La grande scienza. Public understanding of science
Public understanding of science
L'espressione Public understanding of science individua un'area di studi interdisciplinare che si occupa della percezione, della comprensione e degli atteggiamenti del pubblico non specialistico nei confronti della scienza e della tecnologia, nonché delle pratiche attraverso cui l'expertise scientifica è utilizzata, rielaborata o ignorata in contesti non specialistici.
L'espressione è utilizzata non di rado anche per indicare iniziative e attività pratiche promosse da vari soggetti per stimolare l'interesse nei confronti della scienza o per promuovere l'immagine di particolari discipline o istituzioni scientifiche.
Infine, seppur forse impropriamente, il riferimento è talvolta esteso allo studio dei processi di comunicazione che si instaurano tra esperti e non esperti - più correttamente designati dall'espressione Public communication of science.
I primi studi sugli orientamenti del pubblico nei confronti della scienza e della tecnologia risalgono agli anni Cinquanta e riflettono un interesse ad avvicinare la popolazione alla scienza che soprattutto negli Stati Uniti, sin dal dopoguerra, stava coinvolgendo la comunità scientifica, i giornalisti scientifici e le agenzie governative. Il documento Science and the Nation (1949) dell'Association of scientific workers, per esempio, sottolineava la necessità di migliorare la comprensione della scienza da parte del pubblico utilizzando gli strumenti educativi tradizionali, le nuove possibilità offerte dai media come la televisione, e la necessità che anche gli scienziati si dedicassero ad attività di 'disseminazione' dei contenuti scientifici. Anche il testo programmatico redatto dall'American association for the advancement of science (AAAS) nel 1951 - il cosiddetto Arden house statement - inseriva tra gli obiettivi centrali dell'Associazione, "accrescere nel pubblico la comprensione e l'apprezzamento dell'importanza e del potenziale dei metodi scientifici per il progresso umano […] nella nostra società moderna è assolutamente essenziale che la scienza - i risultati e lo spirito della scienza - siano meglio compresi dai funzionari governativi, dagli uomini d'affari, da tutte le persone" (Lewenstein 1992, p. 52). Le collaborazioni intraprese a questo scopo con il settore dei media si svilupparono a tal punto che nei primi anni Sessanta l'AAAS prese addirittura in considerazione l'ipotesi di mettere a disposizione dei produttori televisivi uffici 'dedicati', situati a Hollywood e New York (ibidem). Nel 1958, a sei mesi di distanza dal lancio dello Sputnik, un evento che ebbe un ruolo non trascurabile nel promuovere nella ricerca e nella promozione della cultura scientifica investimenti che consentissero agli Stati Uniti di stare al passo con i rivali sovietici, la National science foundation (NSF) presentò un programma di Public understanding of science del costo di un miliardo e mezzo di dollari. Infine, la National science writers' association (NSWA) riuscì a far finanziare dalla Rockefeller foundation una serie di indagini sui lettori di quotidiani per valutare il loro potenziale interesse per un maggiore spazio da dedicare alle notizie scientifiche. Nel 1957 un'indagine sulla popolazione americana sempre condotta dalla NSWA riscontrò atteggiamenti molto favorevoli nei confronti della scienza, ma livelli di comprensione decisamente modesti. Tale risultato fu utilizzato per giustificare nuovi investimenti in programmi di educazione scientifica. Fu anche allo scopo di valutare l'impatto di questi programmi che la NSF iniziò, a partire dagli anni Settanta, a includere tra i propri science indicator anche indicatori di 'alfabetizzazione scientifica' o scientific literacy.
Questa prima fase mette già bene in luce un aspetto che caratterizza gli studi sul Public understanding of science, ossia il loro sviluppo in stretta relazione - anche se non necessariamente sempre coincidente in termini di finalità e assunti - con le priorità dell'intervento operativo e dell'agenda politica.
