Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo aver partecipato alla gara imperialista agli inizi del secolo, la Francia, vittoriosa nella prima guerra mondiale, torna una delle principali potenze continentali. Il Paese non riesce poi a fronteggiare la Germania nazista. L’onta dell’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale viene superata con la vittoria delle forze della resistenza. Il secondo dopoguerra è caratterizzato dalle esperienze politiche della Quarta e della Quinta Repubblica, che vedono protagonista il generale de Gaulle. Il successore Georges Pompidou realizza una politica più in linea con quella dei partiti conservatori europei. Con Pompidou finisce il periodo “gollista”; la politica francese vede profilarsi un’alternanza al potere di esponenti indipendenti e socialisti.
Espansione e tensioni interne
L’inizio del XX secolo vede la Francia risollevarsi dalla crisi iniziata con il crollo del Secondo Impero; impedito il ritorno della monarchia e debellati i tentativi di colpo di Stato del generale Patrice de Mac Mahon (maggio 1877) e di George-Ernest Boulanger (1887), la nazione si trova nel pieno della sua espansione coloniale e, approfittando delle tensioni provocate in Europa dalla politica del Kaiser Guglielmo II, riesce a rompere l’isolamento politico cui l’aveva costretta la Germania di Bismarck. Dapprima stringe un’alleanza con la Russia zarista e, nel 1904, firma l’Entente cordiale (“amichevole intesa”) con l’Inghilterra, risolvendo i contenziosi coloniali e dando luogo a quello schieramento militare (Triplice intesa) destinato a contrapporsi al blocco germanico (Triplice alleanza). Dal punto di vista della politica interna, all’inizio del secolo il governo è retto dalle sinistre le quali, però, riescono a imporre provvedimenti significativi sul piano ideologico (legge sulla separazione tra Stato e Chiesa, 1905), ma non riescono ad affrontare le principali questioni sociali: sono in contrasto infatti le posizioni della SFIO (Section Française de l’Internationale Ouvrière) e quelle della CGT (Confédération Générale du Travail).
L’avvicinarsi della prima guerra mondiale non coglie impreparata la Francia: viene eletto alla presidenza della Repubblica Raymond Poincaré (1860-1934), deputato dell’Unione delle Sinistre, il quale, da presidente del Consiglio, aveva sostenuto una linea decisa nei confronti della Germania. L’opinione pubblica francese accoglie con fatalità l’entrata in guerra; le stesse forze socialiste, in particolare dopo l’assassinio del loro leader Jean Jaurès da parte di un nazionalista, pur ribadendo le posizioni pacifiste, evitano il ricorso a forme di lotta estrema. Prevale la parola d’ordine, coniata da Poincaré, union sacrée, simbolo di una guerra che si vuole difensiva, a protezione del suolo patrio invaso dalla Germania. L’inattesa lunghezza della guerra causa anche in Francia notevoli problemi di ordine pubblico: nel 1917 un deciso aumento dei prezzi dei beni di prima necessità provoca una serie di proteste e di scioperi, che si estende anche alle città di provincia, ma anche con il termine della guerra, l’economia francese attraversa una fase critica: cessano le commesse pubbliche, la nazione è creditrice nei confronti degli Stati Uniti e la generalità delle classi sociali, se si escludono alcune élite, è decisamente impoverita rispetto a prima della guerra. Ma è soprattutto la politica monetaria a creare seri problemi all’economia: la guerra pone termine a una stabilità monetaria che risaliva addirittura ai tempi di Napoleone I. Per evitare il pericolo di una riduzione delle riserve auree, il governo introduce la politica del “corso forzoso”, che stabilisce la non convertibilità della moneta con l’oro. Queste difficoltà giustificano l’atteggiamento tenuto dalla Francia nel corso della conferenza di pace: il trattato di Versailles (1919) è per il Paese molto vantaggioso e ripropone una situazione analoga a quella del 1871, ma