La grande scienza. Vita e morte delle stelle
Vita e morte delle stelle
Uno sguardo sommario al cielo ci mostra che le stelle non appaiono tutte ugualmente luminose (ciò era già noto agli antici Greci, i quali definirono le stelle visibili più luminose di prima magnitudine e le più deboli di magnitudine sei). Questo è dovuto in parte al fatto che esse si trovano a distanze molto diverse, che vanno da pochi anni luce per α Centauri e Sirio, a centinaia di anni luce per Rigel e Deneb, a oltre 100.000 anni luce per le stelle che si trovano ai confini della Via Lattea.
Saper misurare queste distanze è essenziale per poter progredire nella conoscenza delle stelle. Il metodo fondamentale di misurazione delle distanze è quello della cosiddetta parallasse, ossia il piccolo spostamento angolare apparente della posizione delle stelle, dovuto al moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole; tale spostamento è inversamente proporzionale alla distanza, e a esso è legata una delle unità di misura della distanza utilizzata dagli astronomi, il parsec (pc), definita come la distanza d di una stella che presenta una parallasse di un secondo d'arco. Si ha così d(pc)=1/parallasse (in secondi d'arco). Tutte le parallassi che si presentano sono in realtà minori di un secondo d'arco; le più piccole che siamo in grado di misurare sono di circa 0,001″. Inoltre, molti altri metodi per la determinazione della distanza delle stelle vengono calibrati utilizzando proprio la misura delle parallassi (le prime misure di parallasse completate con successo furono effettuate tra il 1835 e il 1838 da Friedrich Georg Wilhelm Struve in Russia, da Friedrich Wilhelm Bessel in Germania e da Thomas Henderson in Sud Africa).
La luminosità apparente e la distanza di una stella forniscono l'effettiva emissione di energia da parte dell'astro. L'ulteriore caratteristica delle stelle che si presenta subito all'osservazione è che esse non appaiono tutte dello stesso colore (i Greci notarono i colori delle stelle, anche se a volte confondevano la colorazione rossa intrinseca con quella derivante dalla vicinanza all'orizzonte): Betelgeuse, per esempio, è nettamente rossastra, mentre il colore di Rigel è bluastro. Misure quantitative di queste caratteristiche cromatiche, e del grado di ionizzazione e di eccitazione degli atomi nelle atmosfere stellari, rivelano la temperatura superficiale delle stelle. Per effettuare tali misure è necessario scomporre la radiazione luminosa proveniente da una stella in uno spettro; ulteriori analisi delle caratteristiche di assorbimento in questi spettri consentono quindi di determinare la composizione superficiale delle stelle.
I dettagli delle proprietà di assorbimento delle singole stelle dipendono anche dal loro periodo di rotazione, e dalla presenza di un campo magnetico negli strati delle loro atmosfere (la prima consapevolezza del fatto che le caratteristiche osservate nello spettro del Sole e delle stelle rappresentano l'assorbimento degli stessi elementi chimici che si trovano sulla Terra si deve al lavoro di Bessel e Gustav Robert Kirchhoff, intorno al 1858).
Almeno metà delle stelle sono legate gravitazionalmente in coppie, cioè sono stelle binarie. In alcuni casi questa circostanza fa sì che esse si presentino all'osservazione come una coppia di punti luminosi vicini; a volte invece una stella passa davanti all'altra e la oscura, mentre altre volte l'unica indicazione è costituita dalla presenza di due insiemi di righe di assorbimento negli spettri, le cui lunghezze d'onda si spostano avanti e indietro nell'orbitare di una stella intorno all'altra, a causa dell'effetto Doppler. I moti orbitali delle due stelle sono una conseguenza della normale gravità newtoniana; dalla loro analisi si possono ricavare le masse delle stelle, a partire da una modifica della terza legge di Kepler per le orbite planetarie:
[1] G(M1+M2)P2=4πa3
[2] M1a1=M2a2
in cui M1 e M2 rappresentano le masse delle due stelle, P il periodo dell'orbita relativa, a1 e a2 i semiassi maggiori delle due orbite ellittiche intorno al centro di massa, e a=a1+a2.
