La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Focide
di Luigi Caliò
Regione della Grecia centrale (gr. Φωκίς; lat. Phokis) che si affaccia a sud sul Golfo di Corinto e confina a ovest con la Doride, a nord con la Locride Opunzia e la Locride Epicnemidia e a est con la Beozia. La regione è bagnata per un breve tratto a nord dal canale di Eubea; la città di Daphnous divideva la costa della Locride dalla Epicnemide. La Focide è caratterizzata al centro dal massiccio del Monte Parnaso, a nord del quale è la pianura del Fiume Cefiso; a sud la penisola di Desphinas determina le grandi insenature del Golfo di Anticira e del Golfo di Itea (Krisaios Kolpos).
I primi insediamenti in Focide risalgono al Neolitico antico e le testimonianze di stanziamenti umani continuano ininterrottamente fino ai primi segni di frequentazione della grotta dell’Antro Coricio nel Neolitico tardo. Durante l’Antico Elladico si nota una crescita del numero dei siti occupati e nei periodi successivi alcuni di questi, il più importante dei quali è Kirra, verranno popolati stabilmente. Nel Tardo Elladico (TE) I e II la Focide è chiaramente una regione micenea, con alcuni abitati cinti da mura (Krisa) e alcune importanti necropoli come quella di Medeon (Haghioi Theodoroi), da cui proviene un sigillo con segni in lineare B e che presenta tombe a fossa e a camera e una tholos con dromos a scalini del TE IIIB. La storia della Focide dipende in massima parte dalle vicende del santuario panellenico di Delfi, che già in epoca micenea venne fortificato con un muro spesso circa 2 m. Dopo un periodo di crisi durante la Dark Age, il Geometrico si apre in Focide con un incremento dei siti occupati. Otto città sono ricordate dal Catalogo delle navi (Il., II, 517–525) e a partire dall’VIII secolo si conosce l’attività nella zona di alcuni santuari, oltre Delfi, come quello di Demetra in Erochos, rinvenuto a Souvala, alle pendici nord-orientali del Parnaso, nei pressi di Lilaia. Il Catalogo delle navi riunisce i Focesi sotto un nome collettivo (οἰ Φωκεῖς) che fa presupporre una qualche forma di organizzazione politico militare. Durante l’età del Ferro non si nota, come in altre regioni greche, una diminuzione dei siti occupati rispetto al periodo più antico e alcuni siti come Haghioi Theodoroi (Medeon), Anticira e Elatea mostrano una sequenza stratigrafica completa tra il periodo miceneo e quello arcaico e questa continuità si trova soprattutto nei rinvenimenti delle necropoli. In particolare Elatea sembra godere in questo periodo di una notevole prosperità: i corredi delle tombe sono particolarmente ricchi, con una ceramica sofisticata e oggetti di lusso che mostrano come la regione fosse inserita nelle rotte commerciali internazionali. In Messenia il Protogeometrico è attestato da incinerazioni individuali, mentre nel Geometrico antico l’inumazione avveniva in ciste senza corredo. Durante le ultime fasi del Geometrico e il periodo arcaico si torna all’incinerazione a volte con sepolture in crateri o pithoi.
A partire dal VII sec. a.C. la frequentazione dell’Antro Coricio, utilizzato già durante il Neolitico e che durante l’età del Ferro diventa un polo santuariale, si fa più intensa. La grotta, che ha restituito numerose offerte, era legata al culto di Pan e delle Ninfe e accoglieva all’esterno riti orgiastici femminili in onore di Dioniso. Tuttavia per tutto il periodo arcaico la Focide, se si eccettuano i siti di Delfi e di Medeon sul Golfo di Corinto, non sembra subire quel processo di urbanizzazione che interessa il resto della Grecia. Di fatto non si nota un incremento dei siti occupati, né la nascita di un forte e centralizzato potere politico, probabilmente per il fatto che gli insediamenti avevano un forte carattere agricolo o pastorale e che la popolazione praticava in parte la transumanza.
