La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Argolide
di Francis Croissant
Regione della Grecia (gr. Ἀργολίς; lat. Argolis) situata a nord-est del Peloponneso, fra l’Istmo di Corinto e l’Arcadia. Così denominata a partire dall’epoca classica, quando divenne in senso stretto il territorio della città di Argo, l’Argolide si configura in primo luogo come un’entità geografica naturale. La piccola pianura triangolare che ne costituisce il centro, profonda 21 km e la cui superficie non supera i 200 km2, è infatti delimitata da montagne a est come a ovest e non si apre che a sud, sul mare, al termine di un profondo golfo protetto a est dalla penisola di Ermione. Con le regioni vicine non comunica che tramite un piccolo numero di valichi consentiti dal rilievo, tutti alquanto impervi: a sud verso la Tireatide e la Cinuria, a ovest verso Tegea e Mantinea, a nord verso Corinto, a est infine verso Epidauro. Il perimetro della pianura è irregolare e sormontato da contrafforti rocciosi, di cui alcuni formano promontori, sui quali si insediarono fortezze e acropoli (ad es., a Micene, Midea, Tirinto e Argo). Attualmente resa fertile grazie a un’irrigazione intensiva, la pianura argiva, nonostante l’epiteto omerico di polydipsion (“assetata”) che talvolta è unito al nome di Argo, sembra essere stata sufficientemente alimentata dall’acqua (Strab., VIII, 6, 8), soprattutto attraverso corsi d’acqua sotterranei che affiorano in sorgenti o sono raggiungibili grazie a numerosi pozzi. Globalmente l’Argolide antica, che l’Iliade qualifica anche come “nutrice di cavalli”, ci appare come una terra fertile, alla quale l’allevamento e un’agricoltura molto più diversificata rispetto a quella attuale hanno assicurato durante tutta la sua storia una larga autosufficienza economica.
Le prime testimonianze conosciute della presenza umana in Argolide risalgono al Paleolitico superiore: nella grotta di Franchthi, sulla costa occidentale del golfo, sono stati trovati fra il 1967 e il 1969 i resti di un abitato che avrebbe intrattenuto relazioni con le Cicladi forse a partire dall’XI millennio. Ma l’occupazione della pianura non è attestata che a partire dal IV millennio, nel Neolitico recente, particolarmente ad Argo, Lerna, Tirinto, Prosymna, Berbati e Micene. L’occupazione si sviluppa nel periodo successivo, detto Elladico Antico (o Bronzo Antico): il sito di Lerna, scavato dal 1953 al 1958, conserva le vestigia di un insediamento fortificato raggruppato intorno a un vasto edificio (12 x 25 m) a un piano, che non può essere che una residenza principesca. Tirinto, altro sito costiero, testimonia la stessa prosperità senza dubbio legata allo sviluppo di scambi marittimi, specialmente con il mondo cicladico. La fine del III millennio vide la distruzione brutale di questi insediamenti, dovuta forse all’arrivo in Grecia di nuove popolazioni di cultura assai differente, molto più modesta e meno aperta a influssi esterni. Spesso, come ad Argo, Lerna o Asine, gli abitati di questo periodo, detto Elladico Medio (1900-1600 a.C.), la cui economia sembrava fondata essenzialmente sull’agricoltura e sull’allevamento, restarono grandi villaggi privi di una pianta organica o di pianificazioni d’insieme.
