La grande scienza. Energia
Energia
Lo sviluppo tecnologico e la struttura dell'economia moderna sono profondamente connessi alle questioni energetiche, con ricadute così ampie e diversificate da investire molteplici aspetti della nostra vita quotidiana. Pertanto, i problemi connessi con la natura e l'accessibilità delle fonti energetiche, la loro utilizzazione e la loro gestione sono oggetto di profonda e per certi aspetti preoccupata attenzione. L'energia si presenta sotto diverse forme, gravitazionale, termica, luminosa, nucleare, ma, curiosamente, quella che riveste il ruolo di maggiore importanza nelle attività umane ‒ l'energia chimica ‒ è presente nell'intero Universo in misura quasi trascurabile rispetto alle altre. Le leggi della termodinamica stabiliscono che l'energia si conserva nelle trasformazioni che possono avere luogo fra le sue diverse forme, e che queste sono caratterizzate da una grandezza che ne misura il grado di disordine: l'entropia. Si può allora attribuire a ciascuna forma di energia una maggiore o minore 'qualità' associata al suo contenuto di entropia, tanto più alta quanto esso è minore, aspetto che, tra l'altro, ne condiziona il valore economico: così, l'energia elettrica è più pregiata di quella termica. La termodinamica sancisce inoltre che i processi spontanei si svolgono nella direzione nella quale, pur rimanendo inalterata la quantità totale di energia, ha luogo un aumento di entropia, manifestando una predilezione della Natura verso il disordine.
L'energia di un sistema isolato riflette la sua capacità di compiere un lavoro, nel senso che le sue variazioni sono espresse attraverso la misura del lavoro che il sistema può effettuare in un cambiamento del suo stato meccanico, elettrico, chimico, oppure per un'azione esterna (per es., la gravità). In una trasformazione chimica che abbia luogo in un sistema non isolato, vale a dire in contatto con l'ambiente esterno, l'energia che viene liberata trae origine dalle trasformazioni subite dalle molecole attraverso la rottura e la formazione dei legami fra gli atomi. Soltanto una parte di questa energia, chiamata 'energia libera', risulta però utilizzabile per compiere un lavoro, poiché una parte di essa viene trasformata in energia termica, determinando un aumento di entropia, cioè di disordine, del sistema. In termini matematici si può scrivere: energia libera = energia interna − energia non accessibile = U−TS. L'energia interna U esprime il contenuto energetico intrinseco del sistema (rispetto a un opportuno riferimento arbitrario) dovuto ai legami chimici presenti nelle molecole che lo compongono, T è la temperatura termodinamica e S è l'entropia, che riflette il disordine del sistema derivante dai gradi di libertà delle singole molecole e dalla loro distribuzione nello spazio. La diminuzione di energia libera associata a una trasformazione stabilisce il limite massimo di lavoro che il sistema può esercitare sull'esterno. Per esempio, in un dispositivo come una cella a combustibile, che trasforma direttamente energia chimica in energia elettrica, il lavoro massimo che si può ottenere è uguale alla corrispondente variazione di energia libera.
Nella prima metà del secolo scorso le fonti di energia impiegate in gran parte delle attività umane provenivano dai combustibili fossili, principalmente il carbone e il petrolio. Queste fonti erano in competizione con quella idroelettrica che, pur fornendo energia più pregiata, richiede impianti strettamente legati alle condizioni oroidrografiche di una determinata regione. Nel dopoguerra, all'insegna del motto "atomi per la pace", si affacciò l'allettante prospettiva di poter sfruttare una nuova forma di energia, disponibile in quantità apparentemente illimitata e a un costo molto basso. L'accessibilità dell'energia nucleare allontanava infatti i timori sul depauperamento delle sorgenti fossili, timori che stavano affiorando in quegli anni e che sembravano trovare una conferma nelle indagini condotte da gruppi di studiosi di vari paesi per valutare se esistessero limiti allo sviluppo economico derivanti dal progressivo consumo delle risorse naturali. Nella seconda metà del secolo scorso cominciò ad affiorare anche una presa di coscienza sui problemi sollevati dall'inquinamento ambientale dovuto alle attività umane, facendo emergere l'opportunità di promuovere e rivalutare le sorgenti di energia rinnovabili, quali la solare e l'eolica. Iniziava così un conflitto fra due tendenze opposte. La prima era ancorata al presupposto che lo sviluppo industriale, essendo la forza motrice della nostra economia, non dovesse essere penalizzato con una limitazione delle forniture di energia. La seconda, invece, paventava che un aumento incontrollato del consumo di energia potesse portare a catastrofi ecologiche. Pertanto, anche se le sorgenti energetiche rinnovabili venivano da alcuni definite "progetti prediletti per vegetariani barbuti in sandali" ("The Economist"), la comunità scientifica iniziava consapevolmente ad affrontare con impegno e rigore i problemi connessi con un futuro energetico compatibile con la tutela dell'uomo e dell'ambiente: la sicurezza degli impianti industriali e nucleari, la consapevolezza sulla disponibilità limitata delle risorse di combustibili fossili e le ricadute che i residui dei processi di produzione dell'energia, in particolare le scorie radioattive per il nucleare e l'anidride carbonica per i combustibili fossili, possono produrre sull'ambiente, e altri ancora. All'inizio del XXI sec., il panorama appare per certi aspetti diverso, grazie all'acquisizione di nuove conoscenze che hanno mutato alcune delle convinzioni precedentemente maturate. Parallelamente, sono affiorate