La giurisdizione sulle occupazioni illegittime
Con la decisione 27.5.2015, n. 10879 le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni che si pretendono conseguiti da una occupazione iniziata dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza e proseguita anche dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità stessa. In questo caso si tratterebbe di una controversia riconducibile in parte direttamente e in parte mediatamente all’esercizio di un potere amministrativo.
La decisione delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 10879 del 27.5.2015 costituisce un importante tassello verso la definitiva chiarificazione delle questioni di giurisdizione relative alle azioni di danni derivanti da occupazioni illegittime1.
Inoltre, tale decisione desta interesse in quanto sembra interpretare in maniera meno rigida, anche rispetto al recente passato (si pensi alle ordinanze circa la responsabilità per danni da provvedimento amministrativo favorevole), la nozione di controversie relative a comportamenti “mediatamente” riconducibili all’esercizio di un potere pubblico. Come è noto tali controversie, ai sensi dell’art. 7 c.p.a. (il quale a sua volta recepisce quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/2004), sono devolute al giudice amministrativo nelle materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva. Dalla interpretazione che si fornisce al concetto di «comportamenti mediatamente riconducibili all’esercizio del potere» deriva l’individuazione dell’ambito applicativo della giurisdizione amministrativa sui comportamenti.
A dire il vero una interpretazione “elastica” dell’art. 7 sarebbe del tutto auspicabile e da affermare definitivamente. Non è pensabile, sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista logico, che una fattispecie caratterizzata dall’adozione di un provvedimento amministrativo, anche nelle ipotesi in cui successivamente abbia perso efficacia per decorso del termine o sia stato annullato, possa essere del tutto equiparata a una situazione in cui non è mai venuto in rilievo l’esercizio di alcun potere e l’amministrazione abbia agito esclusivamente per vie di fatto.
Solo in questa ultima ipotesi dovrebbe pacificamente riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario mentre in tutte le altre si dovrebbe validamente sostenere la giurisdizione del giudice amministrativo.
Le sezioni unite con la citata decisione sembrano andare nella direzione di quanto appena auspicato.
Infatti, la Corte di Cassazione afferma che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto dà luogo a una controversia riconducibile in parte direttamente e in parte mediatamente a un provvedimento amministrativo, la domanda di risarcimento per i danni che si pretendono conseguiti da una occupazione iniziata, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza e proseguita anche dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità stessa.
La questione sottoposta all’attenzione delle sezioni unite riguardava una controversia (relativa alla realizzazione della piattaforma logistica di un aeroporto), instaurata dinanzi al giudice ordinario, con la quale una società chiedeva la condanna di un comune (unitamente al soggetto delegato all’attività espropriativa) al risarcimento dei danni deducendo che la procedura di espropriazione non si era conclusa con l’adozione del decreto di esproprio nei termini previsti, per cui il decreto di occupazione aveva perso efficacia: inoltre, l’area in questione non risultava tra le particelle interessate al progetto. Da ciò si ricavava che l’attività ablatoria era stata svolta in carenza di potere.
L’amministrazione resistente eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in quanto la controversia avrebbe riguardato una fattispecie riconducibile all’esercizio del potere ablatorio della pubblica amministrazione.
La ricorrente proponeva regolamento preventivo di giurisdizione deducendo che la sopravvenuta inefficacia del decreto di occupazione d’urgenza non consentiva di ricondurre la fattispecie all’esercizio di un potere amministrativo.
Le sezioni unite, decidendo in relazione al regolamento preventivo, hanno ritenuto di rivisitate il loro precedente orientamento in virtù del quale avevano affermato la giurisdizione del giudice ordinario per le domande risarcitorie fondate su provvedimenti di occupazione divenuti inefficaci per l’inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera e per l’emissione del decreto di esproprio2.
La motivazione della decisione di revisione del precedente indirizzo si incentra sulla interpretazione di quanto affermato dalle note sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006 secondo le quali dovevano essere escluse dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai comportamenti della pubblica amministrazione in alcun modo ricollegabili all’esercizio del potere amministrativo3. Le controversie derivanti da comportamenti anche “mediatamente” riconducibili all’esercizio del pubblico potere devono, quindi, essere conosciute dal giudice amministrativo.
