La grande paura dei vaccini
Cresce in Italia la diffidenza delle famiglie nei confronti delle vaccinazioni, anche sulla base di teorie pseudoscientifiche già ampiamente smentite. La prevenzione deve passare dalla fase dell’obbligo a quella del consenso informato.
I dubbi, le incertezze e soprattutto la diffidenza – che ancora oggi aleggia – sulle vaccinazioni in genere hanno trovato conferma negli ultimi anni in una serie di episodi emblematici, come quello della ‘pandemia mediatica’ causata nel 2009 dal virus dell’influenza A/H1N1v e quello (2012) del ritiro da parte del Ministero di un vaccino antinfluenzale per presunte imperfezioni (poi non confermate), per continuare con il caso, nel 2014, dell’ipotesi di correlazione fra la vaccinazione antinfluenzale e alcuni decessi successivi (anch’essa poi non confermata), seguito infine dalla vicenda del ritiro cautelativo di un vaccino esavalente da parte della sua stessa azienda produttrice.
Questi interventi – invece che essere interpretati come un’attenzione particolare alla sicurezza, come peraltro avviene per altri prodotti farmaceutici – sono stati ribaltati come una prova certa della pericolosità dei vaccini da parte dei denigratori della vaccinazione, i cui argomenti sono stati enfatizzati e ormai dati per scontati nonostante siano stati scientificamente contrastati.
Le vaccinazioni subiscono infatti le conseguenze di un problema di fondo: mentre siamo abituati a utilizzare abitualmente i farmaci – di cui spesso siamo edotti sulla possibilità di loro effetti collaterali – perché abbiamo i sintomi della malattia e quindi l’urgenza di stare meglio, per un vaccino dobbiamo invece convincerci dell’utilità di accettare una scommessa sul futuro (la possibile esposizione a un virus o un batterio, che peraltro non si vedono e quindi non si potrà mai valutare se effettivamente ne saremo venuti in contatto) a fronte di possibili effetti collaterali da scontare nell’immediato. Inoltre, è la stessa efficacia delle campagne vaccinali che riduce la percezione della pericolosità delle patologie da esse prevenute. Un esempio eclatante riguarda la poliomielite, che sino a due generazioni fa era ampiamente diffusa anche nella popolazione italiana; i nostri padri ricordano sicuramente casi tra i conoscenti o addirittura in famiglia di paralisi flaccida dovuta al virus polio. Oggi invece che la malattia è stata eradicata – almeno nel nostro continente – grazie all’uso del vaccino, se ne mettono in evidenza in eccesso i suoi possibili effetti collaterali.
Anche questo particolare periodo storico, complice la crisi economica e la crescente disaffezione delle persone nei confronti delle istituzioni nel loro insieme, ha contribuito a creare un clima di diffidenza nei confronti della pratica vaccinale. Partiamo da un presupposto utile a chiarire i termini della questione: le vaccinazioni nel loro insieme costituiscono uno dei più sicuri ed efficaci metodi per garantire la salute pubblica cercando di immunizzare ampie fasce di popolazione nei confronti di agenti patogeni che – lasciati liberi di circolare all’interno della nostra società – potrebbero creare ondate epidemiche con gravi ricadute in termini di salute pubblica, costi sociali e aggravio delle spese a carico del sistema sanitario.
L’efficacia della pratica è dunque legata alla sua diffusione: si cerca infatti di avere un’immunità cosiddetta ‘di gregge’ tale da evitare il contagio anche tra coloro che per vari motivi non possono essere vaccinati. In questo modo è possibile ottenere risultati straordinari da un punto di vista sanitario: basti pensare alla vaccinazione antivaiolosa che ha permesso l’eradicazione totale della malattia in tutto il mondo nel 1978.
Solo 25 anni prima, questa malattia contagiava 50 milioni di persone, con un tasso di mortalità vicino al 35%. L’attuale successo delle pratiche vaccinali è del resto indicato dai dati: nel decennio 2000-10 c’è stata una riduzione consistente dei casi di epatite B, che sono calati dell’81,54%, di morbillo (73,37%) e di rosolia (98,20%). Inoltre, nel 2002 l’Italia è stata dichiarata dall’OMS – così come tutta la regione europea – polio-free. I casi di difterite sono stati 0 e 57 quelli di tetano. Anche la parotite è diminuita sensibilmente: da 37.669 casi del 2000 siamo giunti, nel 2010, a 534 casi, con un decremento del 98,58%.
Una storia, tra tutte, può fungere da esempio di quanto detto: il famoso (ma sarebbe più corretto dire famigerato) studio apparso sulla rivista medica Lancet che avrebbe dimostrato la correlazione tra autismo e vaccino contro il morbillo.