rovesciata: è la Francia a estendersi ai danni della Germania, a pretendere risarcimenti di guerra così alti da comprometterne la ripresa economica, a impostare una politica di alleanze tesa a isolare la nazione tedesca. Il presidente Poincaré avrebbe voluto una politica ancora più energica; il presidente del Consiglio Clemenceau (1841-1929), invece, si allinea alle richieste degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, tese a impedire un mutamento significativo nei rapporti di forza tra gli Stati dell’Europa continentale. La difficile situazione economico-sociale non fa percepire i grandi vantaggi del trattato. I partiti di destra soprattutto, ma anche la generalità dell’opinione pubblica, impongono una politica di intransigenza nei confronti della Germania, soprattutto in merito alla scadenza dei pagamenti. Sotto la presidenza della Repubblica di Alexandre Millerand (1859-1943), eletto nel 1920, e con primo ministro ancora Poincaré, la Francia occupa la regione tedesca della Ruhr, a dimostrazione della linea inflessibile che intende sostenere nei confronti del governo tedesco. Nel 1924, quando le sinistre riescono a raggiungere la maggioranza politica, l’unità dell’azione di governo risulta impossibile, a causa della scissione verificatasi quattro anni prima nella SFIO. Dopo molte difficoltà, si instaura un governo monocolore guidato dai radicali, con a capo Édouard Herriot (1872-1957), costretto a dimettersi nel 1926 per l’opposizione dei cattolici sulla politica scolastica e per le difficoltà finanziarie. Gli succede nuovamente Poincaré, il quale affronta con determinazione il problema del debito pubblico attraverso una rigorosa e coerente politica fiscale; decide anche la svalutazione del franco, che pone termine al “corso forzoso”.
In questi anni muta anche la politica estera del Paese: la politica di intransigenza verso la Germania ha dimostrato tutti i suoi limiti, in quanto non ha aiutato lo sviluppo economico e ha irrigidito le posizione dei Paesi alleati. Già il governo Herriot aveva inaugurato una politica di riavvicinamento alla Germania, nel tentativo di esigere almeno parte dei pagamenti di guerra; nel 1925 viene firmato il trattato di Locarno, che stabilizza i confini del Reno e, contemporaneamente, assegna nuovamente alla Germania i diritti di un qualsiasi Stato. Anche Poincaré, abbandonate le posizioni radicali dell’immediato dopoguerra, prosegue questa politica, sostenuto pure dall’opinione pubblica, che teme un nuovo ricorso alle armi.
Una complicata gestione della politica economica
La Francia non risente immediatamente degli effetti della crisi economica del 1929, grazie alla stabilizzazione monetaria raggiunta nella seconda metà degli anni Venti; essi diventano evidenti a partire dal 1932, instaurando una nuova fase di recessione. Inizia un periodo di forte instabilità politica: il governo di centrodestra è costretto alle dimissioni, fallisce anche l’esperienza di un esecutivo formato da radicali e socialisti. Le scelte moderate dei governi che si succedono, per ultimo quello di Pierre Laval (1883-1945), prevedono una serie di misure economiche distanti dai principi keynesiani applicati da altri governi europei: deciso protezionismo per stabilizzare i prezzi, ma con l’ulteriore effetto di creare difficoltà al commercio e all’approvvigionamento di alcune materie prime; rifiuto di svalutare la moneta; politica deflazionistica. Tutte misure che, a metà del decennio, mantengono la Francia in condizioni economiche critiche, con la diminuzione delle sue capacità produttive e l’aumento della disoccupazione, mentre negli altri Paesi europei vi sono sensibili segnali di ripresa. Il discredito che ricopre le forze politiche tradizionali conduce a un nuovo protagonismo delle formazioni radicali, in particolare di estrema destra; il culmine drammatico di questo contrasto si ha il 6 febbraio 1934, con un tentativo di assedio al parlamento e una reazione della polizia