Secondo la Corte di Cassazione, la riconducibilità all’esercizio di un pubblico potere sussiste anche quando l’occupazione inizia dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza e prosegue dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione stessa. Infatti, vi è in questa ipotesi il concreto esercizio del potere ablatorio attraverso un procedimento amministrativo anche se poi l’ingerenza sulla proprietà privata è avvenuta successivamente senza alcun titolo. Inoltre, devono essere conosciute dal giudice amministrativo quelle controversie in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata annullata in sede amministrativa o giurisdizionale poiché comunque in tal caso si è in presenza di un concreto e riconoscibile atto di esercizio del potere pur se lo stesso poi si è rivelato illegittimo e per effetto dell’annullamento abbia cessato retroattivamente di esplicare effetti4.
L’apprensione del bene da parte della pubblica amministrazione è, quindi, avvenuta sulla base di un provvedimento (il decreto di occupazione) anche se poi questo è stato travolto dall’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità; ma in queste fattispecie è possibile affermare che il comportamento sia mediatamente riconducibile al provvedimento iniziale senza il quale non vi sarebbe stata apprensione.
La decisione della Corte di Cassazione ha le sue basi nelle fondamentali decisioni della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006: la Corte Costituzionale ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative ai comportamenti collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, mentre illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva dei comportamenti posti in essere in carenza di potere o in via di mero fatto.
In particolare, la sentenza del 2006 ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del testo unico delle espropriazioni per pubblica utilità (d.lgs. n. 325/2001, trasfuso nell’art. 53, co. 1, d.P.R. n. 327/2001), nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere. Da ciò deriva che sarebbe costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva delle controversie relative all’occupazione usurpativa, ma non anche quelle nascenti da ipotesi di occupazione acquisitiva.
La decisione delle sezioni unite opera una chiarificazione in relazione alla differenziazione tra occupazione usurpativa e occupazione appropriativa che, ovviamente, si riflette sul riparto della giurisdizione5.
Come è noto si definisce occupazione acquisitiva quella vicenda patologica del procedimento espropriativo in cui il fondo è stato occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità e ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione dell’opera senza che, tuttavia, sia successivamente intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà; al contrario, si definisce usurpativa quella forma di occupazione caratterizzata dall’apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza che è generalmente individuata nell’ipotesi di assenza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità, nonché nell’ipotesi di annullamento, con effıcacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente, ovvero di sua ineffıcacia per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica.
Le controversie relative alla occupazione usurpativa sono chiaramente devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto vengono in rilievo “comportamenti” posti in essere in carenza di potere, ovvero in via di mero fatto.
La decisione della Corte di Cassazione restringe i confini della occupazione usurpativa chiarendo che alcune fattispecie, come l’ipotesi di annullamento della dichiarazione o la sua inefficacia per l’inutile decorso del termine, devono considerarsi comunque derivanti da attività amministrativa; da ciò deriva che dovrebbero essere riconducibili nell’alveo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In definitiva, il giudice ordinario dovrebbe avere la giurisdizione con riferimento alle controversie in cui manchi del tutto la dichiarazione di pubblica utilità. Sul punto, però si osserva che a questa ipotesi non può essere attribuita alcuna concreta consistenza posto che la l. 3.1.1978, n. 1 ha chiaramente equiparato l’approvazione dei progetti di opera pubblica alla dichiarazione di pubblica utilità (norma ripresa dall’art. 12 del T.U. che ne ha ampliato le fattispecie di dichiarazione implicita di pubblica utilità).
