La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Elide
di Massimo Osanna
Regione greca (gr. Ἤλις; lat. Elis) del Peloponneso nord-occidentale, compresa tra Acaia, Arcadia e Messenia. Geograficamente si distinguono due aree principali: a nord la valle del Peneo o Elide Cava, gravitante sul centro di Elis; a sud la valle dell’Alfeo, la Pisatide, con il santuario di Olimpia. A queste due aree va aggiunta più a sud la Trifilia, gravitante in parte sul fiume Neda, la quale solo a partire dalla fine del III sec. a.C. sarà stabilmente inglobata entro i confini elei. Le valli alluvionali dei due fiumi che si concludono su una costa bassa, senza rilevanti punti di approdo, sono inquadrate a oriente dalla fascia collinare dell’Akroreia, che si eleva progressivamente, fino a raggiungere quote elevate verso est con le propaggini dei massicci dell’Erymanthos e dello Skollis, poste a segnare i confini interni con Arcadia e Acaia. Tale articolazione geografica trova riscontro nelle dinamiche storiche che hanno interessato la regione: l’Elide di epoca storica sarà il risultato della fusione dei due nuclei originari. Sarà tale unione a porre fine alle vicende conflittuali che avevano interessato le due aree durante i secoli bui e il primo arcaismo, per il possesso di Olimpia. I rapporti con la Trifilia rimarranno invece più a lungo sospesi tra dinamiche di annessione e rinnovati periodi di autonomia.
Le tradizioni genealogiche elee, confluite nel racconto sistematizzante di Pausania (V, I, 1 ss.), restituiscono un quadro coerente che spiega l’evoluzione spazio-temporale dell’entità regionale. In particolare le antichissime connessioni tra Etolia ed Elide vengono sottolineate, grazie al riconoscimento di un unico capostipite, Endimione, padre degli eponimi Epeo ed Etolo e, secondo una prospettiva capovolta, grazie alle vicende connesse con il ritorno di Etolo in Etolia, cacciato da Epei e Pisati; nonché infine alle vicende incentrate sulla discesa degli Eraclidi in Elide sotto la guida di Ossilo, che faceva solitamente riconoscere negli Elei dei “coloni” degli Etoli (Strab., X, 3, 2). Tali connessioni interregionali si rivelano d’altronde più che probabili, se si considera la collocazione geografica delle due aree e sono anche confermate dalle notevoli affinità linguistiche tra dialetto eleo e dialetti del gruppo nord-occidentale, nonché da quanto lascia intravedere la documentazione archeologica (Desborough; Sergent 1978).
L’estensione originaria (XI-X sec. a.C.) può essere dunque ricostruita delineando una entità regionale dilatata a comprendere la valle del Peneo, con una probabile estensione settentrionale fino al capo Araxos; successivamente con l’attestarsi del confine acheo alle foci del Larisos, la regione si dilaterà annettendo i territori della Akroreia e della Pisatide con il santuario di Olimpia. Il controllo degli agoni olimpici da parte di Elide si interrompe nella XXVI Olimpiade (676 a.C.), quando i Pisati recuperano l’indipendenza. Dopo la guerra messenica (570 a.C.), gli Elei con l’aiuto degli alleati spartani riconquistano la Pisatide e parallelamente ottengono il controllo temporaneo sulla Trifilia. Fino alla tarda età arcaica i confini della regione si attestano a sud lungo il fiume Neda (con la Messenia), a est le pendici dell’Erimanto e l’omonimo fiume (con l’Arcadia).