È solo a partire dagli anni Ottanta, tuttavia, che si può parlare di un vero e proprio Public understanding of science movement (Gregory e Miller 1998). In Europa, un momento significativo fu indubbiamente rappresentato dal rapporto The public understanding of science pubblicato nel 1985 dalla Royal Society. Secondo tale rapporto, "una migliore comprensione della scienza può rappresentare un fattore significativo di promozione del benessere della nazione, elevando la qualità delle decisioni pubbliche e private e arricchendo la vita dell'individuo" (Irwin 1995, p. 16). Il rapporto auspicava un impegno più significativo in questo ambito da parte delle istituzioni pubbliche e private, prospettando benefici sia sul piano individuale sia su quello collettivo. Sul piano individuale, una maggiore informazione scientifica consente non soltanto di apprezzare pienamente i risultati della ricerca a livello culturale, ma anche di operare scelte più oculate nell'ambito della vita quotidiana, per esempio nel campo della salute. Sul piano collettivo, un pubblico più informato in materia di scienza e tecnologia potrebbe costituire una forza lavoro più efficiente; diventando meno ostile e più sensibile alla ricerca e all'innovazione, potrebbe facilitare le decisioni politiche e lo sviluppo economico e contribuire più pienamente ai processi democratici. Si concludeva che "gli scienziati devono imparare a comunicare con il pubblico e a considerare questa attività un proprio dovere" (Gregory e Miller 1998, p. 6). Il rapporto condusse alla costituzione, da parte della Royal Society, insieme alla Royal Institution e alla British association for the advancement of science, di un Committee for the public understanding of science (COPUS) deputato, tra l'altro, a distribuire finanziamenti per attività di comunicazione della scienza rivolte al pubblico. Sulla scia di questo interesse per il rapporto tra scienza e opinione pubblica in Gran Bretagna fu condotto sul pubblico anche un vasto studio che ebbe grande visibilità soprattutto tra scienziati e policy maker (Durant et al. 1989). L'indagine evidenziò un significativo interesse del pubblico britannico per la scienza, superiore addirittura a quello per temi quali lo sport e la politica. Pochi, tuttavia, risultarono coloro che si consideravano sufficientemente informati in materia di scienza, e ancor meno quanti esibivano un livello perlomeno sufficiente di conoscenze fattuali in materia di scienza. Da allora, survey sul rapporto tra scienza e opinione pubblica e studi più specifici sulla percezione di specifici temi a carattere scientifico-tecnologico sono divenuti comuni in molti paesi. A livello europeo, per esempio, l'Eurobarometro ha condotto vari studi su Europeans, science and technology e porta avanti un monitoraggio a intervalli regolari sugli orientamenti del pubblico nei confronti delle biotecnologie (Eurobarometer 1993, 2001, 2003; Gaskell e Bauer 2001). In numerose occasioni i risultati di queste ricerche sono stati utilizzati per sostenere che vi è una scarsa attenzione per i temi scientifici e un livello troppo basso di comprensione della scienza. Una delle ricerche più spesso citate, uno studio comparato condotto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, concludeva, per esempio, che più del 90% della popolazione americana e inglese poteva essere considerata analfabeta sotto il profilo scientifico (Durant et al. 1991). La responsabilità di questo deficit di comprensione da parte del pubblico è stato spesso imputato, oltre che a un'ostilità di principio dell'opinione pubblica - più volte accusata, anche in Italia, di 'antiscientismo' - a una rappresentazione inadeguata dei temi scientifici da parte dei mass media. È auspicabile, di conseguenza, uno sviluppo quantitativo e qualitativo della comunicazione scientifica rivolta al grande pubblico.
Anche sulla base di questi studi varie istituzioni pubbliche e private hanno varato iniziative e programmi finalizzati a promuovere una maggiore attenzione e una migliore comprensione della scienza da parte del pubblico non specialistico: dalle giornate a porte aperte organizzate ormai da gran parte dei laboratori e degli istituti di ricerca ai 'Festival della Scienza' fino ai corsi di giornalismo scientifico (una panoramica internazionale di queste iniziative in OECD 1997; European Commission 2002). Per l'Italia si possono ricordare l'istituzione nel 1988, da parte del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, del Comitato nazionale per le iniziative di promozione, tutela e valorizzazione della cultura scientifica e la legge n. 113 del 1991 'Iniziative per la diffusione della cultura scientifica' - successivamente aggiornata con la legge n. 6 del 2000. A livello europeo, oltre alle Settimane europee della scienza istituite nel 1993, va ricordata una linea specifica del Quinto programma quadro (1998-2002) dedicata a "stimolare la consapevolezza del pubblico nei confronti della scienza" (Raising public awareness of science). Nel Sesto programma quadro la promozione di un miglior dialogo tra scienza e società è indicata addirittura tra gli obiettivi prioritari della Commissione europea in materia di ricerca. Varie iniziative, a livello nazionale e internazionale, sono state predisposte anche per incoraggiare gli scienziati alla comunicazione con il pubblico e a fornire loro le competenze necessarie; documenti quali il rapporto del Wolfendale Committee per l'Office of science and technology britannico (1995) hanno addirittura introdotto la raccomandazione che ogni ricercatore finanziato da fondi pubblici dedichi una parte del proprio tempo a illustrare al pubblico i risultati ottenuti.