nuove e inquietanti problematiche la cui soluzione appare ancora sfuggire ai mezzi di indagine di cui disponiamo. Anzitutto sembra allontanato, almeno per qualche decina di anni, il pericolo di un esaurimento delle sorgenti di energia fossile, in particolare del petrolio. Il repentino depauperamento previsto da alcuni modelli econometrici era dovuto all'uso di alcuni parametri impropri e di estrapolazioni non del tutto legittime. Le ricorrenti crisi petrolifere, delle quali la prima si verificò già nel 1887, e quelle più recenti nel 1973 e nel 1990, sono state infatti influenzate maggiormente da avvenimenti contingenti e politici che sostanziali. Inoltre, il diffondersi dell'utilizzazione di una ulteriore sorgente fossile, il gas naturale (essenzialmente costituito da metano, il più semplice degli idrocarburi), le cui riserve sembrano estremamente elevate, apre nuove prospettive. I programmi per lo sviluppo dell'energia nucleare hanno subito un rallentamento poiché l'adeguamento degli impianti di produzione da fissione a ragionevoli norme di sicurezza si è rivelato più oneroso di quanto fosse stato previsto, tanto da influire in modo significativo sul costo dell'energia prodotta; inoltre, resta tuttora aperto lo spinoso problema dello smaltimento dei residui radioattivi. Lo sfruttamento dell'energia nucleare ottenuta dalla fusione mediante confinamento magnetico del plasma ‒ che, in base alle previsioni fatte nel dopoguerra, avrebbe dovuto soppiantare le altre forme di energia già all'inizio del XXI sec. ‒ appare ancora remoto e alcuni dubitano addirittura che possa essere mai realizzato, poiché il comportamento dinamico del plasma risulta fortemente condizionato da instabilità di varia natura, principalmente di tipo magnetofluidodinamico.
L'impiego sempre più esteso delle sorgenti fossili ha fatto emergere i problemi relativi all'inquinamento atmosferico. Esso si manifesta su due scale: quella locale, correlata all'elevata concentrazione delle emissioni nei centri urbani, e quella globale, che coinvolge tutto il pianeta. In quest'ultimo caso le inquietudini sono dovute principalmente alle emissioni di anidride carbonica, un gas che contribuisce ad aumentare la temperatura del pianeta intrappolando parte della radiazione solare riflessa dalla Terra e irraggiandola nuovamente su di essa, un fenomeno noto come effetto serra. Purtroppo è attualmente impossibile dare una risposta obiettiva all'entità di questo fenomeno a causa della difficoltà di disporre di un bilancio sufficientemente accurato delle emissioni planetarie che consenta di formulare un modello in grado di prevedere in modo affidabile l'evoluzione dell'atmosfera. è comunque indiscutibile che nell'atmosfera abbia avuto luogo un aumento della concentrazione di anidride carbonica, come è testimoniato dalle informazioni relative agli ultimi 150 anni. Nella seconda metà del secolo scorso tale aumento ha subito un'impennata che potrebbe aver influito sulla temperatura atmosferica. Numerose iniziative scientifiche e politiche, tra le quali la promozione di conferenze internazionali sull'argomento, hanno tentato di portare l'attenzione generale sul problema delle emissioni di anidride carbonica, cercando di trovare consenso su valori limite delle emissioni tollerabili. Ne sono emerse alcune direttive che sono state formalizzate nel 1997 nel cosiddetto 'protocollo di Kyoto', che fissa i criteri e i limiti delle emissioni che ciascun paese dovrebbe osservare per evitare un eccessivo accumulo dei gas serra nell'atmosfera. In questa occasione sono stati assunti impegni sul controllo delle emissioni, sia pure con riluttanza da parte di alcuni paesi industrializzati per il timore che una diminuzione del consumo di energia possa ostacolare lo sviluppo economico. Tali impegni risultarono legalmente vincolanti a conclusione del relativo percorso di ratifica.
Il consumo energetico mondiale nel 2000 si aggira attorno a 13,5 terawatt-anno (1 terawatt=10¹² watt). I valori percentuali dell'utilizzazione delle diverse sorgenti sono riassunti nella fig. 3. Si può osservare che le sorgenti fossili, quali il petrolio, il carbone e il gas naturale, occupano una posizione egemone, avvicinandosi al 90%. L'Italia, paese importatore di combustibili e di energia, si trova in una posizione atipica per avere bandito il nucleare, limitato il carbone e privilegiato il gas naturale e il petrolio. Il costo dei diversi metodi di produzione dell'energia oscilla ovviamente in intervalli piuttosto ampi poiché dipende da fattori contingenti. La fig. 4 illustra un ragionevole confronto basato sull'insieme delle informazioni attualmente accessibili. Si può osservare che la distribuzione dei consumi è compatibile con i costi delle diverse forme di energia; per esempio, l'energia fotovoltaica, non inquinante e rinnovabile ma attualmente costosa, ha un impiego molto limitato, mentre l'energia derivante dai combustibili fossili, relativamente poco costosa, supera di gran lunga le altre. In altri termini, la logica che ha prevalso sino a ora nell'impiego delle sorgenti energetiche è di carattere essenzialmente economico e tiene conto, in particolare, anche dei vantaggi derivanti dal poter fruire di infrastrutture già esistenti e di tecnologie largamente consolidate. Tuttavia l'acquisizione di sempre più ampie conoscenze scientifiche e tecnologiche eserciterà sicuramente un'influenza determinante sul panorama energetico del futuro, in particolare se si tiene conto di come lo sviluppo dell'informatica e dell'automazione, che favoriscono il decentramento e la diversificazione, stia ridimensionando quelle economie di larga scala che hanno caratterizzato le tecnologie tradizionali di produzione dell'energia.