L’ethnos degli Elei era organizzato in comunità sparse, unite politicamente in uno stato, solo più tardi interessato da fenomeni sinecistici (Thuc., I, 5, 3). Il ritardo evidente nell’elaborazione del fenomeno urbano è compensato dallo sviluppo precoce di entità sacrali di livello panellenico, come esplicitato dal caso di Olimpia. Abolita la monarchia forse già nell’VIII secolo, la struttura oligarchica dello stato è riorganizzata nel 570 (oligarchia più moderata che accoglie un maggior numero di membri); la regione si distingue nell’immagine restituita dalle fonti antiche per la prosperità e il buon governo (Paus., IV, 28, 4; V, 6, 2; Pol., IV, 73, 6 ss.; Ephor., fr. 15 = Strab., VIII, 358; Strab., VIII, 333). Svolge un ruolo certo non rilevante nel corso delle guerre persiane (Hdt., VIII, 72; IX, 77, 3), ciò nonostante è ricordata nei donari di Olimpia e Delfi (Paus., V, 23, 2). L’assetto costituzionale mostra sviluppi progressivi verso la forma democratica, ormai compiuta nel V sec. a.C., in parallelo con l’elaborazione di un’entità politica cittadina comune, realizzata con il sinecismo di Elis. L’affermazione della democrazia, probabilmente stimolata da quella ateniese, è comunque frutto evidente della situazione territoriale interna del territorio che prevede una organizzazione polverizzata delle unità abitative dotate di forte autonomia, che danno vita unitariamente a un centro urbano sede delle decisioni politiche: Diod. Sic., XI, 54, 1; Strab., VIII, 3,2; Paus., V, 9, 5. Implicata nelle guerre del Peloponneso (alleanza con Sparta e successiva adesione alla lega antispartana dopo la pace di Nicia), l’Elide conoscerà alterne vicende nel corso del IV-III sec. a.C. scandite da invasioni, saccheggi (Liv., XXVII, 31, 9; XXXII, 22, 10) e variazioni di confini. Inglobata nel 191 nella Lega achea e dopo il 146 inclusa nella provincia Achaia.
Densamente popolata in antico, come attestano le fonti e le recenti indagini archeologiche (che hanno portato alla luce 120 aree archeologiche e oltre 160 ne hanno individuate nel corso di indagini di superficie, scaglionate tra il Paleolitico e l’età bizantina), l’organizzazione del territorio regionale doveva presentare, più che una serie di vere e proprie poleis, una polverizzazione di komai e piccoli centri con un unico reale centro urbano, la capitale Elis. Tra i più importanti era Pylos, posto alla confluenza del Ladon con il Peneo, e le vicine Oinoe (omerica Ephyra) e Lasion; tra le colline dell’Akroreia Thrastros, Alion, Eupagion, Opus, Thalamai; sulla costa Kyllene (porto di Elis da cui distava 120 stadi: Paus., VI, 26, 4; Strab., VIII, 337; localizzata presso il Capo Glarentza, ha restituito materiali di età arcaica e classica nell’area del villaggio moderno e a ovest del Kastro, probabilmente l’acropoli, e tombe di età classica), Hyrmine (sulla collina del castello di Chlemoutsi: Servais 1964), Myrountion e l’area di Bouphrasion; nella Pisatide, lungo la valle dell’Enipeo, Alesion, Salmone (forse presso l’odierno villaggio di Nereida), Herakleia (verosimilmente da localizzare a sud del villaggio di Pournari), Margala; lungo la via sacra che tagliava la pianura, Letrinoi e Dyspontion. In Trifilia si ricordano i centri di Phrixa, Epeion, Scillunte, Samikon e Lepreon.