Più concreta, invece, è la fattispecie di occupazione usurpativa consistente nel cd. sconfinamento, ricorrente in caso di collocazione di un’opera di pubblica utilità in un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai presupposti provvedimenti amministrativi di approvazione del progetto. In questo caso, la dichiarazione di pubblica utilità è stata emessa ma è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate e la occupazione e/o trasformazione del terreno non può che ritenersi di mero fatto o in carenza assoluta di poteri autoritativi della pubblica amministrazione. Si configura, quindi, un comportamento illecito (comune) a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo non diverso da quello di un privato che leda diritti dei terzi. Rispetto a tale fattispecie il privato danneggiato può reagire davanti al giudice ordinario, sia invocando la tutela restitutoria sia, attraverso un’abdicazione implicita al diritto dominicale, optando per il risarcimento del danno ex artt. 2043 e 2058 c.c.6
Ma anche in relazione alla fattispecie dello “sconfinamento” sono stati avanzati dubbi in merito alla spettanza della giurisdizione al giudice ordinario in quanto il presunto scollegamento rispetto all’esercizio del potere appare opinabile. Infatti, proprio perché è stato esercitato il potere pubblico espropriativo si è potuto operare lo sconfinamento, l’errore di estensione del territorio oggetto dell’espropriazione. Lo sconfinamento, quindi, è una conseguenza dell’esercizio del potere e può rientrare nelle ipotesi di comportamento “mediatamente” riconducibile all’esercizio del potere di cui all’art. 7 c.p.a.7
Occorre rilevare che la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione in una ipotesi simile in cui dal decreto di esproprio deriva un aumento del terreno originariamente oggetto di occupazione. In questo caso, infatti, è stato affermato che nell’ambito di una procedura espropriativa connotata in senso pubblicistico e autoritativo dall’esistenza della dichiarazione di pubblica utilità, se la pubblica amministrazione abbia occupato anche superfici ulteriori, diverse rispetto alle aree già comprese nella procedura ablatoria, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia avente a oggetto il decreto espropriativo, sul presupposto che ci si trovi pur sempre nell’ambito di un procedimento ablatorio in cui l’amministrazione ha esercitato poteri squisitamente autoritativi.
Le controversie in materia sono destinate a esaurirsi considerato che le fattispecie di occupazione acquisitiva sono rientrate nella nuova disciplina dell’acquisizione sanante. Ma anche con riferimento a tale istituto si possono porre problemi relativi alla giurisdizione.
Come è noto il legislatore per superare i descritti meccanismi delle espropriazioni indirette e, in particolare, delle occupazioni appropriative, anche alla luce delle numerose censure derivanti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo8, con il testo unico sulle espropriazioni, d.P.R. 8.6.2001, n. 327, art. 43, aveva previsto l’istituto della c.d. acquisizione coattiva sanante: la pubblica amministrazione che utilizzava un bene immobile per scopi pubblici, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità, poteva disporne l’acquisizione al proprio patrimonio indisponibile, una volta valutati gli interessi in conflitto. Al proprietario privato sarebbe stata corrisposta una somma a titolo di risarcimento del danno.
L’art. 43 del testo unico è stato dichiarato incostituzionale con la sentenza 8.10.2010, n. 293 per eccesso di delega (peraltro la Corte pur non pronunciandosi nel merito, ha espresso seri dubbi in ordine alla costituzionalità della scelta operata dal legislatore9).
A seguito di tale dichiarazione di incostituzionalità, il legislatore ha disciplinato nuovamente l’acquisizione coattiva sanante attraverso l’introduzione nel testo unico dell’art. 42 bis10. Anche nei confronti di questa nuova disposizione sono stati sollevati dubbi di costituzionalità, ma la sentenza della C. cost. 30.4.2015, n. 71 li ha fugati del tutto ritenendo la nuova disciplina conforme al dettato costituzionale. La Corte, infatti, ha ritenuto la nuova disciplina dell’acquisizione sanante differente rispetto a quella dichiarata incostituzionale: innanzitutto, la nuova norma prevede l’acquisto della proprietà del bene da parte della amministrazione ex nunc, solo al momento della emanazione dell’atto di acquisizione, per cui non vi può essere acquisizione sanante in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato); vi è un obbligo di motivazione “rafforzato” in capo alla pubblica amministrazione in relazione alle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area (la motivazione deve indicare le “attuali ed eccezionali” ragioni di interesse pubblico che giustificano l’emanazione dell’atto valutate, comparativamente, con quelle degli interessati); l’atto deve rappresentare l’extrema ratio in assenza di valide alternative per l’acquisizione dell’area; nel computo dell’indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale (corrispondente al valore venale del bene) ma anche il danno non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene. Inoltre, gli atti relativi all’acquisizione sanante devono essere inviati alla Corte dei Conti per le valutazione in relazione alla eventuale sussistenza di ipotesi di responsabilità per danno erariale11. La Corte, quindi, ritiene compatibile con il principio di legalità tale nuovo istituto (si deve ricordare che questa era la critica più grave proveniente dalla C. eur. dir. uomo in relazione alla espropriazione indiretta).
