La filosofia ellenistica: luoghi, scuole e caratteristiche
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il periodo ellenistico della filosofia classica di solito si fa iniziare con la morte di Aristotele, avvenuta nel 322 a.C (esattamente un anno dopo quella di Alessandro Magno) e terminare nel 30 a.C. con la morte di Cleopatra, l’ultima regina egiziana della dinastia dei Tolomei. Questi due eventi ci aiutano a porre dei limiti temporali ad alcuni degli importanti cambiamenti che hanno luogo in ambito filosofico nel corso di tre secoli, come la nascita della potenza romana, che esercita il suo influsso sia in campo politico che intellettuale, e la dispersione del pensiero filosofico che, concentrato ad Atene durante il periodo classico, si diffonde in tutta l’area mediterranea entro la fine del I secolo a.C.
Nel periodo ellenistico emerge un’idea più definita di “scuola” filosofica. Anche se l’Accademia di Platone e il Liceo di Aristotele, da un certo punto di vista, potrebbero essere considerate delle scuole filosofiche, nel periodo ellenistico si sviluppano diverse dottrine, tra loro in competizione, che offrono interpretazioni filosofiche più o meno dettagliate del mondo naturale, della logica, dell’epistemologia e dell’etica. Queste scuole di pensiero acquisiscono una forma più o meno rigida dal punto di vista istituzionale, con un capo o scholarca, eletto di comune accordo e una procedura relativamente formale per decidere chi debba succedergli alla morte. Le due principali scuole sono, ovviamente, quella degli stoici e quella degli epicurei. Ma è importante ricordare anche altri movimenti più piccoli (per esempio i cinici e i cirenaici) come pure ciò che rimane dell’Accademia di Platone e dei peripatetici.
Sulle idee filosofiche del periodo ellenistico e i relativi sviluppi ci sono pervenute testimonianze frammentarie. Per quanto riguarda ad esempio l’origine di molte scuole, dobbiamo basarci unicamente su brevi citazioni e resoconti di autori successivi. Solo per gli epicurei abbiamo una quantità ragionevole di testi relativi ai primi anni, tramandati fortunatamente nella biografia di Epicuro, risalente al II secolo, che chiude le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio o la notevole biblioteca della Villa dei Papiri ad Ercolano, sepolta dall’eruzione del 79. Ad un periodo successivo risalgono le opere di Cicerone e di Lucrezio che ci permettono di cogliere meglio l’atmosfera filosofica del I secolo a.C., ma gli storici devono per lo più basarsi su testimonianze parziali e indirette per ricostruire in modo accurato le opinioni di ogni scuola e le discussioni che le vedono contrapposte. Spesso veniamo a conoscenza dei primi sviluppi filosofici dell’età ellenistica attraverso gli occhi di autori vissuti in epoche successive, che di solito riportano e discutono queste opinioni rapportandole alle loro idee e argomentazioni critiche. Raramente quindi abbiamo una visione chiara della vita filosofica del tardo III secolo a.C e dei primi anni del II secolo a.C, quando cioè si pongono le basi dei fondamenti della filosofia ellenistica. Nonostante queste riserve, è ragionevole pensare che la nostra concezione della vita filosofica di quei tempi sia attendibile.
Il primo periodo ellenistico è collegato sotto diversi aspetti alla precedente età classica. Il principale centro di attività è sempre Atene e l’influenza dei grandi filosofi classici è ancora forte. Molti dei movimenti filosofici che stanno nascendo fanno risalire le loro origini a Socrate, anche se l’idea che hanno di Socrate è basata in gran parte sui dialoghi di Platone, e alla varietà di scuole ellenistiche socratiche corrispondono tante idee diverse di Socrate. Gli stoici, ad esempio, sviluppano una filosofia che dà grande importanza alla possibilità della conoscenza del mondo materiale, al governo illuminato del cosmo, come pure alla ricerca e alla pratica della virtù per una vita serena: tutte sfaccettature che possono essere rintracciate senza troppe difficoltà nel Socrate di Platone. D’altra parte, anche i seguaci dell’Accademia, prima sotto Arcesilao e poi sotto Carneade, considerano il loro approccio “scettico” come prettamente socratico, enfatizzando l’abitudine di Socrate di discutere a favore e contro una determinata posizione al fine di portare l’interlocutore a riconoscere le inconsistenze e i punti deboli della propria posizione. Questi tratti sono chiaramente rintracciabili in alcune opere di Platone e, tutto sommato, forniscono un’interpretazione plausibile del metodo socratico.