Dal punto di vista della ricerca è significativa la nascita, nel 1992, della rivista specialistica "Public understanding of science", la prima interamente dedicata ai vari aspetti dell'argomento.
Pur nella loro varietà, gran parte degli studi sul rapporto tra opinione pubblica e scienza del tipo sin qui descritto condividono una serie di elementi. In particolare: (a) l'assunto che il Public understanding of science coincida essenzialmente con l'alfabetismo scientifico, ossia con la capacità di comprendere 'correttamente' metodi e contenuti scientifici così come vengono comunicati dagli esperti, misurata attraverso domande di carattere fattuale su contenuti e metodi della scienza; (b) l'assunto che la suddetta comprensione sia a sua volta garanzia di atteggiamenti favorevoli nei confronti della scienza e dell'innovazione scientifica e tecnologica; (c) la tendenza a problematizzare, nel rapporto tra scienza e pubblico, soltanto il secondo termine della relazione, cioè il pubblico.
Per quanto riguarda il primo aspetto, è innegabile che i non specialisti presentino significative lacune informative in materia di scienza. Secondo gli studi condotti in Europa sulla percezione pubblica delle biotecnologie, per esempio, oltre il 30% della popolazione ritiene che i pomodori 'normali', a differenza di quelli geneticamente modificati, non contengano geni (Eurobarometer 2003). Tuttavia, numerose critiche sono state rivolte a questo tipo di approccio. Gli indicatori utilizzati per misurare la comprensione della scienza da parte del pubblico sono spesso discutibili: lo studio della NSF del 1991, per esempio, sottolineava che soltanto il 6% degli intervistati era in grado di fornire una risposta scientifica corretta a una domanda sulle cause della pioggia acida, trascurando il fatto che gli stessi specialisti sono ancora in parte in disaccordo su tali cause. Dubbi sono stati sollevati anche sull'affidabilità degli indicatori di interesse nei confronti della scienza, spesso basati su generiche affermazioni dell'intervistato e probabilmente soggette a un bias che è tipico delle indagini sociologiche di questo tipo: l'intervistato non vuole sfigurare di fronte all'intervistatore e ritiene di compiacerlo dichiarandosi interessato alla scienza. Altre ricerche hanno mostrato la complessa articolazione delle immagini della scienza presenti tra il pubblico: una percezione dell'astrologia come disciplina scientifica - classificata da numerose indagini quale segno di analfabetismo scientifico - si accompagna non di rado a un livello elevato di comprensione della scienza (Wynne 1995). Tali indagini danno peraltro per scontato che termini quali 'teoria', 'esperimento' - per non parlare di 'scienza' - richiamino al grande pubblico quegli stessi e univoci significati che evocano (anche ammesso che così sia) agli specialisti. Martin W. Bauer e Ingrid Schon, per esempio, hanno criticato gli studi sull'alfabetismo scientifico condotti da Jon D. Miller per la NSF per aver misurato la comprensione pubblica del metodo scientifico sulla base di un unico modello 'popperiano': "[Così] non si misura la comprensione della scienza da parte del pubblico, ma la diffusione di una certa concezione di scienza tra il pubblico" (Bauer e Schon 1993, p. 144). Numerose ricerche hanno peraltro mostrato come l'immagine pubblica della scienza si sovrapponga in misura significativa a quella della medicina (per l'Italia, Borgna 2001).
Più in generale, si è messo in evidenza come l'equazione tra comprensione pubblica e capacità di rispondere a domande sulla scienza abbia limitato a lungo l'agenda del Public understanding of science alla constatazione, in qualche misura tautologica, che i membri del pubblico non ragionano come scienziati di professione, chiedendosi se molte delle indagini sull'alfabetismo non misurino piuttosto "il grado di conformità sociale del pubblico a uno stereotipo di 'pubblico scientificamente alfabetizzato' presente tra gli scienziati" (Wynne 1995, p. 378).
Questa enfasi sull'incapacità del pubblico di comprendere la scienza così come essa proviene dalla comunità scientifica, secondo un modello di comunicazione lineare, pedagogica e paternalistica, è valso all'approccio tradizionale al Public understanding of science l'etichetta di 'modello del deficit' o deficit model.
