La grande scienza. Neuropsicologia del linguaggio
Neuropsicologia del linguaggio
L'oggetto della neuropsicologia è lo studio della relazione tra fenomenologia e basi nervose delle funzioni cognitive, vale a dire dei comportamenti degli organismi complessi, in primo luogo primati umani e non umani. In termini generali, dunque, la neuropsicologia ha a che vedere con l'antico e fondamentale problema scientifico e filosofico del rapporto tra cervello e mente. Storicamente, anche se il termine 'neuropsicologia' è stato usato con una certa frequenza soltanto a partire dagli anni Cinquanta, la disciplina ha origine nell'ambito delle grandi scuole cliniche neurologiche e psichiatriche della seconda metà del XIX e dei primi decenni del XX sec., dall'osservazione di pazienti con lesioni cerebrali. La mera 'osservazione sul campo' delle alterazioni post-lesionali di funzioni cognitive complesse, quali il linguaggio, la memoria o la percezione e l'esplorazione dello spazio, è stata arricchita negli ultimi due decenni dall'uso di una serie di strumenti statistici e tecnici che da un lato hanno consentito di aumentare il rigore metodologico della disciplina, e dall'altro ne hanno favorito l'integrazione nel più ampio ambito delle neuroscienze cognitive. Infatti, per la complessità dei problemi che affronta, la neuropsicologia è destinata a diventare sempre più interdisciplinare e a utilizzare nozioni, concetti, metodi e strumenti derivanti da diverse branche delle neuroscienze quali, per esempio, la neurogenetica, la neuroanatomia, la neurochimica, la neurofisiologia, la psicologia cognitiva, la linguistica, la neuroscienza computazionale, l'intelligenza artificiale e, infine, la neurofilosofia.
Lo studio di pazienti con lesioni cerebrali focali ha classicamente utilizzato il metodo delle associazioni e delle dissociazioni sintomatologiche. L'associazione di sintomi, molto comune in neuropsicologia, si verifica quando lo stesso paziente presenta alterazioni riguardanti compiti e funzioni cognitive differenti, per esempio risultando incapace di comprendere parole presentate sia oralmente sia per iscritto.
L'associazione di sintomi può suggerire il danno di aree funzionalmente diverse, ciascuna alla base di un sintomo specifico, oppure, qualora i sintomi non si presentino mai separatamente, il loro legame con un unico sistema funzionale. L'insieme di un certo numero di sintomi costituisce la sindrome. Con l'espressione 'dissociazione semplice' si fa riferimento a una condizione nella quale un determinato paziente è capace di eseguire un compito A (per es., il riconoscimento di facce note) ma si trova in grave difficoltà quando gli si chiede di eseguire un compito B (per es., il riconoscimento di luoghi). Una tale dissociazione potrebbe implicare che l'area lesa è coinvolta nello svolgimento del secondo compito ma non del primo. Tuttavia, in linea teorica, la dissociazione semplice potrebbe originare da una diversa difficoltà dei due compiti. Dati più convincenti a favore della relazione tra una data lesione e un dato compito sono forniti dalle 'doppie dissociazioni'. Tipicamente esse riguardano due gruppi di pazienti (A e B), cimentati in due diversi compiti x e y (per es., la comprensione di parole presentate per iscritto oppure oralmente). Di solito si parla di doppia dissociazione quando il gruppo A presenta difficoltà nello svolgimento del compito x ma non di quello y e il gruppo B presenta il comportamento opposto (difficoltà nel compito y ma non in quello x). Ne consegue l'inferenza che il sistema per la comprensione di parole presentate oralmente contiene una parte (o modulo) non contenuta nel sistema alla base della comprensione di parole presentate per iscritto (e viceversa). La presenza di una doppia dissociazione elimina il problema relativo alla facilità di un compito rispetto a un altro ed è quindi plausibile pensare che due diverse lesioni abbiano danneggiato due sistemi funzionalmente isolabili.
Lo studio clinico di casi singoli ha accompagnato, e in un certo senso caratterizzato, la neuropsicologia fin dalle origini, al punto che ci si riferisce ad alcuni casi paradigmatici citandone semplicemente le iniziali o, addirittura, il nome, vero o fittizio. Basti pensare al paziente Tan (uno dei primi e più celebri casi di disturbi del linguaggio), al paziente H.M. (che ha consentito a Brenda Milner di comprendere almeno parzialmente il mistero delle basi nervose di alcuni disturbi di memoria) o al caso di Phineas Gage (che ha ispirato molti degli studi di Antonio R. Damasio sul ruolo delle strutture prefrontali ventro-mediali nella inibizione di comportamenti compulsivi quali il gioco d'azzardo).