Le prime identificazioni si devono al Leake, a cui fecero seguito le ricerche di E. Boblaye, E. Curtius, C. Bursian. I siti principali furono oggetto dello studio di J. Sperling nel 1939, in seguito di quelli di E. Meyer e A. Bon. Le ricerche sistematiche di A. Leroi-Gourhan e di J. e N. Chavaillon (1963) hanno portato all’individuazione di una serie di siti paleolitici (nella zona di Amalias e nel territorio dell’antica Kyllene). Del tutto frammentaria la documentazione riguardante il Neolitico e l’Elladico Antico (tracce di frequentazione sono note a Katakolo, nel territorio dell’antica Pheia e a Kostoureika, nella valle del Ladon). Tracce dell’Elladico Medio sono note nella valle del Peneo, ad Haghios Ilias e ad Agrapidochori, nell’area dell’antica Pylos. Da quest’ultima proviene una tomba a camera del Tardo Elladico (TE) III, con inumazioni cui si aggiungono cremazioni; più a sud, ad Alpochori, a nord-ovest di Pyrgos tomba a camera con lungo dromos del TE IIIA2B, con inumazioni plurime, in parte depredata (resti ceramici, oggetti di ornamento in oro e pasta vitrea; undici tombe a camera dello stesso orizzonte sono ad Haghia Triada Ileias (Pyrgos) con vasi, vaghi in oro, bronzi; purtroppo in gran parte depredata la vasta necropoli di Prostovitsa.
L’area di Olimpia ha restituito tracce del TE (Chlemoutsi sulla costa, Miraka, Kafkania, Makrysia, Epitalion, Babes, Diasela, Salmone). Numerosi sono soprattutto i siti del TE, con molte tombe a camera: Olimpia, Phloka, Miraka, Platanos, Kafkania, Epitalion, Makrysia e soprattutto Kladeos che ha restituito due gruppi di tombe a camera rispettivamente del TE IIIA2-B e del IIIB-C; inoltre in località Phengaraki si trovano tombe tardo micenee a cista, con copertura di lastre; tombe a camera micenee sono conosciute anche a Makrysia, in località Kania.
La geografia omerica (Il., II, 615 ss.) si riferisce al territorio degli Elei come alla parte più settentrionale con i distretti di Bouprasion e di Elide e le città di Kyllene, Hyrmine e Myrsinos (problematica l’inserzione straboniana in tale contesto della Petre Olenie). In età storica comunque la zona gravitante intorno al capo Araxos è compresa nel territorio dell’achea Dyme. Una sequenza continua tra i siti tardomicenei e quelli protogeometrici non è stata individuata in nessun contesto (con le uniche probabili eccezioni di Olimpia e Haghios Andreas). Un rilevante gruppo di tombe a pozzetto con materiali ceramici di stile protogeometrico proviene dalla città di Elide; necropoli geometriche sono state scavate a Olimpia, Kyllene, Chlemoutsi; depositi in pozzi da Pylos e Olimpia. Per quanto riguarda lo sviluppo delle varie entità regionali tra età arcaica e romana, è assai difficile comporre un quadro coerente. Oltre a Elis, sono pochi i centri urbani identificati ed esplorati (Pylos). Il rinvenimento di numerose sepolture in epoca arcaica e classica, ma lo stesso si nota per l’epoca ellenistica (si segnalano soprattutto le diffusissime tombe a pithos e a cista), attesta il fitto popolamento delle varie unità territoriali.
Fra i pochi siti indagati sistematicamente si segnala Pylos, posta alla confluenza dei fiumi Peneo e Ladon, lungo il percorso montano che collegava Elis a Olimpia (Paus., VI, 22, 5; Strab., VIII, 339). La polis va identificata ormai con certezza nelle rovine situate presso la collina di Armatova (vicino al villaggio di Agrapidochori), circa 13 km a est dell’antica Elis. Sul plateau della piccola collina (350 x 160 m) naturalmente difesa (Xen., HG, VII, 4, 16), sono i resti poco significativi dell’abitato, in parte danneggiato dall’erosione. La frequentazione dell’area è documentata, grazie alla scoperta di un pozzo con scarico di ceramica, a partire da epoca tardogeometrica. Un pozzo con cospicui materiali di VII-VI sec. a.C. proviene dai campi a nord-est della collina. La documentazione sul plateau riprende nella seconda metà del V sec. a.C., quando la fioritura del centro è sottolineata da una serie di strutture e materiali distribuiti su ampia zona, tra acropoli e piana circostante. Oltre alle fondazioni di edifici (tra cui si segnala una casa ascrivibile alla seconda metà del V sec. a.C.) sulla collina sono noti abitati sparsi nella zona a nord-est dell’acropoli. Tutte queste tracce di insediamento sembrano subire una netta contrazione intorno al 360 a.C., abbandono da collegare alla sconfitta dei Pili nel 365/4 a.C., in seguito alla sfortunata alleanza che strinsero con fuoriusciti della città di Elis (Xen., HG, VII, 4, 16; 26).