La massa di una stella risulta essere di fatto il fattore più importante nel determinare tutte le sue caratteristiche: la luminosità, la dimensione, la temperatura, la durata della sua vita, le reazioni nucleari che avvengono nel suo nucleo, e la possibilità che essa muoia come una nana bianca, una stella di neutroni o un buco nero. Le diverse caratteristiche di una stella non si associano peraltro in modo casuale, ma sono fortemente correlate tra loro. Ciò si può rilevare, per esempio, mediante la costruzione di un diagramma in cui si rappresenti la luminosità assoluta in funzione della temperatura superficiale (oppure del colore o del tipo spettrale), chiamato 'diagramma colore-luminosità', o 'diagramma di Hertzsprung-Russell', con riferimento a Einar Hertzsprung e Norris Russell, che realizzarono alcuni dei primi diagrammi di questo tipo intorno al 1910.
Queste stesse correlazioni emergono da semplici rapporti di scala, che risultano validi per la maggior parte della vita della stella, quando la sua sorgente di energia è costituita dalla fusione di idrogeno in elio nel suo nucleo:
[3] R/R⊙=(M/M⊙)1/2; T/T⊙=(M/M⊙)1/2; L/L⊙=(L/L⊙)3.
Tali relazioni sono autoconsistenti, poiché per una stella (che emette approssimativamente radiazione di corpo nero) si ha L=4πR2σT4, dove σ è la costante di Stefan-Boltzmann; quest'ultima relazione implica che la vita della stella sia proporzionale a M−2, poiché la scorta di energia disponibile è proporzionale a M (alcune di queste relazioni non richiedono la conoscenza della sorgente di energia della stella, e furono derivate da Arthur S. Eddington all'inizio degli anni Venti del XX secolo). In altre parole, quanto maggiore è la massa di una stella, tanto più essa sarà luminosa, calda e grande, e la sua vita sarà breve.
La tab. 1 mostra le proprietà osservate che accomunano tutti i tipi di stelle, con l'esclusione dei più estremi. È anche possibile che, insieme alle stelle, si formino oggetti di tipo stellare di massa inferiore a M⊙, che si presentano isolati o in sistemi binari, i cui nuclei non raggiungono mai la temperatura sufficiente per innescare la fusione di idrogeno in elio; tali corpi sono chiamati 'nane brune', e traggono energia soltanto dalla contrazione gravitazionale, e forse dalla fusione di deuterio (idrogeno pesante) in elio. Il numero di nane brune nei giovani ammassi stellari a noi prossimi risulta, quando è possibile stabilirlo, piuttosto inferiore a quello delle stelle propriamente dette; di conseguenza questi corpi celesti non contribuiscono in maniera determinante alla formazione della massa della Galassia (la scoperta delle nane brune e di pianeti orbitanti intorno ad altre stelle risale in gran parte agli anni Novanta del secolo scorso).
Tra le altre proprietà osservabili delle stelle vanno ricordati: (a) i movimenti, sia lungo la linea di vista sia nella direzione perpendicolare, dalla cui composizione si possono ricostruire le orbite delle singole stelle, degli ammassi stellari o di intere popolazioni di stelle attraverso il disco o l'alone della Galassia; (b) le variazioni di luminosità, provocate da oscillazioni, regolari o irregolari, delle loro dimensioni o temperature superficiali; (c) i fenomeni analoghi alle macchie, ai brillamenti e alla corona del Sole; (d) le emissioni di lunghezze d'onda diverse dalla luce visibile, compreso l'infrarosso (nane brune e stelle fredde), l'ultravioletto (stelle calde), i raggi X (stelle dotate di grande attività superficiale e stelle binarie) e le onde radio (stelle con corone o venti stellari di lunga portata, e alcune stelle binarie).