che fa 14 morti tra i manifestanti. Questa visibilità dell’estrema destra provoca nel Paese un moto di reazione che conduce, nel 1936, alla vittoria elettorale del cartello delle sinistre, noto come Fronte Popolare, reso possibile anche grazie al pronunciamento dell’Internazionale Comunista del 1935 che appoggia le alleanze con i partiti della sinistra riformista; alla guida del governo viene nominato il capo della SFIO Léon Blum (1872-1950). Le principali riforme riguardano la politica sociale. In giugno vengono firmati gli accordi di palazzo Matignon, con i rappresentanti degli industriali pressati da una lunga serie di scioperi: essi prevedono la conclusione dei contratti collettivi, rialzi salariali, libertà sindacale, nessuna sanzione in caso di sciopero. Il governo introduce poi ulteriori diritti, quali la settimana lavorativa di 40 ore e i 15 giorni all’anno di ferie pagate. A livello economico, il provvedimento più importante preso dal governo è la svalutazione del franco, più alcune nazionalizzazioni di settori strategici. Nonostante questi provvedimenti, i risultati più significativi ottenuti dal governo Blum riguardano l’aumento dell’occupazione; il Paese non riesce però a realizzare un’autentica ripresa, sia per la debolezza o contraddittorietà di alcuni provvedimenti, sia per l’opposizione degli industriali che favoriscono l’uscita di capitali dal Paese. La condotta della guerra civile spagnola, inoltre, acuisce le tensioni interne alla compagine governativa, che non predispone un’adeguata politica estera. Nel 1937 Blum rassegna le dimissioni e nel 1938 l’alleanza si scioglie. Il nuovo governo moderato, guidato da Édouard Daladier (1884-1970), mostra un volto energico in patria, reprimendo con durezza gli scioperi seguiti al ritiro delle più significative riforme volute dal Fronte Popolare; contemporaneamente, però, non è capace di reagire alla politica espansionistica di Hitler in Germania. La Francia non si oppone alla militarizzazione della Renania e all’Anschluss nei confronti dell’Austria, e partecipa agliaccordi di Monaco (firmati nel 1938 fra Italia, Francia, Germania e Regno Unito) con i quali concede l’annessione di parte della Cecoslovacchia alla Germania. Questo cedimento è condizionato non solo dall’atteggiamento antibellicista della Gran Bretagna, ma da una precisa strategia tendente a evitare lo scontro militare, nella consapevolezza della debolezza del proprio esercito. Il trattato di Monaco viene approvato a larghissima maggioranza dal parlamento e spinge addirittura il governo a firmare con la Germania un patto di non aggressione, immediatamente invalidato dal dittatore tedesco, che occupa militarmente l’intera Cecoslovacchia. La Francia e l’Inghilterra si accordano allora nel sostenere la Polonia contro ulteriori rivendicazioni tedesche.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale: tra azioni repressive e Resistenza
Allo scoppio della guerra, la strategia adottata dalla Francia è quella di difendere il territorio nazionale, facendo confluire le truppe sulla linea Maginot. Le truppe tedesche aggirano la difesa attraverso il Belgio e riescono a prevalere, causando un alto numero di morti tra i Francesi; il 14 giugno occupano Parigi. Il capo del governo Paul Reynaud (1878-1966), intenzionato a proseguire la guerra, è costretto a rassegnare le dimissioni a favore del maresciallo Henri Pétain (1856-1951), il quale è favorevole alla resa, con la motivazione di non abbandonare la popolazione in balia dell’occupante; il maresciallo è anche preoccupato che una ribellione popolare possa avere esiti rivoluzionari. Il generale de Gaulle (1890-1970), da Londra, fa invece appello alla resistenza. L’armistizio firmato con i Tedeschi è molto duro; il territorio situato a nord della linea Ginevra-Dole-Bourges-Tours è direttamente occupato dalla Germania: il commercio è controllato dall’occupante; l’esercito deve essere disarmato a esclusione di quanto è necessario