Gli stoici e gli accademici sono quindi, in un certo senso, in competizione gli uni con gli altri, sia per quanto riguarda il lascito socratico che per importanti questioni filosofiche come la possibilità stessa della conoscenza. Il loro reciproco confrontarsi ci permette di apprezzare un altro aspetto tipico del primo periodo ellenistico della filosofia, disciplina che in quel periodo riguarda per lo più una ristretta comunità di intellettuali, ben informati sui rispettivi punti di vista e impegnati molto probabilmente in serrati confronti, forse faccia a faccia. Il continuo moltiplicarsi delle scuole filosofiche non comporta comunque un arroccamento sulle reciproche posizioni. Forse è difficile apprezzare appieno la profondità e la complessità della dialettica tra le diverse scuole, ma ci sono numerose testimonianze in tal senso. Ad esempio, gli Academica di Cicerone (di per sé un testo alquanto complicato dato che ci sono pervenute soltanto alcuni parti di due diverse versioni dell’opera) mostra che il dibattito tra gli stoici e gli accademici sulla possibilità di raggiungere la conoscenza per mezzo della comprensione di certe impressioni dei sensi infallibili (phantasiai kataleptikai) si sviluppa nel corso delle prime due generazioni della scuola e comporta una conoscenza approfondita, da parte di tutte le parti coinvolte, delle rispettive prese di posizione filosofiche. È una caratteristica che non sorprende affatto in un mondo in cui è una prassi abituale presentare argomentazioni e contro argomentazioni, certi di una replica immediata. Gli Academica di Cicerone dimostrano inoltre come i testi che ci sono pervenuti del primo periodo ellenistico siano spesso difficili da interpretare: anche se Cicerone è più vicino, in termini di date, alle polemiche tra stoici e accademici (più vicino, in un certo senso, rispetto all’altra nostra fonte principale, ossia Sesto Empirico) perfino lui presenta lo scenario filosofico del III secolo a.C come un complesso campo di battaglia in cui si è soliti discutere le questioni più sentite del periodo. Secondo Cicerone, che si considera un seguace dell’Accademia, alcuni importanti e recenti sviluppi del pensiero filosofico si devono proprio all’ultima generazione dei seguaci della sua scuola.
È un compito impegnativo districare le posizioni dell’uno e dell’altro filosofo all’interno di questo lungo e vibrante dibattito, e la difficoltà è acuita dalle storie delle diverse scuole, spesso intrecciate fra loro. È un’usanza piuttosto comune per l’epoca che i discepoli di diverse scuole si ritrovino per studiare insieme prima di optare per una determinata posizione dogmatica o provare a combinarne più di una. Antioco di Ascalona, ad esempio, studia sia con lo stoico Mnesarco sia con l’accademico Filone di Larissa. Forse non sorprende più di tanto sapere che in seguito si presenta come il restauratore del vero spirito dell’Accademia, sostenendo di essere un seguace della visione condivisa di Platone, di Aristotele, degli stoici e dei tardo-accademici. Una simile posizione non deve tuttavia essere considerata particolarmente conciliante. Le sue pretese di aver rinnovato la scuola, riportandola alle origini, hanno probabilmente un intento polemico verso gli altri accademici contemporanei, incluso Filone, che ha un’inclinazione più scettica. Il suo non è certo un caso isolato: i dissensi e le divisioni all’interno della stessa corrente filosofica sono frequenti. Basti pensare, ad esempio, ad Enesidemo che nel I secolo a.C. si allontana dall’Accademia per fondare il movimento pirroniano, con un’impostazione radicalmente scettica. Questi scismi vengono spesso presentati come tentativi di riaffermare una posizione originale grazie all’innovazione filosofica. In realtà di solito si tende a non enfatizzare quelle che sono chiaramente delle innovazioni. Il peso del passato filosofico è tale che la retorica prevalente ruota intorno all’ortodossia e al rispetto del pensiero dei primi filosofi.
