La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Le isole Cicladi
di Luigi Caliò
Arcipelago (gr. Κυκλάδες; lat. Cyclades) dell’Egeo centrale che prende il nome dalla disposizione delle isole intorno al santuario di Delo.
Secondo Erodoto (I, 171) e Tucidide (I, 4) le Cicladi erano abitate dai Cari che combatterono contro Minosse e che in periodo più recente furono cacciati dai Dori e dagli Ioni che si stanziarono sulle isole. Alla fine del Tardo Elladico (TE) le Cicladi subirono una forte influenza micenea sia nella scelta di nuove forme architettoniche abitative e funerarie, sia nei beni materiali e soprattutto nella ceramica (ceramica micenea del TE IIIA-B è stata rinvenuta in numerose isole con la sola esclusione significativa di Paro).
In questo periodo Philakopi nell’isola di Milo sembra giocare un ruolo di egemonia nell’Egeo centrale; un grande edificio del TE IIIA1, situato in posizione centrale rispetto all’insediamento, può aver avuto funzioni palatine. Diverse altre isole hanno rivelato i resti di una forte presenza micenea: a Delo un insediamento significativo è stato trovato negli strati sotto il santuario, mentre il sito di Grotta a Nasso, situato nei pressi del mare, ha restituito i resti di un abitato particolarmente esteso e a Monolithos, nell’isola di Thera, un ampio abitato ci offre la testimonianza di un’occupazione micenea.
Di fatto all’inizio del XIII sec. a.C. le Cicladi sono largamente sfruttate soprattutto per la loro posizione vantaggiosa per la navigazione verso l’Oriente, ma alla metà del secolo i rapporti con i Micenei sembrano interrompersi proprio mentre nella madrepatria greca le città micenee vivono un momento di grande splendore architettonico. Conseguenza immediata di questa situazione è il calo delle attività commerciali, ma probabilmente anche la costruzione di opere di difesa, come nel sito di Haghios Andreas a Siphnos, o la ristrutturazione di fortificazioni già esistenti come a Philakopi: fatti che testimoniano l’instabilità politica dell’area.
Durante il XII secolo le Cicladi sono di nuovo occupate da insediamenti importanti che mostrano un riaffacciarsi nell’arcipelago di elementi micenei. Il più conosciuto è il sito fortificato di Koukounariès a Paro, situato vicino alla costa su una collina alta 75 m s.l.m., la cui sommità è occupata da un vasto edificio e presenta un complesso sistema difensivo coevo all’edificio stesso. Quest’ultimo è particolarmente interessante e mostra diversi elementi che possono far pensare a un’installazione palatina, come la posizione sulla sommità del colle, la presenza di camere di stoccaggio di liquidi e di aridi, il rinvenimento al suo interno di beni di lusso. La ceramica e gli altri oggetti rinvenuti nel sito mostrano chiaramente il carattere miceneo dell’insediamento che continua fino a quest’epoca.
Le informazioni archeologiche che ci giungono dal TE IIIC sono fortemente contraddittorie. L’edificio di Koukounariès è distrutto dal fuoco e segni di distruzione si trovano anche in altri insediamenti dell’arcipelago delle Cicladi, come a Philakopi, mentre nello stesso periodo a Grotta presso Nasso l’insediamento viene fortificato e le ricche tombe a camera della necropoli di Aplomata testimoniano la ricchezza dell’isola durante il TE IIIC avanzato. Alla fine del TE IIIC la necropoli di Kamini continua a restituire materiale di lusso dalle tombe a camera appartenenti alle famiglie di ceto nobile dell’isola. Contemporaneamente a Nasso, anche Delo, in questa fase, sembra essere particolarmente prospera, come mostrerebbe il deposito votivo rinvenuto sotto l’Artemision arcaico. Durante le Dark Ages l’isola di Nasso si distingue per l’importanza dei rinvenimenti. Il sito di Grotta è abitato dal TE IIIC al periodo geometrico senza soluzione di continuità e le tombe della necropoli di Aplomata mostrano che un insediamento protogeometrico è succeduto a quello tardomiceneo in modo non traumatico.
In periodo geometrico le Cicladi subiscono una forte influenza dall’Attica, soprattutto le isole centrali e meridionali, mentre quelle più settentrionali, Andros, Tino e Rheneia, mostrano una fase sub-protogeometrica molto vicina a quella euboica (con sepolture a inumazione singola), che testimonia il controllo da parte di Eretria della rotta che attraverso queste isole giungeva in Asia. Dalla metà dell’XI sec. a.C. e per tutto il periodo mediogeometrico (850-750 a.C.), la ceramica attica fornisce i modelli per quella cicladica. In quest’area sono attestate numerose necropoli a incinerazione, come quelle di Thera o il complesso di tumuli a Tsikalario presso Nasso.
Il tardo Geometrico accentua le forze centrifughe che contribuiscono a rompere l’unità culturale dell’arcipelago. Il santuario di Delo diventa in questo periodo un centro cultuale importante e accoglie una serie di offerte che provengono dalle Cicladi centrali, che costituiscono ancora un nucleo omogeneo. Le offerte di ceramica provengono soprattutto da Nasso, il cui abitato di Grotta, con le necropoli di Aplomata e Kamini e il santuario di Apollo sulla penisola di Palati, continua a prosperare; ma probabilmente anche da Paro, dove si trova una seconda importante produzione di ceramica. Poco dopo il 700 a.C. entrambe le produzioni passano a una fase orientalizzante. Più legate all’Attica sono le isole occidentali; il santuario di Haghia Irini, nell’isola di Ceo, presenta diverse offerte di ceramica attica o di imitazione attica e anche a Milo, dove si impone uno stile locale, sono ancora forti gli influssi attici.
Un discorso a parte merita il sito di Zagora sulla costa sud-occidentale di Andros. Si tratta di un insediamento fortificato da un’importante cinta muraria con edifici costruiti di pietra, che supera in ampiezza i 6 ha e che è stato solo parzialmente studiato. La città è stata abitata durante l’VIII sec. a.C., successivamente abbandonata e il sito mai più rioccupato. La numerosa varietà di importazioni soprattutto nella seconda metà del secolo testimonia la vocazione commerciale dell’insediamento. Dopo una prima fase, durante la quale la ceramica attica sembra preminente, a partire dal 750 a.C. compaiono anche ceramica corinzia e paria e una serie di avori di fabbricazione chiota; ma il materiale di gran lunga più frequente è quello euboico: elemento che ha fatto supporre che Zagora fosse una stazione commerciale euboica sulla rotta verso est. La ricca fase geometrica è testimoniata ad Andros anche dal sito di Hypsili, dove, sotto il tempio di periodo arcaico, è stato rinvenuto un secondo edificio templare che si data alla seconda metà dell’VIII sec. a.C.
A Tino è stata localizzata una delle più antiche fabbriche di pithoi a rilievo che ha avuto un’ampia diffusione in Eubea, in Beozia e nelle Cicladi. I materiali trovati a Thera, nelle necropoli che servivano la città geometrica (Mesavouno e Sellada), mostrano forti connessioni con Creta e con la Grecia orientale, anche se in alcuni casi l’influsso attico è evidente. Le sepolture, tutte a incinerazione tranne quelle per gli infanti, sono in grandi vasi o in pithoi o, in alcuni casi, in calderoni bronzei; come a Creta, i beni di lusso sono sistemati fuori del vaso per l’incinerazione.
L’VIII secolo vede la fondazione da parte delle isole delle Cicladi delle prime apoikiai in Occidente e in Oriente; dovette avere un ruolo importante il santuario di Delo, sede in periodo arcaico di un oracolo in qualche modo legato alle vicende della colonizzazione da parte delle isole. Intorno al 700 a.C. si pone il controllo da parte dei Nassi del santuario delio (data che probabilmente può essere anticipata di almeno 50 anni, all’inizio delle imprese coloniali) quando l’isola di Nasso è particolarmente attiva nella colonizzazione soprattutto in Occidente. Oramai è assodata la partecipazione dell’isola alla fondazione di Naxos in Sicilia e si conosce una forte attività in Occidente dei Nassi in associazione con i Calcidesi. Rivolta verso Oriente è invece l’attività colonizzatrice di Paro, che fonda nel 708 Parion nella Troade, insieme a Milesi ed Eritrei, e in territorio tracico Taso, in cui è coinvolto lo stesso Archiloco. Rimangono soltanto labili indizi della storia delle Cicladi in questo periodo, ma alcuni episodi come la guerra tra Nasso e Paro accennata da Archiloco testimonia l’instabilità della regione originata dalla disputa per il controllo del santuario delio.
È proprio a partire dall’VIII secolo che nelle isole iniziano a prendere vita i centri urbani che si svilupperanno nel periodo successivo. A Paro la ceramica che proviene da Parikia si data a partire dall’VIII sec. a.C. e nel periodo di Archiloco la polis dovette essere pienamente sviluppata. In epoca arcaica la cinta muraria racchiudeva un’area di 53 ha ed era servita da due porti. Nel VI sec. a.C. furono costruiti sull’acropoli due templi ionici di marmo: il Tempio A, dedicato probabilmente ad Atena Poliouchos, e un secondo tempio, di cui rimangono solo frammenti architettonici reimpiegati nel Kastro e che può essere attribuito al santuario di Kore en astei. Sempre sull’acropoli dovevano trovare posto altri due templi (C e D), anch’essi ionici, conosciuti solo da frammenti architettonici. All’interno della polis la parte bassa conserva tracce di altri edifici templari dorici e i frammenti architettonici e i capitelli ritrovati nella Katapoliani testimoniano forse l’esistenza di un tempio con cella a due ordini sovrapposti. L’attribuzione da parte di N. Kondoleon di due rilievi arcaici all’heroon dedicato ad Archiloco fanno supporre l’esistenza del culto eroico già durante il VI sec. a.C. La ricchezza dell’isola deriva dallo sfruttamento delle cave di marmo, che diventa più intenso a partire dalla seconda metà del VI secolo, e dalla conseguente produzione di sculture e decorazioni architettoniche di marmo che vengono esportate nell’Egeo.