Tutt'altro che scontato appare anche il legame tra esposizione a contenuti scientifici nei media, livello di conoscenza e orientamento favorevole nei confronti della ricerca e delle sue applicazioni. Nel campo delle biotecnologie, per esempio, ricerche recenti hanno messo in luce atteggiamenti di scetticismo e di diffidenza ampiamente presenti anche nelle fasce di popolazione più esposte alla comunicazione scientifica e che risultavano più informate sul tema sulla base di una serie di indicatori (Bucchi e Neresini 2002). L'opposizione di alcuni settori del pubblico nei confronti di determinate innovazioni tecnoscientifiche non pare nel complesso riconducibile unicamente alla presenza di un deficit informativo, ma richiede analisi più articolate e approfondite. Appare peraltro singolare, e merita forse una riflessione, il fatto che le istituzioni educative, a differenza dei mass media, non siano quasi mai considerate un ambito significativo di costruzione delle immagini di scienza e degli atteggiamenti nei confronti dell'impresa scientifica.
La disgiunzione tra sapere esperto e 'sapere laico' - è questo il termine più frequentemente utilizzato per tradurre l'espressione inglese lay knowledge, cioè il sapere dei non esperti, della gente comune - non può essere ridotta a un mero dislivello informativo tra specialisti e grande pubblico, come invece previsto dal modello del deficit. Il sapere laico non è una versione impoverita o quantitativamente inferiore del sapere scientifico, ma qualitativamente diversa. La 'conoscenza fattuale' rappresenta soltanto uno degli ingredienti del sapere laico, in cui inevitabilmente si intrecciano altri elementi (giudizi di valore, fiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche, percezione della propria capacità di utilizzare sul piano pratico la conoscenza scientifica) in un complesso non meno sofisticato di quello specialistico.
I critici del modello del deficit hanno peraltro messo in luce come si tratti di dimensioni molto difficili da cogliere con survey su larga scala, dando avvio a una serie di studi in profondità legati a casi specifici di (in)comprensione di questioni scientifiche da parte dei non specialisti attraverso gli strumenti dell'indagine etnografica e dell'analisi del discorso. L'adozione di metodi di indagine qualitativa, una definizione dell'incontro tra scienza e pubblico in termini non astratti, ma localmente situati e una concezione di entrambi i saperi in gioco - quello esperto e quello laico - come socialmente e culturalmente contingenti caratterizzano l'approccio noto come Public understanding of science 'critico' o 'interpretativo' (critical/interpretative public understanding of science, Wynne 1995; Michael 2002).
Uno degli studi realizzati nell'ambito di questo approccio, per esempio, ha individuato una differenza tra una concezione di 'scienza in generale' - utilizzata dai non specialisti quale meccanismo di distanziazione, definendo cioè la scienza come 'altro da sé' - e una concezione di 'scienza in particolare', fruibile in contesti pratici.
Lo stesso concetto di 'ignoranza' del pubblico appare di non facile definizione. Un gruppo di elettricisti impegnati nella centrale nucleare di Sellafield, in Gran Bretagna, dettero ai ricercatori varie giustificazioni per il proprio disinteresse ad acquisire - come invece sembrava lecito attendersi - informazioni scientifiche sui rischi da radiazione. In primo luogo, gli elettricisti ritenevano che interessarsi degli aspetti scientifici legati alle radiazioni li avrebbe condotti in una catena potenzialmente dispersiva di argomentazioni e discussioni. Inoltre, temevano di doversi confrontare con una serie di incertezze e di stime probabilistiche che ai fini del loro compito si sarebbero rivelate fonte di inquietudine, panico e quindi potenzialmente pericolose. Infine, vi erano altri soggetti in possesso di quel tipo di informazione tra i lavoratori della centrale; uno sforzo attivo da parte loro per acquisirla avrebbe potuto mettere in discussione le relazioni di fiducia e di autorità stabilite sul luogo di lavoro (Michael 1992). In altri casi, l'informazione scientifica può essere ignorata dal pubblico in quanto irrilevante o scarsamente applicabile alle proprie esigenze concrete, o semplicemente per scarsa fiducia nella fonte, ritenuta portatrice di interessi diversi dai propri. Non è affatto scontato, per esempio, che l'opinione pubblica veda nella comunità scientifica la fonte di informazione privilegiata su temi legati all'ambito scientifico: i cittadini europei si fidano di più delle associazioni dei consumatori piuttosto che degli scienziati quando si tratta di ottenere informazioni sulle biotecnologie (Eurobarometer 2003; Fondazione Giannino Bassetti - Observa 2003).