L'attuale livello di produzione di energia su scala mondiale è garantito sostanzialmente dall'impiego di fonti fossili solide (carbone e lignite), liquide (petrolio) e gassose (gas naturale) attraverso i processi di combustione. Tra di esse prevale il petrolio, miscela costituita da idrocarburi gassosi, liquidi e solidi con prevalenza di quelli saturi (le paraffine, a struttura aperta, e i nafteni, a struttura ciclica), seguiti dalle olefine, insature per la presenza di doppi legami, e dagli aromatici, nei quali sono presenti anelli benzenici. Sull'origine del petrolio si possono avanzare solo delle ipotesi; secondo la teoria più accreditata, esso si sarebbe formato da materia organica depositata sul fondo del mare che, grazie all'assenza di ossigeno, avrebbe subito un processo di putrefazione che nel corso di alcuni milioni di anni, con il concorso di batteri anaerobici e di catalizzatori inorganici, avrebbe condotto alla sua formazione. La scoperta di nuovi giacimenti profondi ha rinverdito l'ipotesi che il petrolio possa avere avuto origine da precursori minerali, e quindi non biogenici. Questa possibilità aprirebbe nuove interessanti prospettive sulla disponibilità delle riserve.
I petroli greggi hanno composizione variabile e contengono in piccola misura composti dello zolfo e dell'azoto e tracce di metalli, in particolare il vanadio. La distribuzione geografica delle riserve di petrolio non riflette i consumi di energia; al primo posto fra i paesi produttori troviamo infatti il Medio Oriente, che supera di gran lunga, nell'ordine: l'America Settentrionale, l'Asia, l'Africa, l'America latina e l'Europa.
La disponibilità delle riserve petrolifere oggi accreditate soddisfa le attuali necessità energetiche, soprattutto se si tiene conto del fatto che l'estensione dell'area esplorativa, la scoperta e l'utilizzazione di nuove riserve e il miglioramento delle tecnologie estrattive attraverso il perfezionamento delle metodologie di perforazione contribuiranno ad aumentarle. I successi in questa direzione sono dovuti essenzialmente all'uso di tecniche di prospezione sismica tridimensionale del sottosuolo, che hanno agevolato l'individuazione delle risorse. Inoltre, la capacità di estendere le perforazioni off-shore a profondità sempre maggiori sta spingendo la loro frontiera verso lo sfruttamento degli alti fondali che giacciono a profondità superiori a 1000 metri, rendendo disponibili giacimenti di petrolio che in passato erano considerati inaccessibili. L'offerta di petrolio nel prossimo futuro sembra pertanto assicurata, come appare dalla tab. 1, anche se si prevede un aumento della domanda di energia, che nel 2020 potrebbe ragionevolmente ammontare a 18 terawatt-anno. In sostanza, nei prossimi vent'anni, a meno di fatti imprevedibili, non si dovrebbero presentare grandi cambiamenti nel mercato dei prodotti petroliferi.
A questo quadro ottimistico sulle disponibilità di combustibili fossili si contrappongono, però, motivate riserve basate su una revisione delle stime e dei metodi di valutazione, che indicano un possibile declino della produzione globale di petrolio prima di quanto previsto. In sostanza, anche se il mondo non sta esaurendo, almeno per il momento, le riserve di petrolio, ci si dovrebbe preparare alla fine dell'epoca del petrolio abbondante e a buon mercato alla quale le nazioni industrializzate si sono assuefatte.
Uno dei vantaggi che si riscontra nell'impiego dei combustibili fossili è la loro versatilità. Il petrolio greggio è trasformato in benzina, gasolio e cherosene e trova quindi ampia applicazione nel settore del trasporto. Lo stesso petrolio e il gas naturale trovano impiego nel settore residenziale e in quello commerciale. Il carbone, infine, viene prevalentemente utilizzato per produrre elettricità per attività industriali. Riferendoci in particolare al settore del trasporto, si può osservare che la benzina e il gasolio costituiscono comodi vettori energetici in quanto sono sostanze facilmente trasportabili nelle quali è immagazzinata una grande quantità di energia. La loro formulazione è ancora in corso di miglioramento per minimizzarne l'impatto ambientale attraverso una drastica riduzione del contenuto di zolfo e di idrocarburi aromatici. Il potere antidetonante delle benzine è aumentato mediante l'aggiunta di prodotti ottenuti per via sintetica, quali gli eteri organici.
L'esteso impiego dei combustibili fossili ha intensificato l'interesse per lo studio dei processi di combustione, con l'intento di approfondire la conoscenza dei meccanismi chimici e fisici che condizionano la configurazione e la stabilità delle fiamme e la composizione dei gas emessi, al fine di raccogliere informazioni che agevolino la gestione e il controllo degli impianti industriali. L'obiettivo è raggiunto attraverso l'impiego di mezzi analitici basati su tecniche ottiche avanzate che permettono di determinare quantità anche molto piccole delle diverse specie chimiche coinvolte nelle reazioni di combustione. L'applicazione di opportuni modelli matematici che compendiano in una serie di equazioni la conservazione della massa, della quantità di moto associata al flusso dei gas e dell'energia, permette di simulare e di prevedere il comportamento delle miscele reagenti.
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, nelle tecnologie coinvolte nella produzione di energia da combustibili fossili è avvenuta una transizione verso un'era nella quale è attribuita importanza primaria alla riduzione dei componenti inquinanti. Oltre alla problematica globale della produzione eccessiva di anidride carbonica, infatti, alla combustione dei carburanti di origine fossile è associata la formazione di un gran numero di composti chimici, alcuni dei quali molto nocivi per gli organismi viventi (Tav. I).