Il passaggio da questa civiltà a quella del Bronzo Recente, il cui splendore fu rivelato nel 1876 dagli scavi di H. Schliemann a Micene e che fu subito denominato Miceneo (ma si preferisce oggi parlare di Elladico Recente), apparve a lungo come una trasformazione repentina, difficilmente spiegabile. Le tombe più antiche, scavate dal 1952 al 1954, hanno permesso invece di misurarne il carattere graduale: come nel resto del Peloponneso, l’evoluzione del corredo funerario riflette in Argolide, nell’ultima fase del Bronzo Medio, una notevole prosperità dovuta allo sviluppo degli scambi fra la Grecia e il Mediterraneo orientale per via marittima e terrestre, nei quali Micene e Tirinto occupavano una posizione privilegiata. La pianura di Argo divenne, fra la metà del XV e la metà del XIII sec. a.C., uno dei principali fulcri della civiltà elladica. Peraltro le condizioni politiche attraverso le quali la dominazione di Micene si esercitò sui centri vicini di Tirinto, Argo, Prosymna, Midea o Asine (i quali, persino quando l’esistenza di un palazzo non è accertata, erano potentemente fortificati e circondati da tombe a camera o da tholoi) in gran parte ci sfuggono.
I dati archeologici disponibili non consentono di affermare se tale egemonia si sia estesa, come credevano gli antichi e si è spesso dato per acquisito, all’insieme della Grecia. La presenza di dati di archivio (tavolette scritte in lineare B trovate a Micene tra il 1952 e il 1961, ma anche a Tirinto fra il 1966 e il 1981) e il carattere sistematico di una rete stradale, le cui tracce sono ancora leggibili sul terreno, sembrano tuttavia sottintendere, almeno a livello regionale, l’esistenza di un potere ben organizzato che poggiava su un’amministrazione efficiente. Questo potere venne brutalmente scosso verso la fine del XIII sec. a.C. sia a causa di invasori esterni, quelli che la tradizione antica chiama Dori, sia in seguito a sconvolgimenti interni: palazzi e fortezze vennero incendiati e la distruzione fu seguita generalmente da un abbandono del sito, fuorché a Micene e Tirinto dove la civiltà micenea sopravvisse fino alla fine del XII sec. a.C. Nell’XI secolo, forse in seguito a nuove incursioni che accelerarono l’esodo delle antiche popolazioni, l’Argolide nel suo insieme appariva largamente spopolata e ridotta a un’economia puramente agricola. I motivi per i quali uno dei siti della pianura sopravanzò gli altri nel corso del X secolo rimangono oscuri; quali che siano, resta il fatto che la storia dell’Argolide si confonde con quella di Argo a partire dal IX sec. a.C. Sotto la sua dominazione, che si espresse con la costruzione di un grande santuario di Hera nel margine orientale della pianura presso il vecchio sito miceneo di Prosymna, i principali stanziamenti conservarono la loro autonomia: Micene, Tirinto, Nauplia e Asine furono, fino alla conquista romana, città indipendenti, spesso pronte a ribellarsi contro il potere di Argo.
Conquistata dai Romani (146 a.C.), dopo un lungo periodo di pace, di cui offrono testimonianza i monumenti di Argo, l’Argolide subì le incursioni devastatrici degli Eruli (267 d.C.), poi di Alarico e dei Goti (395/6 d.C.). Dopo un tentativo di riorganizzazione in epoca bizantina, fu conquistata all’inizio del XIII secolo dai Crociati, divenendo appannaggio dei Duchi di Atene, prima di essere ceduta nel 1388 ai Veneziani e poi essere conquistata dai Turchi nel 1460. Solamente Nauplia rimase fino al 1540 nelle mani dei Veneziani, che la ripresero poi fra il 1686 e il 1715; la loro presenza ha lasciato tracce considerevoli, quali, in particolare, l’impressionante Forte Palamede su una delle acropoli.