La collina non sembra più occupata sino a età bizantina, come emerge anche dal testo di Pausania che dell’antica polis ricorda solo ἐρείπια. L’occupazione del sito a partire dal II sec. d.C. è comunque attestata da rinvenimenti sepolcrali nell’area a nord-est della collina, preludio di una ripresa di attività edilizia evidente per il III e IV sec. d.C.
In generale:
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Topografia:
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Su Pylos:
J.E. Coleman, Excavations at Pylos in Elis, Princeton 1986.
di Luigi Caliò
Il santuario (gr. 'Ολυμπία; lat. Olympia) si trova in Elide lungo la valle dell’Alfeo, nel punto in cui questa confluisce con il Cladeo, ai piedi della collina di Kronos.
L’area del santuario presenta frequentazioni in periodo preistorico e protostorico tra l’Antico Elladico e il Tardo Elladico; di questo periodo sono state trovate strutture abitative, a pianta rettangolare e absidata, appartenenti a un insediamento protoelladico; la sommità della collina era cinta da un circolo di pietre e pavimentata ed era forse destinata già a un luogo di culto, ma fu abbandonata nella prima metà del II millennio a.C. Dall’area del santuario proviene una serie di manufatti (frammenti ceramici, utensili e soprattutto statuine di terracotta) che si datano lungo tutto il periodo Elladico, fino alla fine del Miceneo. Edifici e materiali analoghi sono stati rinvenuti anche nell’area ubicata a nord del santuario, insieme a un importante cimitero con tombe a camera.
Secondo la tradizione, in età micenea il santuario apparteneva agli Achei, che si insediarono a Pisa, i quali veneravano Pelope che, vinto Enomao e sposatone la figlia Ippodamia, avrebbe introdotto i giochi; Eracle avrebbe poi circondato il bosco sacro (Altis) con un peribolo. Alcuni elementi hanno fatto pensare che un primo culto eroico di Pelope e Ippodamia potesse aver luogo già in periodo miceneo e probabilmente nella stessa epoca si devono collocare le prime gare atletiche, anche se la presenza di un abitato e la mancanza di oggetti votivi provenienti dall’area del santuario rende dubbia l’ipotesi. Nei pressi del Pelopion di periodo storico è stato comunque trovato il tumulo di Pelope che risale al II millennio a.C., ma sul quale in periodo miceneo si imposta parzialmente un edificio absidato di tipo abitativo; nessuna traccia archeologica si ha invece dell’heroon di Ippodamia, ma, seguendo la descrizione di Pausania (V, 22, 2; VI, 20, 7), questo poteva trovarsi tra l’ingresso dello stadio e il bouleuterion, nel lato orientale dell’Altis, o più probabilmente nel settore sud-occidentale del santuario, all’altezza dell’entrata nel santuario.
Oltre a quelli eroici a questo primo periodo di vita del santuario appartengono diversi culti, tra cui quello di Kronos sulla collina che domina il santuario e, ai piedi di questa, quelli di Gaia, della Madre degli dei, forse Rhea, Ilizia, Themis, Ercole Ideo e altri; proprio in questa zona è stata trovata la maggioranza dei rinvenimenti preistorici provenienti dall’area del santuario. Il culto di Olimpia è legato inizialmente al culto eroico in cui si celebra la morte dell’eroe, ma si caratterizza anche come culto dei cicli stagionali, che erano rinnovati attraverso il rapimento di Ippodamia da parte di Pelope e la conseguente ierogamia dei due eroi. Al primo aspetto sono probabilmente legate alcune pratiche iniziatiche, all’interno delle quali, già in periodo protostorico, dovevano svolgersi le gare atletiche tra i giovani, secondo una prassi già comune in epoca micenea, come testimoniano non solo i racconti omerici delle gare offerte in onore degli eroi defunti (Patroclo, Amarinceo, Edipo, Achille) ma anche le stele del circolo di Micene con rappresentazioni di gare di carri.