In questa situazione il gas naturale, in virtù della sua purezza e abbondanza, sta acquisendo una posizione di sempre maggiore rilevanza. È principalmente costituito dal più semplice degli idrocarburi, il metano CH₄, la cui molecola ha la forma di un tetraedro avente al centro l'atomo di carbonio e ai vertici i quattro atomi di idrogeno. Alcune analisi stimano che nel mondo vi sia una quantità di gas naturale, facilmente estraibile, sufficiente per produrre 500 miliardi di barili di greggio sintetico. Una quantità superiore a questa si trova in formazioni rocciose che liberano lentamente il gas. Una ulteriore fonte di metano sono i cosiddetti 'gas idrati', costituiti da masse solide biancastre formate da metano e da altri idrocarburi di basso peso molecolare, intrappolati in una particolare struttura cristallina dell'acqua. Come illustrato nella fig. 5, le molecole di acqua formano un reticolo rigido nel quale sono presenti cavità aventi un diametro di circa 8 Å, in grado di ospitare le molecole di metano; a piena saturazione è presente una molecola di metano ogni sei molecole di acqua. Come mostrato dal diagramma di fase della fig. 5B, queste specie sono stabili a bassa temperatura ed elevata pressione e, portate in condizioni ordinarie, si decompongono rapidamente liberando il gas e lasciando l'acqua. I gas idrati sono molto abbondanti nei sedimenti marini e nelle aree continentali ricoperte da permafrost, quali la Siberia e l'Alaska, e costituiscono una ulteriore potenziale fonte energetica di enorme entità.
Purtroppo, anche se le riserve di gas naturale sono enormi, la loro ubicazione è lontana dai luoghi di utilizzazione. Ciò determina un aumento dei costi di trasporto, e per questa ragione sono in corso ricerche intese a trasformare il gas in un liquido che possa essere trasportato a costi ridotti. A questo scopo, il metano può essere trasformato in una miscela di idrogeno e ossido di carbonio, chiamata gas di sintesi (singas), facendolo reagire con acqua a circa 600 °C in presenza di catalizzatori a base di nichel (fig. 6). La reazione, chiamata steam reforming, è nota da qualche decina di anni anche nei suoi aspetti tecnologici, perché già estesamente impiegata nella chimica industriale e nella petrolchimica. Essa ha acquistato recentemente un rinnovato interesse, poiché offre la via più economica per ottenere uno dei potenziali vettori energetici del futuro, l'idrogeno. In presenza di opportuni catalizzatori alla pressione di 50 atm e a una temperatura di circa 300 °C, l'idrogeno e l'ossido di carbonio si combinano fra loro formando il più semplice degli alcoli, il metanolo, che è esso stesso un combustibile e che soprattutto, attraverso opportune reazioni chimiche, può essere trasformato in carburanti simili alla benzina, impiegando come catalizzatori zeoliti artificiali detti ZSM-5. Un'altra via per produrre combustibili liquidi a partire dal metano (fig. 6) consiste nell'assoggettare il gas di sintesi a una reazione, detta 'reazione di Fischer-Tropsch' nella quale esso viene fatto fluire su un catalizzatore a base di cobalto, nichel o ferro, ottenendo una miscela di idrocarburi liquidi saturi e insaturi con un'ampia distribuzione di pesi molecolari, la cui composizione può essere modulata variando la temperatura.
Queste diverse prospettive di utilizzazione delle sorgenti fossili creano interessanti alternative nel mercato dei combustibili, lasciando però aperto il problema dell'accumulo nell'atmosfera di anidride carbonica, la cui concentrazione negli ultimi 150 anni è aumentata di quasi un terzo, passando da circa 280 a 370 parti per milione. Fra le opzioni proposte per eliminare la CO₂ quella di immagazzinarla nel sottosuolo e al di sotto dei fondali oceanici è la più diretta; affinché l'operazione abbia successo è necessario pompare il gas a una profondità superiore a 3000 metri, dove permarrebbe per migliaia di anni. La tecnologia è concettualmente semplice e gli effetti ambientali minimi, ma i costi corrispondenti sono incerti e comunque molto elevati.
È opportuno infine accennare anche a una sorgente di energia che, pur essendo di tipo rinnovabile, va comunque annoverata tra i combustibili: la biomassa. È costituita da materie organiche quali i prodotti agricoli di scarto od opportunamente coltivati, e materiali lignino-cellulosici che possono costituire il substrato di processi fermentativi per ottenere proteine, etanolo o un biogas con proprietà simili a quelle del gas naturale. I progressi nelle tecnologie per il loro sfruttamento aprono a questi moderni combustibili nuove possibilità di affermazione che risultano essere particolarmente interessanti per i paesi in via di sviluppo.
La superficie terrestre viene colpita ogni anno da 178.000 terawatt-anno di energia (circa 15.000 volte l'energia totale impiegata dall'uomo), sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, o fotoni, con un intervallo di frequenze compreso fra l'infrarosso e il violetto. Il 30% ca. di questa energia viene direttamente riflesso nello spazio, mentre il 50% ca. viene assorbito e trasformato in calore. Il restante 20% viene impiegato per dare luogo ai flussi ciclici dell'acqua e soltanto lo 0,06% viene catturato dagli organismi vegetali attraverso i processi fotosintetici dai quali derivano tutte le forme di vita. Le energie rinnovabili, ovvero la fotovoltaica, l'idroelettrica, l'eolica e le biomasse, derivano da tale flusso di radiazione solare, ma ne costituiscono soltanto lo 0,0004% circa. Questi dati si riferiscono ovviamente a una situazione media, poiché esistono significative differenze di irradiazione fra le aree tropicali e mediterranee, e quelle settentrionali.