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di Francis Croissant
Città (gr. Ἂργος) del Peloponneso nord-orientale, considerata dalla tradizione la più antica della Grecia. Ebbe un ruolo centrale nella tradizione mitica: A. è presente soprattutto nella poesia epica e tragica e presso Omero il termine Argivi indica l’insieme dei Greci. Questa tradizione è stata confermata solo parzialmente dall’archeologia: se l’occupazione del sito è in effetti molto antica, nulla suggerisce che sia stata sede di un potere egemonico in Argolide prima del IX sec. a.C. Situata sul margine occidentale della pianura ai piedi degli ultimi contrafforti del monte Artemisio, A. gode di una posizione privilegiata: dal picco roccioso di Larissa (289 m s.l.m.), su cui si stabilì presto l’acropoli, si domina il paesaggio da Micene fino al mare. Protetto a nord da una seconda collina alta 80 m, la Deiras, arbitrariamente denominata Aspìs (“scudo”) dai viaggiatori e dagli eruditi moderni a causa della forma rotonda e piatta, il sito era circondato a nord e a est dal torrente Charadros, affluente dell’Inachos. L’impianto dell’abitato odierno non è variato di molto rispetto a quello delle origini e ciò costituisce un ostacolo non secondario per la conoscenza del sito. A parte il settore dell’antica agorà, espropriato all’inizio del Novecento e che è stato oggetto di scavi programmati, l’esplorazione di A., eseguita congiuntamente dal Servizio Archeologico Greco e dalla École Française d’Athènes, è consistita essenzialmente in numerosi interventi d’urgenza (più di 600 dal 1952 al 1992) determinati dalle moderne attività edilizie.
Le tracce più antiche di occupazione risalgono al IV millennio a.C. Nel quartiere sud della città moderna, all’inizio del pendio di Larissa, sono stati scoperti nel 1966 i resti di un abitato del Neolitico recente. Ma è nel periodo seguente (Neolitico finale), che si data l’abitato esplorato nel 1974 sulla sommità dell’Aspìs, all’estremità nord di A.; intorno al 3000 a.C. l’abitato si sarebbe trasferito o raggruppato sulle alture. Si è a lungo creduto che alla fase dell’Elladico Antico (2800-1900 a.C.) corrispondesse un periodo di abbandono del sito: tuttavia nel 1981 è stato individuato nella parte meridionale della città uno strato di occupazione ricco di ceramica di questo periodo. La prima occupazione estesa del sito ebbe inizio nell’Elladico Medio (1900-1600 a.C.): tombe e resti di abitazioni, riportati alla luce in abbondanza nel quartiere sud, nel settore della Deiras e sulla stessa Larissa, fanno di A. uno dei più grandi siti mesoelladici conosciuti. In assenza di qualsiasi traccia di organizzazione urbana, non si può immaginare che una sorta di costellazione di piccoli borghi.
È per il periodo dell’Elladico Recente, detto correntemente Miceneo (1600-1100 a.C.), che la contraddizione fra la tradizione letteraria e la realtà archeologica appare più evidente. Mentre infatti Agamennone nell’Iliade è definito “re di Argo e di Micene”, le costruzioni e le sepolture attribuibili a questo periodo appaiono stranamente modeste se rapportate a quelle di Micene o di Tirinto: è chiaro che il centro del potere doveva essere altrove e che A. durante questo periodo doveva trovarsi in una situazione di dipendenza. Dopo il crollo della civiltà micenea, come quasi ovunque in Argolide, il sito venne in gran parte abbandonato. Soltanto verso la fine dell’XI sec. a.C. tornò a svilupparsi un vero agglomerato: gli insediamenti, dove si produceva una ceramica protogeometrica di qualità e di cui restano tracce delle installazioni artigianali, arrivarono a occupare una vasta area, con il centro di gravità spostato verso sud, praticamente sotto i quartieri della città moderna. Si colgono i segni di un rapido sviluppo demografico, che permise ad A. di imporre progressivamente, se necessario anche con la forza, il suo dominio sulle altre città della pianura.