A partire dal X sec. a.C. si trova nel santuario una serie di offerte votive, soprattutto una grande quantità di figurine animali e umane di terracotta e bronzo, cui tuttavia non si riesce ad attribuire una datazione certa sulla base dei dati di scavo. Molte di queste figure sono maschili e verosimilmente rappresentano lo stesso Zeus. La presenza di queste figure è con tutta probabilità da mettersi in relazione con l’introduzione del nuovo culto olimpico nel santuario, avvenuta all’inizio della Dark Age; fu introdotto, secondo la tradizione, durante il periodo delle invasioni doriche dalle popolazioni etoliche che, venute dal Nord-Ovest della Grecia e capeggiate da Oxilos, si fermarono in Elide. Sembra che l’importanza del santuario in questa epoca fosse legata soprattutto al culto oracolare presente a O. e testimoniato da Pindaro (Ol., VI) e da Strabone (VIII, 3, 30).
Le offerte continuarono per tutto il periodo geometrico e alle figure si aggiunsero i calderoni di bronzo, con anse e gambe di bronzo fuso e a volte lavorate a martello. Alcuni esemplari raggiungono una certa grandiosità nell’impianto e nella decorazione, spesso a rilievo; la monumentalità di alcuni pezzi è accresciuta dalla presenza di figure a tutto tondo sulla sommità delle anse. I calderoni sono oggetti di prestigio più che di uso quotidiano e probabilmente erano offerti dagli atleti vittoriosi. Un incremento delle offerte dei calderoni a O. sembra coincidere con la data tradizionale della riforma dei giochi nel 776 a.C.; in genere quelli di periodo tardogeometrico presentano un ricco ornamento geometrico sulla superficie esterna delle gambe e nella parte alta delle metope figurate. Lo stile della decorazione figurata e la distribuzione degli esemplari fanno presupporre un’origine argiva e corinzia: tra questi si trovano esempi particolarmente importanti come un frammento di gamba con la rappresentazione di una figura a cavallo che alza la lancia sopra la propria testa, forse Poseidon Hippios, o un tripode di probabile fabbrica corinzia con la riproduzione della lotta per il tripode da parte di due figure con elmo, probabilmente Eracle e Apollo. Il grande numero di rappresentazioni di guerrieri, cavalieri e cavalli nelle statuette e nei calderoni fa presupporre che gli offerenti appartenessero a una società aristocratica e guerriera.
Durante questo periodo all’interno del bosco sacro dell’Altis, chiuso da un peribolo, furono edificate alcune strutture, come gli altari degli dei e gli heroa di Pelope e di Ippodamia, mentre nell’area erano ancora visibili antiche vestigia come la colonna rimasta dalla distruzione del megaron di Enomao da parte dei fulmini di Zeus e il sacro olivo che era stato portato da Eracle dalle terre degli Iperborei e piantato a O. La ricerca archeologica ha individuato alcune strutture di periodo geometrico: un monumento al di sotto del pritaneo, che è stato riconosciuto come una struttura cultuale, forse l’antecedente dell’altare di Hestia, ma che probabilmente è il pilone di un ponte che durante l’VIII sec. a.C. attraversava il Cladeo, e un edificio absidato della fine del periodo geometrico; probabilmente lo stadio occupava la stessa posizione di quello più tardo. La riforma del culto del 776 a.C. è stata inoltre, secondo la tradizione, l’occasione per la promulgazione della tregua sacra tra il re dell’Elide Ifitos e Licurgo di Sparta, che si impose come legge sacra, così come l’intero stato dell’Elide fu considerato sacro.
