La giurisdizione sui contributi pubblici
Con la decisione n. 6/2014, l’A.P. del Consiglio di Stato ha confermato il consolidato indirizzo che afferma la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie riguardanti il ritiro, tramite provvedimenti di revoca, decadenza o risoluzione da parte della amministrazione degli interventi agevolativi in relazione a un preteso inadempimento da parte del beneficiario degli obblighi imposti dalla legge o dagli atti concessivi del contributo. Ciò in quanto l’atto di revoca si configura come
atto di natura privatistica e, quindi, lesivo di diritti soggettivi.
La decisione dell’A.P. del Cons. St. 29.1.2014, n. 6 affronta il problema della giurisdizione sulle impugnazioni di atti di revoca di contributi o agevolazioni concesse alle imprese1. La questione riguardava la revoca di agevolazioni concesse dalla Cassa per il Mezzogiorno a causa della riscontrata diversità dell’attività esercitata (servizi di manutenzione) rispetto a quella (produzione in serie di mobili metallici) prevista nel programma d’investimento approvato ai sensi del d.P.R. 6.3.1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno).
L’ordinanza di rimessione richiamava la consolidata giurisprudenza (sia delle sezioni unite della Corte di cassazione sia del Consiglio di Stato) secondo cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie riguardanti il ritiro, tramite provvedimenti di revoca, decadenza o risoluzione da parte della amministrazione delle interventi agevolativi in relazione a un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo, mentre si ha una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse2.
L’ordinanza di rimessione, pur riconoscendo che in situazioni simili a quella oggetto della controversia viene in rilievo la giurisdizione ordinaria, ritiene comunque di dover sottoporre all’attenzione dell’A.P. il problema per verificare se sia superabile l’indirizzo consolidato e ricondurre tutte le fattispecie di ritiro delle agevolazioni alla giurisdizione amministrativa.
Secondo l’ordinanza di rimessione, infatti, il potere di autotutela dell’amministrazione, esercitato con un atto di revoca (o di decadenza), in base ai principi del contrarius actus, incide sempre su posizioni di interesse legittimo; si tratterebbe pur sempre di un provvedimento esercizio di un potere autoritativo per cui rileverebbe l’art. 7 c.p.a. il quale riconosce la giurisdizione amministrativa con riguardo a tutti gli atti manifestazione, anche in via mediata, di un potere amministrativo; inoltre, la giurisdizione del giudice amministrativo si giustificherebbe sulla base dell’art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a. che afferma la giurisdizione esclusiva per le «controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici» tra i quali rientrerebbero le somme di denaro oggetto di agevolazioni comunque denominate ai sensi dell’art. 12 della l. n. 241/1990.
L’A.P. non ha ritenuto di superare il consolidato indirizzo in tema di riparto delle giurisdizioni sui provvedimenti di revoca dei contributi pubblici.
In particolare, la decisione in commento ha affermato che il riparto di giurisdizione si deve verificare sulla base della situazione giuridica soggettiva lesa: sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla p.a. è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione3.
Quindi, a dispetto del nomen iuris del provvedimento adottato, quando la controversia attiene alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. In questi casi, infatti, si tratta di un inadempimento a obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo e attinente alla fase esecutiva del rapporto. Ne deriva che il privato è titolare di una posizione di diritto soggettivo.
Il privato sarebbe titolare, invece, di interessi legittimi nella fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario; solo in tali ipotesi, quindi, la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo.
L’ordinanza di remissione aveva utilizzato varie argomentazioni per superare l’indirizzo consolidato, confutate tutte dalla decisione dell’A.P.
Il primo argomento si fondava sull’equiparazione fra denaro e bene pubblico. Da ciò sarebbe derivata la giurisdizione esclusiva in materia di concessione del contributo in quanto bene pubblico.
L’A.P. ha chiaramente affermato che non deve essere confusa la figura della concessione a privati di benefici pubblici, che presuppone l’uso temporaneo da parte dei privati di detti beni per una finalità di pubblico interesse, con quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso, in forza del quale il finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli e eventualmente assume l’obbligo di restituirlo in tutto o in parte a una determinata scadenza4.
Un problema di coerenza con il tradizionale sistema di riparto si potrebbe presentare allorchè si consideri che le recenti modifiche al c.p.a. hanno inserito le controversie relative alla concessione e al recupero degli aiuti di stato incompatibili tra quelle di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo5.