Tale studio, condotto da un medico britannico, Andrew Wakefield, nel 1998, rappresenta un falso riconosciuto dallo stesso autore. Wakefield aveva truccato i dati al fine di evidenziare come il calendario vaccinale (più ancora dello stesso vaccino, tra l’altro) potesse predisporre alcuni bambini verso il disturbo autistico. Lancet, riconosciuto l’errore, pubblicò per la prima volta nella sua prestigiosa storia una smentita con tanto di scuse, ma ormai il danno era compiuto. E la teoria, falsa, di Wakefield rimane tuttora un’arma in mano al fronte degli antivaccinatori che ignorano – o fingono di ignorare – la conclusione della storia.
Tuttavia lo studio di Wakefield non è la sola argomentazione che viene posta in essere dal fronte degli antivaccinatori; anche gli interessi economici in gioco rappresenterebbero, a loro dire, il vero motivo che spingerebbe alla vaccinazione: i protocolli vaccinali messi a punto non sarebbero altro se non i frutti di un accordo perverso tra governi e case farmaceutiche per garantire alle ultime un fatturato derivante dall’obbligatorietà della vaccinazione stessa. In realtà, dagli anni Cinquanta del secolo scorso a seguire, l’impegno e la ricerca sui vaccini sono diminuiti: lo studio e l’approvazione di un nuovo vaccino sono estremamente dispendiosi a fronte di un fatturato che non è poi così ricco come si potrebbe immaginare.
A livello mondiale il mercato dei vaccini è di circa 8 miliardi di euro, una cifra che rappresenta soltanto il 2% dell’intero mercato farmaceutico, una somma equivalente più o meno alle vendite di un solo farmaco di successo contro l’ulcera. Durante gli ultimi 40 anni la maggior parte delle ditte farmaceutiche non ha mai considerato i vaccini come una opportunità commerciale attraente a causa del basso ritorno dell’investimento e della esposizione alle responsabilità legali, che costituiscono un problema enorme.
Questo spiega perché nessuna delle maggiori aziende farmaceutiche ha un programma serio per lo sviluppo di vaccini contro la tubercolosi o la malaria, patologie che interessano un mercato che non ha grandi possibilità economiche, e a oggi nessuna istituzione pubblica ha il denaro per sopportare i costi della ricerca.
In Italia, se l’esistenza di un doppio regime di vaccinazione (vaccinazione obbligatoria e raccomandata) ha avuto un importante impatto storico, oggi danneggia la strategia vaccinale. Infatti gli operatori sanitari, i servizi e la popolazione inesorabilmente sottovalutano i vaccini raccomandati mentre adempiono all’obbligo vaccinale in maniera spesso routinaria e impiegatizia, trascurando l’impegno informativo che è elemento cruciale di ogni atto preventivo.
Senz’altro quindi è ormai indispensabile un passaggio progressivo dall’obbligo alla persuasione, dalla imposizione poliziesca al consenso informato; ma tutto ciò deve essere compensato con un’ampia campagna di informazione che coinvolga tutta la popolazione.
Ormai è comunque in atto una depenalizzazione, anche se a tutt’oggi l’obbligo vaccinale non è stato abolito. Di fatto alcune disposizioni già in essere che vedono preponderante, giustamente, l’interesse alla scolarizzazione rispetto all’adesione alle vaccinazioni permettono alle scuole di accettare gli alunni pur in presenza di inadempienza vaccinale, fatto l’obbligo di avvisare le ASL. In Veneto da alcuni anni si è attuata una sospensione dell’obbligo vaccinale con l’intento di arrivare all’adesione spontanea grazie a un serio lavoro di sensibilizzazione e soprattutto di predisposizione dei servizi vaccinali già in atto da tempo nella Regione. La pratica della vaccinazione, per quanto indispensabile per raggiungere risultati fondamentali in termini di salvaguardia della salute pubblica, sta diventando sempre meno gradita alle famiglie, ragione per cui – prima di dover affrontare tensioni di carattere culturale e istituzionale – è preferibile investire nella cultura della prevenzione. Che deve essere comunicata in maniera corretta, trasparente ma anche puntuale nei confronti della disinformazione e delle mistificazioni ideologiche.
