La grande guerra
(Italia/Francia 1959, bianco e nero, 135m); regia: Mario Monicelli; produzione: Dino De Laurentiis per De Laurentiis/Gray Films; sceneggiatura: Age e Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Mario Monicelli; fotografia: Giuseppe Rotunno, Leonida Barboni, Roberto Gerardi; montaggio: Adriana Novelli; scenografia: Mario Garbuglia; costumi: Danilo Donati; musica: Nino Rota.
1917. Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si incontrano in un distretto militare, dove il primo promette, con l'inganno e dietro compenso, di far riformare l'altro. Invece si ritrovano entrambi in divisa su un treno, e la comune avversione alla guerra li fa diventare amici, in compagnia di una colorita varia umanità sottoposta, come loro, alle disavventure belliche. A Tigliano, un piccolo paese nelle retrovie, Busacca incontra la prostituta Costantina, che si finge innamorata di lui per rubargli il portafogli. Giunge il giorno temuto: all'improvviso Busacca e Jacovacci sono mandati al fronte, nonostante il loro tentativo di inserirsi nel gruppo guidato dal capitano 'Bollotondo' Castelli, che si reca a Mantova per le esercitazioni. Comincia la vita di trincea; i due tornano al paese solo per fare rifornimenti. Un giorno Busacca si imbatte nuovamente in Costantina e, dopo un litigio, si riconcilia con lei. Quando i due militari tornano dai loro compagni, scoprono che una spaventosa battaglia ha decimato il loro reparto e sono costretti a ritirarsi. Busacca incontra per la terza e ultima volta Costantina, ormai innamorata di lui, ma i due commilitoni sono incaricati di portare un'importante comunicazione a un avamposto e, scambiati per spie, vengono fatti prigionieri dagli austriaci. Per salvarsi devono rivelare le informazioni strategiche in loro possesso. Dapprima i due esitano; ma di fronte all'arroganza dell'ufficiale che li interroga, Busacca rifiuta di parlare e viene fucilato. Jacovacci tenta l'ultimo compromesso, sostenendo che solo il suo amico sapeva ogni cosa, ma finisce per subire la stessa sorte. I due muoiono proprio quando i loro compagni stanno sferrando l'attacco decisivo e la vittoria non è più così lontana.
La grande guerra è, da un lato, il frutto della maturazione di uno dei più proficui artigiani che il cinema italiano abbia conosciuto dalla fine della guerra, Mario Monicelli; dall'altro, nasce dall'intraprendenza del produttore italiano di maggiori ambizioni dell'epoca, Dino De Laurentiis. Il film realizza la fusione, per certi versi insuperata, tra la critica di costume della commedia e una prospettiva di riflessione storica non edulcorata; quest'ultima si dimostra capace di affrontare il passato con la stessa lucidità e lo stesso anticonformismo con il quale il cinema seguiva l'evoluzione della società italiana contemporanea. Il carattere antiretorico del film non mancò di suscitare reazioni sulla stampa sin dalla fase delle riprese, ma il suo successo di pubblico contribuì più di qualsiasi saggio alla demitizzazione della storiografia patriottica e romantica che aveva da sempre occultato il massacro della Prima guerra mondiale, sotto l'oratoria dell'ardimento e del sacrificio. La 'grande guerra' non era mai stata affrontata dal cinema italiano, se si eccettuano alcuni mediocri tentativi durante il fascismo e sporadiche produzioni minori negli anni successivi. Il fatto che il primo film che si prendesse la responsabilità di farlo scegliendo un indirizzo decisamente antieroico finisse per turbare anche un intellettuale tradizionalmente ostile alla retorica come Gadda ("Nessun pubblico francese o tedesco riderebbe a quel modo se i sacrificati, se i nomi in gioco, fossero di Francia o Germania", scrisse all'uscita del film), dà la misura dell'autentico tabù culturale che esso osò abbattere.