Prima di procedere è importante osservare che la Terra si trova in uno stato energetico stazionario poiché essa non trattiene l'energia irradiata dal Sole, ma dopo alcune trasformazioni la trasferisce nuovamente nello spazio. L'energia dei fotoni è espressa dal prodotto della frequenza della radiazione ν per la costante di Planck h e pertanto, nell'unità di tempo, un flusso di energia elettromagnetica φ equivale a un flusso fotonico dato da φ/hν. In realtà, la radiazione solare incidente sulla Terra è formata essenzialmente dai fotoni corrispondenti alla luce visibile, aventi frequenze (νin) relativamente elevate, mentre quella ritrasmessa nello spazio contiene una elevata frazione di radiazioni infrarosse con frequenze (νout) relativamente basse. Poiché, in prima approssimazione, l'entropia di un gas di fotoni è proporzionale al loro numero, in virtù della menzionata uguaglianza fra il flusso di energia entrante e quello uscente la radiazione solare trasferisce al pianeta un flusso di entropia pari a (φ/h) (νout−νin)/νout-νin, ovviamente negativo essendo νout⟨νin. Pertanto, contrariamente alle comuni convinzioni, la Terra non guadagna energia dal Sole, il quale invece costituisce una sorgente di entropia negativa, convertita mediante processi biosintetici nelle intricate strutture organizzate proprie degli organismi viventi.
La cattura dell'energia solare può essere realizzata eccitando mediante i fotoni gli elettroni di un particolare sistema, come illustrato dai tre diversi meccanismi della fig. 7. Il primo di essi è la fotosintesi, un processo naturale basato sull'azione di specifiche biomolecole che interagiscono con la luce catturandone una parte e guidandola verso particolari processi chimici. Il cuore del fotosistema è la molecola della clorofilla α, che assorbe la luce rossa e blu emettendo quella verde, che conferisce il tipico colore agli organismi vegetali. In seguito all'assorbimento della luce, la clorofilla si porta in uno stato energetico eccitato nel quale è in grado di trasferire un elettrone in un'altra parte del sistema, fornendo così l'energia richiesta dall'insieme delle reazioni chimiche attraverso le quali ha luogo la sintesi dei carboidrati, i principali costituenti degli organismi vegetali. Prescindendo dai dettagli, è interessante osservare che dal punto di vista energetico la fotosintesi è un processo di media efficacia poiché il suo rendimento è dell'ordine del 40%. L'assorbimento della luce avviene però in modo selettivo, privilegiando i fotoni di energia confrontabile con quella dei legami chimici che intervengono nelle trasformazioni successive. In tal modo i processi chimici che ne conseguono sono guidati verso la formazione di ben organizzate strutture macromolecolari, senza che intervengano reazioni distruttive provocate dalle radiazioni con un contenuto energetico non adeguato. In altri termini, l'assorbimento riguarda quella parte d'energia dello spettro che possiede le caratteristiche adatte per conferire ordine ai processi biochimici conseguenti. In un certo senso, si può allora assimilare il comportamento dei centri fotosintetici a quello del 'diavoletto di Maxwell' che discrimina le molecole calde da quelle fredde diminuendo l'entropia di un sistema. I chimici, traendo spunto dalla fotosintesi naturale, si sono cimentati nel costruire per via sintetica sistemi molecolari in grado di simulare i processi fotosintetici. Questi studi, però, pur portando a risultati interessanti dal punto di vista scientifico, sono ancora lontani da possibili concrete applicazioni.
Il secondo metodo illustrato nella fig. 7 è quello delle celle fotoelettrochimiche. Anche se non ha ancora superato lo stadio della ricerca di laboratorio, si tratta di un approccio interessante perché unisce la tecnologia dei semiconduttori con quella dell'elettrolisi, sfruttando l'energia solare per scindere l'acqua in ossigeno e idrogeno. Per poter realizzare il processo è necessario individuare un opportuno semiconduttore che presenti al contatto con l'acqua una differenza di energia potenziale corrispondente a una energia di eccitazione elettronica tale da dare luogo alla scissione dell'acqua stessa. I semiconduttori a base di ossidi, pur essendo stabili al contatto con l'acqua, presentano un'energia troppo elevata, mentre quelli classici, quali l'arseniuro di gallio e il fosfuro di indio, soddisfano tale requisito ma si rivelano instabili. Le ricerche in corso si prefiggono di individuare opportuni accorgimenti che permettano di superare tali difficoltà.