al mantenimento dell’ordine interno. La parte non occupata dai Tedeschi rimane sotto il controllo del nuovo governo francese, insediatosi nella cittadina di Vichy; si tratta di un esecutivo fortemente orientato a destra, che approva una nuova Costituzione sulla base di principi estremamente conservatori (lo slogan diffuso dal regime è “Lavoro, Famiglia, Patria”) e che assegna a Pétain pieni poteri. Il governo collabora nell’azione repressiva con gli occupanti tedeschi: annulla i permessi ai rifugiati tedeschi e spagnoli risalenti a prima della guerra, contribuisce a diffondere sentimenti antisemiti, giustificandoli con l’impossibilità della convivenza di nazionalità diverse. Gli ebrei, privati della nazionalità francese, vengono consegnati ai Tedeschi; nel 1942 lo stesso presidente del Consiglio Laval curerà la consegna ai tedeschi di 13mila ebrei stranieri. Nonostante i suoi tentativi di azione, il generale de Gaulle nei primi due anni di guerra ha difficoltà a organizzarsi un movimento di Resistenza. Con gli ostacoli incontrati dalla Germania nel corso della campagna di Russia e in Africa, la situazione cambia sensibilmente: le colonie africane si schierano con le truppe americane sbarcate sul continente; il 27 maggio 1943 è istituto il Consiglio Nazionale della Resistenza, che unifica tutte le organizzazioni interne della Resistenza. Mentre la politica di Vichy accentua il carattere collaborazionista, i soldati francesi partecipano alle principali operazioni antitedesche della guerra, come lo sbarco in Normandia (giugno 1944), in Provenza (agosto 1944) e la liberazione di Parigi (19-25 agosto 1944). La liberazione dell’Alsazia, all’inizio del 1945, pone termine a qualsiasi presenza tedesca nel Paese.
Il secondo dopoguerra
La Quarta Repubblica, il cui inizio coincide con l’immediato secondo dopoguerra, risente immediatamente dei nuovi schieramenti internazionali, che si riflettono nei rapporti tra le diverse forze politiche. Gli anni fino al 1947 sono i più problematici: viene formato un governo di unità nazionale, si procede a una politica di nazionalizzazione per far fronte alla drammatica situazione economica, causata dalle distruzioni della guerra e dal saccheggio perpetrato dagli occupanti tedeschi. I primi governi di coalizione, che agiscono ancora in una logica di collaborazione postbellica, non riescono a realizzare incisive riforme strutturali. La nomina dello stimato leader della SFIO Vincent Auriol (1884-1966) a presidente della Repubblica, nel gennaio del 1947, prelude a una svolta. Egli nomina a capo del governo Paul Ramadier (1888-1961); questi, a seguito di una serie di gravi scioperi di protesta verso la politica economica, che a suo giudizio rivelavano le finalità rivoluzionarie dei comunisti, decide l’allontanamento di questi ultimi dal governo – con il consenso di buona parte della SFIO – e una netta scelta di campo in politica estera. Nel 1949 la Francia aderisce al Patto Atlantico e, nel corso di tutti gli anni Cinquanta, alle varie organizzazioni di cooperazione internazionale (CECA, MEC, Euratom). Il generale de Gaulle, eroe della resistenza, che si era allontanato dal potere nel 1946 per dissensi con il nuovo progetto costituente, fonda nell’aprile del 1947 l’RPF (Rassemblement du Peuple Français); il nuovo partito, pur ricevendo ampi consensi elettorali, non permette la stabilità politica, sia perché, come del resto l’altro partito gollista MPR, non accetta di seguire sempre le direttive del generale de Gaulle, sia per la contemporanea crescita dei comunisti, il cui isolamento politico impedisce qualsiasi soluzione stabile. I governi che si succedono, come quello di Antoine Piny o di Pierre Mendès-France, ormai tutti orientati a destra, hanno breve vita anche quando incontrano il favore dell’opinione pubblica. Il nuovo presidente della Repubblica, René Coty (1882-1962), preferisce non sovrapporsi ai poteri del parlamento e assecondare le varie maggioranze.