Edward Jenner Dati sul vaccino antinfluenzale
USA, è scontro sulle vaccinazioni fra democratici e repubblicani
Dal mese di dicembre 2014 un’epidemia di morbillo ha colpito gli Stati Uniti. Una spiacevole novità in un paese nel quale dal 2000 la malattia non si manifestava più. Vaccinazione sì, vaccinazione no: si è subito innescata una polemica politica dai contorni ideologici fra repubblicani e democratici, uno dei tanti temi che infervora la campagna elettorale dei candidati alla Casa Bianca per le elezioni del 2016. Il Partito repubblicano è quello che maggiormente strizza l’occhio ai movimenti di opposizione ai trattamenti obbligatori (negli USA le vaccinazioni sono rese di fatto obbligatorie perché necessarie per l’iscrizione scolastica) in nome di una inviolabile libertà di scelta nei trattamenti sanitari da garantire ai genitori. Fra i democratici, invece, tende a prevalere una fiducia nei confronti della comunità scientifica, e quindi si garantisce un pieno sostegno alle campagne in favore delle coperture vaccinali. Se sul fronte democratico, a proposito dell’epidemia di morbillo, Hillary Clinton interviene infatti twittando «la scienza è chiara: la terra è rotonda, il cielo è blu, e i vaccini funzionano», sul fronte repubblicano sullo stesso tema 2 esponenti in corsa per le primarie alla Casa Bianca, Chris Christie e Rand Paul, prendono le distanze dalle posizioni democratiche con accenti diversi, attirandosi comunque entrambi le ire di gran parte della comunità medico-scientifica. Il primo, governatore del New Jersey, che pure i suoi 4 figli li ha tutti vaccinati, ne fa una questione di principio («i genitori devono avere qualche potere di scelta, ci vuole equilibrio e poi dipende da vaccino a vaccino»), il secondo non usa invece mezze misure («i vaccini possono provocare disturbi mentali»). Secondo un sondaggio del Pew research center, se nel 2009 il 71% dell’opinione pubblica, tanto di matrice repubblicana che democratica, era a favore della vaccinazione dei bambini, nel 2014 il sostegno fra i democratici è salito al 76%, mentre quello fra i repubblicani è sceso al 65%.
Allarme vaccinazioni in Italia: crollo per il morbillo mentre calano tutte le altre
I dati riferiti allo scorso anno elaborati dall’Istituto superiore di sanità e pubblicati dal Ministero della Salute parlano chiaro. Il livello delle vaccinazioni in Italia non è mai stato così basso da 10 anni a questa parte e si è ben al di sotto degli obiettivi minimi previsti dal precedente Piano nazionale per la prevenzione vaccinale. Scendono infatti al di sotto del 95% le vaccinazioni per poliomielite, tetano, difterite ed epatite B, mentre si ha un crollo all’86,6%, oltre 4 punti percentuali in meno, per il cosiddetto vaccino trivalente: morbillo, parotite e rosolia.
Marche, Abruzzo, Val d’Aosta e Puglia le regioni dove i genitori più spesso fanno mancare ai figli la copertura vaccinale. Con una diminuzione dell’immunizzazione al di sotto del 95% si determina una circolazione dei virus e dei batteri in grado di far risalire apprezzabilmente il numero di casi di malattie che erano quasi scomparse, venendo a mancare una protezione diffusa – la cosiddetta ‘immunità di gregge’ – nella popolazione. Ciò significa che saranno più esposti alle malattie in particolare i bambini immunodepressi, quelli malati per esempio di tumore, in cui la vaccinazione di per sé non è mai completamente efficace.
Il rischio che tornino malattie ‘dimenticate’ come la difterite, che ha già fatto capolino in Spagna, o che le morti per morbillo si vadano diffondendo sempre di più è altissimo, dal momento che in Italia dal 2013 i casi di questa patologia sono stati ben 4094.
Emblematico poi il caso del neonato di 28 giorni morto di pertosse nell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna a ottobre. La pertosse è una malattia che non rientra nelle vaccinazioni obbligatorie in Italia, ma in quelle raccomandate a partire dai 2 mesi di età, come il morbillo e la rosolia stesse. Si tratta di una malattia fastidiosa per chiunque, ma non pericolosa. Nel bambino piccolo invece è potenzialmente letale: il fatto che ci sia una recrudescenza nei bambini nei primi mesi di vita, deriva proprio dal calo della copertura vaccinale nei bambini di età maggiore con cui i neonati vengono a contatto.
Fa discutere, infine, la provocatoria presa di posizione assunta da Gualtiero Walter Ricciardi, nuovo presidente dell’Istituto superiore di sanità, il quale senza mezzi termini, di fronte alla criticità della situazione, ha affermato che è necessario «richiamare e sanzionare gli operatori della sanità pubblica, dai medici e pediatri alle ostetriche, che gettano discredito sui vaccini e suggeriscono ai genitori di non vaccinare i propri bimbi. Andrebbero rimossi».