In periodo arcaico i Focesi partecipano all’anfizionia che si radunava intorno al santuario di Anthela e che comprendeva anche Beoti, Locresi e Tessali. La prima guerra sacra (600-590 a.C.), scatenata con il pretesto che la città di Krisa avesse disturbato i pellegrinaggi al santuario delfico e conclusasi con la distruzione della città e il divieto di coltivarne la pianura, nasce probabilmente dalla necessità da parte dell’anfizionia, dominata dai Tessali, di controllare politicamente Delfi. Nel VI secolo, forse sotto la spinta delle pressioni da parte degli stessi Tessali, i Focesi si unirono in un koinòn cui partecipavano tutte le comunità che gravitavano intorno alla regione del Parnaso e che alla fine del VI sec. a.C. batteva una moneta federale, probabilmente nella zecca di Phokikon, non lontano dalla moderna Bardana, dove si riuniva l’assemblea della federazione; tale località è identificata con Kato Tseresi, che si trova a pochi chilometri a sud-est dalla città di Daulis e nei pressi della quale era situato un santuario dedicato all’eroe fondatore Phokis.
Le strutture politiche e amministrative del koinòn focese sono di difficile ricostruzione a causa delle pochissime testimonianze epigrafiche. Dalle emissioni monetarie si può ipotizzare che all’interno del koinòn coesistessero il diritto di cittadinanza federale e quello particolare di ciascuna città. Nella federazione esistevano alcune magistrature attestate dalle epigrafi come quelle dei tesorieri e alcuni organi collegiali come l’assemblea federale e il collegio degli strateghi, che successivamente furono affiancati dal collegio degli arconti e da quello dei focarchi. In questa fase il numero di siti occupati continuò probabilmente ad aumentare se Erodoto (VIII, 33) ricorda 15 città distrutte dai Persiani nel 480 a.C. nella valle del Cefiso. Il periodo vede però anche l’acuirsi dei contrasti tra la Focide e la Tessaglia che culminarono con la cacciata dei Tessali dal territorio focese durante il VI o all’inizio del V sec. a.C. Probabilmente in ricordo di questo avvenimento, forse identificabile con la Phokikè Aponoia delle fonti antiche (Plut., Mulier. virt., 244 b-c), fu istituita la festa delle Elafebolie che si svolgeva nel santuario di Artemide Elaphebolos, rinvenuto a Kalapodi lungo il confine tra la Focide e la Beozia. Alcune città appaiono relativamente fiorenti, come l’antica Abai, oggi nel territorio di Palaiochori Exarchou, presso Kalapodi, che presenta un complesso sistema di mura in opera lesbia che circonda una doppia acropoli e la città bassa. A nord-ovest dell’abitato è ubicato un santuario il cui tempio maggiore viene datato al VI sec. a.C.
La regione subì forti devastazioni da parte dei Persiani contro cui si era schierata nel 480 a.C. Aiutati dagli Ateniesi contro gli Spartani nella seconda guerra sacra (448 a.C.), i Foce-si furono a fianco di questi ultimi all’inizio della guerra del Peloponneso e furono loro alleati nella cosiddetta “guerra corinzia” (395 a.C.). Proprio in questa occasione sarebbe stato costruito lungo il confine orientale della Beozia il sistema di fortificazioni, ancora ben visibili a Haghios Vlasios (Panopeus), più lacunose a Belesi (Parapotamioi), Haghios Nikolaos Palaiochori (Steiris), Kastrì Distomou, Kiriakì Palaiokastron (forse antica Trachìn). Si tratta di una rete di fortificazioni strutturata in modo tale da permettere un controllo visivo del territorio e delle altre postazioni di difesa, secondo una tecnica che si ritrova anche nel Nord dell’Attica, in Etolia, in Beozia e probabilmente nella Locride Opunzia, che permetteva un reciproco controllo e la comunicazione tra i vari presidi attraverso segnali luminosi.