A Nasso la polis si sviluppa a partire dal VII sec. a.C., ma già dall’VIII sec. a.C. si doveva trovare sulla penisola di Palati il culto di Apollo Delieus. Dalla fine del VII secolo la città era cinta da mura, con una porta che apriva sulla zona del porto. Probabilmente nel VII secolo è stato costruito il molo del porto occidentale. Dalla fine del VII sec. a.C. l’isola attua una forte politica di controllo del santuario di Delo, che si esplica in una serie di dediche private, come quella di Nicandre, ma soprattutto di dediche pubbliche come la statua colossale di Apollo, un oikos e una stoà costruiti nel centro del santuario e soprattutto la dedica dei leoni che fiancheggiavano la più importante via di accesso al santuario. La prosperità di Nasso si concretizza sull’isola stessa in alcuni edifici particolarmente ricchi, come il santuario di Dioniso a Iria, dove viene costruito un tempio ionico prostilo tetrastilo che si data intorno al 570 a.C. e che si imposta su un oikos più antico di periodo geometrico e, fuori dell’isola, in dediche importanti come la cosiddetta Colonna dei Nassi, sormontata da una Sfinge, dedicata nel santuario di Apollo a Delfi.
Un impulso allo sviluppo di Nasso si ebbe con la tirannide di Ligdami che fu cacciato in esilio una prima volta nel 546 a.C. insieme a Pisistrato e poi fu aiutato da quest’ultimo a riprendere il potere. Sotto la sua tirannide, intorno al 530, fu ricostruito il tempio di Apollo a Palati, rimasto però incompiuto dopo l’esilio nel 524 a.C.; il tempio, di cui rimane suggestivamente in piedi il portale, era un periptero di 6 x 13 colonne completamente di marmo. Sempre nello stesso periodo si data il tempio riportato alla luce nei pressi del villaggio di Sagrì, che faceva parte del santuario di Demetra e Kore. Diversi frammenti architettonici rinvenuti nell’isola fanno supporre l’esistenza di altri edifici templari, come nella valle della Plaka o nella zona tra Melanes e Potamia, di cui però si hanno scarse informazioni. Grazie al rapporto che legava Ligdami a Pisistrato e a Periandro, il santuario di Delo si apre a nuove influenze. In particolare Pisistrato mostra un certo interesse verso il santuario, purificando l’isola e fornendo la pietra per il nuovo tempio di Apollo nel 540 a.C. circa. Le cave di pietra dell’isola sono sfruttate intensamente durante il III sec. a.C. Particolarmente importante è quella sopra la baia di Apollonas, dove rimane ancora in situ la statua non finita di un Dioniso barbato alta oltre 10 m.
La ricchezza di Nasso sotto la tirannide e il controllo che esercita su Delo portano l’isola ad assumere una certa supremazia sulle Cicladi, che si rafforza successivamente sotto il governo aristocratico che succede alla tirannide e secondo quanto dice Erodoto (V, 30) intorno al 500 a.C. Nasso disponeva di un esercito composto da 8000 uomini e di un’importante flotta ed esercitava il proprio potere su Andros, Paro e le altre isole. Supportata, inoltre, da una forte agricoltura, Nasso si trova in questo periodo al centro di una rete di traffici marittimi con la Sicilia (attraverso le fondazioni coloniali), Creta e le altre isole dell’Egeo. A partire dal VII sec. a.C. si datano le prime offerte dedicate nel santuario di Demetra a Tino, edificato sulle pendici sud della collina di Exoburgo; dal sito provengono in particolare diversi pithoi a rilievo di grandi dimensioni con scene mitiche. L’isola mostra in questo periodo una certa prosperità dovuta probabilmente al traffico commerciale euboico che la utilizzava come base per i viaggi in Oriente. La serie dei pithoi a rilievo, di fabbrica cicladica, trova uno dei suoi esempi più importanti in un esemplare proveniente dalla chora di Mykonos con la rappresentazione, sul collo, del cavallo di Troia e scene di combattimento.
In età arcaica, rispetto alle altre Cicladi, Thera presenta caratteri completamente diversi; secondo la tradizione fu occupata da popolazioni provenienti da Sparta intorno al X sec. a.C. Di fatto in periodo storico Thera fu un’isola dorica e riprese alcune istituzioni spartane come la monarchia e l’eforato. In seguito a una siccità che la colpì intorno al 640 a.C. l’isola mandò 200 uomini per la fondazione di Cirene ed ebbe rapporti privilegiati con l’Egeo meridionale e le coste settentrionali dell’Africa, rimanendo a latere rispetto alla cultura cicladica propriamente detta. Gli accenni alla flotta spartana nelle fonti antiche e la presenza di ceramica laconica a Cirene per tutto il VI sec. a.C. attestano l’esistenza di scambi e rapporti tra Sparta e le Cicladi meridionali, interessate dalle rotte che partivano dal Peloponneso. La grande prosperità delle Cicladi durante l’età arcaica si è manifestata attraverso un’importante architettura templare. Lo ionico cicladico, che si perfeziona durante il VI secolo nella tecnica di costruzione di edifici di marmo, in particolare introduce la novità del fregio che poi sarà canonizzata nell’architettura attica e che trova la sua più importante applicazione nel thesauròs dei Sifni a Delfi costruito prima del 525 a.C. Alla fine dell’arcaismo l’influenza di Atene ed Egina sull’arcipelago favorisce la diffusione dello stile dorico, reinterpretato tuttavia alla luce delle esperienze architettoniche insulari.
La potenza nassia all’interno delle Cicladi viene fermata dall’aggressione spartana del 490 a.C., quando Dati e Artaferne sbarcano nell’isola e bruciano la città e i santuari dopo averli saccheggiati. Di fatto le guerre persiane segnano una cesura importante nella storia delle Cicladi e del santuario delio. Con la regressione della forza navale spartana nell’Egeo dopo il 480, la conquista di Paro da parte di Temistocle nello stesso anno e la fondazione della Lega delia nel 478 a.C., il santuario cade sotto l’egemonia ateniese e funzionari ateniesi, gli amphictiones, amministrano i beni sacri con l’aiuto di magistrati locali. In pratica l’interesse ateniese al santuario si trasforma in una conquista territoriale con la purificazione dell’isola nel 426 a.C. e con l’espulsione dei Deli nel 422/1 a.C.; il controllo di Delo significava per Atene il controllo dell’intero arcipelago, per cui la città vi aveva investito numerose risorse economiche. Il santuario infatti intratteneva relazioni economiche con varie isole cui faceva prestiti a volte piuttosto ingenti. Nel 374/3 a.C. Tino era debitrice verso il santuario di 21.000 dramme e Mykonos di 4200 dramme. Durante la prima e la seconda Lega delio-attica il controllo del tesoro permette quindi un controllo economico delle Cicladi non solo attraverso il tributo che le singole poleis dovevano pagare alla lega, ma anche attraverso il sistema dei prestiti che le legavano al santuario di Apollo. Tuttavia l’egemonia sulle Cicladi da parte di Atene non sempre è stata salda: tra il 474 e il 471 a.C. Nasso si ribella alla lega, mentre tra il 454 e il 451 a.C. Nasso, Paro, Kythnos, Siphnos e Tino non compaiono nelle liste dei tributi, probabilmente perché si rifiutano di pagare il phoros dopo il trasferimento del tesoro della lega da Delo ad Atene. L’imposizione di cleruchi ateniesi a Nasso intorno al 450 a.C. è un’azione volta a una sorveglianza stretta dell’isola da parte della stessa Atene. Queste difficoltà incontrate da Atene nell’arcipelago durante il V sec. a.C. sono probabilmente dovute alla continuità dei rapporti tra le Cicladi e Sparta, anche se decisamente attenuate rispetto al periodo precedente.
Non è facile comprendere quale fosse la situazione politica e sociale nelle Cicladi durante il periodo classico e il primo periodo ellenistico. Alcune isole sono occupate da più poleis con istituzioni proprie, ma in genere per quanto riguarda gli affari esteri si presentano come una confederazione sotto il nome dell’isola stessa; le tre città di Amorgo (Arkesine, Aigiale e Minoa) pagano il loro tributo alla seconda Lega attica come oi Amorgòi e con lo stesso nome fanno dediche pubbliche nei grandi santuari. Allo stesso modo Ceo si presenta solitamente come una confederazione delle sue quattro poleis (Ioulis, Karthaia, Koresia, Poiessa), anche se con diverse eccezioni, e conia una moneta federale.
In genere il V secolo segna una regressione rispetto alle epoche precedenti soprattutto nell’attività edilizia. A Paro, nonostante si conosca in questo periodo una discreta attività degli ateliers di scultura, rimangono di quest’epoca solo pochi elementi architettonici, come i resti di un piccolo tempio ionico di V sec. a.C. e un altare a triglifi, che si data alla fine del secolo, dal santuario di Zeus Eleutherios. A Nasso la documentazione archeologica è ancora più povera. Segni di ripresa si hanno durante il IV sec. a.C., soprattutto a Paro con la costruzione del santuario di Hestia e di un tempio esastilo anfiprostilo dorico sulla terrazza del santuario di Apollo Pizio e dell’heroon di Archiloco nei pressi della basilica di Tris Ekklesies. Probabilmente nella seconda metà del IV sec. a.C. vengono costruiti la città e il santuario di Poseidone e Anfitrite sulla costa meridionale dell’isola di Tino; alla fine del IV sec. a.C. o all’inizio del successivo sono state costruite probabilmente la torre di Smovolon, 4 km a est del porto della città, e la torre di Avdo, a est del moderno villaggio di Kardiani. Nonostante la datazione incerta si può ipotizzare una loro costruzione per la difesa della costa dopo la fondazione della polis di Tino, anche se il fatto che le due torri siano simili per caratteri costruttivi a quella coeva che sorge ad Andros presso il villaggio di Haghios Petros può far ritenere probabile che si tratti di un sistema di torri di avvistamento contro le incursioni di pirati.