Secondo la Corte Costituzionale, infatti, il potere acquisitivo previsto dall’art. 42 bis del testo unico non costituirebbe un trattamento privilegiato nei confronti della pubblica amministrazione rispetto a qualsiasi altro soggetto che abbia commesso un fatto illecito. L’adozione dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è espressione di un potere della pubblica amministrazione attribuito da una norma volto all’esercizio di una funzione amministrativa per scopi di pubblica utilità.
Se l’istituto sembra aver superato indenne il vaglio di costituzionalità resta, invece, aperto il problema relativo alla giurisdizione relativa alle controversie sull’indennizzo previsto dalla art. 42 bis per la perdita della proprietà.
In questo caso, non si discute più circa la riconducibilità del comportamento causativo dell’illecito all’esercizio del potere amministrativo: l’acquisizione sanante, infatti, è atto esercizio di un potere amministrativo. Il problema riguarda piuttosto la natura dell’indennizzo previsto dalla normativa. Si controverte, infatti, se questo si possa equiparare all’indennità di esproprio ovvero se debba ricondursi nell’alveo del risarcimento del danno.
Nell’ipotesi in cui l’indennizzo da acquisizione sanante venga equiparato alla indennità di esproprio, le controversie relative alla contestazioni sul quantum devono essere devolute alla giurisdizione ordinaria. Tale tesi è sostenuta da alcune pronunce del Consiglio di Stato (Cons. St., VI, 18.5.2015, n. 251012) secondo le quali verrebbe in rilievo l’art. 54 d.P.R. n. 327 dell’8.6.2001, recante il Testo unico sugli espropri, nella parte in cui intesta in capo alla Corte d’appello competente le questioni relative alla quantificazione degli indennizzi relativi agli espropri13.
Altre sezioni del Consiglio di Stato sostengono la tesi opposta, ossia quella della giurisdizione del giudice amministrativo relativamente a queste controversie (Cons. St., IV, 3.3.2014, n. 993; Cons. St., IV, 14.5.2015, n. 2454)14. Tale impostazione ritiene che al di là del nomen iuris attribuito dal legislatore l’indennizzo da acquisizione sanante non corrisponda all’indennità di espropriazione bensì si debba considerare un vero risarcimento.
Infatti, il presupposto dell’acquisizione sanante è sicuramente il pregresso cattivo uso dell’ordinario potere espropriativo, al quale sopravvive l’esigenza dell’amministrazione di continuare a trattenere il bene in considerazione della perdurante utilizzazione nell’interesse pubblico (restano fuori dalla fattispecie le ipotesi di occupazione usurpativa).
Secondo il Consiglio di Stato, il potere di cui all’art. 42 bis è “rimediale” ed è attribuito a seguito dell’originario errore nell’esercizio pregresso del potere, che necessita, per legittimarsi e giustificarsi, del previo e integrale ristoro del pregiudizio inferto, ancor prima che della pur necessaria dimostrazione dell’interesse pubblico al perdurante utilizzo dell’immobile. La norma stessa disciplina l’“indennizzo” come se fosse un risarcimento: non è proiettato al futuro in vista dell’ablazione del bene, è ripiegato sull’illecito pregresso nell’obiettivo di eliderne le conseguenze pregiudizievoli per la sfera giuridica del privato ossia il danno. L’azione della pubblica amministrazione, avvenuta in mancanza di un valido titolo, viene riequilibrata dal totale e integrale ristoro del sacrificio, compreso quello non patrimoniale liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene. Quest’ultimo sarebbe un non senso ove fosse collegato a un atto lecito: infatti, non si vede come si possa ipotizzare in capo al singolo diminuzioni di carattere non patrimoniale che non siano anche qualificabili come voci di “danno”. Il pregiudizio non patrimoniale è sempre considerato dall’ordinamento come un “danno”, ricomprendendo il danno morale, risarcibile in caso di reato o in altri casi previsti dalla legge, il danno alla persona, o alla vita di relazione, o ancora, in generale, agli interessi non patrimonialmente valutabili, oggetto di protezione costituzionale in forza di una ratio legis che ha come fondamento il particolare disvalore della condotta o la particolare pregnanza del bene attinto dal fatto illecito.