All’inizio del IV secolo la Focide fu alleata degli Spartani, che l’avevano aiutata contro le pretese egemoniche in Grecia centrale di Giasone di Phere, tiranno della Tessaglia; successivamente l’esercito federale focese fu sconfitto insieme a quello spartano nella battaglia di Leuttra (371 a.C.); nella terza guerra sacra combattuta contro la Beozia (356-346 a.C.) subì un altro rovescio per l’intervento di Filippo II a favore dei Beoti e nel 347 a.C. l’esercito macedone sceso in Focide devastò 20 (Paus., X, 3, 1) o 22 (Demosth., Or., XIX, 123) città, tra cui quella di Neon, identificata con l’odierna Paleophiva. La città, ricostruita poco distante con il nome di Tithorea, ha restituito un Iseion ricordato da Pausania (X, 32, 13-17) e un santuario di Asclepio. In genere si tratta però di insediamenti di limitata estensione, con un’economia legata per lo più alla pastorizia e alla transumanza. Dopo la battaglia di Cheronea (338 a.C.) si assiste a una rarefazione degli insediamenti, dovuta probabilmente a fenomeni di spopolamento, che durerà per tutto il periodo romano, soprattutto nelle zone interne. In età ellenistica la Focide si riunisce in una nuova lega che rispetto al koinòn arcaico sembra accentuare il proprio carattere accentratore intorno al sito di Elatea e al santuario di Atena Kranaia, situato su una collina a est della città. Nel 235 a.C. il koinòn fu assorbito nella Lega etolica e alla fine del secolo cadde sotto l’influenza di Filippo V.
All’inizio del II sec. a.C., dopo la pace tra i Romani e la Lega etolica, in seguito alla caduta di Ambracia (189 a.C.), fu ripristinata la Lega focese, che Pausania trova ancora attiva nel II sec. d.C. La nuova istituzione ci è sostanzialmente sconosciuta; probabilmente era governata da un collegio di quattro arconti e forse, non più sottomessa ai Macedoni, aveva una certa autonomia decisionale. Di fatto il koinòn in periodo romano perde di importanza e alcuni segni potrebbero far pensare a un calo demografico dell’intera regione; lo stesso Plutarco lamenta il carattere regionale del santuario di Delfi durante il suo sacerdozio. Questo fenomeno di decadenza sarà accentuato in alcuni santuari minori della Focide, come quello dell’Antro Coricio.
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di Jean-François Bommelaer
Ubicata in Focide (Grecia centrale), su uno dei contrafforti meridionali del Monte Parnaso, D. (gr. Δελϕοί; lat. Delphi) fu sede di un importante santuario di Apollo.
Il sito, esposto a mezzogiorno, si trova in una vallata scoscesa che Pausania paragona a un teatro, a un’altitudine di 500-700 m, che domina pendii coltivabili, alle pendici di falesie incombenti e alte varie centinaia di metri. Le fonti letterarie menzionano molto spesso D., poiché l’oracolo di Apollo esercitò un considerevole ruolo nella vita dei Greci. A partire dal Medioevo si perse il ricordo dell’ubicazione del sito. A eccezione della sua scoperta nel 1436, dovuta a Ciriaco d’Ancona, la localizzazione esatta di D. apparve solo nel 1678, nell’opera di J. Spon e G. Wheeler. D’altronde, fino al XIX secolo la maggior parte dei viaggiatori fu in grado di identificare solo la fonte Kastalia, poiché il santuario di Apollo era occupato dal villaggio di Kastrì. I primi lavori di scavo furono intrapresi dopo l’indipendenza greca, ma per spostare il villaggio, sulla base di un accordo franco-ellenico, fu necessario attendere fino al 1891. Le grandi campagne di scavi della École Française d’Athènes hanno portato alla luce il santuario di Apollo, quello di Atena Pronaia presso Marmarià, nonché un ginnasio tra i due santuari, uno stadio e alcuni settori della città intorno all’Apollonion.