Dopo l’emancipazione di Delo da Atene nel 314 a.C. nasce per iniziativa di Antigono Monophtalmos il primo koinòn dei Nesioti. Dopo una breve incursione della flotta di Tolemeo nel 308 a.C., gli Antigonidi riaffermano la loro supremazia sulla lega e a partire dal 307 a Delo celebrano la festa delle Demetreia, alternata con quella più antica delle Antigoneia. La presenza degli Antigonidi nell’arcipelago ha lasciato tracce archeologiche nelle dediche di edifici a Delo, come il cosiddetto Monumento dei Tori, e probabilmente nel santuario di Poseidone a Tino.
La sconfitta di Ipso nel 301 a.C. da parte degli Antigonidi non compromette immediatamente il controllo della Lega nesiotica, ma ne mina le basi, tanto che a partire dal 286/5 a.C. Tolemeo I prende definitivamente il suo ruolo egemone sul koinòn, che da questo momento istituisce un culto a Tolemeo come Soter. Diverse iscrizioni rinvenute a Delo permettono di analizzare l’attività degli ufficiali tolemaici nelle isole e l’organizzazione amministrativa lagide del koinòn. Alla metà del III sec. a.C. la presenza lagide nell’Egeo è stabile e continua almeno fino al 227 a.C., quando la lega rientra nell’orbita del regno di Macedonia e successivamente le isole vengono consegnate a Filippo V da un accordo segreto tra quest’ultimo e Antioco III. Al controllo di Filippo sulle Cicladi si deve forse la ricostruzione del tempio del santuario di Poseidone a Tino alla fine del III sec. a.C.
Il primo terzo del II sec. a.C. vede la rinascita del koinòn nesiotico con centro federale a Tino, sotto l’egemonia rodia. Il santuario delio è in questa epoca forse indipendente dal koinòn, che ha il suo santuario federale in quello di Poseidone a Tino, ma ancora in rapporti con esso, anche se probabilmente si trova sotto il controllo della stessa Rodi. Il koinòn dei Nesioti termina la sua esistenza dopo l’intervento di Roma nell’Egeo e il conseguente contrasto con Rodi. Nel 166 a.C. Delo viene restituita ad Atene e resa porto franco; nel 145 viene installata in quest’isola una colonia ateniese. L’isola di Delo diventa tra il 166 a.C. e il saccheggio da parte di Mitridate dell’88 a.C. un centro commerciale di primaria importanza, forse parzialmente a discapito del porto di Rodi. Tranne che per il santuario di Apollo, le notizie storiche, epigrafiche e archeologiche per le altre Cicladi sono sfortunatamente molto scarse durante questo periodo. Diversamente dalle altre isole, Thera, rimasta sotto il dominio tolemaico almeno fino alla fine del II sec. a.C., godette di una certa prosperità, probabilmente legata alla presenza di una guarnigione tolemaica sull’isola.
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di Demetrio U. Schilardi
Isola dell’Egeo (gr. Ἄνδρος; lat. Andrus), situata nell’area più settentrionale dell’arcipelago delle Cicladi. Nel periodo geometrico (VIII sec. a.C.) sull’isola sorse un certo numero di insediamenti, quali Zagora e Hypsili. Andros mantenne il suo regime aristocratico fino al V sec. a.C.; dopo la battaglia di Salamina Temistocle l’assediò e la distrusse per essersi schierata con i Persiani. In conseguenza della costituzione della prima Lega ateniese, ad Andros si stabilì un regime democratico sotto l’influenza di Atene. Dopo la battaglia di Cheronea (338 a.C.), il vuoto di potere venutosi a creare nell’Egeo permise, nel 333 a.C., al satrapo persiano Farnabazo di occupare Andros per un certo periodo. Dal 332 al 199 a.C. l’isola rimase sotto l’occupazione macedone; in seguito le forze congiunte di Attalo I e di Roma la occuparono e la saccheggiarono, sottraendo le sue opere d’arte. Nel 133 a.C. passò sotto il dominio romano.
Nell’antichità l’isola era uno stato unico: i siti più significativi sono sul versante occidentale, ma ulteriori resti sono visibili in altre zone. Presso il villaggio di Haghios Petros si conserva una torre di età ellenistica; nei dintorni si hanno tracce di una miniera, mentre a nord si trovano cave di marmo. L’antica capitale si trovava presso l’attuale Paleopolis a metà della costa occidentale. Un muro di cinta fortificato circonda la città e l’acropoli a nord; in esso sono distinguibili diverse fasi costruttive, tra cui una databile in epoca ellenistica; una porta si apre sul versante est. Nell’agorà vi sono i resti di una stoà databile al III-II sec. a.C., mentre le fonti riportano la notizia dell’esistenza di numerosi santuari.
Sul versante meridionale dell’isola, scavi condotti a Zagora da A. Cambitoglou hanno dimostrato che il sito, collocato su un promontorio, era abitato già a partire dalla fine del X sec. a.C. e che conobbe il suo maggiore sviluppo nell’VIII sec. a.C. Un esteso muro di cinta proteggeva la città. Le abitazioni erano raggruppate in isolati e ogni unità era costituita da un paio di ambienti rettangolari, con tetti piatti e un cortile esterno. L’insediamento venne abbandonato intorno al 700 a.C. In posizione centrale si trova un tempio arcaico (10,42 x 7,56 m), con pronao e cella, realizzato con blocchi di pietra accuratamente disposti e lavorati; probabilmente dedicato ad Atena, è databile al secondo quarto del VI sec. a.C. e quindi successivamente all’abbandono della città.
Sul sito collinare di Hypsili sono stati rinvenuti i resti del pronao e della cella di un tempio dell’inizio del VI sec. a.C. A un livello inferiore sono stati rinvenuti i resti di un tempio più antico, risalente alla seconda metà dell’VIII sec. a.C. L’insediamento di Hypsili decadde e venne abbandonato una prima volta alla fine dell’VIII sec. a.C. All’inizio dell’età arcaica, durante una parziale rinascita, venne costruito il secondo tempio prima del definitivo abbandono del sito avvenuto alla fine dell’età arcaica.
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di Philippe Bruneau
Minuscola isola al centro delle Cicladi, Delo (gr. Δῆλος; lat. Delos) riveste una duplice importanza. Innanzitutto storica: nell’antichità era famosa per il santuario di Apollo e per essere divenuta, nel II sec. a.C., un mercato internazionale. Ma Delo è importante anche dal punto di vista archeologico: le campagne di scavi condotte dall’École Française d’Athènes, a partire dal 1873, hanno riportato alla luce nella metà settentrionale dell’isola (tra la costa occidentale e il Monte Cinto) un eccezionale insieme di santuari e una delle più grandi città greche attualmente dissepolte. Sono state rinvenute inoltre circa 2800 iscrizioni e, in particolare, i conti di gestione del santuario di Apollo: documenti essenziali non soltanto per la storia del culto, ma anche per la conoscenza degli edifici, delle istituzioni e dell’economia di Delo.
Cronologicamente sembra che il primo insediamento sia stato sulla cima del Cinto e che risalga alla seconda metà del III millennio a.C. Successivamente bisogna aspettare l’epoca micenea per trovare, questa volta sotto il santuario di Apollo, vestigia di un’occupazione dell’isola e in particolare alcuni bei pezzi di avorio. Anche se sembra che l’isola in seguito non sia più stata abbandonata, soltanto a partire dal VII sec. a.C. è possibile seguire la sua storia con una certa continuità. Le molteplici offerte dei Nassi di quell’epoca, in particolare l’oikos che porta il loro nome, il colosso e i celebri leoni, fanno pensare che Nasso abbia svolto un ruolo importante, anche se impossibile da determinare. Poi, a partire dalla fine del VI secolo, è soprattutto Atene che afferma la sua autorità, procedendo per due volte alla “purificazione” dell’isola (cioè al trasferimento delle sepolture), scegliendola come sede della sua lega marittima e amministrando, quasi senza soluzione di continuità, il santuario fino al 314 a.C.
A questa data Delo recupera la sua indipendenza, cadendo però sotto il controllo lagide: in quest’epoca il santuario assume nella sostanza l’aspetto che conosciamo. Delo tuttavia rimane una piccola città; sono gli avvenimenti del 166 a.C. che segnano l’inizio della spinta demografica e dell’espansione urbana: il senato romano consegna l’isola agli Ateniesi e ne fa un porto franco, attirandovi così il commercio internazionale; l’epigrafia mostra che vi risiedevano, oltre agli Ateniesi, un folto gruppo di “Italiani” e di orientali di diverse origini. A esclusione di una rivolta di schiavi intorno al 130 a.C. di cui abbiamo scarse notizie, non sappiamo nulla della cronaca dell’isola fino all’invasione di Mitridate nell’88 a.C. e a quella dei pirati nel 69, che comportò la costruzione affrettata del Muro di Triarius, la prima fortificazione eretta a Delo. Queste due invasioni rovinarono la sua prosperità e spinsero la maggioranza della popolazione ad andarsene. Conservando il suo statuto politico di possedimento ateniese, Delo, divenuta con un gioco di parole adelos cioè “invisibile”, continuò a sopravvivere durante l’epoca imperiale e fino all’inizio del cristianesimo.
