La grande illusion
(Francia 1937, La grande illusione, bianco e nero, 113m); regia: Jean Renoir; produzione: Frank Rollmer, Albert Pinkevitch per Réalisations d'Art Cinématographique; sceneggiatura: Charles Spaak, Jean Renoir; fotografia: Christian Matras; montaggio: Marguerite Houllé-Renoir; scenografia: Eugène Lourié; costumi: René Decrais; musica: Joseph Kosma.
Prima guerra mondiale. Il capitano tedesco von Rauffenstein ha abbattuto un aereo francese. A bordo si trovavano il tenente Maréchal e il capitano de Boëldieu. I due, che si sono salvati, sono invitati al tavolo di von Rauffenstein, che entra in sintonia con de Boëldieu a causa delle comuni origini aristocratiche. Poi sono portati al campo di Hallbach: tra i loro compagni di camerata c'è un ebreo di nome Rosenthal. I prigionieri allestiscono uno spettacolo e, quando giunge la notizia che Fort Douaumont è stato tolto ai tedeschi, intonano la Marsigliese. Maréchal, tenuto in isolamento, ha un crisi di nervi; quando esce, trova quasi completato il tunnel che da tempo i prigionieri stavano scavando per evadere. Ma il piano salta a causa del trasferimento in un castello adibito a prigione, sotto il comando di von Rauffenstein, ora invalido. De Boëldieu organizza un nuovo piano di fuga per Maréchal e Rosenthal. In seguito a uno scoppio di baccano programmato, i prigionieri sono riuniti nel cortile. Manca il capitano: è sul tetto che suona il flauto. Suo malgrado, von Rauffenstein gli spara mortalmente. Maréchal e Rosenthal approfittano del caos per evadere e trovano rifugio da Elsa, una contadina vedova che diventa amante di Maréchal. Prima di ripartire, l'uomo le promette che a fine guerra, se sarà vivo, tornerà. I fuggiaschi oltrepassano il confine svizzero, schivando di un nonnulla il fuoco tedesco.
Dopo diciannove film, con La grande illusion finalmente per Jean Renoir arrivò un incondizionato successo di critica e pubblico. Il film, un appello alla pace rivolto a un pubblico internazionale, era tuttavia meno ottimista di quelli precedentemente realizzati dal regista a favore del Fronte Popolare Francese. La fuga dei due prigionieri è infatti posta in parallelo alle ingenti perdite umane che il film intende commemorare. La pellicola fu vietata in Germania e successivamente in Austria, in Italia e nella Francia occupata, mentre il presidente Franklin Delano Roosevelt sosteneva che tutte le democrazie del mondo avrebbero dovuto conoscerla.
La grande illusion è ispirato alla storia del capitano Armand Pinsard, che nel 1916 aveva salvato Renoir (allora pilota di ricognizione) dall'attacco di un caccia nemico e le cui evasioni dal carcere militare erano state documentate nel 1917 dal volume La guerre aérienne illustrée. Renoir incontrò nuovamente Pinsard nel 1934, mentre stava girando Toni in Provenza. Dalle loro di-scussioni prese vita il soggetto del film. Il cineasta era convinto di poter realizzare il suo progetto soltanto con il sostegno di una star affermata come Jean Gabin, e infatti intorno al suo personaggio venne costruita l'intera sceneggiatura. Pierre Fresnay aggiungeva l'elemento della differenza di classe tra i due protagonisti, mentre Marcel Dalio impersonava il rappresentante di una ricca famiglia ebrea che si era assicurata un titolo nobiliare in seno all'aristocrazia francese. Dita Parlo era troppo celebre per il piccolo ruolo inizialmente previsto per lei; intorno al suo personaggio prese quindi forma la terza parte del film. Carl Koch, reduce di guerra tedesco e amico di Renoir, era del parere che fosse necessario dare risalto anche ai personaggi tedeschi, per rafforzare il carattere internazionale del film. Il regista Erich von Stroheim, che aveva profondamente influenzato i primi film di Renoir, diede così vita al personaggio di von Rauffenstein con uno stile inimitabile.
I temi, lo stile visivo, la caratterizzazione dei personaggi e le simmetrie strutturali del film sono illustrati perfettamente già nei primi cinque minuti. L'avamposto francese e quello tedesco sono straordinariamente simili, anche se la musica (elemento determinante nel film), le bevande e le donne nei sogni dei soldati appartengono a culture diverse. Renoir utilizza i vani delle porte o, in scene successive, delle finestre per conferire profondità e bellezza alle immagini. Inoltre, talvolta ricorre a insoliti movimenti di macchina che gradualmente ci rivelano il carattere dei personaggi e le loro tensioni drammatiche. Un esempio indimenticabile lo troviamo mentre si prova lo spettacolo teatrale: la macchina da presa si avvicina a un giovane ufficiale vestito da donna, poi inizia a muoversi lentamente fino a mostrare l'intero ambiente, pieno di uomini che fissano il giovane come ipnotizzati.
L'esperienza internazionale di Renoir aveva rafforzato la sua opinione, in più occasioni riaffermata, che le differenze di classe fossero più profonde di quelle nazionali. Il ritratto dei soldati tedeschi è umanissimo: a volte basta una parola o un gesto per suggerire il segreto sentimento di fratellanza che li lega ai loro equivalenti francesi, come nella scena in cui l'uomo incaricato di fare la guardia a Maréchal gli procura un'armonica. Anche i due aristocratici, a dispetto delle rispettive bandiere, hanno molto in comune. L'amore fra un uomo e una donna di nazioni nemiche si sviluppa in modo naturale, e il film si chiude sulla solidarietà dei soldati tedeschi che evitano di aprire il fuoco. Ma il finale rimane aperto, come in molti film di Renoir: non sapremo mai se Maréchal farà davvero ritorno.
Interpreti e personaggi: Jean Gabin (tenente Maréchal), Erich von Stroheim (capitano von Rauffenstein), Pierre Fresnay (capitano de Boëldieu), Marcel Dalio (Rosenthal), Dita Parlo (Elsa), Julien Carette (Traquet), Gaston Modot (ingegnere del catasto), Jean Dasté (maestro), Georges Péclet (Cartier), Jacques Becker (ufficiale inglese), Claude Sanval (Ringis).
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 44, janvier 1965.