La politica coloniale: verso l’indipendenza
La fine della Quarta Repubblica è causata dalle conseguenze della politica coloniale francese; la Francia, subito dopo la guerra, cerca di disinnescare la minaccia nazionalista nelle colonie trasformando l’impero in Unione Francese, all’interno della quale sono estesi in modo paritario i diritti politici. Già nel 1946, però, inizia il conflitto in Indocina che, nel nuovo contesto mondiale, viene giustificato in quanto lotta contro l’egemonia comunista; la guerra termina nel 1954 con il trattato di Ginevra, che divide in due il territorio del Vietnam. Nel 1956, in difficoltà nel contrastare movimenti nazionalisti che non esitano a ricorrere anche ad azioni di terrorismo, i Francesi rinunciano al protettorato sul Marocco e sulla Tunisia, concedendo la piena indipendenza ai due Paesi. Al Madagascar, ai territori dell’Africa occidentale e dell’Africa equatoriale viene invece concessa un’ampia autonomia. Diverso è il caso dell’Algeria, colonia più antica e considerata parte integrante del territorio francese; la Francia si trova a combattere una vera guerra culminata, in una prima fase, con la battaglia di Algeri (ottobre 1957). La vittoria ottenuta sul piano militare non provoca affatto una pacificazione: le difficoltà dei governi, stretti dalla violenza del movimento indipendentista e dalla intransigenza dei coloni presenti nel territorio africano, nel trovare una soluzione al problema riportano al potere il generale de Gaulle. A rendere possibile la svolta politica è anche l’insurrezione scoppiata il 13 maggio 1958 tra le truppe francesi in Algeria, con la formazione di un comitato di salute pubblica guidato dal generale Jacques Massu (1908-2002). La candidatura di de Gaulle è bene accetta agli europei d’Algeria e il generale, in un primo periodo, appare piuttosto incerto sulla linea politica da seguire. Con il proposito di combattere l’eccessivo parlamentarismo tipico della Quarta Repubblica, egli fa approvare una riforma costituzionale che rafforza sensibilmente i poteri del presidente della Repubblica (approvata a larga maggioranza il 28 settembre 1958), inaugurando la Quinta Repubblica. de Gaulle, attraverso il presidente del Consiglio Michel Debré (1912), avvia la politica di “autodeterminazione”, che auspica l’integrazione ma non scarta l’ipotesi dell’indipendenza. In un clima che alterna i contatti diplomatici a momenti di estrema tensione (il fallito colpo di Stato in Algeria del generale Challe, la repressione brutale di una manifestazione di algerini a Parigi, con oltre cento morti), vengono stipulati, il 18 marzo 1962, gli accordi di Evian. Un referendum tenuto in Algeria il 1° luglio 1962 approva l’indipendenza con una percentuale superiore al 90 percento.
La politica interna
Ottenuta questa importante vittoria, de Gaulle propone un’altra riforma costituzionale, che prevede l’elezione a suffragio diretto del presidente della Repubblica; al referendum la proposta riceve il 61,7 percento dei consensi. Nel novembre dello stesso anno il partito gollista ottiene la maggioranza assoluta dei voti. Il dominio pressoché incontrastato di de Gaulle sulla politica francese conduce a una netta svolta in politica estera, in direzione di un sempre più accentuato autonomismo francese.
Nel 1963 la Francia si oppone all’ingresso della Gran Bretagna nel MEC, decide di dotarsi di una bomba atomica, rifiutando così il trattato di non proliferazione delle armi nucleari di Ginevra e, nel 1966, esce dalla NATO. Nel 1965 de Gaulle è riconfermato alla presidenza della Repubblica sconfiggendo, per dieci punti in percentuale, il socialista François Mitterrand (1916-1996). Già però nelle elezioni politiche del marzo del 1967 il partito gollista, pur mantenendo ancora la maggioranza, diminuisce di molto i suoi consensi. Una chiara contestazione dell’autoritarismo implicito nel sistema di potere voluto da de Gaulle si verifica con le manifestazioni del maggio del 1968: la protesta rigetta innanzitutto la riforma universitaria proposta dal governo, fondata su una maggiore selezione; inoltre denuncia la politica repressiva verso le manifestazioni sindacali. La contestazione raggiunge il suo culmine con lo sciopero generale del 13 maggio, seguito a una dura repressione delle forze di polizia verso gli studenti. Il timore di una deriva estremista fa comunque prevalere, alle elezioni, le forze golliste, ma in un clima di maggiore sfiducia; in un referendum tenutosi nell’aprile del 1969 viene respinto un progetto di riforma istituzionale presentato da de Gaulle. A seguito di questa sconfitta, il generale si ritira dalla scena politica, un anno e mezzo prima della sua morte.