La ricerca neuropsicologica, pur rimanendo legata al metodo clinico, è stata grandemente arricchita dalla messa a punto di strumenti valutativi standardizzati applicabili sia all'analisi di casi singoli sia allo studio di gruppi di pazienti selezionati sulla base del tipo di sintomo (per es., presenza o assenza di disturbi del linguaggio) o della sede lesionale (per es., lesioni dell'emisfero sinistro o di quello destro). Il metodo degli studi di gruppo in neuropsicologia, nato tra gli anni Sessanta e Ottanta dall'esigenza di generalizzare i dati ottenuti dallo studio di casi singoli, è stato successivamente criticato perché la valutazione media maschererebbe comportamenti che soltanto lo studio di casi singoli sarebbe in grado di mettere nella giusta evidenza. Si è dunque assistito a una ripresa degli studi di casi singoli nei quali tuttavia sono state recepite le esigenze metodologiche della psicologia sperimentale utilizzando adeguati strumenti statistici e valutativi e verificando l'attendibilità dei risultati tramite repliche dello stesso esperimento e scelta di appropriati controlli. Sia gli studi di gruppo sia quelli di casi singoli vanno dunque considerati parte degli strumenti metodologici del neuropsicologo sperimentale e clinico. Va inoltre sottolineato che il progresso delle tecniche di visualizzazione del cervello in vivo ha consentito di ottenere precise informazioni sulla sede e l'estensione della lesione e pertanto di esplorare in maggior dettaglio la relazione tra strutture neurali e funzioni cognitive, cosa che - come si è detto - è tra gli scopi primari della neuropsicologia.
Qualunque trasmissione di informazione che tenga conto della sorgente e della destinazione è potenzialmente comunicativa. Comportamenti molto diversi tra loro, dalla danza delle api al canto complesso dei passeriformi, ai linguaggi gestuali umani e animali, alle lingue umane, sono accomunati dalle loro implicazioni comunicative.
Il linguaggio, inteso come abilità tipicamente umana che si sviluppa in modo che sembra spontaneo nel bambino ed è usato in maniera apparentemente automatica, è tra i codici comunicativi più sofisticati e potenti che si conoscano. La facoltà di usare il complesso e strutturato codice 'linguaggio' consente di modulare lungo una gamma di sfumature praticamente illimitata l'espressione di idee, concetti, intenzioni. Inoltre, essa prescinde da una precisa realizzazione formale che può essere tanto vocale, come nel caso delle lingue esistenti o esistite, quanto gestuale, per esempio nei codici comunicativi adottati dalle comunità di non udenti. Le più tipiche attuazioni sociali e storiche delle capacità linguistiche sono le diverse lingue (da qui in poi chiamate storico-naturali) che rappresentano pertanto complesse miscele di Natura e cultura. Le lingue storico-naturali sono caratterizzate: (a) dall'uso del canale vocale per la produzione e di quello uditivo per la comprensione; (b) dalla cosiddetta 'doppia articolazione', espressione con la quale si fa riferimento al fatto che praticamente tutte le lingue storico-naturali sono costituite da un numero limitato di unità non significanti (i fonemi, che nella maggior parte delle lingue sono inferiori a 40) a partire dalle quali vengono formati numeri praticamente illimitati di unità significanti (le parole di una lingua combinabili in modo da formare un numero virtualmente infinito di frasi). Altra importante proprietà delle lingue storico-naturali è la creatività (o apertura), vale a dire la capacità di un nativo di una data lingua di produrre enunciati mai uditi o addirittura mai formulati prima, comprensibili e accettabili da altri nativi di quella lingua. Questa proprietà sembra essere tipica del linguaggio umano e non sembra essere condivisa dai codici comunicativi, pur complessi, di altri animali.
La scienza descrittiva delle lingue storico-naturali è la linguistica, a sua volta suddivisa in vari ambiti. La fonologia e la fonetica studiano le proprietà distintive e acustiche dei suoni caratteristici di una data lingua (fonemi). L'individuazione dei fonemi di una determinata lingua ha reso possibile l'invenzione della scrittura alfabetica nella quale un segno viene univocamente associato a un suono. Con il termine 'fonema' si indica il 'suono' minimo che distingue due parole per il resto uguali. Pur avendo significato molto diverso, le parole /b/elle e /p/elle, per esempio, differiscono solo per il suono diverso all'inizio della parola. Ne deriva che /b/ e /p/ sono due fonemi distinti. Va precisato che i fonemi sono concetti astratti: la realizzazione fonica di ciascun fonema (o allofono) è infatti fisicamente più o meno differente tra i parlanti di una stessa lingua e addirittura nello stesso parlante in condizioni emotive diverse. Tuttavia, differenti realizzazioni foniche vengono stabilmente classificate dal cervello dell'ascoltatore come corrispondenti ai fonemi che il parlante aveva intenzione di realizzare. Se questa corrispondenza non ha luogo, la decodifica e l'interpretazione del messaggio saranno difettose.