La fine dell’VIII sec. a.C. e l’inizio del successivo vedono una progressiva crescita di importanza del santuario al di fuori del Peloponneso che si riscontra anche nella provenienza tra i vincitori di atleti stranieri: si conosce il nome di un vincitore ateniese nel 696 a.C., nel 688 a.C. vince un atleta proveniente dall’Asia Minore, nel 672 uno proveniente dalla Magna Grecia e nel 648 uno proveniente dalla Sicilia. In questa fase la porzione a sud e a ovest della collina di Kronos fu spianata allargando sensibilmente la superficie dell’area santuariale e furono costruite nello stesso tempo le prime strutture monumentali, prima fra tutte ai piedi della collina di Kronos il tempio di Hera, il cui culto si impianta a O. probabilmente sotto l’influenza di Argo. È stata supposta l’esistenza, tuttavia dubbia, di un primo tempio databile alla metà del VII sec. a.C., forse un piccolo edificio dorico con pronao. Intorno al 600 a.C. fu costruito l’edificio templare di pianta allungata, con pronao, opistodomo e peristilio (6 x 16); le pareti erano di mattoni crudi su una base di pietra e il colonnato era ligneo, sostituito nel corso del tempo con colonne di pietra (al tempo di Pausania rimaneva solo una colonna di legno nell’opistodomo: V, 16, 1). La cella aveva due file di colonne che, unite alla parete da set-ti murari, formavano delle nicchie all’interno delle quali si trovavano delle statue, tra cui l’Hermes di Prassitele; il simulacro di Hera (che si è voluto riconoscere in una testa di calcare ma che più probabilmente è una testa di sfinge o una scultura frontonale) rappresentava la divinità seduta in trono e accanto a questa vi era la statua di Zeus stante con l’elmo (Paus., V, 17, 1). Il frontone era sormontato da un grande acroterio a disco di terracotta dipinta (2,42 m di diametro).
Il tempio conservava diverse offerte tra cui il disco bronzeo dove era stato inciso il testo della Tregua Sacra e che era ancora all’interno dell’edificio all’epoca di Pausania (V, 20, 1) e l’arca di Cipselo cui il periegeta dedica un’accurata descrizione (V, 17, 5 - 19, 10). Legate al culto di Hera erano le Heree, gare di corsa cui partecipavano le donne, istituite da Ippodamia (Paus., V, 16, 4). Coeva alla realizzazione del tempio di Hera fu la costruzione del più antico thesauròs, quello dei Sicioni nella sua fase più antica, eretto sulla terrazza naturale che si trova alle pendici meridionali della collina di Kronos.
Nel VI sec. a.C. fu risistemato il Pelopion che fu dotato di un nuovo peribolo di forma pentagonale nel quale si apriva un propylon poi sostituito da un’entrata monumentale e alla fine dello stesso secolo fu edificato il primo pritaneo; nel medesimo periodo sulla terrazza ai piedi della collina di Kronos furono costruiti gli altri thesauròi; si conoscono le tracce di 15 sacelli (2 furono distrutti dalla costruzione dell’esedra di Erode Attico), dei quali però sono stati identificati solo quelli dei Sicioni, di Selinunte, di Metaponto, di Megara e di Gela (Pausania nomina anche quelli di Siracusa, di Epidamno, di Bisanzio, di Sibari e di Cirene). Questi edifici si datano tutti al VI sec. a.C., ma quello dei Sicioni e quello di Gela furono risistemati durante la prima metà del secolo successivo. Sappiamo inoltre da Pausania (V, 13, 8-9) dell’esistenza, tra il Pelopion e il tempio di Hera, di un altare arcaico che tuttavia fu distrutto dopo l’editto di Teodosio del 426 d.C. lasciando poche tracce archeologiche. Lo stadio arcaico probabilmente si trovava nello stesso luogo di quello più recente.
