Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel passaggio tra Seicento e Settecento il valore ideologico delle immagini si allenta: l’iconografia celebrativa dell’arte barocca è riproposta solo in termini di finzione e artificio. In questo clima mutato si afferma il nuovo gusto rococò, riconoscibile in pittura per un generale schiarimento della tavolozza, un aggraziarsi di forme, un’invenzione libera e una tematica laica e mondana. L’estro e la genialità degli artisti trovano allora espressione nella compiaciuta esibizione delle proprie capacità d’invenzione e di abilità tecnica.
Dalla retorica barocca al decorativismo rococò
Nel Seicento e nell’età barocca l’ostentazione del fasto e del lusso da parte di principi e sovrani era sentita come indispensabile all’affermazione di un potere assolutistico. Nelle dimore, nel cerimoniale e nelle feste lo spettacolo si trasformava infatti in sfoggio di sovranità, in atto pubblico che soggiogava i sudditi facendoli partecipi di un rito di sottomissione. Nei cicli dipinti il linguaggio dei simboli e delle allegorie esaltava le virtù del sovrano legittimandone l’autorità e l’investitura divina. Ma all’inizio del Settecento l’equilibrio tra potere assoluto e ubbidienza dei sudditi si incrina: le sconfitte militari di Luigi XIV, gli scandali della reggenza e la conquista del trono d’Inghilterra da parte della casa d’Orange mettono in crisi un po’ ovunque il principio di autorità. Inizia così “un’epoca in cui i riti maestosi della sovranità saranno soppiantati dai loro simulacri”, e se questi riti resisteranno ancora a lungo sarà solo in termini di finzione e artificio, come occasioni di svago e di evasione, per una corte sempre più isolata dal resto della nazione e intenta al soddisfacimento di interessi e piaceri privati.
Anche in campo artistico il significato ideologico delle immagini si allenta: gli schemi e i temi della decorazione barocca resistono solo come formule convenzionali adatte a lusingare la vanità dei principi, divenuti unici destinatari di un universo di immagini che non soggioga più, ma seduce e diverte. La retorica del repertorio celebrativo tradizionale si trasforma “in vuoto balbettio, o meglio, in un discorso pieno solo di nobili luoghi comuni”. La perdita di significato dei vecchi contenuti offre allora all’artista la possibilità di affermare più liberamente la propria personalità, senza vincoli né condizionamenti, in una compiaciuta esibizione delle proprie capacità di invenzione fantastica e di abilità tecnica. Così, nel passaggio tra barocco e rococò, la pittura decorativa perde in tensione ideologica, ma acquista in vivacità e freschezza grazie ad abilissimi decoratori, più preoccupati di affermare la propria “bravura” che di dare credibilità al loro mondo di favola e di sogno. Ha scritto Jean Starobinski: “Il lusso settecentesco sfrutta, modificandole, le diverse forme attraverso cui si era espresso il linguaggio dell’autorità, ma non corrispondendo più al contenuto che era stato il loro, queste restano fini a se stesse: l’artista può servirsene capricciosamente per soddisfare il gusto della varietà”. L’affermarsi del nuovo gusto “è riconoscibile in pittura, specie in quella ad affresco, per un generale schiarimento della tavolozza, per un aggraziarsi delle forme rispetto alle esuberanze barocche, per un farsi più audace, libero e spiritoso delle invenzioni prospettiche, […] per un’intonazione insieme tenera e frivola che coinvolge lo spettatore nel gioco delle composizioni illusionistiche e delle storie narrate, ma chiamandolo appunto a partecipare a una finzione” (Bossaglia).