Nonostante qualche difetto di ritmo nella seconda parte, il soggetto, nelle mani soprattutto di Age e Scarpelli, dà vita a un'articolata partitura narrativa, che fornisce alle avventure eroicomiche dei due protagonisti lo sfondo di una coralità mobile e fluttuante, alimentata da una messe di notevoli comprimari (Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli, Livio Lorenzon, Nicola Arigliano, Tiberio Murgia, Ferruccio Amendola). La satira dell'eterna capacità di adattamento delle classi popolari italiane a ogni forma di vessazione, grazie a una risorsa illimitata di sotterfugi, fa da contrappunto alla ricostruzione dei limiti di uno Stato guidato da autorità mediocri o impotenti, che sono in grado di fronteggiare la catastrofe della guerra solo facendola pagare a sottoposti inermi e impreparati. Lo humour rafforza il contenuto critico del messaggio invece di neutralizzarlo, mentre la dovizia della ricostruzione d'epoca e la sua traiettoria drammatica forniscono spessore e una solida cornice alle tonalità comiche, invece di negarle: è la formula che caratterizzerà la commedia all'italiana, in cui la drammaticità, il grottesco, la disamina realistica e a tratti la disperazione e la rassegnazione colorano senza sosta l'intrattenimento comico del proprio inconfondibile retrosapore.
Monicelli, che qui può disporre di mezzi adeguati (grandi masse, scene e costumi di autorevolezza formale, un set di notevole investimento produttivo), si dimostra ottimo tecnico della messa in scena. Bilancia l'orizzontalità del CinemaScope, funzionale alla desolata prospettiva della guerra di trincea, con una regia impeccabile di masse e movimenti nella profondità di campo, con la costruzione di fluidi e articolati piani sequenza, con la semplice intensità dei primi piani dei due protagonisti, che riempiono la caricatura del loro regionalismo con una provvista sorprendente di sfumature psicologiche: dalla malizia puerile alla commozione, dal panico al sarcasmo, dalla diffidenza reciproca alla imprevista solidarietà, dal 'fatalismo rinunciatario' all'involontario ma toccante eroismo.
Il film ha vinto nel 1959 il Leone d'oro alla Mostra di Venezia (ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini) e, nel 1960, due Nastri d'argento: ad Alberto Sordi come migliore attore e a Mario Garbuglia per le scenografie. Ha inoltre ricevuto una nomination all'Oscar nel 1960 come miglior film straniero.
Interpreti e personaggi: Alberto Sordi (Oreste Jacovacci), Vittorio Gassman (Giovanni Busacca), Silvana Mangano (Costantina), Folco Lulli (Bordin), Bernard Blier (capitano Castelli, 'Bollotondo'), Romolo Valli (tenente Gallina), Livio Lorenzon (sergente Battiferri), Nicola Arigliano (Giardino), Tiberio Murgia (Rosario Nicotra), Mario Valdemarin (sottotenente Loquenzi), Achille Compagnoni (cappellano militare), Vittorio Sanipoli (maggiore Venturi), Carlo D'Angelo (capitano Ferri), Ferruccio Amendola (Deconcini), Marcello Giorda (generale), Elsa Vazzoler (moglie di Bordin), Guido Celano (ufficiale di Stato Maggiore), Gerard Herter (ufficiale austriaco), Tiberio Mitri (Mandich), Luigi Fainelli (Giacomazzi), Leandro Punturi (bambino), Mario Colli, Mario Feliciani, Mario Frera, Mario Mazza, Gianluigi Polidoro, Edda Ferronao.
Hawk., La grande guerra, in "Variety", September 16, 1959.
G. Aristarco, Venezia. Il volto e le possibilità astratte, in "Cinema nuovo", n. 141, settembre-ottobre 1959.
M. Morandini, Fratelli d'Italia, l'Italia l'è questa?, in "Schermi", n. 19, dicembre 1959.
C.E. Gadda, La grande guerra, in "Settimo giorno", n. 50, 13 dicembre 1959.
S. Della Casa, Mario Monicelli, Firenze 1986.
I. Perniola, 'La grande guerra' o della codardia resa virtù, in Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, a cura di L. De Franceschi, Venezia 2001.
Sceneggiatura: La grande guerra, a cura di F. Calderoni, Bologna 1959.