Nel V secolo il santuario muta il suo aspetto attraverso una serie di costruzioni tra cui la più significativa è quella del tempio di Zeus (Paus., V, 10, 1), costruito dagli Elei con il bottino preso dopo la distruzione di Pisa e affidato all’architetto Libon di Elis. Il tempio, che sostituisce il primitivo luogo di culto costituito da un altare a cielo aperto, fu costruito tra il 470 e il 456 a.C. L’edificio, dorico, periptero, esastilo, con 13 colonne nel lato lungo e la cella divisa in 3 navate da 2 colonnati in doppio ordine, era di pietra calcarea locale ricoperta di stucco, mentre la trabeazione originaria era in marmo di Paro, più tardi sostituito con elementi di pentelico durante i numerosi lavori di manutenzione. L’apparato decorativo del tempio era composto da 2 frontoni, che rappresentavano a est la preparazione della gara di carri tra Enomao e Pelope e a ovest la Centauromachia, da 12 metope con le riproduzioni delle fatiche di Eracle, collocate sopra il pronao e l’opistodomo del tempio, e da circa 100 protomi leonine. L’analisi di questo complesso di sculture, attribuito nell’insieme al progetto di una sola personalità che ha curato la composizione dell’insieme e probabilmente fornito anche i modelli, presenta diversi problemi legati sia all’identificazione degli scultori che hanno lavorato alla sua realizzazione (Pausania sostiene in modo anacronistico che gli autori dei frontoni siano Paionos di Mende e Alkamenes), sia all’identificazione delle singole statue sulla scorta della descrizione di Pausania (soprattutto per il frontone orientale non è chiaro se la posizione a sinistra o a destra dello Zeus centrale sia da considerarsi in rapporto allo stesso Zeus o alla posizione di chi guarda), sia alla definizione della successione delle figure nei frontoni. Di fatto tuttavia le statue frontonali non formano un insieme stilisticamente omogeneo e questo fatto pone dei problemi interpretativi cui possono essere date solo soluzioni ipotetiche; alcune figure come l’Apollo del frontone occidentale risentono di una forte impostazione severa, mentre altre, come lo Zeus del frontone orientale mostrano una precoce modernità, ma più che a una seriazione cronologica queste differenze sono dovute a una diversità di esecuzione.
Contemporaneamente alla costruzione del tempio lo stadio venne spostato a est, aumentando così la superficie del santuario, il Pelopion venne ristrutturato con un nuovo propileo e vicino al bouleuterion fu costruito un secondo edificio absidato. Per la costruzione della statua crisoelefantina di Zeus nella seconda metà del secolo fu approntato il laboratorio (ergasterion) descritto da Pausania e identificato in un edificio a ovest del tempio di Zeus, nel quale sono state trovate alcune matrici di terracotta utilizzate per la fusione della statua, che fu realizzata probabilmente tra il 436 e il 432 a.C. dopo che Fidia terminò la Parthenos, come sembrano indicare alcuni particolari realizzativi (come la resa del panneggio) più complessi rispetto alla statua di Atene. La statua, di cui ci rimane una dettagliata descrizione di Pausania, era alta oltre 12 m e rappresentava il dio seduto in trono con una Nike sulla destra e uno scettro nella sinistra. Nello stesso lasso di tempo venne alzata di fronte al tempio di Zeus una base di pianta triangolare alta oltre 9 m che sosteneva una Nike dedicata dai Messeni e dai Naupatti con i proventi del bottino ricavato dalla battaglia di Sphakteria. L’iscrizione del monumento ci informa che l’autore della statua scolpì anche gli acroteri del tempio, che furono collocati solo in questo momento, costituiti da una Nike centrale e da calderoni agli angoli, secondo quanto dice Pausania (V, 26, 1).
