della ragione diventano altra cosa: non sono più propriamente passioni, bensì atti volontari, suscettibili, in quanto tali, di valutazione morale. Questo passaggio illustra il rapporto tra psicologia ed etica. Le relazioni che volontà e ragione stabiliscono con i moti passionali determinano il loro statuto morale: abdicare volontariamente al controllo della ragione vuol dire trasformare le passioni in vizi; ma “usare” le passioni raccordando l’intensità e la forza dell’appetito sensitivo ai dettami della ragione vuol dire farne lo strumento per una più piena realizzazione della virtù.
Tommaso non si limita a delineare l’impianto dell’universo emozionale; nella seconda parte del trattato affronta sistematicamente l’analisi di ciascuna delle 11 passioni, ne fornisce una precisa definizione, ne indaga la natura, le cause e gli effetti, distingue le sue diverse manifestazioni, discute il suo statuto morale, in qualche caso suggerisce anche opportuni rimedi. In questo quadro di straordinaria ricchezza, in cui converge tutto il sapere psicologico accumulato nei secoli medievali, alcune passioni acquistano un ruolo più rilevante rispetto ad altre: è il caso dell’amore, prima delle passioni del concupiscibile, ma in realtà presupposto indispensabile di tutte le altre passioni, nella misura in cui esprime l’adeguatezza stessa e la connaturalità della struttura emozionale dell’uomo col bene, fine universale. Ma il ruolo chiave dell’edificio emozionale spetta in realtà alla coppia piacere/dolore, passioni “principali”, nella misura in cui rappresentano, in linea con la dottrina aristotelica, la causa finale e il punto d’arrivo di tutti i moti passionali, e costituiscono quindi l’elemento dinamico del sistema. L’intera macchina dell’affettività infatti appare costruita attorno a queste due passioni: obiettivo ultimo dell’appetito sensitivo, piacere e dolore determinano la direzione del moto del concupiscibile dando luogo alle coppie passionali amore/odio, e desiderio/fuga, dalle quali si dipartono a loro volta i moti dell’irascibile, audacia/timore e speranza/disperazione, nonché la passione isolata dell’ira. Punto d’arrivo dell’intero meccanismo è comunque l’acquietamento dell’appetito nel piacere o nel dolore.