Secondo la decisione in commento, però, tale specifica previsione confermerebbe l’indirizzo consolidato, in quanto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo verrebbe prevista solo ed esclusivamente per un caso peculiare individuato dal legislatore lasciando immutata la giurisdizione del giudice ordinario per gli altri casi di contestazione dei provvedimenti di ritiro.
Ulteriore argomento utilizzato dalla ordinanza di rimessione si rinviene nel richiamo alla sentenza della C. cost. 5.7.2004, n. 204 la quale sembra attribuire il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo in relazione a qualsiasi attività esercizio del potere amministrativo.
Sul punto l’A.P. afferma che dalla sentenza n. 204/2004 non si può ricavare che ogni controversia comunque riconducibile, sia pure in via indiretta o mediata, all’esercizio del potere pubblico possa essere ricondotta alla giurisdizione amministrativa di legittimità, involgendo, per ciò solo, posizioni di interesse legittimo. La precisazione è di rilievo in quanto chiarisce la portata della storica decisione della Corte costituzionale: la Corte costituzionale ha individuato nella riconducibilità all’esercizio, pure se in via indiretta omediata, del potere pubblico, il criterio che legittima la scelta legislativa di introdurre una ipotesi di giurisdizione esclusiva, escludendo, per converso, tale possibilità ove detto collegamento sia assente. E nel caso in questione non vi sarebbe alcun collegamento con un esercizio di potere amministrativo per cui non potrebbe neppure richiamarsi il disposto dell’art. 7 c.p.a. che ha recepito legislativamente quanto espresso dalla Corte costituzionale.
Peraltro, secondo l’A.P. non può essere richiamato nel caso in questione neppure il principio della concentrazione delle tutele. In generale, questo principio, che ha rappresentato uno dei criteri direttivi della delega attribuita al governo per il riordino del processo amministrativo, non consente, in via meramente interpretativa e senza base normativa, di attrarre nell’ambito della giurisdizione amministrativa controversie relative a diritti soggettivi a prescindere dall’individuazione di una disposizione legislativa fondante un’ipotesi di giurisdizione esclusiva. Nel particolare, non vi è alcuna norma che preveda la revoca di contributi fra le ipotesi di giurisdizione esclusiva.
Inoltre, viene citata la giurisprudenza della Corte costituzionale e in particolare la sentenza 20.6.2012, n. 162 sulle sanzioni CONSOB (il cui iter argomentativo è stato ripetuto dalla sentenza 9.4.2014, n. 94 sulle sanzioni della Banca d’Italia) in virtù della quale deve escludersi una interpretazione delle norme del c.p.a. volta a riconoscere al giudice amministrativo spazi di giurisdizione innovativi rispetto a quelli già a esso attribuiti in base all’assetto normativo previgente, come risultante dall’interpretazione univocamente fornitane dalle sezioni unite della Corte di cassazione.
Nella sostanza, il consolidato indirizzo della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato non avrebbe consentito al legislatore delegato di introdurre norme innovative rispetto al criterio di riparto della giurisdizione.
Un rilevante profilo problematico ha ad oggetto la natura giuridica del potere di autotutela nelle ipotesi di revoca dei contributi pubblici.
Secondo il Consiglio di Stato in questi casi non si potrebbe configurare un atto di autotutela come esercizio di un potere autoritativo, a fronte del quale potrebbe configurarsi una posizione di interesse legittimo.
Non verrebbe in rilievo il potere di autotutela pubblicistica fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico. In questi casi, piuttosto, si potrebbe configurare uno speciale potere di autotutela privatistica dell’amministrazione, così come accade nei casi di recesso e risoluzione dal contratto di appalto pubblico ex artt. 134-136, d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici)6.
Sul punto però occorre rilevare che il richiamo agli atti di recesso e risoluzione dei contratti non sembra essere decisivo. Infatti, la natura giuridica di tali atti della amministrazione è da sempre oggetto di dispute. Per parte della dottrina si sarebbe di fronte a veri e propri diritti potestativi di tipo privatistico che l’ordinamento ha attribuito alla p.a. poiché la legislazione speciale in materia di contratti pubblici, pur apportando deroghe significative alla normativa privatistica, non prevede affatto che il negozio sia sottratto alla sua disciplina naturale che è quella di diritto privato7. Le deroghe che implicano una posizione di maggior forza e di garanzia del committente pubblico si inseriscono comunque nel sistema complessivo del diritto privato. Quelli che sono stati definiti poteri speciali, secondo questa impostazione, al più possono considerarsi diritti potestativi della p.a. e non comportano l’applicabilità del regime normativo pubblicistico corrispondendo nelle loro linee essenziali a quelli del privato committente.