Il terzo approccio descritto nella fig. 7 è quello fotovoltaico, che costituisce una delle fonti energetiche rinnovabili attualmente sfruttata. Un semplice calcolo permette di evidenziare che tutta l'energia consumata nel mondo potrebbe essere prodotta con questa tecnica su un'area tropicale di circa 850 km di lato, tutta quella consumata negli Stati Uniti su un'area di circa 100 km di lato e infine quella richiesta per il nostro paese in un'area di circa 30 km di lato, ossia lo 0,2% del territorio. Questi valori evidenziano che i limiti nell'impiego della tecnologia fotovoltaica sono essenzialmente dovuti al costo degli impianti, che ancora incide significativamente su quello dell'energia prodotta. Il principio di funzionamento delle celle fotovoltaiche si basa sulla formazione di una differenza di potenziale agli estremi di una opportuna giunzione semiconduttrice p-n, esposta alle radiazioni luminose. I fotoni incidenti cedono la loro energia al cristallo eccitando un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione, lasciando una lacuna elettronica, e creando così le condizioni per generare una corrente elettrica. La prima cella fotovoltaica fu realizzata all'inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso presso i laboratori della Bell Telephon, sfruttando un effetto scoperto da Alexandre-Edmond Becquerel nel 1839, e rimasto a lungo un fenomeno di puro interesse scientifico. Le prime applicazioni furono limitate al settore spaziale, nel quale il costo dell'energia aveva un'incidenza molto modesta. Con la crisi energetica del 1973 iniziarono le prime applicazioni terrestri, che si sono susseguite promuovendo programmi di ricerca intesi a diminuire il costo di produzione dell'energia fotovoltaica, in modo da renderla competitiva con quella dei combustibili fossili. Il materiale di gran lunga più impiegato nella costruzione delle celle fotovoltaiche è il silicio, per cui la loro fabbricazione si avvale largamente della tecnologia e dei sottoprodotti dell'industria elettronica. Attualmente l'industria fotovoltaica impiega sempre più frequentemente il silicio policristallino con caratteristiche di purezza molto elevate, anche se in questi ultimi anni si è diffuso l'utilizzo di celle a silicio amorfo con moduli costituiti da film sottili. Esse vengono preparate per deposizione del silicio solido mediante scariche elettriche da miscele di idrogeno e silano, SiH₄. Anche se i moduli così ottenuti raggiungono efficienze elevate nelle prove di laboratorio, in commercio rivelano un'efficienza dell'ordine del 7%. L'attenzione dei ricercatori è ora volta alla preparazione di materiali semiconduttori a base di composti policristallini, che sembrano offrire una valida opzione per ridurre i costi (possono essere ottenuti con processi relativamente semplici) e che promettono efficienze elevate. In questo quadro materiali interessanti sono il seleniuro di indio e rame e il tellururo di cadmio, mentre l'arseniuro di gallio permette di realizzare celle molto stabili con efficienza elevata ma costose sia per i materiali sia per il metodo di preparazione. In conclusione, anche se l'impiego della tecnologia fotovoltaica è ancora legato a particolari nicchie di mercato, i miglioramenti in corso stanno rendendo questa fonte di energia sempre più interessante, tanto da dare supporto ad alcune ottimistiche previsioni in base alle quali fra una quarantina d'anni potrà avere un costo confrontabile con quello dell'energia prodotta da fonti fossili.
In alternativa alla tecnologia fotovoltaica il calore della radiazione solare può essere direttamente impiegato per azionare un convertitore termomeccanico che produca elettricità. Il cuore di questi impianti solari termici è un collettore avente, per esempio, la forma di un disco o di un incavo a struttura parabolica, per concentrare la radiazione su un punto o su una linea. Le ulteriori unità sono un ricevitore per il suo assorbimento, un dispositivo per l'immagazzinamento dell'energia termica e infine un convertitore per trasformarla in elettricità. Nell'insieme si tratta di dispositivi efficienti, anche se permangono incertezze sulla loro durata e affidabilità.
Anche la fonte eolica sta destando interesse, soprattutto grazie alla disponibilità a basso costo di materiali resistenti e leggeri per fabbricare le pale degli aerogeneratori, che hanno ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli. Tuttavia il loro impiego, penalizzato dall'intermittenza dei venti, sembra limitato ad aree lontane dalle reti di distribuzione dell'energia elettrica.
In conclusione, anche se l'applicazione delle fonti di energia rinnovabili è ancora lontana da uno sfruttamento su larga scala, il suo futuro appare interessante, come illustrato nella fig. 8, nella quale vengono confrontate le previsioni sui costi delle tecnologie menzionate.
L'energia ottenuta dalla fissione nucleare differisce da quelle sinora considerate, poiché trae le sue origini dalle forze che agiscono fra le particelle presenti nei nuclei atomici, vale a dire i neutroni e i protoni. L'elemento più significativo che differenzia i due processi è la quantità di energia in essi coinvolta, che ammonta a qualche decina di elettronvolt per la reazione di combustione di un idrocarburo e a 200 milioni di elettronvolt per la reazione nucleare nella quale il nucleo di un atomo di uranio U-235, reagendo con un neutrone, subisce una scissione in due o più frammenti di massa intermedia. Parte di tale energia è trattenuta dai neutroni, emessi in numero tale (mediamente 2,5) da poter scindere altri nuclei di uranio e innescare una reazione a catena che si autosostiene. La costruzione di reattori in grado di controllare l'enorme quantità di energia prodotta ha richiesto la messa a punto di un sistema di rallentamento dei neutroni emessi, realizzato immergendo i blocchetti di uranio in un opportuno materiale, detto 'moderatore', che ha appunto lo scopo di moderare la velocità dei neutroni fino a portarla ai valori caratteristici dell'equilibrio termico. È così possibile controllare la velocità della reazione, mantenendola ai livelli compatibili con una buona gestione del processo. Nei suoi elementi essenziali la teoria dei reattori nucleari ha un pedigree ragguardevole, poiché è stata tenuta a battesimo da Enrico Fermi ed Eugene Wigner, che hanno posto le basi per gli ampi studi successivi intesi a completare la comprensione sia dei processi di fissione sia dei meccanismi di diffusione dei neutroni. Tutto ciò in uno sforzo congiunto nel quale ricerca pura e applicata si fondevano, creando un modello di lavoro che avrebbe avuto importanti ricadute su altri settori tecnologici. Attualmente sono in funzione 438 impianti nucleari, che forniscono circa il 16% dell'energia elettrica mondiale. I futuri impianti potrebbero contribuire anche alla generazione dell'idrogeno, che da alcuni viene ritenuto uno dei protagonisti di un futuro energetico ecologicamente compatibile.