I resti dell’abitato sono raramente sopravvissuti alle occupazioni successive: solamente la loro estensione e l’ubicazione delle necropoli, che almeno verso sud delineano già lo spazio coincidente col perimetro urbano di epoca classica, permettono di valutarne l’importanza. A partire dalla metà dell’VIII sec. a.C. la ricchezza delle offerte funerarie (grandi vasi decorati, suppellettili e armi di ferro e di bronzo) riflette l’orgoglio e la potenza dell’aristocrazia terriera e militare che dominava la città. Si tratta ormai di una polis che si afferma per l’originalità della sua produzione ceramica e per la maestria dell’artigianato dei metalli; la costruzione della terrazza monumentale del primo tempio dell’Heraion nel sito di Prosymna (8 km da A.), in un apparato “ciclopico” che sembra volere evocare le fortezze micenee, appare come il simbolo di ostentazione del suo potere su tutta la pianura. Sebbene la ceramica e i bronzi argivi siano largamente diffusi nel Peloponneso, ma anche nelle Cicladi e fino in Sicilia, l’importanza e l’influenza della città fuori dai confini dell’Argolide rimane in discussione. La tradizione letteraria pone problemi che l’archeologia non è attualmente nella condizione di risolvere: quello dell’“impero” argivo, che secondo Erodoto si estendeva a tutta la costa orientale del Peloponneso fino a Citera, o quello della cronologia del re riformatore Fidone, che Pausania colloca a metà dell’VIII sec. a.C. Dopo avere lungamente ritenuto che il suo regno non poteva che coincidere con questo brillante periodo, si tende oggi a privilegiare la testimonianza di Erodoto, che fa di Fidone un contemporaneo di Clistene, tiranno di Sicione all’inizio del VI sec. a.C. Lo splendore di A. non cessò, come si è creduto, alla fine dell’epoca geometrica: il celebre frammento di cratere con Polifemo sarebbe sufficiente ad attestare l’esistenza, almeno nella prima metà del VII sec. a.C., di un grande stile protoargivo, mentre i vasi trovati nel 1970 nelle tombe del quartiere sud presentano con alcune produzioni locali della Sicilia (Siracusa, necropoli del Fusco) e della Magna Grecia (Metaponto) similitudini sorprendenti che implicano l’esistenza di contatti tra l’Argolide e le colonie greche d’Occidente.
La fine del VII sec. a.C. è archeologicamente più oscura, tuttavia vi si distinguono i primi elementi di una topografia urbana: l’Aphrodision eretto ai piedi del Pron, contrafforte sud di Larissa, era senza dubbio già unito all’agorà da una lunga strada in direzione est-ovest. Scavato tra il 1967 e il 1976, questo santuario, ricco di ceramica e di figurine in terracotta, è attualmente la nostra principale fonte di informazioni sul VI sec. a.C. ad A. La modestia dei suoi primi impianti contrasta in modo evidente con lo splendore dell’offerta fatta dagli Argivi (probabilmente da Fidone) a Delfi fra il 590 e il 580 a.C.: le statue in marmo di Cleobi e Bitone. Lo scavo di A. non ha portato alla luce fino a oggi alcuna scultura anteriore al IV sec. a.C. e tutti i santuari urbani furono distrutti alla fine dell’antichità. Due portici dorici costruiti nell’Heraion, a un livello inferiore rispetto alla terrazza del vecchio tempio, sono quasi le sole testimonianze leggibili dell’architettura argiva arcaica.
Delle vicissitudini politiche e militari raccontate dagli autori antichi e che segnano il periodo 550-450 a.C. l’archeologia non ci consente di conoscere nulla, tranne l’attività artistica che rese le botteghe argive celebri in tutto il mondo greco, specialmente quella del bronzista Hageladas, maestro del grande Policleto. La testimonianza dell’architettura, di contro, è essenziale: i resti consistenti di una trabeazione dorica trovati nell’agorà indicano che un nuovo tempio fu costruito verso il 500 a.C. nel principale santuario della città, quello di Apollo Liceo. Gli scavi hanno permesso di constatare che un vasto programma di costruzioni pubbliche, la cui realizzazione si colloca negli anni 460-420 a.C., coincise con l’avvento di un regime democratico che, grazie all’alleanza con Atene e dopo il trattato concluso con Sparta nel 451 a.C., procurò alla città, per un certo tempo, prosperità e pace: furono costruiti nell’Heraion il portico Sud e il nuovo tempio, la cui statua crisoelefantina sarà opera di Policleto, sull’agorà il bouleuterion e il portico a P, nell’Aphrodision il nuovo tempio e, a nord di questo, il theatron destinato all’assemblea del popolo.