Il secolo successivo vede la definitiva sistemazione del santuario e probabilmente anche una riorganizzazione degli spazi cultuali attraverso la costruzione di un recinto monumentale che aveva lo scopo di dividere gli edifici più propriamente cultuali da quelli ausiliari; lo stadio venne risistemato al di fuori dell’area del santuario e separato da questa tramite il portico di Echo. All’inizio del secolo furono costruiti il Metroon, dedicato alla Madre degli Dei, l’Edificio di Sud-Est, probabilmente il santuario di Hestia, e alla metà del secolo il Theokoleon, la sede dei sacerdoti; la seconda metà del secolo vede alcune costruzioni importanti promosse da singoli evergeti come il Leonidaion, edificio a due piani con peristilio centrale dorico costruito a spese di Leonide di Nasso e il Philippeion, iniziato da Filippo II e terminato da Alessandro Magno, che si presenta come un edificio di pianta circolare con un peristilio ionico e semicolonne corinzie all’interno della cella che custodiva le statue crisoelefantine dei membri della famiglia di Filippo, la cui realizzazione è opera di Leochares. La costruzione del monumento è il segno del nuovo protettorato che il re di Macedonia impose sul santuario dopo la vittoria di Cheronea; Alessandro Magno vi fece leggere da Nicanore di Stagira il decreto che imponeva a tutte le città greche di richiamare gli esuli. Il santuario successivamente accolse anche la dedica di un donario da parte dei Tolemei. Il periodo ellenistico vede l’attività edilizia relegata al di fuori del recinto sacro vero e proprio. Nel III secolo fu costruita la palestra per la lotta e il pugilato, nel II secolo il ginnasio.
Nel 146 a.C. Lucio Mummio ornò le metope del tempio di Zeus con 21 scudi dorati, ma durante la tarda repubblica, dopo il saccheggio del tesoro da parte di Silla il santuario conobbe un periodo di decadenza e la CLXXV Olimpiade (80 a.C.) fu celebrata a Roma. Fu solo con l’impero che il culto conobbe una certa rinascita: Augusto introdusse il culto imperiale nel Metroon e probabilmente ristrutturò il portico di Echo; sotto Nerone fu ingrandito e monumentalizzato il temenos e costruito un arco di trionfo a est del bouleuterion; lo stadio fu risistemato e fu ingrandita l’esedra degli ellanotomoi, mentre la zona intorno al santuario fu invasa da una serie di edifici abitativi e terme di periodo romano, tra cui la cosiddetta Casa di Nerone e il cosiddetto Edificio di Sud-Ovest, forse luogo di riunione di una associazione. Altri edifici preesistenti vennero restaurati e risistemati come il Leonidion e il ginnasio, cui venne aggiunto un propileo monumentale di ordine corinzio. Il monumento più significativo di periodo imperiale è il ninfeo monumentale costruito da Erode Attico in onore della moglie Regilla, sacerdotessa di Demetra; si tratta di una fontana monumentale di pianta a emiciclo con due tempietti a pianta circolare alle estremità. Nel II sec. d.C. il santuario era tornato a essere un centro importante e scavi recenti hanno riconosciuto in alcune strutture denominate Terme del Kronion uno xenodocheion, cui si aggiunse alla fine del secolo un piccolo impianto termale che rimase in funzione fino al IV sec. d.C.
Per scongiurare l’invasione degli Eruli nel 260-270 d.C. fu eretto con materiale proveniente da diversi edifici del santuario un muro di difesa, di cui rimane una torre superstite. Il santuario fu progressivamente abbandonato, nel 393 d.C. fu celebrata l’ultima olimpiade e nel 394 fu decretata da Teodosio la fine del culto pagano e la statua di Zeus fu portata a Costantinopoli. Le strutture del santuario furono distrutte definitivamente nel VI secolo, quando la zona fu colpita da due forti terremoti nel 522 e nel 551 d.C.; tra il V e il VI secolo l’area del santuario fu occupata da una comunità cristiana e l’ergasterion di Fidia trasformato in una basilica. Tutta la zona venne poi ricoperta da uno strato di terra alluvionale dovuto alle inondazioni dell’Alfeo e del Cladeo.
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