Il reattore è il centro vitale di una centrale nucleare. La sua zona centrale, chiamata core, in cui il materiale fissile genera energia termica, viene percorsa da un fluido che trasferisce il calore a un gruppo turbine-alternatore per la produzione di energia elettrica. Nell'evoluzione dell'ampia tipologia dei reattori sono stati considerati diversi liquidi di raffreddamento, tra i quali l'acqua, l'acqua pesante, alcuni composti organici, i metalli e i sali fusi, sino a consolidare l'impiego dell'acqua, sotto pressione (155 atm) o in ebollizione. In questo quadro si stanno però sperimentando nuove prospettive con l'obiettivo di semplificare gli impianti prevenendo i rischi derivanti da perdite del liquido di raffreddamento, attraverso configurazioni più compatte costituite da piccoli moduli suscettibili di una disposizione più flessibile ed economica. Inoltre si sta esplorando anche la possibilità di operare a temperatura e pressione relativamente elevate, al di sopra di 374 °C e 221 atm e quindi oltre il punto critico dell'acqua, nella regione nella quale la transizione di fase avviene in modo continuo, per cui si osservano valori particolarmente elevati sia della capacità termica sia della conducibilità termica. In queste condizioni è infatti possibile raggiungere una efficienza termica superiore al 40%.
Una ulteriore linea di sviluppo riguarda l'impiego di gas quali l'elio e l'anidride carbonica per il raffreddamento. Un progetto tecnologicamente interessante è quello di disperdere il combustibile sotto forma di piccole particelle di ossido di uranio in sfere aventi la dimensione delle palle da biliardo. L'impiego congiunto di questi letti di sfere e di un raffreddamento a gas permetterebbe di semplificare gli attuali impianti, rendendoli più gestibili e sicuri.
Un punto importante che riguarda l'attuale sistema di produzione dell'energia nucleare è rappresentato dal fatto che esso impiega solo la piccola frazione di U-235 (lo 0,7%) presente nell'uranio naturale, costituito per la massima parte da U-238. In questo quadro, le riserve di uranio non sarebbero superiori a quelle dei combustibili fossili e pertanto si stanno studiando soluzioni alternative che permettano di superare tale strettoia. Una via d'uscita risiede nell'impiego dei reattori cosiddetti 'veloci', che non contengono o contengono poco materiale moderatore. In questa situazione si producono più nuclidi fissili di quanti non se ne distruggano, aprendo così la prospettiva di poter disporre di quantità praticamente illimitate di combustibile. Purtroppo questa strada comporta un aumento delle difficoltà tecniche, poiché si deve operare a più elevata temperatura e usando un fluido di raffreddamento più efficiente dell'acqua, quale il sodio.
L'insieme dei problemi menzionati ha ovviamente contribuito all'aumento del costo dell'energia nucleare che, unitamente ai timori sollevati dagli incidenti occorsi in alcune centrali nucleari (Three Mile Island e Černobyl), ha rallentato il suo programma di sviluppo. D'altra parte, i ricorrenti timori sul depauperamento delle sorgenti fossili e soprattutto il dibattito sui gas serra ripropongono un rilancio dell'energia nucleare, anche tenendo conto che la sicurezza e l'efficienza degli impianti in questi ultimi anni sono aumentate in modo significativo. La ripresa della costruzione di grandi impianti deve porre particolare attenzione, unitamente ai problemi tecnici menzionati, anche a quelli connessi con lo smaltimento delle scorie e, non ultimo, al rischio di proliferazione degli armamenti, ponendo in primo piano una visione integrata di tutte le fasi del ciclo di gestione del combustibile nucleare, dall'estrazione del minerale al trattamento delle scorie.
La diffusione dei combustibili fossili nel trasporto è basata sull'impiego, praticamente ubiquitario, della benzina e del gasolio che sono liquidi caratterizzati da un elevato contenuto energetico e da una bassa infiammabilità e sono pertanto efficientissimi e praticissimi vettori energetici. Le emissioni di composti inquinanti nei centri urbani dove è presente una elevata densità di autoveicoli stanno però sollevando legittimi segnali di allarme sul loro impiego. Per questa ragione, da qualche anno è affiorata la proposta di avvicendarli con l'idrogeno, che presenta effetti di inquinamento molto minori, se non addirittura nulli. La reazione di combustione dell'idrogeno sembrerebbe infatti ideale da questo punto di vista, poiché produce solamente acqua, il maggiore costituente del nostro organismo.
Il modo concettualmente più semplice per produrre idrogeno è la scissione dell'acqua mediante elettrolisi, che risulta però troppo costosa, poiché richiede quantità ingenti di energia elettrica. Per questo motivo la produzione di idrogeno viene sostanzialmente realizzata mediante la già menzionata reazione di steam reforming che produce, oltre all'acqua, anidride carbonica. Questa strada, pertanto, non comporterebbe particolari vantaggi sul piano globale attraverso una diminuzione dell'effetto serra. I vantaggi si riscontrerebbero a livello locale nell'assenza degli inquinanti della benzina (in particolare lo zolfo, che però attualmente è quasi del tutto rimosso nelle operazioni di raffineria), di polveri sottili di carbone e di tracce di idrocarburi volatili incombusti che, reagendo con l'ozono, portano a prodotti nocivi per gli organismi. L'impiego dell'idrogeno nei motori a combustione interna non elimina però la formazione degli ossidi di azoto, che risulterebbe solamente ridotta. Per ovviare a questa difficoltà si è proposto di impiegare veicoli azionati da celle a combustibile che trasformano direttamente l'energia chimica dell'idrogeno in energia elettrica. Tali dispositivi, inventati nel 1840 da William Grove, hanno costituito per lungo tempo una curiosità scientifica, finché i problemi ambientali connessi all'uso dei combustibili tradizionali hanno conferito loro un interesse concreto per la produzione di energia.