Secondo tale giurisprudenza essendo una questione risarcitoria la giurisdizione deve spettare al giudice amministrativo il quale ha giurisdizione esclusiva nella materia delle espropriazioni.
La questione, comunque, rimane aperta e in attesa di una definitiva risoluzione.
1 Il riparto di giurisdizione è specificamente disciplinato dall’art. 133, lett. f), c.p.a., disposizione che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni (…) nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa».
2 Cass., S.U., 16.7.2008, n. 19501, in Giust. civ. Mass., 2008, 78, 1148 secondo la quale l’azione risarcitoria relativa all’occupazione usurpativa, intesa come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza della dichiarazione di pubblica utilità, ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia per mancato inizio delle opere nel termine previsto, rientra nella giurisdizione ordinaria, sia che venga invocata la tutela restitutoria (eventualmente azionata, come nella specie, con ricorso per la reintegrazione del possesso), sia che, attraverso un’abdicazione implicita al diritto dominicale, si opti per il risarcimento del danno. La sentenza Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30254, in Riv. giur. ed., 2008, I, 1331, afferma che alla luce delle sentt. n. 204/2004 e n. 191/2006 della Corte costituzionale, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende alle controversie contro atti e comportamenti che costituiscano esecuzione di precedenti manifestazioni in forma provvedimentale di potere ablatorio in relazione al bene di cui si discute: pertanto, mentre spetta alla giurisdizione ordinaria la domanda intesa alla restituzione di un fondo occupato dopo che l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità è scaduta, appartengono, invece, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande relative a un decreto di espropriazione intervenuto successivamente al termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità ma quando l’occupazione e trasformazione dei fondi si sono consumate prima dello spirare di tale termine.
3 Rispettivamente in Dir. proc. amm. 2005, 214, con nota di L. Mazzarolli, e Dir. proc. amm. 2006, 1005 con nota di S. Malinconico, Il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi: riparto di giurisdizione e rapporto tra tutela demolitoria e risarcitoria: in particolare il caso dell’occupazione illegittima. Con la sentenza del 2006 la Corte ha chiarito che mentre nel caso dell’occupazione acquisitiva la traslazione in capo all’amministrazione del diritto di proprietà si perfeziona con l’irreversibile trasformazione del fondo e, quindi, il proprietario del fondo non può che chiedere la tutela per equivalente, nel caso dell’occupazione usurpativa il proprietario può scegliere tra la restituzione del bene o, qualora sia siano verificati i presupposti dell’effetto traslativo, la tutela per equivalente.
4 Cass., S.U., ord. 29.3.2013, n. 7938; Cass., S.U., ord. 16.12.2013, n. 27994, in Urb. app., 2014, 167.
5 Per un’analisi delle problematiche relative alla occupazione illegittima si veda Borgo, M. Morelli, M., L’acquisizione e l’utilizzo di immobili da parte della P.A., espropriazione per pubblica utilità e strumenti alternativi, Milano, 2012, 227. La Corte di Cassazione, S.U., 17.2.2014, n. 3660, stabilisce che le controversie risarcitorie per il danno da occupazione appropriativa, iniziate in periodo antecedente al 1° luglio 1998, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, secondo l’antico criterio di riparto diritti soggettivi-interessi legittimi, al pari delle medesime controversie, se iniziate nel periodo dal 1° luglio 1998 al 10 agosto 2000, data di entrata in vigore della l. n. 205 del 2000, per effetto della sentenza C. cost. n. 281/2004, che, ravvisando nell’art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, anteriormente alla riscrittura operata con l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, un eccesso di delega, ha dichiarato l’incostituzionalità delle nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva. Sono, invece, attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, le controversie risarcitorie per l’occupazione appropriativa instaurate a partire dal 10 agosto 2000, data di entrata in vigore dell’art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, come riformulato dall’art. 7, l. n. 205 del 2000, non già perché la dichiarazione di pubblica utilità sia di per sé idonea ad affievolire il diritto di proprietà, ma perché ricomprese nella giurisdizione esclusiva in materia urbanistico-edilizia, mentre la stessa giurisdizione è attribuita dall’art. 53, d.P.R. n. 327/2001, se la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta a partire dal 1° luglio 2003, data di entrata in vigore del t.u. espropriazioni.