La pittura veneziana in Inghilterra
Estro, genialità ed esuberanza creativa unite a facilità d’esecuzione e assoluta padronanza della tecnica sono, non a caso, le doti che fanno di Giambattista Tiepolo il più apprezzato e richiesto tra i pittori in Europa, l’ultimo grande interprete di una pittura illusionistica che spalanca gli spazi sul teatro della storia e sui cieli rosati di un Olimpo sempre pronto a celebrare glorie e apoteosi. La sua arte, che domina incontrastata il panorama artistico veneziano nella prima metà del Settecento, raccoglie e porta alle estreme conseguenze le conquiste di quei pittori veneziani che, nei primi due decenni del secolo, avevano offerto una valida alternativa al “tenebrismo” tardobarocco, riportando nella pittura locale la ricchezza cromatica che era stata il lascito più fecondo della tradizione decorativa di Paolo Veronese: Giovanni Antonio Pellegrini, Sebastiano Ricci, Jacopo Amigoni, Antonio Bellucci, Gaspare Diziani.
In questo senso dovettero giocare un ruolo importante le opere lasciate allo scadere del Seicento da Luca Giordano, esempio di libertà pittorica e di ritrovata sensibilità ai valori della luce e del colore. Gli effetti di questo rinnovamento si fanno sentire a Venezia solo alla fine del secondo decennio: le premesse sono all’estero, dove i pittori veneziani, chiamati a lavorare presso le principali corti europee, gettano le basi di una nuova, felicissima koinè figurativa, diffondendo in termini di grande decorazione il linguaggio rocaille nato all’inizio del Settecento negli interni degli hôtels particuliers parigini.
I primi esempi del nuovo linguaggio decorativo si registrano in Inghilterra, dove nel 1708 giunge Giovanni Antonio Pellegrini, il più estroso e audace dei pittori itineranti veneziani. Lontano dalla patria e dai vincoli di una cultura attardata e conservatrice l’artista, in collaborazione con il paesaggista Marco Ricci, crea una pittura sensuale e raffinata, freschissima per rapidità di tocco e preziosità di tinte. Le occasioni di lavoro gli vengono offerte dai membri della nuova aristocrazia whig che proprio in quegli anni aveva affidato all’architetto John Vanbrugh la costruzione di eleganti dimore in stile neopalladiano: Lord Manchester a Kimbolton Castle, Lord Carlisle a Castle Howard, Sir Andrew Fontaine a Narford Hall. Il Pellegrini impreziosisce gli interni di quese abitazioni con allegorie, storie bibliche, miti galanti e gustose comparse di derivazione veronesiana, realizzate in uno stile levitante e corsivo, quasi da bozzetto.
Dopo la partenza del Pellegrini nel 1713 il successo dei pittori veneziani in Inghilterra prosegue con Sebastiano Ricci che vi era giunto nel 1711, al termine di un lungo itinerario di formazione, compiuto a Bologna, Parma, Roma e Napoli, che gli aveva consentito di dotarsi di una vasta cultura visiva e di rinnovare progressivamente l’impronta barocca del suo stile attraverso il recupero delle larghe e luminose stesure cromatiche di Paolo Veronese. Prima della partenza per Londra, l’artista aveva riproposto l’illusionismo aereo e le tematiche celebrative dei modelli fiorentini di Pietro da Cortona e Luca Giordano nel soffitto della sala degli Specchi del castello di Schönbrunn a Vienna (1702). Il soggetto, L’esaltazione del condottiero virtuoso, viene sviluppato lungo i lati della volta con la messa in scena di una battaglia navale e una campale, dando vita ad un continuum narrativo incalzante che si placa solo al centro, dove il condottiero è portato sulle nubi per essere glorificato e incoronato dalle virtù. Dopo la distruzione dell’ambiente, resta a documentare questa impresa il modelletto (Treviso, Museo Civico), che già i contemporanei giudicavano più “armonioso e saporito che non l’opera a fresco”.