L’uscita di scena di de Gaulle inaugura l’era di Georges Pompidou, già presidente del Consiglio, eletto a capo della Repubblica nel giugno del 1969. La personalità di Pompidou impone una decisa svolta al gollismo: in politica estera la Francia si riavvicina agli Stati Uniti e alla Comunità Europea, pur mantenendo una decisa autonomia diplomatica verso i Paesi dell’Est e verso quelli arabi; all’interno, Pompidou abbandona la tradizionale politica gollista basata sull’interclassismo per imporre un processo di industrializzazione favorevole all’alta borghesia imprenditoriale, non disgiunto da un certo progresso nell’ambito della legislazione sociale. Questa linea viene perseguita anche dopo la sconfitta alle elezioni del 1973.
Pompidou muore nel 1974: al suo posto viene eletto Valéry Giscard d’Estaing (1926-), repubblicano indipendente, il quale prevale su Mitterrand, ma solo con il 50,81 percento dei voti. Egli è il primo presidente non gollista della Quinta Repubblica; capo del governo è il gollista Jacques Chirac (1932-). La nuova presidenza segna la fine dell’egemonia gollista nella destra francese e il prevalere di posizioni indipendenti. In politica estera ha inizio quel rapporto privilegiato con la Germania che darà vita, nel seno dell’Unione Europea, all’asse franco-tedesco. Sul piano interno sono introdotte coraggiose riforme: la maggiore età a 18 anni, la concessione del divorzio consensuale, la liberalizzazione della contraccezione e la depenalizzazione dell’aborto, riforme costituzionali tendenti a rafforzare il potere delle minoranze. Il successo della coalizione tra gollisti e repubblicani prosegue nelle elezioni del 1977 e del 1978: a partire però da questo periodo si aggravano i problemi economici, che producono una lunga serie di scioperi, in grado di paralizzare il Paese e fare avanzare i partiti di sinistra. Giscard d’Estaing assume parecchie iniziative in politica estera: viaggi nei Paesi arabi e in Africa; si incontra con il capo dell’URSS Breznev. Viene però coinvolto in uno scandalo in merito ai suoi rapporti personali con il dittatore africano Jean Bedel Bokassa.
Nel maggio del 1981 Giscard d’Estaing perde le elezioni presidenziali a favore di Mitterrand: il primo governo della nuova era, guidato da Pierre Mauroy (1928-2013), porta avanti una politica moderata; dopo la vittoria del partito socialista, quattro ministri comunisti entrano a far parte del governo, provocando una preoccupata dichiarazione dell’autorità statunitense. Questa alleanza produce poche riforme: le principali sono l’abolizione della pena di morte e la nazionalizzazione di alcune banche e industrie. La necessità di ristrutturare alcuni settori strategici, come quello automobilistico, riducendo l’occupazione, produce una forte contestazione a sinistra. L’opposizione dei principali dirigenti economici, nonché della Chiesa cattolica, contraria alla completa laicizzazione della scuola, provocano una sensibile sconfitta elettorale delle sinistre nel giugno del 1984. Il governo Mauroy è costretto alle dimissioni, i comunisti escono dal governo e si limitano, con l’astensione, a permettere l’esercizio di un esecutivo monocolore socialista, guidato da Laurent Fabius. Questo governo, che deve fra l’altro affrontare l’azione terroristica del gruppo Action Directe, non riesce a recuperare consensi; è inoltre travolto da una forte contestazione internazionale dopo che la marina militare francese ha aperto il fuoco contro la Rainbow-Warrior, nave dell’organizzazione pacifista Greenpeace, collocata nei pressi dell’atollo di Mururoa, per protestare contro gli esperimenti nucleari francesi. Alla nuova affermazione dei gollisti nel marzo del 1986 – cui è da aggiungere la crescita del partito di estrema destra Fronte Nazionale, guidato da Jean-Marie Le Pen (1928-) – il governo è affidato a Chirac. Si tratta, nella storia francese, del primo