I santuari costituiscono una delle principali attrattive archeologiche di Delo. Primo fra tutti quello di Apollo, interessante innanzitutto per la sua disposizione; è composto eccezionalmente da tre templi, forse quattro se si aggiunge l’oikos dei Nassi, costruiti paralleli tra di loro: il porinos neòs, che risale all’epoca arcaica; il tempio degli Ateniesi, eretto da questi ultimi nell’ultimo terzo del V sec. a.C., mentre esercitavano la loro sovranità sull’isola e dal quale provengono due gruppi di acroteri tra cui il ratto di Orizia da parte di Borea, importanti per la scultura monumentale classica; il Grande Tempio, la cui costruzione ebbe inizio nel primo terzo del V sec. a.C., ma fu poi interrotta e completata solo all’inizio del III sec. a.C. È qui che venne infine eretta la statua di Apollo Delio eseguita in epoca arcaica da Tektaios e Angelion; alcuni testi letterari e varie immagini, in particolare alcuni sigilli rinvenuti di recente, ci indicano che il dio aveva le Cariti nella mano destra e teneva l’arco con la sinistra: il che faceva dire che era più incline a graziare che a punire. È possibile che questi “templi” siano stati solo dei thesauròi e che il luogo di culto principale sia stato l’altare delle Corna, probabile vestigio miceneo che si diceva avesse eretto Apollo stesso e che sembra essere stato incorporato dall’edificio anonimo che è chiamato “monumento ad abside”. Con lo stesso processo di trasformazione di resti di un lontano passato in reliquie della leggenda apollinea, si diceva che una tomba micenea fosse la theke di due vergini venute dall’Iperboreo “insieme agli dei”. Il santuario di Apollo è interessante inoltre per alcuni monumenti votivi come il Colosso, quattro volte più grande del naturale, offerto dai Nassi all’inizio del VII sec. a.C., e un insieme alquanto considerevole di statue arcaiche, per lo più parie e nassie (kouroi, korai e sfingi); la palma consacrata da Nicia probabilmente nel 417 a.C. e di cui ci è pervenuta la base iscritta; il Monumento dei Tori, che deve questo nome convenzionale a un elemento insolito della decorazione, probabilmente il Neorion delle iscrizioni, edificio molto allungato costruito per ricevere un’imbarcazione offerta in seguito a una vittoria navale da un re ellenistico non ancora determinato; o il portico edificato da Antigono Gonata, singolare perché un triglifo su due è ornato da una testa di toro in forte rilievo, ecc.
A differenza di quanto avviene a Delfi o a Olimpia, a Delo era venerata la maggioranza degli dei greci. Prime fra tutte le altre due divinità della triade delia: ad Artemide era dedicato un santuario alquanto vasto adiacente a quello di Apollo che conteneva anche il sema di altre due vergini iperboree; più a nord un temenos di Leto, in origine molto vasto, che comprendeva il tempio, la terrazza dei Leoni e il Lago Sacro, celebre in tutta la letteratura antica, ma che poco a poco si ridusse a tal punto che nel II sec. a.C. vi fu installata l’Agorà degli Italiani. E poi altre divinità: Hera, Zeus e Atena, le dee tesmoforie, Asclepio, i dodici dei. Le iscrizioni ci descrivono spesso con molta accuratezza il rituale delle feste, come, ad esempio, le Dionisie in cui si trasportava un fallo alato, rappresentato in un monumento coregico. Infine un re mitico di Delo, l’Archegetes Anios, possedeva un proprio santuario al quale gli stranieri non avevano il diritto di accedere.
Dal III al I sec. a.C. furono edificati circa una ventina di santuari di divinità straniere, egizie con tre Sarapieia, siriane, fenicie, arabe e una sinagoga che, a eccezione di quest’ultima, sono quasi tutti concentrati sui declivi del Cinto. Quest’immigrazione divina si ritrova anche altrove nel mondo greco, ma si spiega in particolar modo a Delo in ragione del suo ruolo commerciale. La maggior parte di questi santuari rimase fondazione privata; in particolare la lunga Cronaca del Sarapieion ricorda come un sacerdote di Menfi venne a installare a Delo nel III sec. a.C. il culto del suo dio; ma il santuario delle divinità siriane e il più grande dei Sarapieia finirono col figurare tra i santuari ufficiali. Questi santuari stranieri sono molto diversi da quelli delle divinità greche, poiché comportano spesso delle sale di riunione e a volte dispositivi liturgici particolari come il teatro e la terrazza delle processioni nel santuario siriano; ma tradizione d’origine ed ellenismo spesso si fondono: così il Sarapieion più grande possiede un dromos circondato da sfingi, mentre il tempio e la statua di Iside sono di stile perfettamente greco.
Le case di epoca ellenistica, delle quali sono state dissepolte circa un centinaio, le più ricche conosciute con il nome di Casa di Dioniso, del Tridente, dei Delfini, delle Maschere, dell’Erma, degli Attori, costituiscono un altro aspetto molto originale dell’archeologia delia. Dal punto di vista architettonico, la pianta è quella consueta nella Grecia antica: il centro della dimora è composto di un cortile intorno al quale sono disposte le stanze. La parte posteriore della casa è sulla strada e presenta muri ciechi; soltanto in qualche strada commerciale le facciate nude fanno posto a una fila di locali che si aprono verso l’esterno, utilizzati come botteghe artigiane o negozi. Nelle case più ricche il cortile comporta un peristilio che a volte occupa solo due o tre lati. La Casa delle Maschere e quella del Tridente presentano il peristilio che Vitruvio definisce “rodio”, in cui uno dei quattro lati è più alto degli altri. La maggioranza delle case comportava almeno un piano, al quale si accedeva in genere attraverso scale di legno. Le stanze sono disposte in modi diversi, ma è spesso arduo precisarne l’utilizzo: le più riconoscibili, per le ampie dimensioni e la ricchezza della decorazione, sono le stanze di rappresentanza che occupano in genere il lato nord della casa e si aprono a sud per ricevere i raggi solari in inverno, pur rimanendo fresche d’estate. Alcune case possiedono le latrine, che possono essere occupate simultaneamente da più persone e che, per evitare il transito di materiale nauseabondo, sono poste quasi sempre accanto all’ingresso. In effetti, le acque utilizzate venivano evacuate attraverso una fogna pubblica che seguiva l’asse delle strade. Al contrario, l’alimentazione di acqua pulita era privata, assicurata da pozzi e soprattutto da cisterne realizzate sotto il cortile centrale, molto spesso con l’ausilio di archi costruiti a blocchi.
La decorazione delle case si è sviluppata su dispositivi che obbedivano prima di tutto a esigenze di ordine pratico. Per assicurarne l’impermeabilizzazione e permetterne la pulizia, il suolo è spesso ricoperto di pavimentazioni che hanno dato luogo a mosaici decorativi composti in maniera regolare, a imitazione di un tappeto o di strisce concentriche che circondano uno spazio centrale occupato a volte da un pannello ornamentale o figurato (Dioniso sulla fiera, Licurgo e Ambrosia, Atena ed Hermes, colombe su una vasca a imitazione dell’originale di Sosos di Pergamo, tavola agonistica, anfora e palma della vittoria, ecc.). Per ovviare alle asperità del paramento, i muri sono ricoperti di uno stucco che, nelle stanze di rappresentanza, presenta un decoro sia plastico che pittorico, imitando ortostati, assise isodome e modanature in cui sono inseriti, ad altezza d’occhio, fregi con soggetti figurati (scene di teatro, bighe condotte da Eroti o Nikai, scene dionisiache, ecc.). Alcune statue, in genere statuette e figurine, completavano la decorazione.
Infine i numerosi reperti di vasellame e utensili da cucina, di applicazioni ornamentali di bronzo per i mobili, di gioielli e oggetti di ogni sorta forniscono un’immagine alquanto dettagliata dell’equipaggiamento domestico. L’illuminazione artificiale era assicurata da lampade che possono essere contate a decine nella stessa casa, a volte provviste da 2 a 30 becchi. Nessun dispositivo di riscaldamento, a parte alcuni scaldini a volte decorati che dovevano servire soprattutto in cucina. Portata alla luce di recente, la Casa dei Sigilli ha rivelato circa 15.000 dischetti d’argilla, cotti dall’incendio dell’edificio, che erano serviti per sigillare i rotoli di papiro di un archivio appartenente a un banchiere o a un commerciante.
Numerose case delie sono molto ampie, ma naturalmente è impossibile sapere il numero delle persone da cui erano occupate. Nessun indizio sicuro permette di conoscere la ripartizione sociale delle stanze tra uomini, donne, bambini e schiavi. Tutte le case che ci sono note sono dello stesso tipo e prive praticamente di particolarismi etnici: è notevole il contrasto tra questa koinè architettonica e il cosmopolitismo della popolazione, largamente attestato dalle iscrizioni.
L’estensione degli scavi permette di conoscere bene l’organizzazione e lo sviluppo della città. Gli edifici civici (l’agorà, l’ekklesiasterion, il bouleuterion, l’enigmatica Sala Ipostila) fiancheggiano il santuario di Apollo, mentre le installazioni ginniche (due palestre, un ginnasio, uno stadio, probabilmente un ippodromo) sono raggruppate a nord-est del santuario e del lago. A sud del santuario, su un pendio tra la riva e un teatro del III sec. a.C., si sviluppa il quartiere oggi detto “del teatro” che corrisponde alla vecchia città anteriore al 166, edificata in maniera molto irregolare, senza una pianta prestabilita, con due strade principali in cui sono concentrati i negozi. Dopo il 166 a.C. furono costruiti dei quartieri nuovi a sud del Quartiere del Teatro, a est e a nord del santuario di Apollo e intorno agli edifici ginnici, caratterizzati da una pianta quasi ortogonale e da strade spesso molto più ampie.
In questa città dalla popolazione cosmopolita, le diverse comunità avevano locali propri. Il caso più evidente è quello della confraternita dei “Posidoniasti di Berito, commercianti, armatori e depositanti di merci”, che avevano edificato, a metà del II sec. a.C., le cappelle dei loro dei nazionali. L’edificio chiamato Agorà degli Italiani era certamente legato ai Rhomaioi, ma il suo ruolo, ultimamente molto discusso, non è stato precisato in maniera definitiva, così come per l’agorà detta “degli Ermaisti o Competaliasti”. Esistevano sicuramente altri locali di questo genere; di recente due iscrizioni hanno rivelato quello di un’associazione di Samaritani: “gli Israeliti di Delo che versano contributi al sacro Garizim”. Infine, per le strade, la presenza italica si faceva notare per gli altari dipinti (uomini in toga che sacrificano con la testa coperta ritu romano, sacrificio di un maiale ai Lari, effigi di divinità) che i Competaliasti erigevano contro la facciata delle case.
La città possedeva estese installazioni portuali: oltre a due piccoli imbarcaderi sulla costa orientale e nella baia di Scardana, il porto principale, a margine del santuario di Apollo, comprendeva sei bacini e 1700-1800 m di molo su parte del quale si affacciavano negozi. L’importanza economica di Delo si fonda essenzialmente sul commercio: un passaggio di Strabone (X, 5, 4) ha reso celebre il mercato degli schiavi, ma questo non era sicuramente il solo traffico e bisogna supporre un considerevole commercio di transito. Al contrario, l’industria delia era delle più mediocri: il celebre “bronzo delio” sembra, per lo meno in epoca ellenistica, essere stato solo un nome, senza essere più stato prodotto nell’isola e sul posto sono state individuate al massimo botteghe di scultori, oltre a qualche fabbrica di porpora. Così gli oggetti necessari ai Deli sembrano essere stati essenzialmente importati; nel II e I secolo il vasellame e le lampade indicano una marcata preferenza per la produzione dell’Asia Minore. Anche le numerose anfore timbrate (almeno 8000 timbri) o non, rinvenute a Delo forniscono utili indicazioni, mostrando la preponderanza di Rodi nel III sec. a.C. e fino al 175, poi quella di Cnido, battuta in breccia, dopo l’88, da Coo e Chio, e il numero delle importazioni italiche agli inizi del I sec. a.C.
Persino all’epoca del suo massimo sviluppo, la città ha sempre occupato meno della metà dell’isola, la parte restante era suddivisa in varie fattorie. Poiché alcune appartenevano ad Apollo, i conti di gestione del santuario ne forniscono utili descrizioni in cui compare sempre il numero di piedi di vigneti e di alberi. Lo studio del terreno ha recentemente completato la conoscenza della campagna delia: sono stati condotti lavori di scavo in una fattoria e studi d’insieme sui terrazzamenti di coltura, utilizzati per una policoltura che associava ai cereali i vigneti e gli alberi da frutta e la cui definizione sembra risalire al VI e V sec. a.C.
A partire dal 426 a.C., scrive Tucidide (III, 104), “a Delo fu proibito di morire e di partorirvi; bisognava in questi casi farsi trasportare a Renea”, isola vicina. Gli Ateniesi eliminarono tutte le tombe da Delo, trasferendole nella fossa della purificazione, sulla parte di Renea di fronte a Delo. Qui si stabilisce la necropoli delia: insieme alle circa 500 stele funerarie che vi sono raccolte (dexiosis, banchetti e scene marine che sembrano riservate ai cenotafi dei naufraghi) e vari monumenti che giacciono tra le rovine, opere di scavo alquanto incomplete hanno portato alla luce una tomba sotterranea a loculi e due vasti recinti, probabilmente familiari, con un cortile in fondo al quale vi è un naiskos ionico.
Distrutta dalle catastrofi dell’88 e del 69 a.C., Delo ridivenne poco a poco un piccolo agglomerato che si concentrava intorno al santuario di Apollo, abitato almeno fino al VI sec. d.C. Purtroppo i lavori di scavo hanno quasi completamente distrutto i resti dell’epoca imperiale e paleocristiana; in particolare delle chiese rinvenute ne resta soltanto una. La decina di torchi per il vino riconosciuti di recente sembra risalire all’Alto Medioevo.
Una trattazione d’insieme della storia e dell’archeologia del sito con una trattazione dei singoli monumenti è in Ph. Bruneau - J. Ducat, Guide de Délos, Paris 1983 (con bibl. prec.). Una raccolta delle iscrizioni è in IG XI, 2 e 4, poi nella collezione speciale delle Inscriptions de Délos (9 volumi). Il primo fascicolo dell’Index è apparso nel 1992. Alla pubblicazione degli scavi in Exploration archéologique de Délos che consta di 35 fascicoli (1909- 85), si aggiungono numerosi articoli, apparsi per la maggior parte in BCH, di cui in particolare si segnala la raccolta degli Etudes déliennes (BCH, Suppl. I, 1973).
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di Gottfried Gruben
Quarta isola delle Cicladi in ordine di grandezza (gr. Πάρος; lat. Paros), si estende per 195 km2 (241 km2 con Antiparos). L’elevazione montuosa centrale (724 m s.l.m.) digrada con pendii da ogni lato, disponendosi in prossimità delle coste in pianori ondulati e fertili; il fianco settentrionale del rilievo, costituito di gneiss e granito, è ricoperto da ampi strati di marmo, sfruttati, come è noto, già nell’antichità. In direzione sudovest si trova l’isola di Antiparos (anticamente Oliaros) e l’isoletta disabitata di Despotiko. La principale città odierna, Parikia, posta su una profonda insenatura con un porto, sorge al di sopra dell’area dell’antica polis. Anche il porto settentrionale di Naoussa è circondato da antichi insediamenti.
Sulla piccolissima isola di Saliagos, che originariamente era legata alla terraferma, dal 1960 è stato scoperto e scavato il più antico insediamento delle Cicladi. Dal 4500 al 3500 a.C. è attestata la presenza di tre livelli di abitazioni con case rettangolari, focolari, ceramica, oggetti di ossidiana, due idoli di marmo e recipienti pure di marmo. Nell’isola veniva coltivato l’orzo, vi si allevavano capre e pecore ed inoltre erano praticate la pesca e la tessitura.
La cultura Grotta Pelos (3300-2500 a.C.), che costituisce il primo stadio della cultura delle Cicladi, è testimoniata a Paro dalle necropoli di Plastiras (12 tombe nei pressi di Naoussa), Kampos e Pyrgos; in quest’ultima località sono stati rinvenuti resti di un insediamento, di una costruzione rettangolare e di un’altra di tipo absidato, che tuttavia potrebbe anche appartenere al periodo successivo. Rare, invece, sono le testimonianze della cultura di Keros-Syros (2700-2200 a.C.) che si caratterizza per costruzioni più ravvicinate, spesso fortificate, come se ne incontrano a Pyrgos e Avyssos, nonché a Livadi sull’isola di Despotiko, ma raramente a Paro.
La cultura di Philakopi (2400-2000 a.C.) è testimoniata da un insediamento di stile urbano sul Kastro di Parikia, una collina alta 15 m nei pressi dell’insenatura del porto, dove, su un’area estesa per 200 m2, nel 1900 O. Rubensohn portò alla luce una fitta serie di costruzioni che forse ricopriva l’intera collina, come farebbe pensare una seconda area di scavo ai piedi della stessa. Muri di pietre grossolanamente sbozzate, spessi 50 cm, aree lastricate o ricoperte di cocciopesto, finestre, soglie, resti di oltre 250 recipienti rivelano un gruppo di ricche abitazioni, forse signorili. Un muro con andamento semicircolare, spesso 1 m, è stato rinvenuto 50 m a est, a un livello di 10 m di profondità. Esso circonda un ambiente rettangolare fornito di una porta e di una scala; evidentemente doveva costituire un bastione semicircolare, che fa pensare a una fortificazione dell’intero complesso. L’insediamento cicladico sul Kastro continuò a esistere fino al periodo miceneo e geometrico, come mostrano i pochi resti ceramici.
Nel periodo miceneo (1600-1100 a.C.) il fulcro abitativo si spostò a Koukounariès, vicino al porto di Naoussa, una ripida collina di granito alta 73 m, con una rocca fortificata, scoperta e scavata dal 1975 (D. Schilardi). Qui sono stati riportati alla luce gli ambienti a pianterreno di un piccolo palazzo, difeso verso sud da una muraglia ciclopica, che nell’isola fungeva evidentemente da centro di potere della nobiltà micenea. Il complesso, dotato di molte stanze su una pianta di 26 x 36 m, disponeva di cantina, magazzini con numerosi pithoi, ricchi oggetti di ceramica, arredi da bagno, suppellettili di bronzo e materiali decorativi d’avorio; vi sono tracce anche di un piano superiore. Sul versante nord della collina furono ritrovate tre camere funerarie. Dopo una fioritura nel XIII sec. a.C. l’acropoli fu distrutta nel XII e rimase abbandonata fino alla successiva ricostruzione nel X sec. a.C.
Con il periodo geometrico, durante il X sec. a.C., Koukounariès venne rifondata da abitanti provenienti dall’Attica, come testimonia la ceramica coeva. Sull’altopiano, al di sopra del palazzo miceneo, si dispongono nuove abitazioni, divise da stretti vicoli. A sud, un edificio rettangolare lungo 14,7 m, preceduto da una casa absidata protogeometrica, va interpretato probabilmente come sala ufficiale del signore o come tempio. Alla fine del periodo geometrico, verso il 700 a.C., fu abbandonato l’insediamento posto nella parte più alta della collina e su due terrazze inferiori vennero costruite nuove abitazioni e un tempio dedicato ad Atena. Il tetto del grande oikos, che misura 6,4 x 9,5 m, era sorretto da due pilastri interni di legno; verso est si apriva la porta assiale, larga 1,7 m e con soglia di pietra. Sul muro occidentale del temenos antistante il tempio vi è un altare rettangolare che copre una struttura rotonda, probabilmente un altare più antico.
L’ampio porto di Naoussa è circondato da insediamenti che vanno dal periodo geometrico all’età arcaica. Nella penisola di Oikonomos, all’interno di una cinta muraria di circa 100 m di diametro, rimangono mura di abitazioni disposte parallelamente fra loro e tra di esse una grande casa absidata con vestibolo. Anche l’isoletta di Philizi, originariamente legata alla terraferma, e il promontorio di Kargadoura sulla costa orientale presentavano resti di insediamenti, come le colline di Sklavouna e Sarakinika. Sui pianori della costa meridionale e ad Antiparos finora mancano tracce di insediamenti analoghi del periodo geometrico. Solamente in alcune grotte, la famosa “grotta d’oro” di Antiparos e altre due sul pendio est del monte presso Haghios Gheorghios, alcuni frammenti ceramici testimoniano attività probabilmente cultuali.
Nella prima età arcaica il centro abitativo di Koukounariès fu abbandonato pacificamente, forse perché la polis che si andava formando sulla costa occidentale attrasse la popolazione. Ceramica geometrica di alta qualità proveniente dal Kastro a Parikia rivela che tale processo ebbe inizio nell’VIII secolo; in quello successivo la polis doveva essere pienamente sviluppata, stando alle testimonianze di Archiloco. L’età arcaica vede la città di Paro, sul luogo dell’attuale Parikia (le cui mura di cinta abbracciavano un’area di 53 ha, sufficiente per 10.000 abitanti), circondata da una corona di santuari di montagna, alcuni dei quali peraltro molto antichi. A nord era il Delion, risalente a epoca pregreca, dove si veneravano Eracle, Apollo, Artemide e Atena; sul monte Kounados, nel santuario di Zeus Hypatos posto a nord-est, si veneravano Afrodite e Ilizia; a est un’iscrizione fa presumere la presenza di un santuario dedicato alle Ninfe. Sulla cima di una collina, a sudovest, sorgeva forse il famoso santuario di Demetra e Kore; su una terrazza inferiore della stessa altura si trovava il tempio di Apollo Pizio al quale, nel IV sec. a.C. fu annesso un Asklepieion situato ai piedi della collina. L’acropoli, trasformata nel 1260 d.C. in castello fortificato (Kastro) dai Veneziani, così vicina alla costa e gremita di santuari, costituiva il centro dell’area cittadina circondata da mura di forma semicircolare. A essa vanno aggiunti due santuari in grotta: la “grotta di Archiloco” sul promontorio occidentale e la “grotta delle Ninfe” sulla costa di Haghia Anna. La doppia cinta muraria, spessa 2-3 m, è costruita con lastre di gneiss.
Le necropoli circondano la cinta muraria; tuttavia, sino a ora tombe del VII e VI sec. a.C. sono state riportate alla luce solo nel 1960 a est della Katapoliani (in quell’occasione fu rinvenuto un pilastro a rilievi del VII sec. a.C.) e nel 1986 nell’area di un previsto centro culturale. In base a questi scavi la ceramica melia ritrovata in grande quantità viene definitivamente riconosciuta come originaria di Paro. Appartengono comunque all’ambito sepolcrale due lastre a rilievo, di epoca arcaica avanzata, decorate con scene di lotta tra fiere e un banchetto funerario, che furono reimpiegate nel selciato dell’atrio della Katapoliani e attribuite da N. Kondoleon a un heroon di Archiloco.
Due sono i porti tramandati dalle fonti per Paro, uno aperto e uno più riparato. A nord dell’acropoli una striscia di detriti e macerie si spinge nel mare per 200 m: forse si tratta dei resti della vecchia acropoli che si protendeva in avanti rispetto alla linea di costa. Quasi 500 m a est si trovano i resti di un molo sommersi dal mare, che dall’antichità è salito di 3 m circa; in mezzo si pensa vi fosse l’antico porto. Nell’insenatura orientale, al di fuori della cinta muraria, va collocato il porto più aperto, di cui sono testimonianza una diga frangiflutti posta all’estremità settentrionale dell’insenatura e alcuni magazzini, ora sommersi.
L’acropoli, abitata dal III millennio a.C., divenne, al più tardi nel VI secolo, sede del santuario principale della città e dal 530 a.C. circa fu abbellita con templi di marmo. Delle fondazioni del Tempio A, probabilmente dedicato ad Atena Poliouchos, rimane ancora la parte orientale, con tre blocchi di marmo in situ: non si sono conservati invece la fronte occidentale e l’altare. L’edificio, largo 16,45 m, era esastilo anfiprostilo. Molte parti dell’alzato sono state successivamente riutilizzate nel castello veneziano e nella Katapoliani: stipiti e architravi della porta (ca. 3,78 x 6 m), gradini, ortostati, blocchi, basi di colonne e rocchi, travi da soffitto, nonché sime decorate di grondaie e tegole di marmo con i quali si può tentare una ricostruzione della fronte. Le pareti interne erano formate da blocchi più piccoli, senza rifiniture, da intonacare e forse talora anche da dipingere. L’edificio, incompleto, è datato attorno al 535-520 a.C.
Un grande altare con guance e scala antistante, alcune parti del quale sono state riutilizzate nell’altare della Katapoliani, per le sue dimensioni viene attribuito in via ipotetica al grande Tempio A, sebbene sia stato costruito più tardi, attorno al 500 a.C. Inoltre, bisogna considerare la famosa Nike di Paro, che fu trovata come acroterio centrale sul lato est dell’acropoli: essa dovette essere aggiunta all’edificio non ancora completo dopo l’occupazione da parte di Atene nel 480 a.C. Allo stesso modo una Atena Promachos a grandezza naturale della prima età classica, nel Museo di Paro, potrebbe essere un’immagine di culto. L’esistenza del Tempio B, come secondo tempio tardoarcaico dell’acropoli, è stata supposta dalla riutilizzazione nel Kastro di suoi materiali costruttivi: stipiti e mensole di una sontuosa porta che apriva verso l’esterno, la soglia e l’architrave di una seconda porta che dava sull’interno, nonché blocchi squadrati della parete della porta interna, spessa 74 cm e di quella esterna, profonda 83 cm. Si tratta probabilmente di un tempio in antis con colonne alte più di 5,25 m e con adyton, che per il suo carattere ctonio si può attribuire al santuario, tramandato dalle fonti, della Κόρη ἐν ἄστει, ossia un secondo edificio di culto a Demetra e Kore oltre al Thesmophorion posto fuori della città. La mensola della porta è tanto simile a quella del thesauròs dei Sifni da accreditare l’esistenza di un’unica bottega, e quindi l’“esportazione” da Paro a Delfi del thesauròs.
Grazie alla riutilizzazione nel Kastro dello zoccolo inferiore di blocchi murari con modanature e di una soglia, si è supposta l’esistenza di un Tempio C tardoarcaico quale terzo edificio di marmo dell’acropoli. Il tempio, in antis, non era chiuso da normali porte a battenti, bensì da cancelli, quasi da sembrare un “tempio a vista”, in cui dovevano essere visibili le immagini di culto e gli oggetti votivi. Anche i templi B e C avevano muri a doppio strato con piccoli conci scabri sulla parete interna, destinati a essere intonacati; non è possibile tuttavia ritrovare le relative fondazioni per il fitto addensarsi di costruzioni moderne sull’acropoli. Il Tempio D, pure di tarda età arcaica, è anch’esso in antis, ma un po’ più piccolo; è decorato con kymatia ionici e lesbi, arricchiti da boccioli di loto sovrapposti e, a giudicare dai luoghi di ritrovamento delle sue parti architettoniche (cimase e un pilastro di porta), probabilmente faceva parte della città inferiore. A questi quattro templi ionici attestati va ancora aggiunta una serie molto varia di 10 capitelli di tipo votivo risalenti al periodo fra il 570 e il 500 a.C.
All’interno della città vanno inoltre localizzati almeno due edifici sacri tardoarcaici di stile dorico, appartenenti a una tipologia specifica dell’architettura dorica, diffusasi nelle Cicladi verso la fine del VI secolo. Due capitelli attestano la presenza di un piccolo edificio dorico con colonne alte circa 4 m; altri sette capitelli riutilizzati nella Katapoliani, nonché un architrave interno a essi pertinente, fanno ipotizzare l’esistenza di un tempio, provvisto di due ordini di colonne interne sovrapposte, come quello di Atena Aphaia a Egina. Al di fuori della città il Delion fornisce l’esempio perfetto di un antico santuario, inizialmente privo di tempio, il cui centro era costituito da un altare di pietra dedicato ad Apollo, circondato da un temenos composto di piccole lastre di gneiss. Fra il 500 e il 480 a.C. vi si aggiunsero un tempio dorico in antis (5,95 x 9,83 m) con un nuovo altare, un edificio per banchetti con altri ambienti intorno, un nuovo temenos ampio circa 26 x 26 m e la residenza dei sacerdoti posta davanti all’ingresso. Si è conservata l’immagine di culto di Artemide, di grandezza doppia del naturale.
I santuari di Zeus Hypatos e di Afrodite posti sul monte Kounados, dei quali abbiamo attestazioni epigrafiche, erano interamente privi di templi. Sulla cima occidentale è rimasto un altare primitivo di roccia. Ilizia era venerata in una grotta con una fonte sulle pendici meridionali, come illustra la produzione di rilievi votivi. Fino a oggi non è stato ancora ritrovato il Thesmophorion, il santuario principale del culto di Demetra e Kore. Si ritiene che possa trovarsi sulla collina, alta 4 m, al di sopra del Pythion, dove sono stati rinvenuti un’iscrizione che menziona Demetra, un capitello votivo arcaico, un frammento di triglifo e anche oggetti di ceramica che vanno dall’epoca arcaica a quella ellenistica. Inoltre l’ubicazione della collina non contraddirebbe le indicazioni geografiche fornite da Erodoto (VI, 134).
Sul resto dell’isola sono attestati solamente due santuari arcaici: nei pressi del porto di Marmara ne sorgeva senza dubbio uno importante, non ancora riportato alla luce, a cui rinviano un cippo delimitante il temenos e un’epigrafe con il regolamento del tempio (IG XII, 4, 108). Due capitelli relativi a colonne dal diametro superiore ai 37 cm e di 4 m circa di altezza attestano la presenza di un piccolo edificio dorico, forse un propileo; altri due, del diametro di 44 cm, devono essere pertinenti a un tempio prostilo di maggiori dimensioni. Un altro santuario va cercato nelle vicinanze della chiesa di Haghios Ioannis sulla costa meridionale dove, con la ceramica del VII sec. a.C., sono state rinvenute la statua arcaica di una dea in trono e un’iscrizione relativa ad Artemide (IG XII, 5, 215). G. Bakalakis interpreta la statua come Demetra, cosicché forse si trattava di un luogo di culto destinato a due divinità. Sull’isola, oggi disabitata, di Despotiko sono stati rinvenuti due capitelli, tre triglifi, due geisa, un rocchio di colonna e un blocco di un piccolo tempio tardoarcaico, con colonne alte 4 m e distanti tra di loro 2 m (N. Zaphiropoulos). Accanto all’attività edilizia locale ha avuto evidentemente un grande ruolo nella produzione artistica dell’isola l’esportazione di intere strutture edilizie in marmo. Oltre all’agorà di Siphnos ricordata da Erodoto e alla fronte del tempio di Apollo a Delfi in marmo pario, sono stati eseguiti: l’orlo del tetto e gli acroteri del tempio di Atena Aphaia a Egina, i thesauròi degli Cnidi, dei Sifni, dei Massalioti, dei Clazomeni e degli Ateniesi a Delfi, nonché quello dorico a Marmarià, a cui parteciparono anche botteghe di scultori di Paro, come rivelano alcuni dettagli tecnici. Di conseguenza, è nella seconda metà del VI sec. a.C. che dev’essere iniziato lo sfruttamento più intenso delle cave di marmo dell’isola.
La conquista ateniese di Paro da parte di Temistocle nel 480 a.C. sembra aver paralizzato l’attività edilizia, ma non quella scultorea, come testimoniano alcune eccellenti opere del primo e dell’avanzato periodo classico, e inoltre l’esportazione delle statue di marmo per il tempio di Zeus a Olimpia, indubbiamente sbozzate in cava. Un architrave e alcuni elementi architettonici appartengono a un piccolo tempio ionico, ben decorato, del V sec. a.C.; della medesima epoca si è conservato pure un fianco d’altare riccamente ornato. Dal santuario di Zeus Eleutherios proviene un altare a triglifi largo almeno 4,7 m, della fine del V sec. a.C., i cui fregi sono stati riutilizzati come portale maggiore della Katapoliani. Dall’inizio del IV sec. a.C. ricomincia una fase di maggiore attività edilizia. Il santuario di Hestia tramandatoci dalle fonti, che era al contempo il pritaneo della città, viene identificato con un interessante complesso architettonico degli inizi del IV secolo: nella Katapoliani, soprattutto nel battistero, si sono trovate molte parti di un peristilio ionico, gradini, colonne, una trabeazione, parte del cornicione, di una sima, blocchi, zoccoli profilati e altri frammenti di decorazione architettonica e inoltre un’abside, un altare a parete, un muro divisorio e due iscrizioni pertinenti al complesso, che rendono possibile ricostruire idealmente un edificio fornito di peristilio e ambienti circostanti, con una fronte pronunciata. Si può supporre che nell’abside si trovasse la statua di culto di Hestia attribuita a Skopas, che Tiberio trasferì a Roma nel 6 a.C.
Una costruzione a pianta circolare (diam. 3,73 m), con fregio dorico e tetto di marmo, all’interno della quale correva tutt’intorno una banchina, sembra essere stata eretta nella seconda metà del IV sec. a.C. all’interno del peristilio per conservare il fuoco sacro della città. Essa venne riutilizzata nel XIII sec. d.C. come abside di cappella della cittadella veneziana. Nella prima metà del IV sec. a.C. sulla terrazza del tempio di Apollo Pizio fu costruito un nuovo edificio templare, probabilmente un esastilo anfiprostilo dorico, di cui sono conservati i blocchi relativi a mura e gradini, le ante, rocchi di colonne e capitelli, un triglifo e un geison. La maggior parte di tali reperti è stata ritrovata sparsa al suolo oppure riutilizzata nella terrazza dell’Asklepieion. Il tempio fu distrutto nel II o I sec. a.C.
Un santuario di Atena Pontia è attestato da un cippo, mentre altri culti della città sono testimoniati da iscrizioni con dediche a Eracle, Dioniso, Posidone, Hermes e ai Dioscuri. Stando al materiale rinvenuto, l’heroon di Archiloco va posto a 1,5 km circa a nord-est della città, lungo la via fiancheggiata da tombe, presso la basilica in località Tris Ekklesies. Se i due rilievi arcaici attribuitigli da N. Kontoleon appartengono veramente all’heroon, vorrebbe dire che già nel VI sec. a.C. vi era una costruzione funeraria piuttosto grande. Anche una sfinge su colonna di età arcaica va probabilmente attribuita alla tomba del poeta. Il capitello ionico venne aggiunto attorno al 350 a.C., con un epigramma funerario e una nuova statua; in quell’epoca la colonna era posta sicuramente vicino alla tomba.
Nella basilica di Tris Ekklesies sono stati riutilizzati 63 frammenti architettonici, a partire dai quali A. Ohnesorg è riuscita a ricostruire interamente un edificio prostilo dorico di tarda età classica, che poggiava su uno zoccolo, era privo di tetto e che viene interpretato come un heroon. Due lastre con l’“iscrizione di Mnesiepes” riferiscono, attorno al 250 a.C., della fondazione di un heroon in onore di Archiloco. Nel I sec. a.C. seguono altre tre lastre con l’iscrizione di Sosthenes, che consacra anche un rilievo del poeta. Kontoleon ipotizza l’esistenza di un ginnasio legato all’heroon, ma del quale finora non è stato possibile ritrovare alcun tipo di riscontro.
Sul resto dell’isola nel V e nel IV sec. a.C. l’attività edilizia sembra sia stata ridotta, a confronto dell’enorme attività della polis di Paro: fu edificato soltanto un tempio periptero dorico tardoclassico, nel santuario già attestato nel VI sec. a.C. presso Marmara. Nei pressi della chiesa di Panaghia Septembriani furono rinvenuti 49 rocchi di colonne e altre parti del tempio, parzialmente incompleto, su colonne molto sottili (alt. ca. 6,15 m = 6-7/8 del diametro inferiore). Due basi ioniche del V sec. a.C. dimostrano l’esistenza presso Marmara di un altro edificio sacro, di dimensioni inferiori. Un edificio cultuale di modesto rilievo è stato scoperto presso Chalasmata a nord dell’isola.
Al più tardi nel IV sec. a.C. nelle cave di marmo fu adottata l’estrazione sotterranea di marmo più puro, la lychnites, come mostra un rilievo con ninfe di tarda età classica presso l’ingresso della galleria. Oltre a questa un’altra galleria segue obliquamente verso il basso la vena litica ed entrambe si congiungono sottoterra.
Con l’Ellenismo a Paro, nel III e II sec. a.C., l’edilizia pubblica conosce un ampio sviluppo. Un complesso con sale molto spaziose in stile dorico del III sec. a.C. è da attribuirsi, per le sue dimensioni, a un’agorà; le colonne (alte 5,2 m) e gli architravi sono stati reimpiegati in gran quantità nel Kastro e nella Katapoliani. Da 60 architravi (lunghi 2,57 m) che si sono conservati, si può supporre l’esistenza di una sala lunga più di 140 m, che abbracciava una piazza almeno su due lati. Misure e forme architettoniche corrispondono ampiamente a quelle del mercato di Nasso, costruito evidentemente dalle stesse maestranze di Paro. L’ubicazione esatta di tale complesso è ignota, ma va cercata comunque nelle vicinanze del primo porto dell’isola, quello più aperto. Un altro complesso tipologicamente analogo, con colonne alte 3 m circa, reca sui cinque architravi rimasti iscrizioni ellenistiche abrase in età imperiale con nomi, forse di efebi; l’edificio fu restaurato durante l’epoca imperiale e sembra che si tratti della palestra del ginnasio attestato dalle fonti, di cui si è mantenuta un’anta di età ellenistica anch’essa con iscrizioni di età imperiale che menzionano i nomi di alcuni efebi.
Dello stadio e dell’agoranomeion, pure citati nelle fonti, non sono rimaste tracce. Invece del teatro, che si suppone sorgesse sul versante nord-orientale dell’acropoli, oggi eroso dal mare, testimoniato prima del 206 a.C., si conservano pressoché integralmente quasi 250 lastre di rivestimento delle gradinate, 11 sedili della proedria e alcune colonne del proscenio, quasi tutte riutilizzate nella Katapoliani. La proedria si trovava fra la sesta e la decima fila di sedili. Di un edificio coperto di minori dimensioni, datato al IV-III sec. a.C., con otto file di gradinate a semicerchio per circa 190 posti, probabilmente un bouleuterion, rimangono alcuni scalini, riutilizzati nel cosiddetto “edificio absidato”.
Verso la fine del IV sec. a.C., sotto la terrazza del Pythion, presso una fonte, venne fondato l’Asklepieion, completato e riportato alla luce da Rubensohn nel 1898. Dapprima di fronte alla parete di roccia con la fonte annessa, venne eretto un edificio porticato lungo 34 m, oppure un cortile con locali tutt’intorno. Nel III sec. a.C. la zona fu risistemata: un cortile di 23,5 x 14 m per le pratiche di culto fu delimitato a nord e a sud da un porticato a colonne doriche. Vani profondi 5,5 m (per il sonno sacro) erano annessi ai suoi lati corti preceduti ognuno a est e ovest da un pronao aperto, fornito a ovest di sette pilastri di forma ottagonale. Nella parte centrale del cortile si trovano le fondazioni di un altare, di fronte a esso la nuova fonte, ai suoi lati due absidi, che è probabile contenessero le immagini di culto di Asclepio e Igea.
Un capitello d’angolo in stile ionico e un architrave testimoniano la presenza di un piccolo tempio prostilo ionico ornato con eleganza, dalle colonne alte circa 4,2 m. Resti di muri di un edificio più grande, forse pubblico, sono stati trovati nel luogo detto Tholos, sul quale in tarda età romana sorsero abitazioni private. Nel corso di scavi occasionali all’interno della cerchia cittadina è stato rinvenuto un fitto quartiere residenziale abitato a partire dall’età ellenistica. Nella necropoli a nord della Katapoliani furono riportate alla luce numerose tombe su basamento, un tipo peculiare a Paro nel III-II sec. a.C., in cui una struttura sottostante di blocchi con ante d’angolo e cornice sorregge un sarcofago con coperchio a forma di timpano; sul tetto della tomba è disposta una base con i busti dei defunti. Finora, ne sono stati rinvenuti 13 esemplari.
Nella campagna, come nelle altre Cicladi, c’erano fattorie fortificate munite di una possente torre di difesa. Presso Naoussa se ne conserva una, con l’entrata coperta a volta. Altre due torri distrutte sono state individuate sulla costa sud-orientale presso Dryos. In età imperiale romana furono costruiti pochi edifici nuovi, nonostante il benessere prodotto dall’esportazione del marmo. La densità dell’edilizia abitativa nella polis è attestata da piccoli scavi-campione e dal quartiere residenziale presso la Tholos. Anche le necropoli a oriente e occidente della città furono ancora usate, spesso riutilizzando sarcofagi più antichi. Una costruzione importante, da situare attorno al 300 d.C., si trovava sotto la Katapoliani. Sotto la navata centrale si estendeva un grande mosaico pavimentale con la raffigurazione delle fatiche di Eracle (oggi nel cortile del Museo) simile a quello conservato solo in maniera frammentaria nel battistero. I mosaici proseguivano ancora più avanti, a sud della chiesa: A. Orlandos, che li scoprì, pensò a un ginnasio, ma i soggetti dei mosaici si addicono maggiormente a una villa urbana. All’estremità orientale dell’insenatura del porto tratti di muri, per un’area di circa 40 x 24 m, sono sommersi dal mare: probabilmente facevano parte di un magazzino portuale. All’estremità settentrionale della stessa baia, lungo il pendio della costa, si trova un grande edificio privo di finestre, costituito da una sala con un’abside a gradini disposta sul lato settentrionale, predisposta forse per l’esposizione di statue. Nonostante i muri raggiungano lo spessore di 6 m, la sala non era coperta a volta e perciò è da ritenersi incompiuta. Si può supporre che si trattasse del ninfeo di una villa marittima di epoca tardoantica non portata a termine. Lo sfruttamento delle cave di marmo crebbe enormemente nell’età imperiale. I segni degli scavi e i mucchi di detriti si estendono per 2 km lungo le due valli dei monasteri di Thapsanis e Haghios Minas. Una galleria larga e profonda più di 10 m a sud del villaggio di Marathion permette di riconoscere tutte le fasi dell’estrazione della pietra. Le indagini sul marmo di Paro e di Nasso sono state avviate nel 1981 dal geologo K. German e dal chimico H. Knoll.
Dell’età paleocristiana sono rimasti due notevoli complessi religiosi. La Katapoliani, un gruppo di tre chiese con cupole a croce del VI sec. d.C. (Panaghia; Haghios Nikolaos; il battistero con un atrio antistante), ha una fase precedente, di cui Orlandos ha scoperto quattro colonne che poggiavano sul ben conservato mosaico di Eracle. Queste colonne furono tagliate per essere utilizzate in un edificio di età giustinianea, costituito da una basilica a tetto piano e tre navate, di cui quella centrale misurava 8,2 m di lunghezza. Poiché nella chiesa giustinianea furono riutilizzati un trono vescovile e un ambone del V sec. d.C., la prima basilica andrà datata in quest’epoca. A 1,5 km a nord-ovest della città si trova l’imponente rovina, riportata alla luce nel 1960 (Orlandos), di una basilica a tre navate lunga 24 m con nartece e atrio, risalente al V-VI secolo.
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Isola maggiore delle Cicladi (gr. Νάξος; lat. Naxos), al centro dell’arcipelago. Fu abitata sin dall’età neolitica, come attesta il rinvenimento di necropoli e insediamenti fortificati. In età micenea a Grotta, a nord-ovest della capitale, fiorì una città provvista di una potente cinta muraria. Necropoli con tombe a camera sono venute in luce a nord-est di Nasso, sul pendio del colle Aplomata, e a Kamini. Alla caduta del mondo miceneo, l’isola venne occupata da coloni di stirpe ionica. Nell’VIII- VII sec. a.C. una notevole fioritura fu assicurata dalla produzione di olio e vino rinomati e dalla vivacità dei traffici marittimi, come attestano la presenza di ampie necropoli (vedi i tumuli funerari presso Apano Kastro), i notevoli resti architettonici e la produzione ceramica. Divenuta la più potente delle Cicladi, Nasso fondò varie colonie ed esercitò una grande influenza sul santuario di Delo. Nel VI sec. a.C. il dominio oligarchico degli aristocratici sfociò nella tirannide di Ligdami (550-524 a.C.), che coincise con il periodo di massimo splendore di Nasso.
Gli aristocratici, tornati al potere dopo l’eliminazione di Ligdami, furono cacciati dal popolo intorno al 500 a.C. e si rifugiarono a Mileto, dove giocarono un ruolo importante nella rivolta ionica contro i Persiani. Dopo aver resistito all’assedio del 499 a.C., Nasso nel 490 a.C. soccombette alla spedizione di Datis e Artaferne, che incendiarono la città e i santuari. Ciò segnò la fine dell’egemonia nelle Cicladi e della preminenza commerciale e culturale nel Mediterraneo. Con l’adesione alla Lega delio-attica nel 479 a.C., Nasso entrò nell’orbita di influenza di Atene. Al tentativo di defezione nel 472/1 a.C. seguì l’invio di una cleruchia di cittadini ateniesi. Le antiche cave di marmo di Nasso sono localizzate a Melanes, a Fleriò, nell’interno dell’isola, e ad Apollonas, sulla costa nord-orientale. Lo sfruttamento delle prime risale alla fine del VII sec. a.C., delle seconde alla metà del VI sec. a.C. Per tutta l’età arcaica il marmo nassio fu impiegato in tutti i principali centri artistici greci. All’età di Ligdami si data il colossale simulacro di Dioniso, alto 10,7 m, rimasto incompiuto nella cava di Apollonas. Il capoluogo attuale di Nasso, sulla costa nord-occidentale dell’isola, sorge in corrispondenza della città antica. L’acropoli si ravvisa sull’altura, ove poi sorgerà il castello medievale (Kastro). La città bassa è oggi in parte coperta dall’acqua, a causa dell’innalzamento del livello del Mar Egeo. All’età ellenistica risalgono il teatro e l’agorà, posta tra il mare e l’odierna Cattedrale e costituita da una piazza elegantemente porticata su tre lati, con basi per statue onorarie ed edifici commerciali adiacenti. Un santuario extraurbano dedicato a Demetra e Kore è stato individuato a sud-ovest, mentre a nord-est, sull’altura di Kaminaki, è venuto alla luce un monumentale altare marmoreo. Fuori della città, nella piana verso sud e sui rilievi a est, si estendevano le necropoli, utilizzate dall’età geometrica a quella romana. Di fronte al porto, la penisola di Palati è dominata dai resti del tempio di Apollo Delio, che Ligdami fece innalzare intorno al 530 a.C. L’edificio ionico, costruito interamente con marmo di Melanes, periptero e con doppio colonnato sui lati corti, rimase incompiuto alla caduta del tiranno. Si conserva il portale che conduceva dal pronao alla cella, la cosiddetta Portara, formata da quattro monoliti.
Nel grandioso programma edilizio di Ligdami rientrava anche il tempio di Demetra presso Sangri, nell’interno dell’isola. L’edificio aveva la forma tipica di uno dei luoghi di culto di Demetra (telesterion): quadrangolare, con due porte nel pronao, per l’ingresso e l’uscita delle processioni, e cella trasversale, adibita alle riunioni dei fedeli, con bel tetto di marmo. A Yria, circa 3 km a sud di Nasso, è stato scavato un importante santuario, probabilmente dedicato a Dioniso, sorto su un luogo di culto miceneo. Sono venuti alla luce quattro edifici templari, succedutisi dall’età geometrica all’arcaismo maturo: due oikoi dell’VIII sec. a.C., con sostegni interni di legno e focolare centrale, e due templi prostili (inizi del VII sec. a.C. - 580-550 a.C.). In relazione con l’edificio ionico di VI sec. a.C., con portale e tetto di marmo e frontone monumentale, appare scolpito il colossale simulacro di Dioniso abbandonato nella cava di Apollonas. Intorno al V-VI sec. d.C. i principali templi pagani vennero trasformati in chiese, attorno cui si svilupparono gli insediamenti di età bizantina. Al dominio veneziano, iniziato nel 1204 quando Marco Sanudo scelse Nasso come capitale del Ducato dell’Egeo e continuato fino alla conquista turca del 1566, risale il Kastro (castello) dell’odierno abitato.
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