Con questa serie di realizzazioni ambiziose, con cui l’architettura argiva raggiunse il suo livello più alto, gli spazi pubblici della città acquisirono la forma conservata, sostanzialmente, sino alla fine dell’antichità. È infatti all’interno di questa cornice che si effettuarono in età ellenistica e romana i principali interventi edilizi: all’inizio del III sec. a.C. la costruzione del teatro, in parte ricavato nella roccia di Larissa, le cui dimensioni considerevoli (più di 15.000 posti) fanno pensare che fosse destinato alla celebrazione dei Giochi Nemei trasferiti ad A. nel IV sec. a.C.; inoltre, la costruzione di un colossale edificio in mattoni composto da una sala absidata preceduta da una corte porticata, fra il teatro e l’agorà, databile alla fine dell’epoca ellenistica. Se la sua funzione originaria rimane incerta (heroon o Asklepieion-Serapeion), è sicuro che venne trasformato in complesso termale nel II sec. d.C. quando, grazie forse alla benevolenza di Adriano, A. conobbe un ultimo slancio nell’architettura e nell’edilizia, testimoniato anche dalla trasformazione della scena del teatro, dall’adattamento sul vecchio theatron di un odeion semicircolare e, soprattutto, dalla costruzione di un grande acquedotto, che da nord alimentava tutta la città costeggiando il fianco orientale di Larissa.
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di Luciano Laurenzi
Il centro religioso della regione fu l’Heraion, uno dei più antichi santuari della Grecia e uno dei più importanti perché dedicato a Hera, ipostasi della dea Terra e quindi protettrice della fecondità del suolo, delle donne e protettrice dei morti. Ogni quattro anni vi si celebravano grandi feste nelle quali la sacerdotessa si recava da Argo all’Heraion su un carro tirato da due buoi bianchi (Hdt., I, 31). Il sacerdozio era a vita e le date nell’Argolide si computavano secondo gli anni della carica. Il santuario sorse alle pendici delle colline che fiancheggiano a oriente la piana argolica, al di sotto di un’acropoli, oggi detta Prosymna, che fu abitata dall’età neolitica a quella micenea. La necropoli di quest’ultimo periodo ha fornito materiali di eccezionale importanza. Nel sito dove sorse il santuario esistette infatti un insediamento neolitico e medioelladico. Il culto data dall’età preistorica ed è testimoniato da idoletti aniconici di pietra e di terracotta rappresentanti una divinità femminile dai fianchi sviluppati e da idoletti di terracotta dell’età micenea che hanno una forma più naturalistica, per quanto il volto sia appena accennato. Nel sito del santuario si sono trovati anche vasi micenei, di stile geometrico, attico e protocorinzi.