La morfologia è quella parte della linguistica che studia la struttura interna e la concordanza delle parole (per es., tra aggettivo e sostantivo). Il 'morfema' è la più piccola unità linguistica dotata di significato. Infatti le parole sono formate da uno o più morfemi che si distinguono in liberi - costituiti da un unico morfema, come nel caso di preposizioni, articoli, ausiliari - e legati, che sono il risultato della composizione di due o più morfemi, per esempio cavall-o. La conoscenza delle parole di una lingua implica conoscerne la pronuncia, la scrittura e l'appartenenza a una particolare classe, come nome, verbo, preposizione. Di interesse per gli studi dei disturbi del linguaggio conseguenti a lesioni cerebrali è il fatto che le parole possano essere di 'classe aperta', dette anche 'parole contenuto' (nomi, verbi, aggettivi) o di 'classe chiusa', dette anche 'funtori' (pronomi, articoli, preposizioni, congiunzioni).
La semantica è quella branca della linguistica che si occupa del significato delle frasi, delle parole o dei morfemi che vengono descritti tramite tratti semantici. La parola cane, per esempio, appartiene alle classi semantiche maschio, animale ma non a quella di femmina, umano. Molto più complesso, e ancora nelle fasi iniziali, è lo studio neuropsicologico del significato dei testi, che dipende sia dal significato delle parole sia da come esse sono strutturalmente combinate.
Lo studio della sintassi (dal greco syntaxis, 'combinazione', 'messa insieme') riguarda le modalità con cui le parole, con o senza flessioni appropriate, vengono collegate per comunicare mediante frasi i significati desiderati. Le frasi sembrano essere le unità minime del discorso, le caratteristiche invarianti dell'organizzazione sintattica che pure può essere enormemente diversa nelle varie lingue. In proposito il linguista statunitense Edward Sapir ha distinto le 'lingue analitiche' (come nel caso dell'inglese o dell'italiano) caratterizzate dall'ordine fisso e preciso delle parole nelle frasi, dalle 'lingue sintetiche' (per es., il latino o l'arabo) dove l'ordine delle parole è meno importante. Infatti, mentre la frase 'l'uomo picchiò il gatto' differisce sostanzialmente da quella 'il gatto picchiò l'uomo', le frasi 'natura abhorret vacuum', 'natura vacuum abhorret' 'vacuum natura abhorret' (equivalente latino di 'la natura aborrisce il vuoto') hanno lo stesso significato.
La pragmatica, infine, ha come oggetto di studio la conoscenza delle regole di adattamento ottimale dell'uso di una lingua al contesto, anche extralinguistico, entro il quale la comunicazione ha luogo. L'appropriato mantenimento dei turni di conversazione, per esempio, presuppone una serie di conoscenze sulla situazione che è ovviamente diversa se si tratta di una conversazione tra amici o di un colloquio di lavoro. La competenza pragmatica consente il corretto sviluppo delle informazioni inferenziali attivate da una certa frase (metafore, motti di spirito) e presuppone che vi sia una condivisione tra emittente e ricevente (conoscenza di discorsi precedenti, livelli culturali simili e così via).
L'approccio neuropsicologico allo studio del linguaggio ha dato origine alla neurolinguistica, disciplina che studia la rappresentazione del linguaggio e delle lingue nel cervello. Una convinzione attualmente condivisa in ambito neuroscientifico è che aspetti diversi delle lingue storico-naturali (per es., la denominazione, la ripetizione, la sintassi, la semantica) siano rappresentati in sistemi neurali che possono essere isolatamente compromessi o preservati dopo una lesione al cervello o in seguito a una temporanea inattivazione (per una stimolazione elettrica, per una scarica parossistica o per inattivazione farmacologica di un emisfero cerebrale).
Lo studio di pazienti cerebrolesi ha fornito le prime fondamentali conoscenze neurolinguistiche. Si pensi, per esempio, alla celebre memoria di Pierre-Paul Broca (1824-1880) del 1861 nella quale veniva descritto un paziente apparentemente capace di comprendere il linguaggio e senza deficit motori di lingua, labbra e corde vocali, ma con gravi disturbi nella produzione linguistica che risultava limitata alla sistematica emissione di pochi elementi isolati (il più comune era il monosillabo 'Tan' da cui il nome con il quale il paziente è passato alla storia neuropsicologica). L'analisi post mortem del cervello di Tan ha consentito di localizzare la principale sede lesionale nella regione frontale dell'emisfero sinistro, eponimicamente denominata 'area di Broca'. Dall'osservazione di un'analoga sede lesionale in altri otto pazienti con quadri clinici simili a quelli del paziente Tan è nato il celebre assioma di Broca riguardante la localizzazione cerebrale: "Nous parlons avec l'hémisphère gauche". Tredici anni dopo Carl Wernicke (1848-1905) descriveva pazienti cerebrolesi con gravi disturbi di comprensione del linguaggio il cui eloquio risultava quantitativamente eccessivo (fluente) e qualitativamente incomprensibile, quindi assolutamente non comunicativo.