All’epoca micenea risalgono solo alcune tombe situate in prossimità insediamento sia statuette cultuali. Mentre le testimonianze architettoniche risalgono solo all’Elladico Recente III, i resti ceramici si riferiscono a tutto l’Elladico Recente, poiché si ritiene che lo stile caratteristico dell’Elladico Medio, che presentano alcuni oggetti, manifesti semplicemente un ritardo nel processo di “micenizzazione”, fenomeno che non sorprende data la lontananza del sito dai grandi centri di età micenea. Ignoriamo se un oracolo esistesse già in quell’epoca, ma quello che le più recenti indagini nella regione sembrano indicare è che nessun altro sito è stato occupato con tale continuità dal II al I millennio a.C.
Le campagne di scavi degli anni Novanta del XX secolo hanno confermato questa ipotesi di continuità di vita, riportando alla luce la fase submicenea, attestata solo nelle tombe. Rimarrebbe il problema della datazione della ceramica protogeometrica, i cui reperti identificabili sono di origine tessalica, cicladica o Westgreek. In ogni caso, verso la fine del IX secolo si verifica un nuovo fenomeno: all’improvviso i ritrovamenti si moltiplicano, si diversificano e mutano d’origine. Alle ceramiche protogeometriche già evocate si sostituiscono vasi del Geometrico medio e poi del Geometrico recente di Corinto. Vi è inoltre una considerevole quantità di reperti di bronzo (ornamenti, tripodi e statuette); poiché si tratta chiaramente di materiale votivo è certo che a quell’epoca era già in vigore il culto di Apollo. La ricchezza di tali materiali e la diversità di origine sarebbero infatti sufficienti per attestare la fama del sito e probabilmente il suo carattere oracolare.
Secondo la testimonianza delle fonti, l’oracolo svolse un ruolo molto importante nell’ondata di colonizzazione greca verificatasi a partire dall’VIII sec. a.C. È possibile che il fenomeno sia stato ampliato successivamente, soprattutto facendolo rimontare a epoche anteriori, ma lo straordinario splendore di D. è attestato in ogni caso dai reperti che si datano a tutto il VII secolo. Mentre la ceramica importata è per la maggior parte corinzia, i bronzi possono essere divisi in due gruppi: quelli greci, spesso realizzati sul posto ma da bronzisti provenienti da tutta la Grecia, e quelli orientali, ciprioti o fenici da una parte e anatolici dall’altra. Gli scavi degli anni Novanta del XX secolo hanno mostrato che, contrariamente all’opinione comune, conosciamo molto approssimativamente l’architettura religiosa di quell’epoca: alcune tegole protocorinzie provenienti da un tetto, da molti attribuito al tempio, e forse resti di un thesauròs di tufo, che è possibile identificare con quello dedicato da Kypselos, tiranno di Corinto. Il più antico peribolo conosciuto del santuario di Apollo risale al VI sec. a.C. e probabilmente anche quello di Marmarià appartiene alla stessa epoca.