Pochi anni dopo, nella decorazione dell’appartamento estivo di palazzo Maruccelli a Firenze (1705-1706), Sebastiano Ricci mostra di essersi liberato da ogni retaggio barocco per dar libero corso a uno spettacolo pittorico che sfrutta ogni risorsa (tele, affreschi, finte architetture, trompe l’oeil, timbri cromatici, luci fenomeniche) per tradurre la tematica moraleggiante del programma iconografico, Il trionfo della pace e delle virtù, in un racconto seducente, luminoso e coloratissimo. L’intonazione profana e il ritmo disteso della narrazione annunciano l’incipiente affermazione del gusto rococò che affiora più decisamente nelle opere eseguite in Inghilterra. Al suo arrivo, l’artista lavora subito per il giovane Lord Burlington, il più colto e influente mecenate inglese della prima metà del Settecento. Per la sua casa di Londra, attuale sede della Royal Academy, e per la villa di Chiswick egli realizza, in collaborazione con il nipote Marco Ricci, una serie di tele e di pitture decorative che, alla tematica moraleggiante e celebrativa dell’iconografia barocca, sostituisce quella profana del Trionfo di Amore. In linea con la progressiva perdita di valore dei contenuti, anche le favole mitologiche (Venere e Cupido, Diana e Endimione, Bacco e Arianna) perdono la loro aura solenne e si trasformano in temi galanti dove la felicità della resa pittorica e il cromatismo brillante riscattano l’atmosfera leziosa e sottilmente sensuale dei soggetti.Il consenso incontrato dal Ricci presso l’aristocrazia inglese è testimoniato dal prestigio di alcune commissioni come la Resurrezione affrescata nell’abside dell’ospedale di Chelsea (1716), un’opera di grande impegno, risolta in una fantasmagoria di freschi colori.
Alla fine del secondo decennio la fortuna dei pittori veneziani in Inghilterra comincia a declinare per l’ostilità dei pittori locali che ne impediscono l’accesso alle commissioni più importanti: nel 1716 la decorazione della cattedrale di San Paolo e degli appartamenti reali di Hampton Court, a cui Sebastiano Ricci aspirava, viene affidata a James Thornhill, il più importante decoratore inglese del primo Settecento. Nel corso del terzo decennio si registra inoltre un progressivo orientarsi del gusto verso nuovi generi pittorici, quali il ritratto, il paesaggio e la veduta. L’ultimo interprete del decorativismo veneziano in Inghilterra, Jacopo Amigoni, giunto a Londra nel 1729 in compagnia del celebre cantante Carlo Farinelli, dopo un primo lusinghiero successo come pittore di delicate mitologie si dedica esclusivamente alla pratica del ritratto.
La decorazione rococò nell’Europa centrale
In Francia la diffusione del gusto rocaille nella decorazione d’interni mette al bando la pittura monumentale a olio o ad affresco. La pittura, ridotta a dipinti di piccole dimensioni, incastonati nelle boiseries o destinati a far da soprapporte, assume un ruolo accessorio e diviene anch’essa puro ornamento. Nel salone ovale dell’Hôtel de Soubise (1737-1740), uno dei pochi interni rococò giunto integro fino a noi, gli otto pannelli con le Storie di Psiche, dipinti con teneri colori da Charles-Joseph Natoire, si inseriscono nella decorazione come fossero una corona di perle preziose.
L’unico grande affresco eseguito in Francia nel periodo della Reggenza è opera del Pellegrini, che nel 1720 ottiene dal duca di Orléans l’incarico di decorare il soffitto della galleria del Mississippi della Banque Royale di Parigi.
Il soggetto, una complessa allegoria dei benefici economici assicurati dalla banca e dal sistema finanziario inaugurato da John Law, viene svolto con tale libertà inventiva e freschezza esecutiva da suscitare vivaci reazioni. Il celebre collezionista Pierre-Jean Mariette, che non ne comprende la dimensione squisitamente decorativa, giudica il Pellegrini “un praticante che intraprendeva a dipingere un vasto soffitto come un altro avrebbe dipinto un quadro da cavalletto”. L’affresco ha però vita breve e scarse possibilità di influire sull’ambiente artistico della capitale: dopo il fallimento della banca e la trasformazione dell’edificio in Biblioteca Reale, viene distrutto, a soli due anni dal suo compimento.