Forse è una conseguenza di questa situazione mutevole e del livello delle discussioni che contrappongono le diverse scuole filosofiche se, nel tempo, si sviluppa una terminologia più o meno stabile. L’accettazione generale di un lessico condiviso è in parte una necessità pratica dato che permette di confrontare in modo relativamente chiaro i diversi punti di vista. Questo sviluppo è probabilmente incoraggiato dalla pratica tipica dell’Accademia di sostenere che una posizione, apparentemente distinta, si riallaccia in effetti all’una o all’altra opinione sostenuta da filosofi precedenti, (ad esempio che la concezione epicurea del massimo piacere in realtà si riallaccia all’edonismo dei cirenaici e all’assenza di dolore propugnata da Ieronimo da Rodi come stato ideale). Con il tempo, termini come il greco telos per obiettivo di vita e lo scopo ultimo delle nostre azioni e desideri, oppure phantasia per definire una sensazione diventano di uso comune nelle diverse scuole.
Nei tre secoli del periodo ellenistico la pratica del confronto personale e dell’interazione filosofica probabilmente non viene mai meno (si pensi, ad esempio, alle conversazioni descritte nei dialoghi filosofici di Cicerone), ma si sviluppa anche quella che potremmo definire un’aumentata “testualizzazione” della filosofia.
I filosofi ellenistici sono spesso scrittori prolifici, soprattutto quelli delle scuole di stampo dogmatico, e lo sviluppo, nel corso del tempo, di un corpus di testi stoici ed epicurei incoraggia le interpretazioni e i commentari. Sappiamo, ad esempio, che nella scuola epicurea è una pratica consueta il dibattito filologico sugli stessi testi di Epicuro, dato che le interpretazioni e, cosa ancora più importante, l’ortodossia della scuola dipendono spesso da un particolare modo di intendere quelli che sono considerati testi fondamentali. Questa tendenza influisce anche sulla ricezione dei testi classici, considerato che, verso la fine dell’età ellenistica, il corpus platonico è stato in parte già catalogato, ad esempio nelle tetralogie di Trasillo di Mende. E anche se la storia dettagliata della supposta perdita e del successivo ritrovamento dei testi esoterici o di “scuola” di Aristotele (i testi che abbiamo oggi e che costituiscono la base della nostra comprensione generale della sua filosofia) è piuttosto dubbia, prova comunque che verso la fine dell’epoca ellenistica vi è un chiaro interesse per il reperimento e l’organizzazione delle raccolte di testi filosofici “classici”.
Questo processo è accompagnato da un’attenzione crescente per la catalogazione e la raccolta di documenti che permettano di ricostruire sia la storia della filosofia che quella delle singole scuole. Il genere delle diadochai, successioni di filosofi, con indicazioni dettagliate delle influenze e delle relazioni tra insegnante e allievo è ben sviluppato già agli inizi del periodo ellenistico e rispecchia il desiderio di riallacciare il pensiero filosofico contemporaneo ai presocratici.
Molte scuole filosofiche manifestano inoltre un’attenzione crescente per la biografia intellettuale dei loro fondatori. La Rassegna dei filosofi (Syntaxis ton philosophon) di Filodemo di Gadara che ci è pervenuta sotto forma di frammenti della sua raccolta di filosofi stoici e accademici, risale alla fine del periodo ellenistico ed è chiaro che questo scritto unisce dettagli dossografici e biografici. Tali opere sono ovviamente molto utili perché, con il passare del tempo, le storie delle diverse scuole cominciano a diventare sempre più complicate, sia per gli scismi generazionali che per le eterodossie che portano a fratture e a nuove interpretazioni dei principi di base del movimento. I testi e quelli che potremmo chiamare “metatesti”, ossia commentari, cataloghi e simili, in questo periodo sono evidentemente molto importanti per la prassi e l’identità filosofica.
