Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il termine “forma-sonata”, coniato a metà dell’Ottocento con intento normativo, intende definire la forma assunta dal primo movimento in tempo mosso delle composizioni strumentali a partire dalla metà del Settecento.
Storia e accezione del termine
Prima di definire ciò che s’intende abitualmente con il termine “forma-sonata” è opportuno chiarire che il termine medesimo è del tutto estraneo al linguaggio teorico settecentesco.
Si tratta di un’espressione coniata verso la metà del XIX secolo dal teorico Adolph Bernhard Marx (Die Lehre von der musikalischen Komposition, 1845) con intenti prescrittivi, anche se la sua formulazione si basa sull’analisi delle opere dei maestri viennesi, e di Beethoven in particolare. Come tutte le formulazioni normative, anche quella della forma-sonata comporta una perdita di ricchezza rispetto alla realtà che essa assume a modello. Lo spiega bene Charles Rosen: “La [...] codificazione della forma (operata da Marx) contribuì in misura essenziale al prestigio della forma-sonata come forma suprema della musica strumentale dell’Ottocento e del Novecento, dal momento che questa supremazia veniva garantita da Beethoven. La descrizione data da Marx era di carattere normativo; intesa soprattutto come aiuto alla composizione, era fondamentalmente una generalizzazione delle prassi compositive beethoveniane anteriori al 1812. Come base di questa generalizzazione si isolarono quegli aspetti di Beethoven (e di Mozart, ma non di Haydn) che potessero essere di maggiore interesse per il compositore dell’Ottocento”.
Con il termine “forma-sonata” si designa la forma assunta dal primo movimento in tempo mosso di una qualunque composizione strumentale appartenente a uno dei generi maggiori (sonata, sinfonia, quartetto ecc.), forma che dalla metà del Settecento circa viene strutturandosi in una sequenza codificata sul piano dello sviluppo sia armonico che melodico. Questa forma a volte viene impiegata anche in altri movimenti della composizione.
Lo schema delineato da Marx resta a tutt’oggi uno dei fondamenti della didattica musicale e sta alla base dell’insegnamento delle forme strumentali impartito nei conservatori a strumentisti, direttori d’orchestra e compositori.
La struttura della forma-sonata
Le due caratteristiche fondamentali della struttura della forma-sonata sono la contrapposizione, nell’ambito dell’esposizione, tra due aree tonali, A e B, rappresentate da due gruppi tematici contrastanti, e il ritorno del gruppo tematico iniziale nella tonalità d’impianto A all’inizio della ripresa, ritorno che segna il carattere “tripartito” della forma.
Per quanto concerne le tonalità, è da precisare che nello schema classico la tonalità B è la tonalità maggiore del quinto grado di A, se A è maggiore (ad esempio, se A è in Do maggiore, B è in Sol maggiore), o la tonalità maggiore del terzo grado di A, se A è minore (ad esempio, se A è in La minore, B è in Do maggiore).
Nel repertorio non mancano eccezioni a questa norma; ma sono, appunto, eccezioni, prima dello stile avanzato di Beethoven.
Un altro tratto fondamentale dello schema della forma-sonata è costituito dalla ricomposizione dei contrasti nella ripresa: questa sezione ha infatti l’obbligo di ricondurre tutto il materiale tematico alla tonalità d’impianto A.
La sezione centrale è la sede di elaborazione del materiale tematico, che assume in genere il carattere di un vero e proprio sviluppo. Tale carattere tuttavia non è inevitabilmente presente nell’ambito delle composizioni in forma-sonata. La sezione centrale può in alcuni casi mantenere il carattere di un intermezzo divagante che, pur impiegando spunti del materiale tematico esposto, non li sottopone tuttavia alle complesse tecniche di elaborazione proprie dei procedimenti di sviluppo; è questa, ad esempio, una caratteristica frequente nei lavori di Mozart.
