La formazione del cittadino: mousike e paideia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La musica è parte essenziale della formazione dell’uomo fin dalle origini della civiltà ellenica. Elemento equilibratore nelle relazioni umane e nel rapporto tra umano e divino, diviene poi metafora della concordia nella polis ed è oggetto della riflessione filosofica di età classica. Con la fine della polis l’idea della paideia musicale lascia il posto a speculazioni numerologiche talvolta misticheggianti, che preludono all’ingresso della musica nelle discipline del quadrivio.
È difficile esagerare l’importanza della musica nella formazione dell’uomo greco. La mousike come indispensabile fattore di equilibrio, tanto per la comunità quanto per l’individuo, precede la nozione di uomo come cittadino (polites). Nell’Iliade (I, 472-474), la fine del dissidio tra l’esercito acheo e Apollo viene suggellata da un peana riparatore che suscita piacere (terpsis) nel dio; Achille, irato per l’offesa di Agamennone, prova piacere e sollievo nel cantare gesta d’eroi accompagnandosi con la phorminx (IX, 186-189). Anche nell’Odissea (I, 351-352), gli uomini ascoltano il canto degli aedi non per riceverne edificazione morale, ma per soddisfare il proprio piacere o, come dice Telemaco, per la curiosità di conoscere le vicende più recenti degli eroi.
Nell’epoca della polis, mentre la lirica monodica continua, sia pure con vistose differenze di metro, temi, genere e pubblico, la tradizione solistica dell’aedo omerico, appare assai più rilevante, in termini sociali, la lirica corale: i cittadini imparano a far musica insieme. La divisione dei cori in maschili, femminili e infantili rispecchia l’articolazione fondamentale del corpo sociale della città; al valore edonistico della musica si affianca quello educativo, mentre l’attività musicale come riduzione a unità di una realtà composita diviene metafora dell’essenza stessa della polis. Non è casuale che in questo periodo il campo semantico della radice *har- (connessione) si sviluppi parallelamente in senso politico – si pensi all’armosta (harmostes) che manteneva la concordia nelle colonie spartane – e in senso musicale (harmonia, unione di elementi originariamente eterogenei). Alla mousike appartiene anche la danza, che permette di mantenere una buona condizione fisica (eurythmia) e prepara al combattimento (è il caso della pirrica, la danza di guerra).
Nasce così la riflessione filosofica sulla paideia musicale. Secondo un filone di pensiero che inizia con Pitagora e prosegue con Damone, Platone, Aristotele e oltre, la musica influisce sul carattere dell’uomo, sia momentaneamente sia a lungo termine.
Pur nell’incertezza che circonda la figura di Pitagora, sembra che la musica sia centrale nel suo ideale di vita. Vi sono canti che hanno il potere di dare ordine all’anima; come un antidoto, una certa melodia può annullare le alterazioni dell’equilibrio interiore causate dalle passioni (Giamblico, La vita pitagorica, 110-111). Tuttavia è incerto se questa dottrina si limiti all’educazione dell’anima del singolo oppure si traduca nella teorizzazione esplicita di una formazione musicale per la comunità dei cittadini; né è facile dire fino a che punto i costumi pitagorici si integrino con la vita delle poleis. Se da un lato infatti alcuni legislatori italioti – Caronda di Catania, Zaleuco di Locri, Teocle di Reggio – sono pitagorici, non sappiamo però se e come ciò si rifletta nelle loro legislazioni, mentre d’altro canto la tradizione riferisce di una serie di rivolte che segnano la fine del movimento in tutta la Magna Grecia tranne che nella Taranto di Archita.