In questo senso, "l'ignoranza tecnica diviene una funzione di 'intelligenza' sociale, addirittura di una vera e propria 'comprensione' della scienza nel senso delle sue dimensioni istituzionali" (Wynne 1995, p. 380).
L'area della percezione del rischio rappresenta sotto questo profilo un esempio emblematico. La rappresentazione del rischio da parte degli esperti medici e la stessa rappresentazione del rapporto tra cause ed effetti nella medicina contemporanea si esprimono sempre di più in termini formali e probabilistici. La percezione dei non esperti, tuttavia, è inevitabilmente basata su esperienze soggettive ed esempi concreti. In uno studio condotto in Inghilterra intervistando alcune madri che avevano rifiutato di far vaccinare i loro bambini come prescritto dalla legge, si scoprì che la suddetta decisione non era affatto il risultato di disinformazione o di processi decisionali irrazionali ma di una diversa razionalità rispetto a quella degli esperti medici. Numerose donne, infatti, riferirono di conoscere personalmente altre mamme i cui bambini avevano avuto seri disturbi in seguito alla vaccinazione e di aver osservato direttamente effetti collaterali sui propri figli (Lupton 1995).
Un esempio classico di disgiunzione tra sapere esperto e sapere laico è offerto dallo studio di Brian Wynne sulla crisi delle 'pecore radioattive', crisi che investì nel 1986 alcune aree della Gran Bretagna in coincidenza con l'incidente alla centrale nucleare russa di Černobyl. Le valutazioni degli esperti scientifici del governo britannico minimizzarono a lungo il rischio che le greggi di pecore degli allevatori del Cumberland fossero state contaminate dalle radiazioni; tali valutazioni si rivelarono tuttavia largamente errate e dovettero in seguito essere pesantemente riviste, con il risultato di bandire per quasi due anni la macellazione e la vendita di carne ovina nell'area. Gli allevatori, invece, si erano dimostrati preoccupati sin dall'inizio sulla base della loro conoscenza diretta, fondata sull'esperienza quotidiana (che gli esperti scientifici inviati dal governo britannico non potevano ovviamente possedere) delle caratteristiche del terreno, del modo in cui l'acqua vi defluiva e di come tale terreno potesse assorbire la radioattività, trasferendola alle radici delle piante. Questa discrasia tra le stime - astratte e sofisticate - degli esperti e la percezione degli allevatori del rischio di contaminazione portò in ultima analisi questi ultimi a perdere la fiducia negli esperti governativi e a considerare le loro valutazioni viziate dal forte desiderio del governo di 'mettere a tacere la vicenda' (Wynne 1989).
Secondo alcuni studiosi gli stessi esperti contribuirebbero a rafforzare una rappresentazione del pubblico come 'ignorante'. Nel corso di uno studio condotto sulla comunicazione tra medici e pazienti, in un grande centro ospedaliero canadese fu distribuito un questionario allo scopo di saggiare il livello conoscitivo dei pazienti. Allo stesso tempo ai medici fu chiesto di stimare indipendentemente, per ciascun paziente, questa stessa conoscenza. I tre principali risultati ottenuti furono decisamente sorprendenti. Se da un lato, infatti, il livello informativo dei pazienti si dimostrava piuttosto buono (con una media del 75,8% di risposte corrette ai quesiti posti), meno della metà dei medici era invece riuscito a stimare accuratamente il livello conoscitivo dei propri pazienti. Infine, questa stima non era comunque utilizzata dai medici per adeguare il proprio stile di comunicazione al livello di informazione attribuito al paziente. In altre parole, il fatto di considerare un paziente scarsamente in grado di comprendere questioni o termini medici non portava il medico a modificare significativamente le proprie modalità espositive. La disinformazione del paziente, concludono piuttosto drasticamente gli autori, sembra in molti casi una sorta di 'profezia che si autoadempie': è il medico, considerando ignorante il paziente e non sforzandosi per farsi comprendere, a contribuire a renderlo effettivamente ignorante (Seagall e Roberts 1980).
Nonostante la sua influenza in termini di ricerca, tuttavia, l'approccio critico-interpretativo al Public understanding of science non ha avuto sinora un impatto significativo sulle policy in questo settore. Salvo alcuni aggiustamenti terminologici - istituzioni quali la britannica House of Lords o la Commissione europea stanno sostituendo l'espressione Public understanding of science, considerata troppo paternalistica, con la più dialogica Science and society - il modello del deficit continua infatti a informare in larga misura le dichiarazioni di politici e scienziati (Michael 2002). Una ragione di questa mancata svolta sul piano operativo risiede forse anche nella difficoltà di tradurre sul piano pratico le conclusioni dell'approccio critico, non ultimo il precetto per cui "problematizzare la scienza è una componente centrale di ogni serio tentativo di definire i temi generali di ricerca e di policy del Public understanding of science" (Wynne 1995, p. 384). Questo esercizio riflessivo risulta particolarmente difficile in uno scenario in cui sono spesso proprio le istituzioni scientifiche a trovarsi nella condizione di poter definire l'agenda del Public understanding of science: la problematizzazione esclusiva dei vari tipi di pubblico che caratterizza l'approccio tradizionale non è quindi soltanto una questione di ingenuità sociologica, ma una conseguenza dell'evoluzione storica del settore. D'altra parte occorre riconoscere all'approccio tradizionale e complessivamente al Public understanding of science movement il merito di essere riusciti comunque a porre il problema del rapporto tra scienza e pubblico all'attenzione delle istituzioni scientifiche e politiche.
Nel corso degli anni Novanta, una serie di studi, non sempre strettamente riconducibili al filone del Public understanding of science, ha sottolineato l'emergere di nuove forme di interazione tra scienza e pubblico non esperto. Livelli di comunicazione e attori sociali esterni alla sfera della ricerca possono in certe condizioni giocare un ruolo significativo negli stessi processi di definizione e accreditamento di tale conoscenza (Irwin e Wynne 1996; Bucchi 1998).
Particolarmente noto e approfonditamente studiato è il caso della ricerca sull'AIDS, in cui i metodi per testare l'efficacia dei farmaci e lo stesso termine scelto per indicare la malattia - al posto dell'iniziale GRID (gay related immunodeficiency disease) su pressione delle associazioni di omosessuali americani - furono negoziati con gli attivisti e le associazioni di pazienti (Grmek 1989; Epstein 1996). A metà degli anni Ottanta, i pazienti affetti da AIDS che stavano partecipando a sperimentazioni cliniche del farmaco AZT (all'epoca considerato un candidato promettente per curare la malattia) svilupparono una competenza notevole che permise loro di contribuire in modo sostanziale a influenzare la procedura di sperimentazione - per esempio, imparando a riconoscere i farmaci placebo e rifiutando di assumerli - e in ultima analisi ad accelerare il processo standard di autorizzazione del farmaco da parte della Food and drug administration. La sperimentazione di un altro farmaco, la pentamidina in aerosol, impiegato nel trattamento di una malattia collegata all'AIDS, la polmonite da Pneumocystis carinii, fu condotta in prima persona dai gruppi di attivisti dopo il rifiuto da parte degli scienziati; nel 1989 l'uso della pentamidina in aerosol fu approvato dalla Food and drug administration, che per la prima volta nella propria storia permetteva la diffusione di un farmaco sulla base dei soli dati raccolti in una sperimentazione community-based (Epstein 1995).
Tali casi hanno contribuito alla valorizzazione - da parte di studiosi e di soggetti impegnati sul piano operativo - di varie forme di coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni legate alla scienza e alla tecnologia quali consensus conferences, voting conferences, scenario workshops, focus groups. Tali forme sono state sperimentate a partire dagli anni Ottanta in paesi come la Danimarca e poi introdotte in numerosi altri contesti. Il modello della consensus conference, per esempio, prevede un dialogo tra cittadini ed esperti, solitamente aperto al pubblico, a esponenti dei media e del mondo politico, su un tema controverso a carattere scientifico o tecnologico. Un panel composto da un numero di cittadini che di solito oscilla tra dieci e trenta o citizen panel, scelti in modo casuale, formula le domande centrali e partecipa alla selezione del panel di esperti o expert panel. Quest'ultimo dovrebbe essere composto da esperti con capacità comunicativa, padronanza del settore in esame e rappresentativi di diverse posizioni. Sentiti gli esperti, sotto la supervisione di un advisory committee, che ha il compito di garantire che il processo segua le regole della democrazia e della trasparenza, il panel di cittadini deve formulare un documento con le proprie conclusioni e raccomandazioni (Joss 1999).