Non si deve inoltre dimenticare che esiste la possibilità di inserire nella sezione centrale materiale tematico nuovo; ciò avviene talvolta anche nei lavori dei maestri più inclini ai procedimenti d’elaborazione: si possono citare, come esempi significativi a questo proposito, il primo movimento della sinfonia “degli addii” di Haydn e quello dell’“Eroica” di Beethoven.
Il primo movimento – allegro – della Sonata per pianoforte in Si bemolle maggiore KV 333 di Mozart risponde con esattezza allo schema della forma-sonata appena illustrato. Il primo gruppo tematico è costituito da un ampio periodo nella tonalità d’impianto. La transizione prende le mosse dalla testa di questo stesso periodo (trasportata all’ottava inferiore), ma svolta ben presto verso la nuova tonalità di Fa maggiore, quinto grado di Si bemolle maggiore, insistendo sul Mi naturale, nota caratteristica della nuova tonalità. Dopo che il resto della transizione ha reso stabile la nuova tonalità, prende avvio il secondo gruppo tematico. Le idee conclusive hanno spesso, come in questo caso, un carattere brillante; il lungo trillo della mano destra è una caratteristica tipica, in questa sede, della letteratura pianistica.
In questa sonata la sezione centrale ha un carattere decisamente libero; vi è subito riconoscibile il motivo dell’inizio, trasposto in Fa maggiore e condotto poi momentaneamente verso una tonalità nuova, quella di Sol minore.
Nella ripresa, dopo la nuova presentazione del primo gruppo tematico, la transizione inizia in modo identico a quanto è avvenuto nell’esposizione, ma la “svolta” è diversa: non si deve più raggiungere la tonalità di Fa maggiore.
Quando è giunto il momento del secondo gruppo tematico, lo ritroviamo puntualmente nella tonalità d’impianto Si bemolle maggiore; da qui in poi il brano si svolge in maniera del tutto simmetrica alla corrispondente sezione dell’esposizione, fatto salvo il cambio di tonalità.
L’evoluzione della forma nella musica strumentale del Settecento
Una delle caratteristiche fondamentali della forma-sonata è la sua scansione tripartita, determinata dalla ripresa del tema iniziale nella tonalità d’impianto.
Nel considerare la letteratura settecentesca (ma in futuro le convenzioni non muteranno), si resta tuttavia colpiti dall’assenza di qualsiasi elemento grafico atto a segnare tale tripartizione. Un movimento in forma-sonata è scritto come bipartito: una doppia stanghetta segna la fine dell’esposizione e, nel contempo, l’inizio della sezione che raggruppa sviluppo e ripresa. In altri termini, la scrittura mantiene le caratteristiche che erano state proprie delle forme bipartite della prima metà del secolo, come ad esempio il tempo di suite. In particolare, si può confrontare lo schema tripartito della forma sonata con quello bipartito che caratterizza gran parte delle sonate di Domenico Scarlatti.
Entrambe le parti sono da ritornellare, e questa prescrizione resterà in vita anche per la forma-sonata fino a tutti gli anni Ottanta del secolo, per lasciare poi il posto alla richiesta di ritornello per la sola esposizione.
L’evoluzione dallo schema bipartito scarlattiano allo schema tripartito non è così netta e lineare come qualcuno pretenderebbe e, d’altro canto, le varianti binarie della forma-sonata sopravviveranno ancora per molto tempo. Resta però il fatto che, nel corso degli anni Cinquanta del Settecento, la prassi di segnalare il ritorno della tonalità A con la ripresa del tema d’inizio tende a farsi stabile; inoltre, le idee conclusive assumono sempre di più il carattere di un gruppo tematico articolato. Fra coloro che danno contributi importanti in questa direzione, sono da segnalare alcuni clavicembalisti italiani, e in particolare Baldassarre Galuppi e Giovanni Marco Rutini; Giovanni Battista Sammartini, i maestri della scuola di Mannheim, in particolare Jan Vaclav Antonin Stamitz e Carl Emanuel Bach. Ma la definitiva stabilizzazione della forma-sonata è opera titanica di un solo grande musicista: Franz Joseph Haydn.