Il tempio più antico fu distrutto nel 423 a.C. (Tucid., IV, I, 33); esso sorgeva in posizione più elevata rispetto al nuovo tempio, su quella che oggi si enumera come terza terrazza. Questa era sostenuta da un muro di tecnica ciclopica a grandi massi; il tempio era di forma estremamente allungata (36,3 x 8,5 m), aveva colonne di legno (6 sulla fronte e 14 sui lati lunghi), con ampi interassi (3,5 m rispetto a 0,8 m di modellato della colonna). Il tempio costruito in sostituzione di quello distrutto era esastilo con 14 colonne sui lati lunghi (39,65 x 20,1 m); la cella era in antis, divisa in tre navate. La colonna aveva fusto e capitelli molto rigidi. Secondo Pausania (II, 17, 8), nel frontone orientale erano rappresentate la nascita di Zeus e la Gigantomachia e su quello occidentale la presa di Troia. I frammenti del frontone sono pochissimi mentre quelli delle metope sono in maggior numero. Vi si riconosce la rappresentazione di un’Amazzonomachia: pertanto è verosimile l’ipotesi che nel lato ovest le metope fossero decorate con scene di Amazzonomachia e nel lato est, per analogia col Partenone, metope con scene di Gigantomachia. In tal modo il frontone est non avrebbe contenuto due diversi miti, come è detto nel testo di Pausania, ma un mito solo, ossia la nascita di Zeus. Lo stile delle sculture non risente dell’arte di Policleto, come qualcuno ha proposto, ma rientra nel gusto del manierismo post-fidiaco. I confronti migliori si trovano nelle sculture del tempio di Apollo a Basse presso Figalia e della balaustrata del tempietto di Atena Nike sull’Acropoli. Nel tempio erano venerati la statua crisoelefantina di Hera realizzata da Policleto e lo xoanon costruito per Tirinto dallo scultore dedalico Peirasos e trasportato nell’Heraion dopo la presa di quella città da parte di Argo. Intorno al tempio erano portici, un edificio con peristilio (forse la casa delle sacerdotesse) e una sala ipostila, forse per cerimonie mistiche; al santuario si accedeva da un’ampia scalinata. In età romana sul sito furono costruite terme. Nell’Heraion sono state trovate importanti stipi con materiali di ceramica e di bronzo, soprattutto oggetti di ornamento femminile dedicati alla dea, risalenti sino all’età micenea.
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di Luigi Caliò
L’Argolide presenta nel suo territorio due importanti santuari panellenici: quello di Nemea dedicato a Zeus e sede di giochi panellenici e quello di Asclepio a Epidauro, oltre a quello di Isthmia che cade più propriamente nel territorio legato a Corinto.
Il santuario di Nemea si sviluppa in periodo arcaico con una funzione locale sotto il controllo di Kleonai e solo nel 573 a.C. gli agoni atletici diventarono panellenici. Alla metà del V sec. i giochi furono sotto il controllo di Argo e a partire dalla prima metà del secolo successivo vennero celebrati, dopo una distruzione del luogo di culto nella stessa Argo, fino almeno alla fine del IV sec. a.C., quando per intervento della casa reale macedone fu portato a compimento un progetto di rinnovamento edilizio dell’intera area sacra per opera di un architetto di nome Sokles, che forse contemporaneamente lavorava anche all’Heraion di Argo. Il santuario e i giochi sono comunque destinati a un veloce declino a partire dal 275 a.C., quando le gare furono di nuovo trasferite ad Argo. Il sito del santuario fu rioccupato da una comunità cristiana tra il IV e il V sec. d.C., che costruì con materiale di reimpiego una basilica e un battistero.
I giochi atletici avevano luogo ogni due anni, nel secondo e nel quarto anno delle Olimpiadi e avevano come premio una corona di apio. I giochi furono istituiti da Anfiarao (secondo il mito riportato da Euripide e prima da Simonide di Ceo e da Pindaro) in onore di Ofelte, figlio di Licurgo e di Euridice e morso da un serpente durante la spedizione dei Sette contro Tebe. Delle antiche strutture del santuario gli scavi hanno portato alla luce il tempio periptero esastilo datato al 420 a.C. circa, con adyton alle spalle della cella e altri edifici attribuibili alla stessa fase costruttiva, come lo stadio, il cosiddetto apodyterion, lo xenon e i bagni.