Nell’Europa centrale il rinnovamento in senso rococò del linguaggio decorativo è assicurato ancora una volta dall’incessante attività della schiera dei veneziani che operano a turno presso le varie corti: Antonio Bellucci e Federico Bencovich a Vienna, Gaspare Diziani a Dresda e Jacopo Amigoni a Monaco. Quest’ultimo è attivo nel padiglione di Badenburg a Nymphenburg, nell’abbazia benedettina di Ottobeuren e nel castello di Schleissheim, dove il suo stile si definisce secondo i parametri di grazia e leggerezza tipici del gusto rococò. Tuttavia, nonostante i frequenti contatti con Ricci e Pellegrini, la sua maniera risulta più elegante e formalmente controllata, più levigata nella stesura, più fredda e cristallina nei colori.
Dopo la partenza da Londra (1713), anche il Pellegrini si reca in Germania e si ferma a Düsseldorf (1714-1716), capitale del Palatinato, dove le importanti imprese decorative promosse dal principe-elettore Giovanni Guglielmo gli offrono la possibilità di raggiungere nuovi e più audaci traguardi: nei due soffitti con la Caduta di Fetonte e la Caduta dei giganti, affrescati nel castello di Bensberg, o nella serie di tele raffiguranti in forma allegorica gli eventi e i benefici della dinastia (oggi a Schleissheim), le forme si sfaldano e i colori si stemperano in una luce argentea, creando una visione fantastica, piena di brio e di felicità creativa. Il progetto si ispirava al ciclo dipinto da Rubens per Maria de’ Medici, ma qui l’assunto encomiastico perde la sua retorica e si trasforma nello spettacolo effimero di una rappresentazione teatrale.Dopo Düsseldorf, Pellegrini si reca in Belgio, in Olanda, tre volte a Parigi, poi di nuovo in Baviera, a Würzburg, Dresda, Vienna e a Mannheim: a questo frenetico girovagare corrispondono continue occasioni di lavoro che contribuiscono ad aggiornare le forme della decorazione in tutta l’area mitteleuropea.In Germania vi aderiscono prontamente anche le scuole locali, coinvolte nelle grandi imprese architettoniche e decorative promosse dall’ambizione sempre crescente dei principi tedeschi.La costruzione di nuove residenze e castelli diviene occasione per sperimentare nuove soluzioni spaziali e nuovi criteri di fruizione. Basti citare lo spettacolare scalone del castello di Weissenstein a Pommersfelden, fatto erigere dal principe vescovo di Bamberga, Lothar Franz von Schonbörn (1711-1718), giustamente considerato l’apice estremo del tardo barocco tedesco. La vastità e l’altezza dell’invaso spaziale, scandito dalla sequenza dei tre loggiati aperti e percorribili, il dinamismo delle rampe a tenaglia dello scalone e il turbinio di figure affrescate sulla volta fanno di quest’opera una vera e propria macchina scenografica, che mantiene lo sguardo del visitatore in un moto continuo e in una condizione costante di eccitazione. Al centro della volta, decorata dallo svizzero Rudolf Byss nel 1717, Apollo-Sole, protettore delle Arti e delle Scienze, irradia la sua luce sulle quattro parti del mondo, rappresentate dalle personificazioni dei continenti che si affacciano dal cornicione lungo i quattro i lati del perimetro. Il tema dei continenti, allusivo al diffondersi della fama fino agli estremi confini della terra, verrà ripreso da Antonio Pellegrini nella decorazione del salone dello Zwinger a Dresda (1725-1726) e in una sala del castello di Mannheim (1737). Il ricordo di queste due imprese, oggi distrutte, serve a sottolineare la continuità di un’iconografia particolarmente gradita alla nobiltà tedesca, che sarà ripresa e rigenerata, con ben altra felicità inventiva, da Giambattista Battista Tiepolo sulla volta dello scalone del palazzo del principe-vescovo a Wüzburg (1753). Pochi anni dopo, le allegorie dei continenti saranno ancora protagoniste dell’affresco realizzato in una sala di palazzo Schatzler ad Augusta (1766-1767) da Gregorio Guglielmi, pittore e decoratore romano molto apprezzato e conteso dai sovrani europei. In questa occasione tutto il tradizionale corredo esotico, che accompagna la raffigurazione delle quattro parti del mondo, viene messo al servizio di un tematica laica che, sotto il travestimento dell’allegoria, celebra i vantaggi del commercio illuminato.