Con il termine 'afasia' la moderna neurolinguistica indica quei quadri clinici di alterazione più o meno grave della comprensione e della produzione del linguaggio conseguente a lesioni in età adulta di rappresentazioni neurali dedicate alle lingue storico-naturali. È importante chiarire che per essere classificati come afasici i problemi linguistici, recettivi o espressivi che siano, non devono poter essere imputabili a cause periferiche quali, per esempio, lesioni della lingua, della faringe o della laringe (nel qual caso si parla di dislalie o di disfonie) o ad alterazioni del controllo motorio degli apparati fonoarticolatori (disartrie) o delle afferenze acustiche come nei casi di sordità. Un importante elemento per la diagnosi differenziale tra disturbi afasici e non afasici del linguaggio è che in quest'ultimo caso non si osservano alterazioni dei livelli sintattici e semantici.
La diagnosi di afasia in soggetti monolingue si basa sulla somministrazione di test standardizzati volti a valutare i molteplici piani delle lingue storico-naturali. Le alterazioni qualitative e quantitative dell'eloquio vengono valutate in prima battuta chiedendo al soggetto di parlare su un preciso tema (per es., raccontare la sequenza dell'atto di radersi o la preparazione di una ricetta di cucina). Della produzione linguistica così ottenuta viene analizzata la comunicatività, la prosodia, l'articolazione, il linguaggio automatico, la struttura sintattica e fonologica. La ripetizione viene valutata esaminando la capacità di ripetere suoni isolati, bisillabi, parole straniere, nomi composti, sintagmi a legame proposizionale. Il linguaggio scritto viene valutato tramite lettura ad alta voce, composizione di parole con lettere di plastica, dettato classico. È inoltre prevista la denominazione di colori, oggetti, nomi composti (per es., 'capostazione'), la descrizione di figure. La comprensione viene valutata sia contestualmente, indagando, per esempio, la comprensione di frasi pronunciate dall'esaminatore o presentate per iscritto, sia tramite appositi test nei quali il contesto extralinguistico è assai ridotto. Il più noto e usato dei test di comprensione acontestuale è il cosiddetto token test nel quale viene richiesto al paziente di indicare, toccare o prendere oggetti - chiamati 'gettoni' - con determinate caratteristiche dimensionali (piccoli o grandi), formali (cerchi o quadrati) o cromatiche (neri, gialli, verdi, bianchi o rossi). La complessità del test è crescente, nel senso che si passa da comandi linguisticamente semplici quali 'tocchi il cerchio rosso' a comandi ben più complessi quali 'metta il cerchio rosso sopra il quadrato verde'.
Le alterazioni quantitative dell'eloquio afasico possono comportare una riduzione o un aumento della produzione linguistica nell'unità di tempo rispetto alla media dei parlanti di quella lingua. Le alterazioni qualitative possono riguardare il livello fonologico (alterate temporizzazioni; assordamenti, per es., la b viene letta come p; sostituzioni, tabola per tavola), il livello semantico (per es., alla richiesta di denominare un abete il paziente produce la parola albero o la parola pino) o, infine, il livello sintattico, dando luogo ad agrammatismi (riduzione della produzione con tendenza a usare le flessioni semplici, per es., 'io andare casa') oppure a paragrammatismi (produzione fluente e tendenza a sostituire, ma non a omettere, morfemi grammaticali, come nel caso di 'ti puoi alzare di andare a casa').
La classificazione sindromica dell'afasia, derivata dall'associazione di sintomi linguistici, anche se a volte risulta del tutto inadatta a cogliere l'individualità di alcuni pazienti, è tuttavia ancora oggi largamente usata. Una rappresentazione schematica dei segni clinici nelle principali sindromi afasiche è riportata nella tab. 1.
L'accumularsi di evidenze cliniche ha reso sempre più chiaro che il sistema neurale alla base del linguaggio è formato da un certo numero di subsistemi dedicati alla produzione verbale, alla ripetizione, alla comprensione delle parole, delle frasi e dei testi, alla lettura, alla scrittura e così via.