In effetti la storia del recupero della biblioteca di Aristotele e il suo successivo trasferimento a Roma ad opera del generale romano Silla nell’84 a.C. è, a prescindere dalla sua attendibilità, un emblema importante di quello che forse è il cambiamento più profondo in ambito filosofico verificatosi nel periodo ellenistico. L’affermarsi di Roma come potenza mediterranea e il suo controllo finale della Grecia, dell’Asia Minore e della costa settentrionale dell’Africa ha un impatto significativo sulla pretesa di Atene di essere la sede naturale della filosofia, pretesa, di per sé naturalmente discutibile, e vera soltanto per quanto riguarda il tardo V secolo e il IV secolo a.C. Filosofi autorevoli, vissuti in epoca precedente, sono venuti dall’Asia Minore e dalla Magna Grecia come pure da qualsiasi altra parte nella Grecia continentale e non hanno pensato, sembra, che fosse necessario trasferirsi ad Atene per farsi conoscere e conquistarsi una solida reputazione. Vale la pena ricordare, comunque, che anche sotto il controllo romano, Atene rimane un importante centro culturale e filosofico e molti esponenti di spicco della società romana, tra cui Cicerone, vi soggiornano allo scopo di acquisire quella che è considerata una vera e propria educazione filosofica.
A parte i cambiamenti politici che seguono la conquista romana della Grecia, questo periodo segna anche l’inizio di una tradizione latina di scritti e discussioni filosofiche. Quando i romani cominciano ad esplorare il lascito della filosofia greca e diversi intellettuali greci si trasferiscono in Italia, nasce un fertile scambio di idee tra le due civiltà. I due maggiori testi filosofici in latino risalgono al I secolo: le opere filosofiche di Cicerone, che includono traduzioni in latino di autori greci, soprattutto Platone (ci sono pervenuti frammenti della sua traduzione del Timeo) e il De rerum natura, il grande poema epicureo in esametri di Lucrezio. Entrambi dimostrano che già in questo periodo i romani nutrono un vivo interesse per il passato filosofico greco.
La classe intellettuale romana non ha alcuna difficoltà a leggere testi filosofici in greco, ma si crede sempre più nella possibilità di contributi latini originali alla ricerca filosofica. Ad esempio, anche se non c’è alcun dubbio che Lucrezio debba molto ad Epicuro e molto probabilmente usi Sulla natura come principale modello per il contenuto filosofico della sua opera, essa si apre con un’altisonante invocazione, tipicamente romana, alla dea Venere, dea dell’amore, e, cosa ben più importante per gli epicurei, dea del piacere e madre di Enea, il leggendario fondatore di Roma: Aeneadum genetrix… E Lucrezio non è certamente il primo autore di testi epicurei in latino. Sappiamo per certo che in quel periodo circolano diversi saggi in prosa, relativamente popolari, sulla filosofia epicurea, anche se Cicerone osserva acidamente che sono così inconsistenti da costringerlo a scrivere le sue riflessioni, ben superiori (Tusculanae 1.6, 4.6).
Il lessico filosofico subisce ulteriori modifiche quando gli autori romani incominciano a cercare termini latini per esprimere gli equivalenti concetti filosofici greci di cui intendono appropriarsi e discutere. Sotto questo punto di vista, il I secolo a.C. è un periodo di innovazioni significative, soprattutto ad opera di Cicerone, le cui opere hanno un enorme influsso sulla trasmissione degli ideali della filosofia ellenistica alle epoche successive. È comunque molto significativo il lieve imbarazzo che trapela in molti autori latini alle prese con la traduzione di termini greci: evidentemente è considerato un compito importante e difficile.