La scoperta che le stelle traggono energia dalle reazioni nucleari, in particolare dalla fusione di idrogeno in elio, fu uno dei maggiori trionfi dell'astronomia del XX secolo. Questa scoperta ha consentito di comprendere quasi completamente la formazione di tutti gli elementi della tavola periodica e di consolidare le previsioni sul futuro del Sistema solare. I calcoli che si effettuano per studiare la struttura e l'evoluzione delle stelle hanno inizio dal seguente sistema di equazioni differenziali non lineari
dove P e T sono la pressione e la temperatura a distanza radiale r; ϱ la densità in r, M e L la massa e la luminosità all'interno del raggio r, ε il tasso di produzione di energia, K l'opacità del gas (la tendenza a opporsi al flusso di radiazione), γ il rapporto tra i calori specifici del gas e a una costante. Le quantità dT/dr e dP/dr sono intrinsecamente negative; dM/dr è sempre positiva; dL/dr è normalmente positiva, a meno che gli strati esterni della stella si stiano espandendo.
Tali equazioni descrivono il modo in cui le proprietà interne della stella (massa, produzione di energia, temperatura e pressione) dipendono dalla miscela di elementi chimici presenti e dalla posizione all'interno della stella (si considera di solito soltanto la posizione radiale, anche se i calcoli in due e tre dimensioni stanno acquisendo rilevanza per le stelle rotanti e le supernovae).
Nelle equazioni compaiono tre proprietà della materia stellare, memorizzate in genere in tabelle che vengono poi utilizzate nelle procedure di integrazione numerica. Esse sono: il tasso di produzione o di assorbimento di energia dovuto alle reazioni nucleari e all'espansione o alla contrazione degli strati all'interno della stella; il tasso di trasporto di energia verso l'esterno a opera di fenomeni radiativi e convettivi (la conduzione è importante soltanto in stelle molto dense chiamate 'nane bianche'); l'equazione di stato, che lega la pressione alla densità, alla temperatura e alla composizione. La conoscenza di tutti e tre questi elementi dipende sia da esperimenti di laboratorio sia da calcoli teorici che si basano sulla meccanica quantistica, e risulta di fatto soddisfacente, eccetto quando si considerano condizioni molto estreme, per esempio, in presenza di reazioni nucleari tra nuclei molto instabili, di trasporto radiativo in gas densi e freddi in presenza di polveri, o quando l'equazione di stato deve descrivere materia molto calda e densa. Hans Bethe e altri, prima della Seconda guerra mondiale, fornirono varie approssimazioni per il tasso di generazione di energia. Molte delle proprietà nucleari e delle velocità delle reazioni nucleari rilevanti furono misurate nei laboratori di William A. Fowler presso il California institute of technology tra il 1950 e il 1975. Questo lavoro valse a Fowler il premio Nobel per la fisica nel 1983; nello stesso anno il premio fu conferito a Subrahmanyan Chandrasekhar, per il suo studio sulle stelle, particolarmente sulle nane bianche.
Per risolvere questi calcoli è essenziale conoscere le condizioni al contorno (cioè i valori che si assumono per la temperatura e la pressione al centro della stella, nonché la sua dimensione e luminosità per un determinato valore della massa e una data composizione, sulla base delle osservazioni o di calcoli precedenti) e avere a disposizione potenti elaboratori elettronici. Il risultato del calcolo è una serie di tabelle riguardanti le condizioni previste all'interno di ogni stella studiata e la loro dipendenza dal tempo, via via che le reazioni nucleari trasformano idrogeno in elio, elio in carbonio e ossigeno, e così via. Dai valori ottenuti si possono ricavare gli andamenti di alcuni parametri stellari caratteristici; per esempio, i diagrammi colore-luminosità per un intero ammasso di stelle della stessa età e composizione, come le Pleiadi o le Iadi, e, attraverso questi, i cammini evolutivi di stelle di diversa massa e composizione, oppure i dettagli previsti per un sistema binario con determinate masse, età, eccetera. Tali predizioni risultano generalmente in ottimo accordo con le osservazioni effettuate.