Tornando alle scuole locali, il contributo più originale e autonomo dato dagli artisti tedeschi alla diffusione dello stile rococò va rintracciato nell’ambito dell’edilizia religiosa, dove la stretta collaborazione tra architetti, stuccatori e decoratori dà origine a un “rococò sacro” che ha il suo centro propulsore nei territori della Baviera. La vitalità e la gioia mondana espresse dal nuovo stile si propagano alle aule sacre delle chiese e dei monasteri, dove gli andamenti sinuosi e imprevedibili dell’ornato rocaille ridisegnano ogni elemento dell’architettura, della decorazione scultorea e dell’arredo (altari, tabernacoli, pulpiti, confessionali, balaustre, cornici). Come ha scritto Adriano Mariuz “anche lo spazio nel suo insieme è trasfigurato, si svuota di ogni pesantezza, si flette, si satura di luce. È come un’anticipazione della reggia celeste e della festa di gloria che vi si svolge”.
Alla decorazione pittorica è affidato il compito di contribuire all’illusione con visioni fiabesche di paradiso, dipinte con delicati colori pastello (verdi, gialli, azzurri, rosa) che si accordano con il candore delle pareti e con l’oro degli stucchi.
In questo campo i maestri di maggior credito sono Kosmas Damian Asam, che lavora a fianco del fratello e architetto Egid Quirin e lascia i suoi capolavori nella chiesa di Weltenburg e nella chiesa di San Giovanni Nepomuceno a Monaco, e Johann Baptist Zimmermann, attivo come pittore e stuccatore a Nymphenburg e a Schleisseim e autore della decorazione della chiesa del Pellegrinaggio di Wies (1745-1757). La creazione più alta di questa particolare espressione del rococò europeo è tuttavia il santuario di Vierzehnheilingen (dei Quattordici Santi Salvatori), presso Bamberga, avviato nel 1742 e completato, con un nuovo progetto di Balthasar Neumann, nel 1772. La frammentazione degli spazi, gravitanti attorno all’altare posto al centro della chiesa, e l’esuberante decorativismo non compromettono l’armonia dell’insieme, con un effetto di leggerezza immateriale che rappresenta l’espressione più geniale della trasposizione dello spirito rococò nella sfera religiosa.
Il caso singolare di Torino
Nel panorama artistico italiano l’unico centro in grado di competere con le corti europee nella promozione di importanti imprese architettoniche e decorative è Torino, dove le aspirazioni e i programmi di rinnovamento avviati da Vittorio Amedeo II trovano nell’architetto imprenditore Filippo Juvarra un regista versatile e geniale. Il suo gusto e la sua sensibilità orientano la corte nella scelta degli artisti, provenienti da scuole diverse, che a più riprese vengono chiamati a decorare le sale di rappresentanza e gli appartamenti privati degli edifici reali.
Nel corso del terzo e quarto decennio si avvicendano a Torino i più accreditati rappresentanti della scuola romana, veneziana e napoletana, le cui opere offrono un panorama completo e aggiornato delle diverse tendenze della cultura artistica italiana contemporanea.