Il culto di Asclepio a Epidauro mostra forti segni di crescita durante il V sec. a.C. e trova il suo momento più importante durante il secolo successivo. Le gare atletiche e le corse dei carri (Asklepieia) che si svolgevano ogni quattro anni furono arricchite intorno al 400 a.C. da agoni poetici e musicali. Durante il IV sec. a.C. il santuario riceve i suoi monumenti più importanti; il tempio di Asclepio, dorico, periptero esastilo, opera dell’architetto Teodoto, si data intorno al 370 a.C. e, nonostante le sue ridotte dimensioni, è uno degli esempi più rimarchevoli di decorativismo architettonico. All’interno della cella, su una ricca pavimentazione in lastre marmoree bianche e nere si trovava la statua di culto crisoelefantina opera di Trasimede di Paro. Le sculture frontonali, che rappresentavano l’Ilioupersis a est e l’Amazzonomachia a ovest, e gli acroteri, particolarmente sviluppati, che rappresentano Nikai e altre figure di difficile interpretazione, sono state scolpite su bozzetti (typoi) di Timoteo. Sempre per l’importante apparato decorativo, ancor più barocco, si distingue la tholos o Thymele, edificio a pianta centrale con una peristasi dorica e un colonnato corinzio all’interno della cella, opera dell’architetto Policleto, costruita tra il 360 e il 330 a.C. Sempre a Policleto è forse possibile attribuire il cosiddetto “tempio di Afrodite”.
Pausania attribuisce allo stesso architetto della tholos anche il teatro costruito alla metà del IV secolo. Alla fine del secolo si data l’Artemision, di piccole dimensioni, prostilo esastilo dorico, che si pone alla fine della linea evolutiva dell’esperienza dell’architettura di Epidauro. Nello stesso lasso di tempo sono costruiti nel santuario anche altri edifici funzionali al culto come l’enkoimeterion o abaton, dove avveniva l’incubazione, l’epidoteion, il katagogeion, un edificio che comprendeva quattro corti con peristilio interno e che aveva le funzioni di albergo. Il periodo ellenistico e quello romano vedono una forte attività religiosa del santuario stesso che, nonostante le spoliazioni del tesoro da parte di Silla nell’87 a.C. e dei pirati nel 67 a.C., in età postclassica trova il momento di maggiore splendore nel II secolo d.C., quando vengono introdotte nel santuario nuove divinità come Ammone, Serapide e Iside. In età imperiale si datano alcuni edifici importanti come l’Anakeion, dedicato al culto dei Dioscuri, i Bagni di Asclepio e la biblioteca, un Odeon sorto sul sito del ginnasio di età classica. Il santuario subì un’incursione nel 395 d.C. da parte dei Goti di Alarico; alla fine del IV secolo sul sito fu costruita una basilica cristiana a cinque navate.
Per il santuario di Nemea:
S.G. Miller, Nemea. A Guide to the Site and Museum, Berkeley - Los Angeles - Oxford 1990.
D.E. Birge - L.H. Kraynak - S.G. Miller, Excavation at Nemea, I.Topographical and Architectural Studies: the Sacred Square, the Xenon and the Bath, Berkeley - Los Angeles - Oxford 1992.
S.G. Miller, s.v. Nemea, in EAA, II Suppl. 1971-1994, III, 1995, pp. 891-93 (con bibl.).
W. Decker, s.v. Nemea, in Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, VIII, Stuttgart - Weimar 2000, pp. 815-16.
S.G. Miller, Excavation at Nemea, II, The Early Hellenistic Stadium, Berkeley - Los Angeles - Oxford 2001.
Per il santuario di Epidauro:
M. Massa, s.v. Epidauro, in EAA, II Suppl. 1971-1994, II, 1994, pp. 469-73 (con bibl.).
J.W. Riethmüller, Die Tholos und das Ei - Zur Deutung der Thymele von Epidauros, in Nikephoros, 9 (1996), pp. 71-109.
E. Lembidaki, Three Sacred Buildings in the Asklepieion at Epidauros: New Evidence from Recent Archaeological Research, in R. Hägg (ed.), Peloponnesian Sanctuaries and Cults, Stockholm 2002, pp. 123-36.