Lo sviluppo di queste forme è stato particolarmente vivace nell'area operativa della valutazione dell'impatto potenziale di innovazioni tecnologiche - il cosiddetto technology assessment - dando vita a uno specifico filone denominato participatory technology assessment. Forme di coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni sull'innovazione tecnologica rappresentano ormai una componente stabile nell'attività di istituzioni pubbliche quali, per esempio, il Board of technology danese o il Consiglio per la scienza e la tecnologia svizzero (Joss e Bellucci 2002).
Le analisi dell'efficacia di simili modelli non forniscono indicazioni univoche, anche se è chiaro che non è sufficiente riunire attorno a un tavolo cittadini, esperti e policy maker per sbloccare dibattiti così complessi come, per esempio, quello sulle biotecnologie. Le forme sinora sperimentate presentano, rispetto a uno strumento quale il referendum, il vantaggio di poter coinvolgere i cittadini sin dalle fasi iniziali del processo di policy, favorendo il contatto con gli esperti prima che le posizioni si polarizzino; d'altra parte, questi metodi coinvolgono necessariamente un numero limitato di cittadini e non hanno solitamente valore vincolante per la decisione politica. Vi è inoltre una serie di variabili di cui tenere conto, dalla portata dei problemi discussi - i modelli partecipativi hanno prodotto sinora i risultati più concreti su base locale - alla localizzazione istituzionale dell'evento partecipativo: la gestione di tale evento da parte di un'agenzia governativa (come è spesso inevitabile per problemi di risorse e di organizzazione) può riproporre i limiti di un approccio top-down, tipico del modello del deficit, in cui i cittadini sono relegati in un ruolo prevalentemente passivo (Irwin 2001).
Un'altra area emergente sotto il profilo dell'interazione tra conoscenza esperta e non specialistica è quella dei processi regolativi che riguardano la scienza, la medicina e l'innovazione tecnologica. Nel corso degli anni Novanta del XX sec., a una visione tecnicistica dell'applicazione delle conoscenze scientifiche in ambito giuridico e più in generale dei rapporti tra scienza e diritto, è subentrata una prospettiva che non vede più solo il diritto di utilizzare gli strumenti della ricerca scientifica, ma parteciparvi in modo significativo, per esempio stabilendo cosa possa essere brevettato come scoperta scientifica, chi possa essere considerato esperto scientifico o addirittura che cosa conti come 'prova matematica' (Tallacchini 2003a; MacKenzie 1993). I sociologi della scienza e i giuristi che si sono dedicati all'analisi di questi processi descrivono a tale proposito i contesti dell'elaborazione normativa e soprattutto la sua interpretazione nei tribunali come ambiti di coproduzione tra scienza e diritto, esercitando "l'uno sull'altro un reciproco gioco di elicitazione, sistematizzazione, sedimentazione e stratificazione di significati scientifico-giuridici. Così intesa, la scienza è un'istituzione sociale dinamica, impegnata insieme ad altre istituzioni nella definizione di un ordine che è al tempo stesso epistemico e sociale" (Tallacchini 2003a, p. 64; Jasanoff 1990). Per esempio, la sentenza sul caso Daubert della Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto ai giudici la possibilità di accettare come testimoni esperti che si dimostrino in grado di padroneggiare metodi e contenuti scientifici, pur senza essere riconosciuti tali dalla comunità scientifica. Sul piano normativo stanno comparendo leggi che prevedono la possibilità, da parte del cittadino, di obiettare al criterio di morte stabilito - quella cerebrale nel caso del New Jersey health statute - prefigurando una sorta di 'visione pluralistica' della definizione di morte. Il concetto di democrazia assume qui un significato decisamente diverso rispetto a quello inteso dal Public understanding of science tradizionale; non più di processo decisionale a maggioranza da supportare con competenze informative ma di "posizione che tende a non assumere come autoritativo nessun linguaggio (nemmeno quello della scienza), senza sottoporlo al vaglio di una riflessione critica istituzionale" (Tallacchini 2003b, p. 3).