In un celebre passo della Repubblica (424c) la formulazione del legame tra la musica eseguita in uno Stato e la sua struttura politico-legislativa viene ricondotta al sofista Damone, le cui dottrine stanno alla base del progetto di paideia musicale elaborato dallo stesso Platone. Benché nel sistema platonico la musica occupi un livello inferiore rispetto alla matematica e alla dialettica, necessarie ai filosofi reggitori dello stato (509e-511e), per l’educazione dei cosiddetti guardiani della città ideale (e, inaspettatamente, anche per le loro donne) il filosofo prevede l’esercizio congiunto di musica e ginnastica: la prima senza la seconda produrrebbe un carattere effeminato, la situazione opposta un’indole troppo rude e selvatica (410c-d). Sono ammesse soltanto le scale (dagli antichi chiamate harmoniai) dorica e frigia, che conferiscono rispettivamente coraggio in guerra ed equilibrio in pace (398b-399d); l’aulos e gli strumenti policordi, che permettono modulazioni improvvise, sono banditi, in un disegno che implica uno stretto controllo governativo sui compositori (401b). La realtà però va in tutt’altra direzione. Nella querelle des anciens et des modernes che impegna musicisti e intellettuali nel volgere del V secolo a.C. la vecchia concezione elitaria della musica si scontra con l’apprezzamento del demos per il virtuosismo professionistico, le coloriture orientaleggianti, le modulazioni inattese, le alterazioni della melopea e della prosodia tradizionali, l’intenso patetismo: insomma, i valori della cosiddetta “nuova musica”. Aristotele cerca di interpretare la nuova situazione includendo quelle funzioni della musica – come l’aspetto ludico, paidia – che Platone aveva trascurato in quanto non rientravano nell’educazione intesa in senso normativo-prescrittivo. Nella Politica si individuano diversi tipi di paideia per diversi tipi di cittadini, secondo la nozione aristotelica della polis come realtà plurale (espressa, per esempio, nella stessa Politica, 1261a). La “nuova musica”, pur non adatta all’otium intellettuale (schole) o al raggiungimento della saggezza (phronesis), giova però a coloro che svolgono mansioni subordinate e fisicamente impegnative (banausoi). In generale la musica aiuta l’uomo di cultura a migliorare la sua qualità di vita, purché non sia praticata in modo troppo assiduo (1340b): si percepisce il fastidio dei tradizionalisti nei confronti dei virtuosi che vanno soppiantando la figura dell’aristocratico cultore di musica.
Dopo Aristotele il tema della formazione musicale del cittadino sembra passare in secondo piano. Nell’opera di Aristosseno di Taranto la nozione di ethos musicale è ridimensionata da un lato a favore della ricerca sulla musica del passato, dall’altro lato a favore della fondazione dell’armonica come scienza epistemologicamente autonoma, dotata di un proprio sistema assiomatico.
Inoltre un pensiero antagonista rispetto alla koine platonico-damoniana, che si trova già nell’anonimo autore del discorso tradito dal papiro Hibeh, 1, 13 (probabilmente databile al IV sec. a.C.) e attraversa l’epicureismo e lo scetticismo fino all’operetta Contro i musici di Sesto Empirico, rifiuta il fondamento stesso della paideia musicale, cioè l’idea che la musica possa influenzare il carattere.
Privata della componente “politica” dalla crisi e poi dalla scomparsa della polis, erosa dal dubbio scettico nei suoi presupposti filosofici, la concezione di paideia musicale trova in età romana e imperiale un diverso humus e finisce per confluire nel più vasto edificio dell’enciclopedia (enkyklios paideia). Per Aristide Quintiliano l’anima è fatta degli stessi costituenti di cui sono fatti gli strumenti musicali; per Claudio Tolemeo le nozioni di dorico, frigio, lidio, diatonico, cromatico e enarmonico non sono strutture musicali con un proprio ethos o capaci di influenzare quello dell’ascoltatore, ma piuttosto configurazioni di altezze che gli permettono di individuare una complessa rete di analogie tra le strutture scalari della musica, i movimenti astrali e le parti dell’anima. Si avvia in quest’epoca il processo di enciclopedizzazione della musica che finirà per collocarla, fra epoca tardoantica e medievale, tra le scienze del quadrivio.
Nel frattempo, come sempre accade, la musica reale prosegue per la sua strada, per noi assai più ardua da ricostruire. I pensatori cristiani, pur rigettando la musica pagana quale “spazzatura del demonio” (ho tou diabolou phorytos), rimarranno affascinati dagli esiti misticheggianti cui era giunta l’antica idea di paideia musicale: così Clemente d’Alessandria, iniziando il Protrettico ai Greci con una vasta immagine musicale, potrà presentare Cristo come il “canto nuovo” (asma kainon) che ha dato armonia al caos e ha “accordato” l’universo riducendone a consonanza gli elementi prima discordanti, in un’ambiziosa costruzione intellettuale in cui tutto, dal microcosmo umano al macrocosmo celeste, è in relazione con tutto.