Le incertezze e le discrepanze residue derivano principalmente da alcune delle condizioni estreme cui si è accennato in precedenza, e dal fatto che non si ha una comprensione teorica abbastanza buona del trasporto convettivo di energia, come succede del resto nel caso delle previsioni meteorologiche e di molte altre discipline.
I cammini evolutivi nei diagrammi colore-luminosità forniscono una buona opportunità di confronto tra la teoria e le osservazioni, tranne che per le fasi terminali della vita di stelle di grande massa, per le quali le condizioni che si verificano al centro della stella variano così rapidamente che la superficie stellare non fa in tempo a reagire; in questi casi si possono però effettuare altre comparazioni. Un altro importante confronto è possibile per il Sole, per il quale non si osserva soltanto la luce che proviene dalla superficie, ma anche i neutrini che si originano direttamente dalle reazioni nucleari che avvengono al centro. Le predizioni sono quantitativamente molto vicine ai dati osservati, ma alcuni dei neutrini cambiano forma prima di raggiungere la Terra, e soltanto trent'anni dopo le prime misure questa manifestazione fisica fondamentale dei neutrini è stata riconosciuta. La prima misura del flusso di neutrini provenienti dal Sole fu effettuata da Raymond Davis jr, dei Laboratori nazionali Brookhaven, a partire dal 1969.
La luminosità di tutte le stelle varia su scale di tempo che vanno dai minuti, o anche meno, fino ad anni e oltre; spesso le variazioni sono meno dell'1% (come nel caso del Sole), ma a volte anche di un fattore 10 o più. Alcune stelle hanno una combinazione di temperatura superficiale e pressione tale che appena sotto lo strato visibile l'idrogeno viene ionizzato; queste si rivelano sistematicamente stelle variabili, con periodo di pulsazione regolare o quasi regolare, la cui durata è correlata con la luminosità e con la massa. La pulsazione delle stelle è utile dal punto di vista astronomico per due motivi: come ulteriore verifica della correttezza dei calcoli della struttura stellare e come indicatore di distanza per galassie lontane, necessario per ricostruire la struttura su larga scala dell'Universo e la sua evoluzione.
Le stelle possono concludere la loro esistenza in tre modi (tab. 2): come nane bianche (WD, white dwarf, nelle quali la forza di gravità è bilanciata dalla pressione esercitata dagli elettroni, che si trovano al massimo grado di densità consentito dalla meccanica quantistica), come stelle di neutroni (NS, neutron star, nelle quali la gravità è bilanciata dalla pressione dei neutroni a densità elevatissima), o come buchi neri (BH, black hole, nei quali la gravità prevale sulla pressione e la materia collassa all'interno dell''orizzonte'). Le nane bianche furono osservate per la prima volta da Walter S. Adams e altri, che localizzarono la compagna di Sirio su un diagramma colore-luminosità, intorno al 1920; le stelle di neutroni, come prodotti delle supernovae, furono previste nel 1939 da Walter Baade e Fritz Zwicky - che definirono al tempo stesso il tipo di esplosioni stellari chiamate appunto supernovae - e osservate come pulsar nel 1968 da Antony Hewish, S. Jocelyn Bell e altri; l'esistenza dei buchi neri fu postulata da John Michell (1724-1793) e Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) prima del XIX sec. - utilizzando la teoria della gravitazione di Newton e la teoria corpuscolare della luce (veri e propri buchi neri furono identificati per la prima volta tra il 1964 e il 1972).
Quale di queste alternative si verifichi dipende in primo luogo dalla massa della stella. Il Sole, e in generale le stelle che all'inizio della loro esistenza hanno masse fino a 8±2 masse solari finiranno come nane bianche, mentre quelle di massa maggiore moriranno come stelle di neutroni o buchi neri. La linea di demarcazione sul valore della massa iniziale è più ampia per le stelle binarie (a causa del trasferimento di massa) e per le stelle che alla nascita possiedono una percentuale di elementi pesanti inferiore al 2%, che caratterizza il nostro Sole e altre stelle relativamente giovani. Probabilmente anche la rotazione della stella (il suo momento angolare) è determinante nel destino finale di una stella. Le osservazioni indicano, in particolare, che la minima massa iniziale necessaria a determinare come condizione finale un buco nero è compresa tra 15÷20 masse solari e oltre 50, a seconda delle altre condizioni.