Come si è già detto, è possibile identificare subsistemi del linguaggio analizzando doppie dissociazioni e in quest'ambito è di grande interesse l'esistenza di pazienti afasici con disturbo selettivo nel compito di produrre vocali e di pazienti selettivamente compromessi nel produrre consonanti. Tale dissociazione indica infatti una possibile distinzione neuro-rappresentazionale di questi diversi suoni e segni della lingua storico-naturale. Un altro interessante esempio di doppia dissociazione in ambito linguistico riguarda la formazione del passato remoto dei verbi inglesi. Mentre nel caso dei verbi regolari il participio passato si forma applicando la regola di aggiungere all'infinito il suffisso -ed (talk, parlare → talked, parlato), nel caso dei verbi irregolari l'applicazione della regola porterebbe a risultati sbagliati (dig, scavare, sarebbe dig-ed invece del corretto dug, scavato). In questi casi ci si deve necessariamente basare sulla memoria della singola forma. È stato dimostrato che pazienti con afasia di Wernicke, dunque con lesioni centrate sul lobo temporale, una struttura legata alla memoria, hanno maggiori difficoltà nella formazione del participio di verbi irregolari rispetto ai regolari. Per contro, pazienti con afasia di Broca - con lesioni centrate sul lobo frontale, una struttura che sembra importante per la corretta applicazione di regole sintattiche - presentano maggiori difficoltà nella formazione di verbi regolari rispetto agli irregolari.
Pur non utilizzando il canale uditivo-vocale, le lingue dei segni, vale a dire i codici gestuali usati nelle comunità di individui che a causa di sordità profonda non acquisiscono il linguaggio parlato, presentano fortissime analogie con le lingue storico-naturali. Le lingue dei segni presentano una doppia articolazione essendo costituite da unità non significanti (unità motorie minime) che si uniscono per formare unità significanti (gesti più complessi che ricordano da vicino le parole). Ancora più stupefacente è il fatto che diverse configurazioni spaziali e temporali di un determinato gesto definiscono aspetti semantici, sintattici e morfologici propri di ciascun linguaggio dei segni. In terzo luogo, questi codici sono creativi e il loro sviluppo sincronico e diacronico è influenzato socialmente, com'è dimostrato dal fatto che assumono forme diverse in ambiti geografici differenti (i codici usati in America differiscono da quelli usati in Italia almeno quanto le rispettive lingue storico-naturali). Infine, lesioni cerebrali dell'emisfero sinistro inducono afasie dei segni che ricordano quelle determinate da lesioni analoghe in soggetti che usano le lingue storico-naturali. Lesioni delle strutture frontali provocano disturbi gestuali che sul piano quantitativo corrispondono alla riduzione dell'eloquio e su quello qualitativo all'agrammatismo descritto negli afasici di Broca. Analogamente, lesioni temporo-parietali provocano alterazioni nelle quali il linguaggio dei segni risulta fluente e i pazienti commettono errori gestuali che ricordano le parafasie e i paragrammatismi osservati nelle lingue storico-naturali in pazienti con lesioni di analoghe strutture nervose.
Conoscenze dirette sulle basi nervose del linguaggio sono state ottenute negli ultimi venti anni grazie all'applicazione (sia in soggetti normali sia cerebrolesi) di una serie di tecniche, il cui sviluppo ha rivoluzionato le neuroscienze integrative e ha generato prospettive di studio precedentemente inimmaginabili. Si tratta delle tecniche neurofisiologiche e di neuroanatomia funzionale, delle quali, trattandosi di un campo in grande espansione, verranno elencate soltanto le principali, prendendo in considerazione alcuni esempi riguardanti la relazione tra il linguaggio e il cervello.
Tecniche neurofisiologiche
L'elettroencefalogramma è una tecnica non invasiva che permette di misurare, tramite una serie di elettrodi registranti posizionati sullo scalpo, l'attività dei neuroni corticali sottostanti. Di grande interesse per lo studio del linguaggio è lo sviluppo della tecnica dei potenziali correlati a un determinato evento, come la presentazione visiva o uditiva di una parola o di una frase. È stato dimostrato che la N400, una deflessione negativa dell'elettroencefalogramma che compare 400 ms ca. dopo la presentazione visiva o uditiva di una frase, è modulata da violazioni semantiche poiché risulta assai più ampia quando viene presentata una frase del tipo 'prendo il caffè con zucchero e cane' rispetto alla frase semanticamente corretta 'prendo il caffè con zucchero e latte'. Di interesse in questo contesto è altresì l'analisi della P600, una deflessione positiva che compare 600 ms ca. dopo la presentazione visiva o uditiva di una frase. Questa componente è modulata da violazioni sintattiche, risultando più ampia per frasi del tipo 'il gatto non vuole mangiando' che non per la versione sintatticamente corretta 'il gatto non vuole mangiare'.