6 Cass., S.U., ord. 16.12.2013, n. 27994, in Urb. app., 2014, 280, con nota di D. Ponte, Alti e bassi del riparto di giurisdizione: l’espropriazione di fatto.
7 Ponte, D., op. cit., 285, il quale rileva che lo sconfinamento può derivare dalla redazione dello stato di consistenza, da esigenze precauzionali e dalla necessità di operare una verifica di carattere idraulico o geologico sempre nell’esercizio del potere espropriativo. Nella sostanza, secondo l’Autore, è difficile stabilire se lo sconfinamento sia stato operato “di fatto” o originato dagli stessi atti della procedura espropriativa.
8 Sul punto si veda la sentenza C. eur. dir. uomo, 6.3.2007, n. 147, Scordino/Italia, in Urb. app., 2007, 965.
9 La decisione della Corte, infatti, sia pure con obiter rilevava un legittimo dubbio sulla idoneità della scelta realizzata con la norma di garantire il rispetto della CEDU. La C. eur. dir. uomo aveva precisato che l’espropriazione indiretta si poneva in violazione del principio di legalità perché non assicurava sufficiente certezza e permetteva all’amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione derivante da azioni illegali e ciò sia allorché derivi da una interpretazione giurisprudenziale sia allorché derivi dalla legge in quanto una tale espropriazione non si può sostituire al procedimento espropriativo «secondo buona e debita forma». Secondo la Corte, quindi, non era affatto sicuro che la trasposizione in legge di un istituto in grado di perpetuare le stesse conseguenze negative della espropriazione indiretta fosse la soluzione più adatta per eliminare il danno al principio di legalità posto in evidenza dalla C. eur. dir. uomo. Per un primo commento alla decisione si veda Patroni Griffi, F., Prime impressioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010 in tema di espropriazione indiretta, in Federalismi.it, n. 19/2010.
10 Disposizione introdotta con l’art. 34, d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 111/2011.
11 In Urb. app., 2015, 767 con nota di R. Artaria e E. Barilà.
12 In www.giustiziaamministrativa.it.
13 Si veda anche TAR Campania, Napoli, V, 13.4.2014, n. 2632, secondo la quale l’art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2000 disciplina uno speciale procedimento ablatorio ex post, a fronte del quale, come espressamente stabilito dal legislatore, al proprietario spetta un indennizzo per la perdita del diritto di proprietà (in particolare, sia per il pregiudizio patrimoniale che per quello non patrimoniale determinato, il primo, in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, il secondo, in misura forfettaria pari al dieci per cento del valore venale del bene, al venti per cento nel caso di cui al comma 5, oltre al risarcimento del danno per l’occupazione abusive, nella misura del cinque per cento in relazione al valore venale del bene), con la conseguenza che l’adozione di tale provvedimento di acquisizione muta da risarcitoria a indennitaria la pretesa del soggetto spogliato del bene, radicando definitivamente la giurisdizione del giudice ordinario.
14 TAR Sicilia, Catania, 19.12.2013, n. 3023, in Foro amm. – Tar, 2013, 3929. La decisione del Cons. St., IV, 2.3.2010, n. 1222, in Foro amm. – Cons. St., 2011, 1, 93 afferma nettamente che nel caso di azione formalmente diretta a sostenere che alcune aree erano state occupate sine titulo, ai sensi l’art. 53 d.P.R. 8.6.2001, n. 327 sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Tale disposizione ha assegnato decisiva rilevanza ai provvedimenti volti a imporre il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che dispongono la dichiarazione di pubblica utilità; in seguito all’attivazione del procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi.