La giurisdizione in materia di incandidabilità
Con la decisione 28.5.2015, n. 11131, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che la giurisdizione in merito ai provvedimenti prefettizi di sospensione di diritto dalle cariche elettive adottati ai sensi del d.lgs. 31.12.2012, n. 235 spetta al giudice ordinario. In queste ipotesi, infatti, verrebbe in rilievo una attività totalmente vincolata della pubblica amministrazione inerente il diritto soggettivo all’elettorato passivo.
La decisione delle sezioni unite della Corte di Cassazione 28.5.2015, n. 11131 si occupa di individuare la giurisdizione in relazione alla impugnazione dei provvedimenti di sospensione di diritto dalle cariche elettive adottati ai sensi del d.lgs. 31.12.2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi).
L’ordinanza delle sezioni unite aveva a oggetto il provvedimento prefettizio che prevedeva la sospensione dalla carica di un sindaco a seguito di una condanna in primo grado per diverse ipotesi di reato tutte riconducibili all’art. 323 c.p. Il provvedimento veniva adottato ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 235/2012 il quale prevede la sospensione di diritto dalle cariche, fra l’altro, di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale comunale per coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all’articolo 10, co. 1, lettera a), b) e c). Fra questi delitti rientra quello sanzionato dall’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio).
Nelle more della definizione della controversia dinanzi al giudice amministrativo un interveniente volontario proponeva ricorso per regolamento di giurisdizione chiedendo l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
La Corte di Cassazione prendeva atto della sussistenza di due differenti orientamenti in merito alla giurisdizione: il primo afferma la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la sospensione non inciderebbe in maniera definitiva sul diritto di elettorato passivo ma sull’esercizio del mandato e, comunque, l’effetto sospensivo si determinerebbe a seguito del decreto del Prefetto non essendo una sentenza di condanna sufficiente a comportare automaticamente la sospensione e occorrendo, a tal fine, una attività di verifica e di controllo da parte dell’organo amministrativo1. Questa attività si concretizza in un provvedimento che integra il precetto normativo e ne determina l’applicazione al caso concreto. Si tratta, quindi, di una questione che involge la posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo2.
Il secondo indirizzo, invece, afferma la giurisdizione del giudice ordinario sostenendo che le controversie concernenti la decadenza, l’ineleggibilità e l’incompatibilità, in quanto hanno a oggetto l’elettorato passivo, riguardano la tutela di un diritto soggettivo perfetto. Una controversia relativa alla sospensione della carica deve essere assimilata a quelle riguardanti il diritto di elettorato passivo, per cui la giurisdizione è quella ordinaria.
Anche la Corte di Cassazione, nel provvedimento oggetto del presente commento, ritiene che nella fattispecie in questione debba essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario.
Il provvedimento prefettizio, infatti, non inciderebbe sul mandato quanto piuttosto lo svolgimento del mandato costituirebbe una conseguenza della assunzione della carica rispetto alla quale è preliminare e assorbente la questione del diritto a ricoprirla che involge un diritto soggettivo.
Peraltro, la giurisprudenza della Cassazione, nella materia del contenzioso elettorale, ha sempre affermato la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alle controversie concernenti l’ineleggibilità, la decadenza e l’incompatibilità in quanto volte alla tutela di un diritto soggettivo all’elettorato passivo3.
La circostanza che l’applicazione della norma sia mediata da un provvedimento amministrativo non è dirimente considerato che quest’ultimo ha natura vincolata: la sospensione, infatti, consegue direttamente ed esclusivamente alla pronuncia di condanna. Si tratta di un’attività meramente esecutiva del prefetto e la impugnazione dinanzi al giudice amministrativo non muta la circostanza che la controversia riguardi un diritto soggettivo perfetto.
La giurisdizione del giudice ordinario non può essere neppure negata in relazione alla circostanza che la sospensione non sia ricompresa nell’ambito delle materie di cui all’art. 22, d.lgs. 1.9.2011, n. 150, (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione), che, all’art. 22, disciplina il rito in materia di controversie relative all’eleggibilità, alla decadenza e alla incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali.
Secondo la Cassazione la sospensione dalla carica è assimilabile “per continenza” alle questioni di ineleggibilità, incandidabilità e decadenza. Tale conclusione non muta in relazione alla circostanza che il provvedimento abbia effetti temporanei: la temporaneità degli effetti del provvedimento non modifica la posizione giuridica di diritto soggettivo. La sospensione, quindi, si differenzia dalla decadenza soltanto perché è un provvedimento a effetti limitati nel tempo.
Infine, la Cassazione non è convinta della tesi secondo la quale il provvedimento di sospensione inciderebbe sul funzionamento dell’organo elettivo piuttosto che sul diritto di elettorato passivo del soggetto eletto. Secondo questa ricostruzione la sospensione costituirebbe una scelta del legislatore volta ad attuare il contemperamento fra la posizione soggettiva del singolo eletto e l’interesse pubblico a che i titolari di cariche elettive non siano condannati, con sentenza definitiva, per determinati reati. Attenendo al funzionamento dell’organo, la controversia dovrebbe rientrare fra quelle di cui all’art. 119, co. 1, lett e), c.p.a. secondo il quale sono sottoposti a rito speciale «i provvedimenti di scioglimento degli organi di governo degli enti locali e quelli connessi, che riguardano la loro formazione e il loro funzionamento». Secondo la Cassazione la controversia sulla sospensione non attiene alla scioglimento di organi ma alla temporanea sospensione dalla carica della persona che è titolare dell’organo.
La decisione della Cassazione investe il tema di carattere generale del criterio di riparto della giurisdizione nella materia elettorale4.
Nelle controversie in materia di elezioni amministrative, la giurisdizione è ripartita tra il giudice amministrativo e quello ordinario in relazione al criterio di riparto del doppio binario, in rapporto, cioè, alla consistenza della situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo della quale si chiede la tutela; di conseguenza, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità dei candidati, perché concernenti diritti soggettivi di elettorato passivo, mentre appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo le questioni afferenti la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo. In materia elettorale la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste, quindi, nei casi in cui si faccia questione di interessi legittimi o allorquando le questioni d’ineleggibilità attinenti a diritti soggettivi palesino un nesso di pregiudizialità necessaria rispetto alla decisione della questione principale5. Mentre l’accertamento della titolarità o meno del diritto di elettorato è devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario poiché l’elettorato rileva quale diritto pubblico soggettivo che non può essere degradato dalla pubblica amministrazione; ne consegue che quando la tutela giurisdizionale richiesta non attiene al concreto svolgimento delle operazioni elettorali, ma è rivolta a far valere la tutela del diritto soggettivo perfetto o inerente l’eleggibilità o meno di un soggetto, si deve ritenere sempre sussistente la giurisdizione ordinaria. Inoltre, la giurisdizione del giudice ordinario non trova limitazioni o deroghe nel caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento del consiglio sulla convalida degli eletti o di impugnazione dell’atto di proclamazione, perché anche in tale ipotesi la decisione verte non sull’annullamento dell’atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente l’elettorato6.
Tale criterio di riparto è stato ribadito dal codice del processo amministrativo secondo il quale il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia e tale giurisdizione è estesa al merito (artt. 126 e 130); nonché relativamente ai provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali, regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo (art. 129 c.p.a.).
Inoltre, spettano alla giurisdizione amministrativa le controversie relative ai provvedimenti di scioglimento degli organi di governo degli enti locali e quelli connessi, che riguardano la loro formazione e il loro funzionamento (art. 119 c.p.a.)7.
Il problema della giurisdizione sulla incandidabilità in generale, e, di conseguenza, anche sulla sospensione, presenta però alcuni profili problematici a dispetto del consolidato criterio di riparto appena illustrato.
Infatti, la norma contenuta nel già citato art. 129 c.p.a. devolve alla giurisdizione del giudice amministrativo l’impugnazione dei «provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento preparatorio per le elezioni».
Occorre ricordare che la incandidabilità non è perfettamente assimilabile alle ipotesi di ineleggibilità e di incompatibilità. Infatti, l’incandidabilità – a differenza della ineleggibilità, che dà luogo all’eventuale decadenza dell’eletto dopo la conclusione del procedimento elettorale – comporta l’impossibilità di prendere parte, fin dall’inizio, alla competizione elettorale; l’incandidabilità, quindi, preclude l’inserimento del nominativo dell’incandidabile in qualsiasi lista. Si potrebbe, quindi, trattare di un contenzioso preelettorale per cui in questa ipotesi potrebbe venire in rilievo proprio l’art. 129 c.p.a.
Peraltro, questa norma viene richiamata dallo stesso d.lgs. n. 235/2012 con riguardo all’accertamento della incandidabilità per il Parlamento europeo (mentre le controversie relative al procedimento preparatorio per le elezioni politiche della Camera e del Senato sfuggono alla giurisdizione sia del giudice ordinario sia di quello amministrativo8).
Perciò non si esclude che il problema della giurisdizione sui provvedimenti prefettizi possa essere in futuro riaperto.
La questione dell’incandidabilità investe indubbiamente anche aspetti pubblicistici, perfino di livello costituzionale; la questione dalla incandidabilità, infatti, è posta a garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e del diritto delle comunità locali ad avere assicurato il diritto a votare per vedersi garantito un assetto politico quanto più possibile immune da contaminazioni e deviazioni di qualsiasi genere. Inoltre, è stato affermato che gli effetti della nullità della elezione prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 235/2012, nel caso in cui l’esistenza di condizioni ostative alla candidabilità di un consigliere già in carica (la cui candidabilità a suo tempo non è stata contestata e la cui elezione è stata convalidata) venga conosciuta a distanza di tempo dalle consultazioni elettorali, incidono non solo sull’elezione del soggetto incandidabile, ma anche sui voti conseguiti dal soggetto incandidabile, quale diretta conseguenza dell’indebita partecipazione di un candidato privo della relativa capacità, poiché carente dei requisiti soggettivi per l’accesso alla carica pubblica9. Si tratta di profili che inevitabilmente attengono alla regolarità delle operazioni elettorali.
A queste considerazioni, che avrebbero potuto far propendere per la giurisdizione del giudice amministrativo, ha però riposto non solo l’ordinanza in commento ma anche la stessa giurisprudenza amministrativa. Infatti, precedentemente alla decisione delle Sezioni unite, il Consiglio di Stato aveva avuto modo di precisare che in caso di cariche elettive, l’attività espletabile dall’amministrazione è vincolata al mero riscontro delle eventuali condizioni di ineleggibilità o incandidabilità fissate dalla legge, senza che residui alcuno spazio di valutazione discrezionale suscettibile di affievolire o comprimere quel diritto; di conseguenza, in base al criterio cardine del petitum sostanziale, spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti la decadenza, l’ineleggibilità e l’incompatibilità, in quanto si tratta di questioni inerenti l’elettorato passivo che, come tali, concernono la tutela di posizioni di diritto soggettivo perfetto10. Ciò perché il diritto all’elettorato passivo è un diritto politico fondamentale, riconosciuto dall’art. 51 Cost. a ogni cittadino ed è inviolabile e incondizionato: la sua restrizione è consentita solo al legislatore il quale gode al riguardo di una riserva assoluta. Ne consegue che, nell’esercizio di tale diritto, l’attività espletabile dall’Amministrazione nel procedimento elettorale risulti essere vincolata11.
Ulteriore profilo problematico relativo alla questione della incandidabilità attiene alla applicazione retroattiva di tale misura. È chiaramente un profilo che non attiene alla giurisdizione quanto piuttosto alla natura giuridica della misura applicata.
Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che l’applicazione delle cause ostative poste dal d.lgs. n. 235/2012 alle sentenze di condanna intervenute prima dell’entrata in vigore dello stesso non viola il principio di irretroattività della norma penale, giacché la normativa in esame non ha natura, neppure in senso ampio, sanzionatoria, penale o amministrativa. La condanna penale irrevocabile viene in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è collegato un giudizio di inidoneità morale a ricoprire la carica elettiva.
La nuova disciplina sulle cause di incandidabilità (d.lgs. n. 235/2012) ha lo scopo di allontanare dallo svolgimento delle cariche elettive i soggetti la cui inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. La preclusione alla candidatura non rappresenta un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa che, in applicazione della disciplina generale sull’efficacia della legge nel tempo, si applica anche alle sentenze definitive anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina12.
1 Cons. St., III, ord. 20.11.2014, n. 5343, in Foro it., 2015, 2, 3, 85.
2 TAR Campania, I, ord. 30.10.2014, n. 1801/2014, in Foro it., 2015, 2, 3, 86.
3 Cass., S.U., 6.4.2012, n. 5574, in Giust. civ. Mass., 2012, 4, 461.
4 Per i recenti sviluppi si veda Romano, E., Il contenzioso elettorale, in Cirillo, G.P., a cura di, Il nuovo diritto processuale amministrativo, Padova, 2015, 1276. Si veda anche Vetrò, F., I riti elettorali, in Scoca, F. G., a cura di, Giustizia amministrativa, Torino 2011, 510.
5 Cons. St., V, 15.7.2013, n. 3826, in Foro amm. – Cons. St., 2013, 2071.
6 Cass., S.U., 9.11.2009, n. 23682 in Giust. civ. Mass., 2009, 11, 1569.
7 L’art. 82, d.P.R. 16.5.1960, n. 570, Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, prevede all’art. 82 che le deliberazioni adottate in materia di eleggibilità dal consiglio comunale possono essere impugnate da qualsiasi cittadino elettore del comune, o da chiunque altro vi abbia diretto interesse, dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. Come già precisato la giurisdizione del giudice ordinario si applica ai sensi della d.lgs. n. 150/2011 anche alle controversie relative all’eleggibilità, alla decadenza e alla incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali.
8 Sulla questione si veda Scoca, F.G., Elezioni politiche e tutela giurisdizionale, in Giur. cost., 2009, 3613.
9 TAR Sicilia, Catania, III, 25.3.2015, n. 843, in Foro amm., 2015, 966.
10 Cons. St., 8.5.2013, n. 2502, in Foro amm. – Cons. St., 2013, 1292.
11 C.g.a., 22.1.2013, n. 18, in Foro amm. – Cons. St., 2013, 27.
12 Cons. St., V, 19.10.2013, n. 5222, in Giur. cost., 2014, 610; Cons. St., V, 6.2.2013, n. 695, in Giorn. dir. amm, 2013, 421. Con riferimento a tale conclusione può essere d’ausilio quanto stabilito dalla giurisprudenza in merito alle ipotesi di incandidabilità per infiltrazioni mafiose stabilite dall’art. 143 del Tuel. Il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali per infiltrazioni di tipo mafioso, pur essendo destinato a svolgersi con il rito camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c., ha una forma speciale di instaurazione, che richiede la proposta del Ministero dell’Interno, ai sensi dell’art. 143, co. 11, del d.lgs. 18.8.2000, n. 267 e tale procedimento è autonomo rispetto a quello penale. Infatti, diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio (Cass., S.U., 30.1.2015, n. 1747, in Giur. It., 2015, 4, 952).