La filosofia e altre forme di sapienza
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo la nascita e lo sviluppo nella Ionia, il “testimone” ideale dell’indagine filosofica passa ad Atene; qui, anche sotto l’influenza della sofistica, che in maniera spesso provocatoria afferma la possibilità di “insegnare la sapienza”, emergono i due giganti del pensiero occidentale, Platone e Aristotele. Allo stesso tempo, in maniera più accessibile rispetto ai grandi sistemi filosofici, anche le favole attribuite allo schiavo frigio Esopo veicolano massime di sapienza.
La figura che trasferisce la filosofia dalla Ionia, dov’era nata, ad Atene, che ne diviene in un certo senso la capitale, è identificata con Anassagora di Clazomene. Dopo essersi procurato una certa fama per l’originalità delle sue dottrine, intorno al 463 a.C. si reca ad Atene, dove fonda una scuola di successo che ha come allievi anche Euripide e Archelao, il maestro di Socrate. Anassagora sarà consigliere e amico di Pericle, ma questo non lo mette al riparo da un processo per empietà che gli viene intentato a causa delle sue teorie razionalistiche. Per evitare di essere condannato, fugge a Lampsaco nella Troade, dove muore intorno al 428 a.C. Della sua opera in prosa, intitolata convenzionalmente Sulla natura, restano poco più di una ventina di frammenti, dai quali emerge la dottrina dei “semi” (spermata), le particelle infinitamente divisibili di cui sarebbero costituiti i vari corpi.
Meno legato alla città di Atene (dove comunque soggiorna per un periodo) è invece un altro pensatore ionico, Democrito di Abdera, autore di una vastissima produzione di cui restano solo frammenti. Ispirandosi alle teorie del suo maestro Leucippo, Democrito elabora in particolare la teoria dell’atomismo: la realtà è costituita da pieno e vuoto, e il pieno, a sua volta, è composto di minuscole particelle ingenerate, incorruttibili e soprattutto indivisibili (atomoi, per l’appunto).
Il termine sophistes originariamente indica in greco, in maniera generica, il “sapiente”, ma nell’Atene del V secolo a.C. assume un significato specifico. Per Socrate, infatti, sofista è “chi vende la propria sapienza per denaro a chi la vuole” (Senofonte, Memorabili, I 6, 13). L’oggetto dell’insegnamento è costituito, nello specifico, dalla techne politike, l’“arte della politica”, sia in senso lato sia in quello, particolarmente importante nella democrazia ateniese, di scienza oratoria finalizzata a pronunciare discorsi convincenti, e di conseguenza vincenti, nelle assemblee e nei processi.
Il primo sofista ad esercitare la professione ad Atene, peraltro con notevole successo, è Protagora di Abdera, attivo per vari decenni e infine costretto a fuggire per un’accusa di empietà procuratagli dal suo scritto Sugli dèi, che, insieme all’altra sua opera intitolata La verità o Discorsi demolitori, propugna una sorta di relativismo riassumibile nella nota formula per cui “l’uomo è misura di tutte le cose”. Su tutto si potevano sviluppare opinioni contrapposte e imbastire discorsi antitetici (i Dissoi logoi, “duplici discorsi” che costituiscono l’argomento di un’altra opera di Protagora); il compito dell’oratore è quello di riuscire a presentare con i migliori argomenti, facendo risultare “più forti” anche gli assunti più deboli o problematici.
Ancora più strettamente concentrato sulla retorica è l’altro celebre sofista attivo nella seconda metà del V secolo a.C., Gorgia da Leontini, di cui sopravvivono due componimenti “epidittici”, ossia “dimostrativi” dell’abilità del loro autore.
La Difesa di Palamede, l’eroe greco fatto condannare da Odisseo con una falsa accusa di tradimento, è un’orazione giudiziaria fittizia; l’Encomio di Elena costituisce il brillante tentativo di scagionare colei che era considerata la causa della guerra di Troia. Oltre che dagli argomenti ingegnosi, la prosa di Gorgia è caratterizzata dal preziosismo lessicale, dalla musicalità e dall’uso di figure retoriche passate alla storia proprio come “figure gorgiane”.