L'approccio fondato sull'idrogeno appare promettente, anche se questa nuova economia energetica presenta una serie di problemi connessi con la produzione, l'immagazzinamento e il trasporto dell'idrogeno. Un quadro globale delle strade che possono essere seguite per la produzione di idrogeno è illustrato nella fig. 9. Si può osservare che, sebbene in teoria sembrerebbero disponibili diverse opzioni, in realtà, per ragioni economiche, le vie attualmente praticate sono quelle che impiegano combustibili fossili e metano, che quindi non contribuiscono in modo rilevante alla risoluzione del problema dell'effetto serra. Fra le prospettive future che occupano una posizione interessante si trovano le tecnologie che fanno capo alla radiazione solare, in particolare quella fotoelettrochimica precedentemente illustrata.
Analoghe considerazioni si possono fare per l'immagazzinamento, soprattutto perché la bassa temperatura critica dell'idrogeno permette di liquefarlo solo a temperature minori di −240 °C e pressioni maggiori di 13 atm. Una soluzione interessante consiste nell'adsorbire il gas su opportuni materiali solidi, dai quali esso viene rilasciato per riscaldamento. I candidati classici sono alcuni metalli capaci di combinarsi con l'idrogeno formando idruri, ma sono in corso indagini approfondite riguardanti l'impiego di materiali di diversa natura in grado di catturare l'idrogeno reversibilmente. I risultati sino a ora ottenuti non si sono rivelati del tutto soddisfacenti per immagazzinare quantità di idrogeno tali da garantire una adeguata autonomia dei mezzi di trasporto, per cui il problema resta tuttora aperto con prospettive interessanti ma non ancora risolutive. In conclusione, anche se invocato come una panacea per la soluzione dei problemi ecologici, l'impiego dell'idrogeno è in realtà ancora penalizzato da severi fattori operativi ed economici, ed è ragionevole prevedere che potrà acquistare respiro solamente quando l'esigenza di una significativa alternativa ai combustibili fossili sarà giunta a maturazione, e si presenterà in modo concreto il problema di individuare un vettore energetico che sostituisca la benzina e il gasolio.
Nell'analisi che abbiamo sin qui condotto sono stati passati in rassegna i diversi modi attualmente accessibili e praticati per produrre energia, mettendone in rilievo i pregi e i difetti nei loro diversi aspetti tecnologici, economici ed ecologici. L'unico metodo che non è stato considerato è quello della fusione nucleare, perché i tentativi sinora condotti non hanno avuto successo ed è improbabile che si ottengano risultati significativi in un futuro prossimo.
Ciò premesso, ogni possibile analisi sull'evoluzione delle opzioni energetiche deve tenere opportunamente conto di alcuni vincoli realistici: (a) i combustibili fossili resteranno per diversi anni una risorsa conveniente e abbondante, pur presentando problemi ambientali soprattutto per le emissioni di anidride carbonica, il cui controllo rivestirà sempre maggiore importanza; (b) le fonti d'energia rinnovabili, a causa dei costi elevati delle tecnologie associate, sono utili soltanto per impieghi in soluzioni locali, si presentano però come interessanti candidati per future, più ampie applicazioni; (c) la tecnologia nucleare, pur avendo conseguito significativi miglioramenti, senza avere peraltro del tutto risolto il problema dello smaltimento delle scorie, è ancora considerata con diffidenza dall'opinione generale; inoltre, una sua piena riaffermazione industriale è penalizzata dalle difficoltà di recuperare gli investimenti sinora compiuti per il rallentamento che ha avuto la costruzione di nuovi impianti; (d) anche se è difficile fare previsioni sulla crescita economica, è ragionevole ipotizzare che essa continuerà nei prossimi anni con un tasso confrontabile con l'attuale, trascinando il consumo energetico; è da ritenersi che i processi di globalizzazione, anche se per certi aspetti contestati, non potranno che contribuire a consolidare tale scenario; (e) alle precedenti condizioni di natura specificamente tecnica si aggiungono quelle di carattere sociale e politico, difficilmente prevedibili.
In linea generale si può ragionevolmente prevedere che le attività di produzione dell'energia subiranno cambiamenti guidati dalle limitazioni ambientali e condizionati dai modi di fruizione dell'energia stessa attraverso un'applicazione sempre più massiccia delle metodologie di risparmio e mediante un incremento dell'impiego delle fonti rinnovabili, incluse quelle tradizionali quali l'idroelettrica e la geotermica. Un approccio inteso a delineare gli scenari futuri del consumo energetico, basato sui metodi dell'analisi dei sistemi, permette di descrivere l'evoluzione dell'impiego delle diverse sorgenti energetiche compatibilmente con le ipotesi sul peso conferito ai fattori che ne condizionano lo sviluppo. I vincoli precedenti offrono limitati gradi di libertà, a meno che non intervengano eventi significativi nell'utilizzazione delle tecnologie innovative.
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