Tanto maggiore è la massa di una stella, tanto più sono spettacolari le fasi finali della sua evoluzione. Le stelle piccole come il Sole fondono idrogeno in elio, poi l'elio in carbonio e ossigeno, e terminano la loro esistenza espellendo violentemente gli strati esterni in una nebulosa, che è illuminata e ionizzata dal nucleo caldo residuo, e che si spegne in circa 10.000 anni. Queste nebulose sono chiamate 'planetarie' a causa dell'aspetto che presentano all'osservazione con un piccolo telescopio.
Nelle stelle di massa più grande, che vivono soltanto milioni, e non miliardi di anni, ha luogo una varietà maggiore di reazioni nucleari, che portano alla formazione di un nucleo composto di ferro, nickel ed elementi a loro prossimi nella tavola periodica. Quando la massa di questo nucleo diventa così grande che la pressione degli elettroni compressi a densità altissime non si può più opporre alla gravità, il nucleo collassa, rilasciando una grande quantità di energia (il valore limite della massa a cui questo avviene si chiama limite di Chandrasekhar, e costituisce anche il massimo valore per una nana bianca). La sorgente fondamentale di energia è la gravitazione; tale energia non viene però emessa come radiazione gravitazionale, ma sotto forma di neutrini, luce e altri tipi di radiazione elettromagnetica, e sotto forma di energia cinetica degli strati esterni della stella espulsi.
Durante il fenomeno, chiamato supernova, una singola stella accresce la propria luminosità fino a superare quella dell'intera galassia cui appartiene. Questi collassi di nuclei stellari in forma di supernova si verificano poche volte nell'arco di un secolo in una grande galassia come la Via Lattea, e sono osservabili anche da galassie molto lontane. Le esplosioni disperdono gli elementi pesanti prodotti dalle stelle durante tutta la loro vita, cedono energia al gas interstellare e possono dar luogo a nubi che, collassando, formano nuove generazioni di stelle.
Il materiale espulso in espansione rimane ionizzato e rilevabile (nel visibile, nella banda radio o nella banda X) per 100.000 anni o più, e i nuclei delle stelle di neutroni collassati, se risultano dotati simultaneamente di forte momento magnetico e rotazione veloce, si presentano come pulsar (il primo esempio chiaro di questa relazione è la Nebulosa del Cancro, residuo di un'esplosione stellare registrata dagli astronomi cinesi nel 1054 d.C.; la relazione fu riconosciuta da Knut Lundmark e altri tra il 1920 e il 1940, e le pulsar furono scoperte nel 1969).
Le stelle di massa molto grande e in rotazione rapida (forse a causa di compagne molto vicine, anch'esse evolute) che collassano fino a formare buchi neri possono anche emettere getti collimati di campi magnetici e particelle relativistiche, da cui si generano lampi di raggi gamma che durano da pochi secondi ad alcuni minuti, visibili anche dalle galassie più lontane. Si tratta di eventi rari, se ne verifica forse uno ogni milione di anni in una grande galassia.
Una metà di tutte le stelle, o forse anche più, si presenta in coppie, legate gravitazionalmente, chiamate stelle doppie, o binarie (e forse un 10% compare in sistemi tripli o di ordine superiore). Da queste coppie si ricavano le sole misure precise di masse stellari. Inoltre, molti fenomeni astronomici, a volte magnifici, a volte energeticamente spettacolari, accadono soltanto nei sistemi binari, spesso a causa del flusso di materia da una stella all'altra. Calcolare l'evoluzione di un sistema binario richiede di poter seguire nel tempo le due stelle, la materia che fluisce tra loro e a volte il gas che si allontana definitivamente dal sistema. Si sono effettuati al riguardo molti studi accurati, e in questa sede si fornisce piuttosto una trattazione semplificata. Per sistema binario 'interagente' si intende un sistema in cui si ha trasferimento di materia tra le due stelle, almeno in qualche stadio; la stella che ha la massa maggiore alla nascita si chiama 'primaria' e la sua compagna 'secondaria', indipendentemente dalla loro sorte successiva. Tre gruppi, guidati da Bohdan Paczynski in Polonia, da Miroslav Plavec in Cecoslovacchia e da Rudolph Kippenhahn in Germania, risolsero simultaneamente e indipendentemente i problemi fondamentali riguardanti l'evoluzione delle stelle binarie, tra il 1964 e il 1972, utilizzando idee che si possono far risalire a Zdenek Kopal.