La prima metà del VI sec. a.C. è un periodo di notevoli trasformazioni, in cui – in particolare – vengono recintati i santuari, forse ampliandoli, con periboli in un’opera poligonale ancora piccola e irregolare. Il santuario di Atena verosimilmente non è ancora molto ampio, ma quello di Apollo, realizzato su alcuni terrazzamenti, si estende su più di un ettaro. Nel primo, vi sono i resti dell’altare (un banco stretto e lungo in calcare locale) e del tempio (colonne doriche in tufo alquanto piccole e sottili con 16 scanalature e capitello schiacciato). In quello di Apollo l’altare è andato perduto, ma in seguito è stato conservato con ogni probabilità lo stesso orientamento; quanto al tempio, i rari blocchi che gli si possono attribuire suggeriscono che fosse di grandi dimensioni, di ordine dorico e di tufo, ma con almeno la sima di marmo; come i suoi successori doveva inglobare il manteion, luogo dell’oracolo. Gli scavi hanno portato alla luce le varie categorie di offerte, fino ai vasi in miniatura inutilizzabili nella vita quotidiana. Soltanto le statuette e le protomi di terracotta sono poco numerose e sarà così anche in seguito. Tra le offerte più ricche, gli autori antichi hanno segnalato soprattutto quelle di Creso, re di Lidia, tutte realizzate con metalli preziosi. È possibile che appartenga a questo gruppo un ritrovamento di oggetti bruciati e sepolti sin dall’antichità, costituito da un grande toro d’argento e alcune statue crisoelefantine, di fattura greco-orientale. La grande statuaria di marmo inizia con due statue argive che rappresentano probabilmente i Dioscuri. Greci e stranieri cominciano a offrire anche edifici: sono in genere thesauròi di tufo, quasi sempre dorici, che restano anonimi; ma anche una tholos (rotonda) e un monoptero, entrambi di un ordine dorico ancora non canonico e i cui blocchi si sono conservati grazie alla loro riutilizzazione per lo zoccolo del thesauròs dei Sicioni. Di marmo e di ordine ionico sono invece il thesauròs degli Cnidi con cariatidi e l’unico monumento di cui si conoscano l’ubicazione, la forma e l’origine, se non il senso: la Sfinge dei Nassi sulla sua alta colonna.
Nel 548 a.C. il tempio di Apollo brucia accidentalmente; malgrado il prestigio dell’oracolo, la ricostruzione non ha inizio immediato. Il peribolo di Apollo, in opera poligonale a giunti curvi, comprende ormai più di due ettari; viene realizzata una terrazza lunga 84 m, con un muro della stessa opera sormontato da assise piatte. Deriva probabilmente il suo orientamento da quello dell’altare, oggi scomparso, ma il nuovo tempio è disposto in obliquo. Quest’ultimo è completato nel 506/5 a.C.: è un periptero dorico (6 x 15 colonne), ancora irregolare, in tufo e con la facciata in marmo; il frontone di marmo raffigura l’arrivo a D. di Apollo. Alla stessa epoca, o agli anni immediatamente successivi, risalgono l’ampliamento del santuario di Atena e l’erezione del nuovo altare e del nuovo tempio: un breve periptero dorico in tufo, rivolto verso sud. Verso il 525 a.C., prima che il nuovo peribolo meridionale di Apollo fosse realizzato, erano stati eretti due thesauròi nella zona che sarebbe stata inglobata dal tempio: quello dorico dei Sicioni di tufo e quello dei Sifni di marmo, ionico, con cariatidi e con fregio e frontone scolpiti. Nel frattempo a Marmarià, i Massalioti (Marsigliesi) avevano eretto intorno al 510 a.C. un thesauròs eolico di marmo in un nuovo settore ma, sembra, parallelo al vecchio tempio.
Nel corso del tempo nel santuario di Apollo furono eretti numerosi monumenti commemorativi, di cui rimangono resti identificabili (architettonici, epigrafici e plastici nei migliori casi). Ad esempio, a proposito delle guerre persiane intese in senso ampio, gli Ateniesi da soli avrebbero fatto almeno sei dediche, di cui cinque sono conservate: per Maratona due basi e un thesauròs, per Sesto e Micale un portico, per l’Eurimedonte una palma. Statue di bronzo erano allineate sulle basi all’aperto; il thesauròs di marmo e di ordine dorico aveva una decorazione scolpita; il portico aveva colonne ioniche di marmo e conteneva alcune gomene delle navi di Serse. Le offerte comuni dei Greci furono, dopo Salamina, un colossale Apollo di bronzo e dopo Platea un tripode d’oro collocato su una colonna ritorta formata da tre corpi di serpenti. Nella stessa epoca i tiranni di Sicilia celebravano la loro vittoria sui Cartaginesi con tripodi e vittorie d’oro su colonne di bronzo; qualche anno dopo Polizalo ultimava il monumento commemorativo della vittoria di uno di loro nelle gare: del gruppo resta soltanto l’Auriga.