caso di coabitazione tra presidente della Repubblica e primo ministro appartenenti a formazioni politiche contrapposte. Il governo Chirac annulla le nazionalizzazioni volute dal precedente governo e decreta la liberalizzazione dei prezzi; sopprime inoltre l’imposta sui grandi patrimoni. Chirac non riesce però a mostrare maggiore sicurezza nell’affrontare i problemi che già avevano indebolito il governo Fabius. L’opinione pubblica tende ad apprezzare maggiormente le iniziative del presidente Mitterrand che, da una parte, si oppone alle decisioni impopolari di Chirac, dall’altra, in campo internazionale, si rende protagonista del rafforzamento dell’asse franco-tedesco con l’istituzione (gennaio del 1988) del Consiglio franco-tedesco di difesa e di sicurezza e del Consiglio economico e finanziario; i protocolli sono firmati da Mitterrand e dal cancelliere tedesco Helmut Kohl. Nelle elezioni presidenziali dell’aprile-maggio del 1988, Mitterand viene riconfermato proprio ai danni di Chirac. Michel Rocard è a capo di un nuovo governo socialista. La crisi economica e finanziaria che attraversa il Paese crea una continua instabilità politica, che le deboli misure di riforma sociale non riescono a risolvere: gravi problemi coinvolgono l’agricoltura, continui scioperi sono dichiarati nel settore automobilistico in crisi, mentre l’opinione pubblica rimane molto scossa dallo scoppio dello scandalo del “sangue infetto”, in cui è coinvolto il ministero della Sanità. A Rocard succede, nel 1991, Edith Cresson e, nel 1992, Pierre Béréovoy. I socialisti, inoltre, vengono travolti da una serie di scandali economico-amministrativi. Alle elezioni presidenziali del 1995 prevale al primo turno il socialista Lionel Jospin (1937-), ma solo perché il fronte gollista è diviso tra Chirac e Balladur. Al ballottaggio è invece Chirac a ottenere la maggioranza, seppure di pochi punti in percentuale. Il nuovo governo di destra, guidato da Alain Juppé, è contestato per l’asprezza della politica contro l’immigrazione e anche per una politica economica decisamente improntata al liberismo; le difficoltà politiche inducono Chirac a proclamare elezioni anticipate, ma queste, contrariamente alle sue aspettative, danno la vittoria ai socialisti. Inizia così una nuova esperienza di coabitazione, con Jospin presidente del Consiglio. Le riforme realizzate da Jospin (mitigazione della legge sull’immigrazione, politica economica mirante a elevare l’occupazione) portano i socialisti a confermare il loro successo elettorale nelle elezioni europee del 1999. Riforme coraggiose coinvolgono anche la vita civile: l’approvazione dei PACS (Patti civili di solidarietà), che riconoscono i diritti di coppia anche ai non sposati e, soprattutto, la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, fortemente avversata dalle forze confindustriali. Jospin nel 2000 viene travolto da uno scandalo legato alla questione corsa; alla guida del governo è nominato Fabius. Il nuovo esecutivo approva un provvedimento di devolution che ha accolto in parte le richieste di autonomia della Corsica. Una svolta significativa si verifica nelle elezioni presidenziali dell’aprile del 2002, quando il candidato socialista Jospin, nei pronostici rivale di Chirac, viene escluso al primo turno a favore del leader di estrema destra Le Pen, a causa dell’astensionismo dell’elettorato di sinistra. La vittoria di Chirac al ballottaggio, cui partecipano pure gli elettori di sinistra che si sono astenuti al primo turno, è schiacciante. Nelle successive elezioni politiche, del maggio del 2002, si è registrato il tasso di astensione più alto della storia francese. Nei primi anni del nuovo secolo, la Francia è stata, insieme alla Germania, la nazione che con più autorevolezza si è opposta all’intervento armato in Iraq, sostenendo la sua posizione anche all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.