La possibilità di interazione tra due stelle dipende dal concetto di superficie equipotenziale, ossia una superficie che si può percorrere senza compiere alcun lavoro (nel senso fisico del termine). La superficie della Terra approssima bene una superficie equipotenziale (se si escludono le montagne), poiché ha la forma di una sfera leggermente schiacciata. In un sistema binario, le superfici equipotenziali in prossimità delle stelle sono anch'esse sfere leggermente distorte, ma a distanza maggiore ce n'è una che racchiude entrambe le stelle, e ancora oltre una che si estende allo spazio esterno al sistema.
La stella primaria evolve più rapidamente, poiché ha una massa più grande. Quando essa arriva a riempire il proprio lobo di Roche (Tav. II), il gas in prossimità della sua superficie diventa libero di fluire verso l'altra stella.
Ciò avviene rapidamente (in circa 107 anni per stelle che ne vivono complessivamente 1010), finché la massa della secondaria non diventa maggiore; a questo punto il trasferimento di massa si rallenta e continua a ritmo ridotto per la maggior parte della vita restante delle stelle. In questo lasso di tempo il sistema presenta una condizione paradossale, in cui la stella di massa minore risulta la più evoluta, ma ciò si deve soltanto al fatto che quella stessa stella aveva iniziato la sua vita con la massa maggiore.
Le osservazioni mostrano stelle binarie in tutti gli stadi di questo processo di trasferimento di massa. Quelle che si trovano nella condizione paradossale di cui si è detto si chiamano binarie Algol, dal nome di una coppia così brillante che si può osservare con un semplice binocolo e dalla quale si possono scorgere anche le variazioni di luminosità quando una stella eclissa l'altra.
La primaria completa la sua evoluzione finendo come una nana bianca, una stella di neutroni o un buco nero, e il sistema diventa allora per un breve periodo relativamente poco spettacolare. Si possono riconoscere sistemi binari in cui una stella si trova in uno di questi tre possibili stadi finali, in orbita attorno alla stella compagna relativamente poco evoluta. Quando altra materia viene riportata sulla primaria, ormai molto compatta, a causa del vento stellare della secondaria, o poiché questa espandendosi ha riempito il suo lobo di Roche, si verificano fenomeni violenti. In ogni caso, si rende disponile energia, sia di tipo gravitazionale, dovuta al flusso di gas sulla primaria, sia di tipo nucleare, proveniente dalle reazioni che hanno luogo nel gas in accumulazione.
Le coppie interagenti con nane bianche in accrescimento sono chiamate 'variabili cataclismatiche' e si presentano in molti sottotipi, con o senza intensi campi magnetici. Un processo di accrescimento non stazionario può dare luogo a brillamenti che possono durare giorni e che si presentano a intervalli che vanno da pochi mesi ad anni. Quando sulla superficie della nana bianca si è accumulata una certa quantità di idrogeno, questo brucia violentemente, causando l'espulsione di parte del materiale superficiale, dando luogo all'esplosione di una nova. La luminosità del sistema aumenta di un fattore 100 e oltre in pochi giorni, e si riduce nuovamente in alcuni mesi, per poi attraversare la stessa sequenza di accrescimento-esplosione-espulsione dopo circa 104÷105 anni. Un piccolo numero di sistemi, chiamati novae ricorrenti, è esploso più volte nei 150 anni trascorsi da quando gli astronomi hanno iniziato a registrare questi fenomeni. In media, nella nostra Galassia si hanno circa 50 novae all'anno, e una visibile a occhio nudo ogni 10 anni. Le prime registrazioni di novae si possono trovare nelle cronache cinesi e babilonesi; la distinzione dalle supernovae fu effettuata da Baade e Zwicky nel 1934 - e poco prima da Heber D. Curtis e Lundmark - mentre il riconoscimento del fatto che tutte le novae compaiono in sistemi binari è stato attribuito a molte persone, e si fa risalire al 1965 circa.