Tutta l’epoca classica è così costellata di dediche pubbliche e private. Intorno al 375 a.C. viene costruita la tholos di Marmarià, edificio di marmo attico la cui decorazione scolpita è molto accurata e la cui nuova tipologia è stata oggetto di sapienti calcoli, presentati in un libro dall’architetto Teodoro di Focea (o di Focide). La stessa cura si ritrova nell’architettura di due monumenti di calcare: nell’Apollonion, il thesauròs dei Tebani, dorico ma senza colonne, verso il 370 a.C.; a Marmarià, il tempio “di calcare”, dorico prostilo, con tripla apertura ionica che dà accesso a una grande cella, verso il 360, e ancora nell’Apollonion, nell’ultimo thesauròs pervenutoci, quello dei Cirenei, realizzato in marmo intorno al 330 a.C. in un ordine dorico profon-damente rinnovato.
D’altra parte nel 373 a.C. il tempio di Apollo fu raso al suolo da un terremoto. Fu ricostruito grazie a una sottoscrizione completata dall’ammenda inflitta ai Focesi che avevano saccheggiato i beni di Apollo durante la cosiddetta“terza guerra sacra” (356-346). Sulle fondazioni del VI sec. a.C., appena rinforzate, si riedificò un tempio simile a quello distrutto, ma senza la facciata di marmo. I frontoni rappresentavano il corteo di Apollo e quello di Dioniso, il giovane fratello che lo sostituiva durante i tre mesi dell’esilio invernale. Ma, malgrado i lavori di scavo nella cella, malgrado la documentazione letteraria, epigrafica e iconografica, non possiamo ancora definire l’aspetto del manteion, né del tripode sul quale si sedeva la Pizia, né della tomba di Dioniso, né della statua di Apollo. Quanto all’omphalòs, l’ombelico del mondo, ne restano due esemplari, di cui quello di calcare potrebbe essere l’originale, anche se la localizzazione è ancora controversa.
Filippo il Macedone, che si era presentato come campione di Apollo, aveva ottenuto in ricompensa di poter entrare a far parte dell’anfizionia al posto dei Focesi. Il conflitto successivo, scoppiato a causa dei Locresi (“quarta guerra sacra”) gli permise di imporre la sua supremazia a tutte le città in seguito alla vittoria di Cheronea nel 338 a.C. È questa forse l’ultima occasione in cui Delfi fu al centro degli avvenimenti. Gli Etoli, dopo aver sconfitto i Galati (278 a.C.), dominarono l’anfizionia e, come salvatori della Grecia, imposero temporaneamente la gara delle Soterie. Furono ancora intraprese alcune costruzioni: il ginnasio, al tempo di Alessandro Magno; lo stadio un po’ più tardi, probabilmente nel III sec. a.C.; Chio offrì ad Apollo un nuovo altare intorno alla metà del III sec. a.C.; i re di Pergamo eressero una terrazza monumentale, l’unico ampliamento del santuario, alla fine dello stesso secolo e completarono il teatro intorno al 160 a.C. Furono aggiunti ancora tripodi e statue su basamenti ancora più elevati e più fitti. Ma l’interesse dei principali regni ellenistici, e a fortiori di Roma, era rivolto altrove.
È documentato che i Delfici in epoca imperiale avevano cura delle gare e dei monumenti dedicati ai loro dei, ma anche che le risorse necessarie erano divenute più rare. Il cristianesimo non ha rappresentato la causa di una totale distruzione, innanzitutto perché la rovina era stata avviata dai saccheggi ufficiali di Silla o di Nerone e più ancora dalla mancanza di manutenzione, in secondo luogo perché un quartiere urbano a quell’epoca (fine del IV o V sec. d.C.) fu installato nel santuario di Apollo, riutilizzando gli edifici, come alcuni thesauròi di marmo che furono contrassegnati con una croce. È una piccola città cristiana, e probabilmente la sede di un vescovado, quella che un’invasione slava ha distrutto agli inizi del VII secolo.
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