Concettualmente simile all'elettroencefalogramma e ai potenziali evocati ma molto più invasiva è la tecnica di registrazione dell'attività di singole cellule effettuata tramite elettrodi registranti posizionati direttamente sulla corteccia cerebrale che non ha terminazioni dolorifiche. Questa tecnica è stata utilizzata nell'uomo per diagnosticare attività neuronale patologica (come quella causata dall'epilessia) o per aiutare il chirurgo a decidere l'ampiezza dell'ablazione di un tumore o di un focolaio epilettico. Essendo i pazienti svegli si può richiedere loro di effettuare compiti linguistici (denominazione di oggetti presentati visivamente); se un determinato elettrodo fa registrare variazioni di attività durante l'esercizio se ne deduce che l'area da cui si registra è coinvolta in tale attività. È inoltre possibile far passare corrente in un dato elettrodo durante lo svolgimento di un certo compito. Se l'esecuzione di quel compito ne viene bloccata, l'area stimolata è presumibilmente coinvolta nel compito. Nonostante la possibile variabilità interindividuale, i risultati concordano nell'attribuire all'emisfero sinistro un ruolo fondamentale sia nella produzione sia nella comprensione del linguaggio.
Una tecnica di stimolazione cerebrale più moderna e meno invasiva è la stimolazione magnetica transcranica (TMS, transcranial magnetic stimulation). Essa è basata sul principio dell'induzione elettromagnetica secondo il quale un impulso di corrente elettrica che passa attraverso una bobina di metallo (usualmente rame) genera un campo magnetico. I moderni apparecchi per stimolazione magnetica utilizzano una bobina stimolante contenente una spirale (comunemente chiamata con il termine anglosassone coil), che può essere appoggiata sullo scalpo ed è connessa a un condensatore. Da essa fluisce un campo elettromagnetico di elevata potenza e breve durata che attraversa i tessuti cutanei, muscolari e ossei del cranio, raggiunge la corteccia cerebrale e, nel caso di stimolazioni prolungate, blocca in maniera del tutto temporanea e reversibile la funzione dell'area corticale sottostante al punto di posizionamento della bobina stimolante. Questa tecnica è stata recentemente utilizzata in ambito linguistico per esaminare la possibile separazione rappresentazionale di nomi e verbi che, secondo quanto suggerito da dati afasiologici, sarebbero prevalentemente rappresentati rispettivamente in aree temporali e frontali dell'emisfero sinistro. I risultati degli studi di TMS hanno mostrato che interferire con la porzione di corteccia prefrontale di sinistra, in corrispondenza dell'area di Broca, comporta, in soggetti senza alcuna patologia, un'aumentata latenza nel produrre verbi in assenza di modifiche nella velocità di risposta a nomi.
Tecniche di neuroanatomia funzionale
Le tecniche di neuroanatomia funzionale consentono di studiare quali aree cerebrali compiano una determinata funzione e in che sequenza si attivino. Le due principali tecniche di visualizzazione dell'attività cerebrale in vivo sono la tomografia a emissione di positroni e la risonanza magnetica funzionale che verranno di seguito indicate tramite i rispettivi acronimi anglosassoni di PET (positron emission tomography) e fMRI (functional magnetic resonance imaging). La PET consiste nell'iniettare nel sangue venoso una sostanza biologica (tipo l'H2O o il glucosio) resa radioattiva in qualche sua parte (per es., l'ossigeno). Conoscendo il tempo necessario al sangue contenente la sostanza per raggiungere il cervello, si può calcolare la radioattività in una data zona cerebrale in un determinato istante. La logica è la seguente: la sostanza radioattiva raggiunge il cervello e si concentra maggiormente nella zona in cui c'è una più elevata quantità di sangue. Il volume di sangue risulta aumentato nelle zone metabolicamente più attive in un determinato momento, poiché il sangue veicola l'ossigeno e il glucosio, indispensabili per l'attività cerebrale. È dunque possibile valutare gli indici di attività cerebrale, il consumo di glucosio o di ossigeno, nel momento in cui un soggetto esegue un dato compito.
Naturalmente per trovare attivazioni neurali associate a un preciso compito sperimentale (per es., le sedi dell'attività evocata dalla lettura di parole) è necessario avere un compito di controllo dell'attività evocata in aree puramente visive (per es., la richiesta di leggere pseudoparole). La PET ha rivoluzionato le neuroscienze alla fine degli anni Ottanta ma, essendo relativamente invasiva, sarà probabilmente sostituita dalla fMRI che è non invasiva, non implica somministrazione di sostanze radioattive o impiego di raggi X, è sicura e indolore e consente una più elevata risoluzione spaziale. La fMRI si basa sul fatto che ogni tessuto ha proprietà magnetiche differenti, legate in genere alla diversa concentrazione di protoni, nuclei di idrogeno che se sottoposti a un campo magnetico ruotano attorno al proprio asse e si allineano secondo l'asse principale del campo. Se sono sottoposti a perturbazione perpendicolare, generata da radio frequenze, si disallineano e ruotano. Quando cessa il campo interferente, si riallineano emettendo a loro volta onde radio registrate da appositi sensori che forniscono pertanto indicazioni sulla variazione delle proprietà magnetiche del tessuto esaminato. L'attivazione di una data area induce un aumento di flusso cerebrale nella stessa legato alla necessità di far fronte alle maggiori richieste di ossigeno. La crescita di flusso comporta un incremento del tipo di emoglobina veicolante ossigeno (ossiemoglobina) rispetto al tipo che lo ha già ceduto ai tessuti (desossiemoglobina). Poiché la desossiemoglobina ha proprietà paramagnetiche, fa variare il segnale magnetico in quella zona (gli ambiti di variazione sono dell'ordine dell'1-5%). Il rilevamento di queste variazioni fisiche da parte di sofisticate apparecchiature consente, tramite un complesso apparato computazionale, di costruire immagini tridimensionali delle variazioni stesse e di ottenere mappe ad alta risoluzione (dell'ordine del millimetro) dell'attività cerebrale evocata da un certo compito.
Entrambe le tecniche sono state usate per studiare le aree corticali attivate durante compiti linguistici sia in soggetti normali sia in soggetti afasici. Il quadro generale che ne emerge è in buon accordo con le nozioni classiche sulle basi rappresentazionali del linguaggio, secondo le quali un ruolo centrale è giocato dalla corteccia frontale inferiore (area di Broca) e da quella temporale superiore (area di Wernicke) di sinistra. Tuttavia, i dati delle neuroimmagini suggeriscono che la complessità del compito linguistico può attivare differenzialmente un gran numero di aree corticali e sottocorticali soprattutto dell'emisfero sinistro ma in alcuni casi anche di quello destro (in particolar modo quando sono chiamati in gioco aspetti prosodici, pragmatici ed emozionali del linguaggio). Particolarmente interessante è il recente studio di risonanza magnetica funzionale in bambini di appena tre mesi, di madrelingua francese, nei quali veniva valutata l'attività cerebrale durante l'ascolto della registrazione di una storia (in francese) e del medesimo brano 'invertito' in modo da far perdere il significato al testo. Durante il compito sperimentale alcuni bimbi erano svegli altri erano addormentati. L'ascolto della registrazione canonica, ma non di quella invertita, ha mostrato attività prevalente in strutture del lobo temporale sinistro sia durante la veglia sia durante il sonno. È rilevante il fatto che solo nella veglia si registrava attività nella corteccia prefrontale di destra, un'area attiva durante compiti attenzionali. I dati suggeriscono un importante ruolo linguistico di aree corticali sinistre già in epoche molto precoci dello sviluppo e indicano un possibile ruolo dell'attenzione nell'apprendimento del linguaggio.
La sezione chirurgica del corpo calloso, vale a dire del principale sistema di collegamento tra i due emisferi cerebrali, è stata effettuata a partire dagli anni Cinquanta al fine di ridurre la generalizzazione di crisi epilettiche focali resistenti a qualunque terapia farmacologica. A causa della ridottissima comunicazione interemisferica conseguente al taglio del calloso, è stato così possibile studiare, nei pazienti con cervello diviso, il funzionamento separato dei due emisferi cerebrali. Tramite tecniche di lateralizzazione cerebrale degli stimoli è stato visto che l'emisfero sinistro è specializzato sia per la comprensione sia per la produzione del linguaggio; mentre l'emisfero destro, pur potendo presentare competenze leggermente diverse nei vari pazienti, è quasi incapace di effettuare operazioni cognitive che implichino il linguaggio. Il fatto che in alcuni soggetti le capacità linguistiche dell'emisfero destro isolato fossero superiori a quelle di pazienti con gravi disturbi del linguaggio conseguenti a estese lesioni dell'emisfero sinistro ha fatto ipotizzare che in questi ultimi le normali potenzialità di comprensione verbale dell'emisfero destro intatto possano essere ostacolate e disorganizzate da segnali patologici partenti dall'emisfero leso e trasmessi dalle commessure cerebrali. Tuttavia, va tenuto presente che, essendo i pazienti commessurotomizzati affetti da patologie preesistenti, l'assunto che i loro emisferi isolati siano rappresentativi del funzionamento degli emisferi isolati di soggetti normali potrebbe non essere completamente valido. Pertanto, gli studi sull'organizzazione linguistica degli emisferi di pazienti con cervello diviso sono considerati più per l'interesse euristico del modello (peraltro attestato dal conferimento nel 1981 del premio Nobel per la fisiologia e la medicina a Roger W. Sperry, pioniere di questi studi) che per il reale contributo da essi dato alla comprensione delle basi nervose del linguaggio.
Per lo studio del rapporto tra il cervello e l'uso di più lingue, si studiano soggetti in grado di utilizzare due o più lingue, oppure più di un dialetto, individui detti, appunto, bilingui. Di rilievo per la neurolinguistica è conoscere se le diverse lingue che un soggetto bilingue utilizza sono rappresentate nelle stesse strutture cerebrali o sono invece rappresentate in strutture cerebrali differenti. Risposte, sia pure incomplete, a tale quesito sono state fornite dallo studio afasiologico e strumentale di persone bilingui e poliglotte e hanno chiarito che lesioni cerebrali centrate sulle aree linguistiche non alterano le diverse lingue di un poliglotta nella stessa misura.
L'analisi del recupero delle varie lingue, disturbate in seguito a lesioni cerebrali, indica diverse modalità. Si può verificare il recupero: (a) parallelo, quando il miglioramento riguarda contemporaneamente le varie lingue; (b) selettivo, quando soltanto una lingua recupera mentre l'altra non presenta alcun miglioramento; (c) successivo, quando si assiste al miglioramento nell'uso di una lingua e soltanto successivamente a quello delle altre; (d) antagonistico, quando al miglioramento delle prestazioni in una lingua corrisponde il peggioramento delle prestazioni in un'altra.
La valutazione dei deficit deve essere effettuata per ciascuna delle lingue parlate dal soggetto in esame. A questo proposito, è stato messo a punto, principalmente grazie al lavoro di Michel Paradis (1987), il BAT (bilingual aphasia test), che valuta la storia del bilinguismo, i disturbi del linguaggio specifici di ogni lingua e le capacità di traduzione per ogni coppia di lingue. Il BAT è attualmente disponibile per 60 coppie ca. di lingue. La logica di questo test è simile a quella usata nei test standard per valutare l'afasia nei monolingui, nel senso che vi sono prove per valutare i vari piani di ciascuna delle lingue in esame (fonologico, morfo-sintattico, lessicale). Un'importante differenza è che nel BAT vi sono prove di traduzione da una lingua all'altra. Nonostante gli studi afasiologici in pazienti poliglotti non siano numerosi come nei monolingui, i dati suggeriscono che la rappresentazione nervosa delle diverse lingue, pur basandosi largamente sull'emisfero sinistro, utilizza substrati nervosi almeno parzialmente diversi.
Interessanti dati sull'organizzazione neurale delle diverse lingue storico-naturali padroneggiate da un poliglotta derivano dalle tecniche esposte precedentemente a proposito dei monolingui. Studi di elettrostimolazione diretta del parenchima cerebrale durante interventi neurochirurgici in pazienti bilingui hanno documentato l'esistenza di aree corticali la cui stimolazione provocava un'inibizione di entrambe le lingue, e di altre aree la cui stimolazione inibiva invece soltanto una lingua. Questi dati indicano l'esistenza di aree rappresentazionali comuni e di aree specifiche per ciascuna lingua; tali ricerche, tuttavia, sono state contestate perché non facilmente replicabili. Studi con la tecnica neurofisiologica dei potenziali eventi correlati hanno evidenziato differenze nella rappresentazione cerebrale delle lingue in funzione dell'età e delle strategie di apprendimento. In particolare, è stato dimostrato che nei bilingui precoci (nei quali cioè entrambe le lingue sono state apprese entro i primissimi anni di vita) le parole di 'classe chiusa' (articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni, ausiliari, aggettivi possessivi e dimostrativi) di entrambe le lingue sono rappresentate nel lobo frontale di sinistra, mentre le parole di 'classe aperta' (sostantivi, verbi e aggettivi) sono rappresentate nei lobi parieto-temporali. Invece nei bilingui tardivi, che avevano appreso la seconda lingua dopo i sette anni, le parole di classe chiusa della seconda lingua erano rappresentate in aree parieto-temporali come le parole di classe aperta.
Studi di risonanza magnetica funzionale hanno analizzato l'elaborazione di frasi in bilingui precoci e tardivi dimostrando che nei primi le aree per la comprensione e per l'espressione delle frasi coincidevano nelle due lingue mentre nei secondi coincidevano soltanto le aree per la comprensione (area di Wernicke). Per contro, i centri responsabili della produzione sintattica nella prima e nella seconda lingua (area di Broca) erano significativamente separati. È interessante un recente studio di risonanza magnetica funzionale in soggetti bilingui italiano-tedesco volto a esaminare se l'età di acquisizione della seconda lingua influenzi l'attività cerebrale durante il compito di giudicare violazioni grammaticali (come nel caso della frase 'i gatti ama cacciare i topi') o semantiche (per es., nella frase 'la pannocchia mangia il maiale'). Da questa ricerca è emerso che soltanto nei bilingui tardivi e unicamente nei lavori svolti nella seconda lingua vi è una maggiore attività in aree linguistiche (frontali e temporo-parietali dell'emisfero sinistro) nel compito di formulare giudizi di irregolarità grammaticale. Non è stata trovata invece alcuna attività differenziale nel compito di produrre giudizi di violazione semantica, suggerendo così la necessità di esposizione precoce a una lingua in modo da poterne meglio padroneggiare gli aspetti grammaticali.
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