di Vittorio Emanuele Parsi
«Tutti gli uomini sono creati uguali». Dalle parole con cui inizia la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti discende la modernità politica, fondata innanzitutto sull’uguaglianza intesa come rifiuto del privilegio. Uguali e quindi tutti ugualmente liberi, liberi perché uguali gli uni agli altri. Non c’è nessuna necessaria opposizione tra il principio di uguaglianza e quello della libertà, perché senza uguaglianza la libertà si chiama privilegio. L’uguaglianza di tutti è l’essenza della democrazia dei moderni, tanto quanto l’uguaglianza tra i pochi era il principio su cui si reggeva la democrazia degli antichi. Se quella di Pericle implicava l’esclusione, quella di Jefferson postula l’inclusione. Il progressivo allargamento della base politica ed economica delle nostre società è passato attraverso l’uguaglianza. Quest’ultima ha consentito di costruire le due istituzioni che più di ogni altra hanno caratterizzato la modernità occidentale, fino a rappresentarne il canone e il paradigma: la democrazia politica di massa e l’economia di mercato fondata sui consumi di massa.
Nell’esperienza occidentale, democrazia e mercato si sono sostenuti e rafforzati a vicenda, non perché postulassero lo stesso principio o predicassero la medesima virtù, ma perché il mercato allevia e corregge i difetti e gli eccessi della democrazia, esattamente come la democrazia allevia e corregge i difetti e gli eccessi del mercato. L’alleanza tra queste due formidabili istituzioni si stabilì proprio all’epoca delle grandi rivoluzioni, quella americana e quella francese, quando la forza del mercato venne impiegata per svellere i privilegi delle società dell’‘antico regime’. L’uguaglianza che in premessa la democrazia postulava, e la cui immediata implicazione economica era quella di stabilire un campo di gioco libero da barriere artificiali in grado di ostacolare il dispiegarsi dell’azione economica, non era più sufficiente. Proprio perché associata al mercato, la democrazia doveva porsi anche il problema del preservare condizioni capaci di rendere l’uguaglianza qualcosa di diverso da un lontano e perduto momento originario. La premessa dell’uguaglianza doveva cioè essere completata dalla promessa dell’uguaglianza. La sostanza della promessa democratica dell’uguaglianza consisteva – e ancora consiste – nel fare sì che i vecchi privilegi, abbattuti grazie all’azione congiunta di democrazia e mercato, non venissero sostituiti da nuovi privilegi, questa volta costruiti proprio dall’azione economica mercatistica. La società dell’uguaglianza non avrebbe mai più dovuto cedere il passo al ritorno della società dei privilegi.
Da alcuni anni a questa parte sembra che sia andata perduta la consapevolezza che, privati ognuno del sostegno dell’altro, la democrazia e il mercato possono essere travolti dai loro stessi difetti, non più alleviati dalla reciproca interazione. Si dimentica che la combinazione tra democrazia di massa e mercato di massa ha rappresentato la possibilità offerta a milioni e milioni di cittadini occidentali di uscire da una miseria plurisecolare, di nutrire finalmente una speranza di riscatto individuale anche dal punto di vista materiale e di sperimentare concretamente che l’abolizione dei privilegi, contro i quali si erano scagliate le rivoluzioni borghesi, era una promessa che riguardava anche loro, gli appartenenti alle classi più umili. Si era uguali non perché si potessero consumare le stesse cose nelle stesse quantità, ma perché nessun oggetto di consumo – materiale ma anche culturale – era più appannaggio esclusivo di un ceto o di una classe.
L’associazione di democrazia di massa e consumi di massa ha portato allo sviluppo di quella middle class democracy, la democrazia dei ceti medi, che oggi appare sempre più pericolante. Fu una realizzazione innanzitutto americana, perché furono gli Stati Uniti del New Deal a vincere dapprima
la battaglia interna, volta a restaurare il patto originario stabilito nel 1776 e a esportare, dopo il 1945, questo modello verso un’Europa che nel frattempo aveva scelto di tentare il suicidio. L’azione di Roosevelt fu esplicitamente rivolta alla creazione di quella democrazia del ceto medio, fondata sulla possibilità concreta dell’esercizio esteso a tutti dei diritti civili e politici e sull’allargamento della base sociale dei consumi: cittadino ‘e’ consumatore, non cittadino ‘o’ consumatore. Oggi, le scelte di politica economica con cui cerchiamo di uscire da una crisi la cui durata sta ormai superando il lustro saranno decisive per determinare il modello di organizzazione politica che diverrà il nuovo canone occidentale per i decenni a venire.
I dati che ci parlano della continua flessione dei consumi, dell’erosione del ceto medio, della polarizzazione dei redditi e della crescita della disuguaglianza dovrebbero quindi inquietarci innanzitutto dal punto di vista politico. Se non ci sarà più ceto medio, allora non sarà possibile nessuna middle class democracy e una nuova società dei privilegi prenderà il posto della società degli uguali la cui bandiera è stata innalzata dalle rivoluzioni settecentesche.