Così alla maniera aulica e accademica del pittore di corte Claudio Francesco Beaumont, sensibile agli influssi francesi, si contrappongono gli esiti più moderni di Giovanni Battista Crosato, brillante divulgatore della pittura veneziana rococò. I suoi interventi nella palazzina di caccia di Stupinigi (1733 e 1740) rivelano una fresca vena narrativa, dai toni cordiali e spiritosi, sempre sostenuta da un pittoricismo fragrante e luminoso. La scuola romana è rappresentata da Corrado Giaquinto, un pittore napoletano, allievo del Solimena, trasferitosi a Roma nel 1723. Dopo aver assimilato la lezione del Lanfranco e del Cortona, l’artista aveva iniziato a schiarire la tavolozza, ad adottare una grande libertà di tocco e a tradurre le arditezze pittoriche dell’ultimo Luca Giordano in un linguaggio raffinato e arioso. A Torino Giaquinto porta a termine le sue sperimentazioni per la conquista di un cromatismo prezioso e trasparente, tutto vapori e riflessi luminosi: gli affreschi realizzati nella villa della Regina (1733 ca.) e le soprapporte con le Storie di Enea, eseguite per il castello di Moncalieri e oggi nel palazzo del Quirinale a Roma, sono tra le pagine “più poetiche e feconde del rococò europeo”. Tra il 1741 e il 1743 è presente a Torino anche Francesco De Mura, portavoce della scuola napoletana che al classicismo del vecchio maestro Francesco Solimena imprime un ritmo più sciolto e fantasioso, di cui dà prova negli affreschi con le Storie di Teseo e di Achille nel Palazzo Reale. Nonostante i diversi orientamenti espressi dai singoli artisti, la stretta interdipendenza tra arti figurative e arti applicate garantisce alla decorazione degli ambienti una sostanziale uniformità stilistica.
Gli ultimi sviluppi in Spagna
In Spagna non si registrano episodi di rilievo nell’ambito della decorazione fino almeno alla metà del secolo. La grande lezione di Luca Giordano, che aveva lasciato nelle residenze reali esempi di straordinario virtuosismo tecnico e scenografico, non trova infatti artisti in grado di raccogliere la sua eredità. Solo nel 1747 Ferdinando VI chiama a Madrid Jacopo Amigoni come pittore di corte, seguito nel 1753 dal Giaquinto che vi soggiorna per dieci anni. Nominato direttore di tutte le imprese artistiche promosse dal sovrano, l’artista trova in Spagna le occasioni per affermarsi come il più importante decoratore in Europa dopo Giambattista Tiepolo. Nel Palazzo Reale realizza tre cicli di affreschi, traducendo la tematica apologetica nei toni delicati di una pittura tutta sottigliezze formali e preziosità cromatiche. Ne è un esempio l’affresco dello scalone d’onore, La Spagna rende omaggio alla Religione e alla Chiesa, dove il contenuto aulico è reso con accenti elegiaci di profana religiosità. La scioltezza della pennellata, la leggerezza di tocco, la luminosità smagliante delle tinte che contrassegnano tutte le sue opere realizzate in Spagna creano le premesse per il rifiorire della scuola locale e rappresentano un termine di riferimento anche per il giovane Goya.
Dopo la partenza di Giaquinto, Carlo III di Borbone riesce a vincere le resistenze di Tiepolo, che nel 1762 accetta di recarsi a Madrid per decorare la sala del trono del Palazzo Reale. L’artista, ormai sessantaseienne, si avvale ampiamente della collaborazione dei figli, Giandomenico e Lorenzo, e per l’ultima volta spalanca la visione sull’infinita vastità di un cielo luminosissimo, dove la monarchia spagnola celebra il suo trionfo accogliendo l’omaggio dei continenti e delle sue province. Come è noto, la contemporanea presenza a corte di Anton Raphael Mengs, portavoce in pittura delle idee di Winckelmann e dell’estetica neoclassica, determina un rapido mutamento di gusto e il conseguente declino della fortuna di Tiepolo. Dopo alcuni anni difficili, segnati da contrasti e amarezze, l’artista muore a Madrid nel 1770. Con lui scompare l’ultimo interprete della tradizione pittorica veneziana e dell’illusionismo barocco, di cui aveva portato alle estreme conseguenze tutte le conquiste spaziali e luministiche. Nella sua opera, come in quella dei decoratori settecenteschi di maggior talento, più che la gloria dei committenti, è celebrato il potere della pittura intesa come libera creazione, come atto magico capace di sollevare lo spettatore in una dimensione fantastica dove tutto è possibile.