Per altra parte della dottrina, in queste ipotesi residua in capo alla autorità amministrativa un potere di tipo pubblicistico, sebbene il contratto si trovi nella fase propriamente negoziale. Si tratta, infatti, di attività che comportano un apprezzamento discrezionale dell’interesse pubblico sotto il profilo del buon andamento del rapporto contrattuale, per cui gli atti espressione di tale potere hanno natura provvedimentale e non paritetica. In questo senso, quindi, nella fase di esecuzione del contratto alla p.a. sarebbe attribuito un generale potere di autotutela che le consente di valutare la conformità all’interesse pubblico e l’utilità dell’operazione economica.
Da tale incertezza sulla natura dell’atto di autotuela deriva anche la problematica individuazione della giurisdizione.
A dimostrazione della difficoltà del problema della natura giuridica dell’atto di risoluzione del contratto di appalto vi è la questione relativa alla giurisdizione sulle risoluzioni dei contratti a seguito di informativa prefettizia circa possibili infiltrazioni mafiose. In questi casi, la giurisprudenza ha affermato che la risoluzione del contratto costituisce espressione di un potere autoritativo nell’esercizio del quale la stazione appaltante tiene conto anche di profili discrezionali di pubblico interesse, con la conseguenza che la questione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo in quanto avente a oggetto un interesse legittimo. La risoluzione sarebbe da inquadrarsi nel generale potere di revoca riconosciuto alla p.a.
Si deve comunque rilevare che, in linea generale, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ritengono che nei casi citati vi sia giurisdizione ordinaria in quanto gli atti di recesso o di risoluzione hanno natura privatistica.
Richiamando la problematica degli atti recesso e risoluzione l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha voluto rimarcare che l’atto di revoca del contributo per inadempimento si configura come declaratoria della sopravvenienza di un fatto cui la legge ricollega l’effetto di determinare la decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova ragione non già in una rinnovata ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma nell’asserito inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella verifica dei presupposti di esigibilità del credito. Ne deriva che le contestazioni che investono l’esercizio di tale forma di autotutela sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a quella del giudice ordinario.
1 In Foro amm., 2014, 383. L’ordinanza di rimessione è della sez. VI del Cons. St., 15.7.2013, n. 3789.
2 L’ordinanza di rimessione è della sez. VI del Cons. St., 15.7.2013, n. 3789.
3 Si veda per tutti Cass., S.U., 20.7.2011, n. 15867, secondo la quale in materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve essere attuato distinguendo la fase procedimentale di valutazione della domanda di concessione nella quale la legge, salvo il caso in cui riconosca direttamente il contributo o la sovvenzione, attribuisce alla p.a. il potere di riconoscere il beneficio, previa valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati in relazione all’interesse primario, apprezzando discrezionalmente l’an, il quid e il quomodo dell’erogazione, e al richiedente la posizione di interesse legittimo, da quella successiva alla concessione del contributo, in cui il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; sussiste, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario nel caso in cui per la dichiarazione di fallimento dell’impresa, alla quale era stato concesso il contributo, sia impossibile destinare il finanziamento allo scopo per il quale era stato concesso e, in tutto o in parte, già erogato, poichè l’amministrazione, nel revocare il contributo stesso o nel dichiarare la decadenza, non compie alcuna valutazione discrezionale, ma si limita ad accertare, con la cessazione dell’attività imprenditoriale, il venir meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge.
4 Comunque anche a volere prescindere dalla possibilità di riconoscere natura concessoria all’atto di erogazione del contributo, va ulteriormente evidenziato che alla sussistenza della giurisdizione amministrativa osterebbe, comunque, la riserva, prevista dallo stesso art. 133, lett. b), c.p.a., a favore della giurisdizione ordinaria di tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in concreto utilizzato («canoni, indennità ed altri corrispettivi»).
5 Art. 133, co. 1, lett. z sexties), così come inserito dall’art. art. 49, co. 2, l. 24.12.2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea).
6 Per una recente disamina delle citate norme si vedaNunziata, M., Commento, artt. 134, 135 e 135, in Cancrini, A.- Franchini, C.-Vinti, S., a cura di, Codice degli appalti pubblici, Torino, 2014, 877 ss. e la bibliografia ivi citata.
7 Mele, E., I contratti delle pubbliche amministrazioni,Milano, 2002, 266.