Un episodio risalente ai primi anni dell’incontro di Roma con la filosofia greca illustra elegantemente alcune delle caratteristiche della storia della filosofia nel periodo ellenistico. Nel 155 a.C. tre celebri filosofi greci, l’accademico Carneade, lo stoico Diogene e il peripatetico Critolao si recano a Roma per negoziare i termini relativi ad una sanzione imposta ad Atene. In primo luogo è evidente che a questo punto le diverse scuole hanno uno status riconosciuto a livello internazionale e che i loro esponenti possono anche considerarsi, in un certo senso, colleghi, per quali che siano le dispute filosofiche a livello locale. In secondo luogo, l’importanza di Atene come città culla della filosofia è ormai incontestata, tanto che i tre, nessuno peraltro originario di Atene, possono servire come ambasciatori della città a Roma. Oltre ai compiti ufficiali, prettamente politici, i tre legati tengono diverse lezioni. È cosa ben nota che Carneade, rappresentante dell’Accademia, dà prova in pubbliche conferenze della sua abilità di discutere pro e contro la teoria della giustizia. Le nostre fonti riportano che il pubblico romano ne rimane profondamente scandalizzato, tanto che l’anziano Catone convince il senato a rimandare il più rapidamente possibile l’ambasceria in Grecia.
Quale che sia la verità storica dell’aneddoto, esso mostra chiaramente che l’incontro tra Roma e la filosofia greca avviene in modo complesso e graduale. Ci sono sicuramente degli aspetti dell’eredità filosofica greca (come, ad esempio, la pratica dell’Accademia di discutere a favore e contro qualsiasi tesi) che all’inizio possono urtare la suscettibilità romana. Ma altri elementi, come l’enfasi stoica sulla felicità raggiunta per mezzo della virtù, possono inserirsi più facilmente nei preesistenti interessi dei romani. È ovvio che trovare un posto per i contributi, indubbiamente importanti e di grande valore culturale, degli intellettuali greci all’interno della società romana non è semplice. Alcune idee sono potenzialmente distruttive. Agli occhi di un romano, ad esempio, la scelta epicurea di astenersi dalla vita pubblica per concentrarsi sugli svaghi e il piacere appare sempre leggermente sospetta. Risulta chiaro, naturalmente, che alla fine del periodo ellenistico è stato raggiunto un certo equilibrio e ci sono ormai tutte le condizioni necessarie perché l’interesse romano per la filosofia greca duri nel tempo, dando inizio a una tradizione filosofica di testi scritti sia in greco che in latino.
Sarebbe comunque sbagliato pensare che in questo periodo si assista semplicemente al progressivo trasferimento dell’influenza filosofica da Atene a Roma. Il quadro che ne risulta è piuttosto quello di un processo di diffusione: Atene rimane la base di molti filosofi e mantiene un indiscusso prestigio culturale persino tra gli intellettuali romani, ma emergono anche altri centri di scoperta e di grande influenza a livello filosofico. Questo processo incomincia molto presto. Con Epicuro ancora in vita, ad esempio, nascono diversi gruppi di suoi seguaci nell’area mediterranea, legati al Giardino ateniese da diverse forme di corrispondenza e di scambio. Abbiamo numerose prove nell’opera di Filodemo che a volte ci sono significative divergenze dottrinali tra i diversi gruppi di epicurei e le discussioni tra loro spesso sono particolarmente accese. Un po’ più tardi, nella seconda metà del II secolo a.C., lo stoico Panezio sembra dividersi tra Atene e Roma, mentre il suo allievo più famoso, Posidonio, nominato scolarca ad Atene, apre invece una sua scuola sull’isola di Rodi. Anche Alessandria in tutto questo periodo è un centro molto importante per diversi tipi di ricerca intellettuale, inclusa quella filosofica. Quando Atene viene saccheggiata dal generale romano Silla durante la prima guerra mitridatica (87-86 a.C.), Filone di Larissa, allora capo dell’Accademia, fugge a Roma (Cicerone, Brutus, 306). Questo episodio probabilmente segna la tappa finale di un processo di dispersione che è cominciato almeno un secolo prima. Anche se Atene non perde mai completamente la sua importanza come culla della filosofia, di certo non può più rivendicare la sua precedente egemonia.