Platone, una delle figure più importanti della filosofia e della letteratura mondiale (celebre l’affermazione secondo cui tutta la filosofia europea consiste in realtà nel commento e nell’interpretazione del pensiero platonico), nasce da un’illustre famiglia ateniese. La tradizione antica voleva che il suo nome in origine fosse stato Aristocle e solo in seguito fosse stato soprannominato Platone, “ampio”, forse in riferimento alla prestanza fisica. L’incontro con Socrate, avvenuto a circa venti anni di età, lo segna per sempre; la condanna a morte del maestro, nel 399 a.C., convince Platone che solo la filosofia possa condurre ad una forma di governo veramente giusta ed onesta. Si reca dapprima a Megara e poi nell’Italia meridionale: a Taranto conosce il pitagorico Archita, in Sicilia diviene amico di Dione, cognato del tiranno Dionisio I. Nel 387 a.C. fonda ad Atene la propria scuola di filosofia, l’Accademia; in seguito torna in Sicilia (367-365 a.C.) nel tentativo di guidare e formare Dionisio II, il figlio del precedente tiranno, ma il tentativo finisce male, così come un terzo e ultimo viaggio nell’isola nel 361 a.C. In seguito, trascorre il resto della sua vita ad Atene.
La sua opera ci è pervenuta per intero sotto forma di un corpus di 36 scritti (alcuni dei quali giudicati spurii), suddivisi in nove tetralogie (“gruppi di quattro”) già nell’antichità. Una serie di criteri, soprattutto stilistici, e la certezza che le Leggi costituiscano l’ultimo scritto del filosofo permettono di suddividere queste opere in tre grandi gruppi cronologici.
Il primo è costituito dai dialoghi (la forma dialogica, pur declinata in tutta una serie di varianti, è quella prevalente in Platone) giovanili o “socratici”; tra di essi si segnala la celeberrima Apologia di Socrate, dove vengono riportati e rielaborati i discorsi difensivi nei quali Socrate, processato per “aver corrotto i giovani”, rivendica invece la dignità e l’importanza del proprio operato e della critica filosofica. Al medesimo gruppo appartiene anche lo Ione, in cui la poesia è interpretata come forma di “entusiasmo” divino.
Il secondo gruppo è quello dei dialoghi della maturità, collocabili grossomodo tra la fondazione dell’Accademia e il secondo viaggio in Sicilia. Tra di essi sono compresi alcuni autentici capolavori, come il Simposio, che tocca il tema dell’eros; il Fedone, sull’immortalità dell’anima; la Repubblica, grande dialogo in dieci libri che tratta dello Stato ideale; il Fedro, dove compare la svalutazione della parola scritta rispetto all’unico vero modo di apprendere, che consiste nel rapporto interpersonale tra allievo e maestro.
L’ultimo gruppo è quello dei dialoghi tardi (dal secondo viaggio in Sicilia alla morte), tra i quali si segnalano il Timeo e il Crizia, dove speculazioni cosmologiche sono accompagnate dall’affascinante mito di Atlantide. Tra le lettere attribuite a Platone, solo alcune sono giudicate autentiche, tra le quali la VII, celebre per le riflessioni autobiografiche.
Aristotele, l’altro gigante della filosofia greca, nasce a Stagira, in Macedonia, e in giovane età si reca a studiare presso l’Accademia platonica ad Atene, dove rimane vent’anni. Nel 343 a.C. Filippo di Macedonia lo nomina precettore del figlio Alessandro. Successivamente torna ad Atene, dove inizia a insegnare presso il ginnasio dedicato ad Apollo Liceo, in particolare nel peripatos, il “luogo delle passeggiate” da cui avrebbe preso il nome la sua scuola. Dopo la morte di Alessandro un clima di crescente ostilità lo induce a trasferirsi a Calcide, in Eubea, dove muore nel 322 a.C.