Al termine di questa rassegna, dovrebbe apparire chiaro come, nel corso degli ultimi vent'anni, il tema del Public understanding of science si sia rivelato molto più complesso di come lo prefiguravano tanto l'approccio tradizionale del deficit, quanto, almeno in una certa misura, i suoi critici. Un recente contributo di Mike Michael (2002) tenta di evidenziare come entrambi gli approcci, pur nella loro diversità, condividano alcune caratteristiche comuni. In primo luogo una sorta di 'umanesimo' di fondo, che mette al centro del Public understanding of science l'individuo - quale soggetto conoscitivo, nel caso dell'approccio tradizionale, o come individuo socializzato, nel caso dell'approccio critico -, trascurando il fatto che l'incontro con la conoscenza esperta avviene sempre più all'interno di reti eterogenee di attori umani e non umani quali oggetti tecnologici e media (uno degli esempi citati proviene da uno studio di un forum web di discussione sulla corea di Huntington). Entrambi gli approcci, inoltre, trattano il sapere esperto e quello laico nei termini di siti discreti: in relazione unilineare, in base al modello del deficit, o dialogica secondo l'impostazione critica, ma pur sempre due sfere separate. Tuttavia 'scienza' e 'pubblico' come categorie distinte sono anche in parte il risultato di questi processi di interazione: il parere di un esperto in televisione rimarca la distinzione tra esperti e non esperti, così come si è visto che esponenti del pubblico possono allontanare la scienza in quanto 'altro da sé'.
Se nella prospettiva tradizionale tale separazione espone al rischio di sottovalutare che la dimensione culturale è già presente nella sfera scientifica, nella prospettiva critica il rischio è quello di ipostatizzare il sapere laico locale come una sorta di 'isola felice', baluardo della resistenza romantica alla colonizzazione del sapere scientifico. Ciò, da un lato, rende più difficile cogliere la varietà e i conflitti interni del sapere laico, dall'altro lo rende impermeabile a dinamiche culturali di carattere generale. Secondo Michael, per esempio, la diffusione di una cultura del consumo non andrebbe sotto questo profilo trascurata: all'identità di cittadino che è al centro di entrambi gli approcci si è negli ultimi decenni affiancata un'identità di consumatore che si nutre, tra l'altro, di elementi provenienti dalla stessa scienza (Michael 1998). Una concezione più ampia del Public understanding of science potrebbe tenere conto anche dei diversi livelli, non necessariamente tra loro coerenti, in cui si articola il rapporto con la scienza. Come può coesistere, si chiede per esempio Barry Barnes (2002), la diffusa percezione del ruolo dei geni nel determinare il nostro comportamento con la convinzione tradizionale di essere individui capaci di libera scelta e portatori di responsabilità? La sua risposta è che i due discorsi operano a livelli distinti: mentre il discorso sul determinismo genetico viene impiegato a scopi esplicativi, quello sulla libera scelta opera a un livello più basilare, rendendo in definitiva possibile la stessa interazione tra esseri umani.
In qualche misura, è possibile ipotizzare che il Public understanding of science movement abbia colto soltanto un frammento di un fenomeno assai più vasto. Un fenomeno che non si esaurisce nel dislivello di competenze tra esperti e non esperti, ma investe le trasformazioni del ruolo sociale dell'attività scientifica e, ancora, più generali trasformazioni della società e della politica, dei processi di regolazione, governance e partecipazione democratica. Una società sempre più pervasa dalla tecnoscienza, ma in cui i confini tra diverse aree appaiono sempre più permeabili e le stesse pratiche e istituzioni di produzione della conoscenza si configurano come sempre più ibride ed eterogenee. Un quadro, in definitiva, in cui il problema della comprensione e percezione pubblica è divenuto più difficile da definire, ma al tempo stesso sempre più centrale per comprendere la stessa scienza (Bucchi 2002; Nowotny et al. 2001).
Barnes 2002: Barnes, Barry, Genes, agents and the institution of responsible action, "New genetics and society", 21, 2002, pp. 291-302.
Bauer, Schon 1993: Bauer, Martin W. - Schon, Ingrid, Mapping variety in public understanding of science, "Public understanding of science", 2, 1993, pp. 141-155.
Borgna 2001: Borgna, Paola, Immagini pubbliche della scienza. Gli Italiani e la ricerca scientifica e tecnologica, Torino, Edizioni di Comunità, 2001.
Bucchi 1998: Bucchi, Massimiano, Science and the media. Alternative routes in scientific communication, London-New York, Routledge, 1998 (trad. it.: La scienza in pubblico. Percorsi nella comunicazione scientifica, Milano, McGraw-Hill Libri, 2000).
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