Aristotele è stato uno scrittore molto prolifico. Per una curiosa ironia della sorte, le opere “pubblicate” o “essoteriche”, dotate di maggiore elaborazione letteraria e destinate a un pubblico più vasto, sono quasi completamente perdute (un papiro ha salvato la Costituzione degli Ateniesi). Si conservano, invece, le opere “acroamatiche” (destinate all’ascolto) o “esoteriche” (riservate alla cerchia ristretta dei discepoli), costituite in origine da appunti e promemoria che solo nel I secolo a.C. sono riorganizzati ed editi dal peripatetico Andronico di Rodi.
La raccolta di Andronico si apre con gli scritti di logica, che costituiscono l’Organon, lo “strumento” per l’indagine filosofica vera e propria; segue la Fisica, accompagnata da altre opere che trattano argomenti di cosmologia e storia naturale. Sotto il titolo di Metafisica (letteralmente “collocati dopo la fisica”) risultano raccolti vari scritti attinenti alla cosiddetta filosofia prima, l’indagine sulle cause originarie e sovrasensibili della realtà. Seguono poi gli scritti di etica e la Politica, ad essi strettamente collegata. Per l’ambito della letteratura risultano particolarmente importanti le due opere che chiudono la raccolta di Andronico, ovvero la Retorica e la Poetica. Nel primo, l’“arte del dire” viene ricondotta alla dialettica da un lato e all’etica dall’altro; la qualità più importante del discorso è la chiarezza (sapheneia); le orazioni vengono distinte da Aristotele, secondo una suddivisione che avrà una grande fortuna, nei tre generi deliberativo, giudiziario ed epidittico. Nella Poetica, infine, della quale probabilmente è andato perduto un secondo libro che trattava del comico, l’oggetto principale dell’analisi è la tragedia, vista come “imitazione (mimesis) di un’azione compiuta […] svolta da personaggi che agiscono”, la quale, per mezzo di pietà e paura, provoca la catarsi, la depurazione, da tali passioni.
Il successore di Aristotele alla direzione del Liceo è il suo allievo Teofrasto di Ereso. Come il maestro, è uno scrittore molto prolifico; della sua vasta produzione sopravvivono in primo luogo due importanti trattati di botanica (l’Historia plantarum e il De causis plantarum) e poi i Caratteri, dove sono raccolti i ritratti di 30 tipi umani (l’avaro, il maldicente, lo sfacciato, il superstizioso…) ispirati probabilmente alla poesia comica.
Teofrasto
La zotichezza
Caratteri, IV, 1-5
La zotichezza parrebbe essere inciviltà sgarbata; e lo zotico un tale che va all’assemblea dopo aver bevuto ciceone [una mistura dall’odore pungente]… e porta scarpe che sono più grandi del piede, e parla ad alta voce. Ed è diffidente verso gli amici e quelli di casa, ma con i servi si apre sugli affari più importanti; e ai braccianti che lavorano a soldo da lui nel podere racconta tutto quello di cui si è discusso nell’assemblea. E si mette a sedere tirando la veste sopra il ginocchio, così che si intravedono i suoi genitali. E per le strade di nient’altro si meraviglia o si stupisce, ma se gli capiti di vedere un bue o un asino o un caprone rimane lì fermo a guardare.
Teofrasto, Caratteri, a cura di L. Torraca, Milano, Garzanti, 1994
Sotto il nome di Esopo, secondo la tradizione uno schiavo frigio vissuto nel VI secolo a.C., sono pervenute circa 500 favole (mythoi) e 200 proverbi. Le prime, notissime, hanno spesso come protagonisti animali e piante e sono contraddistinte da una “morale” originariamente implicita: solo in età bizantina viene chiarita con l’aggiunta del cosiddetto epimitio (“la favola insegna che…”). Non si tratta di una forma di sapienza volta a concetti e tematiche universali, quanto di una saggezza pratica, fondata nella riflessione sulla vita e sugli uomini.