L'accrescimento di una stella di neutroni o di un buco nero riscalda il gas a tal punto che la maggior parte dell'energia viene irraggiata sotto forma di raggi X. Anche in questo caso si hanno molti sottotipi di binarie X. L'analisi effettuata su uno di questi sottotipi fornisce la prova migliore che comuni stelle di grande massa possono formare buchi neri. La prima stella binaria X, Sco X-1, fu scoperta nel 1962 in una spedizione missilistica organizzata da Riccardo Giacconi, allora presso la American science and engineering; diversi gruppi hanno rivendicato la priorità nella corretta interpretazione delle osservazioni - accrescimento su una stella di neutroni in una binaria interagente - anche se la rivendicazione più giustificata è probabilmente quella di Yakov B. Zeldovich a Mosca.
Anche la secondaria conclude la sua esistenza come WD, NS o BH. A volte tale evento distrugge il sistema binario, e le due stelle compatte volano via l'una dall'altra; altre volte però ciò non accade, e si osservano casi di sistemi binari costituiti da due nane bianche, da una coppia WD+NS o da due stelle di neutroni. Alcune stelle di neutroni, ma non tutte, sono pulsar. Non dovrebbe essere possibile il formarsi di coppie WD+BH, mentre coppie NS+BH potrebbero costituirsi, anche se molto di rado, e probabilmente si dovrebbero poter trovare e analizzare circa 100 pulsar binarie (rispetto a una dozzina disponibili finora) per avere una buona probabilità di scoprirne una con un compagno BH.
Il destino a lunghissimo termine delle stelle binarie consiste in un movimento a spirale l'una intorno all'altra, alla fine le compagne si fondono, poiché il momento angolare viene sottratto dai venti stellari o dalla radiazione gravitazionale. Due nane bianche che si fondono possono dar luogo a un tipo di supernova differente da quelle che derivano dal collasso del nucleo, poiché il carbonio e l'ossigeno di cui sono costituite diventano così caldi e densi da produrre ferro in modo esplosivo. Queste supernovae vengono definite di tipo Ia, e si utilizzano per sondare la struttura dell'Universo su larga scala e la sua evoluzione. Un altro possibile tipo di progenitore di supernovae Ia sono le novae ricorrenti. La fusione di due stelle di neutroni, o di una stella di neutroni e di un buco nero, costituisce un'altra sorgente potenziale di lampi gamma. La scoperta delle sorgenti di lampi gamma avvenne in modo accidentale, durante l'analisi dei dati raccolti da satelliti americani e sovietici - progettati per rilevare test nucleari proibiti - intorno al 1970; le interpretazioni corrette furono disponibili fin dal 1976, ma la consapevolezza generale che si trattasse di eventi rari che avvengono in galassie situate ovunque nell'Universo fu raggiunta soltanto negli anni Novanta, con la scoperta delle prime controparti ottiche e con le misure degli spostamenti Doppler verso il rosso.
Attualmente, all'interno della Via Lattea, le stelle si formano da nubi di gas e polvere di massa relativamente grande, dense e fredde, principalmente nelle braccia a spirale del disco. In altre galassie, e in altri periodi, si sono presentate diverse modalità di formazione delle stelle, ma il materiale grezzo è sempre costituito da gas freddo, perlopiù idrogeno molecolare, e fino all'1% di polveri, formate da composti del carbonio, silicati e ghiacci. William Herschel (1738-1822) e Laplace, prima del XIX sec., ritenevano che le stelle si fossero probabilmente formate da nebulose rotanti; ci fu un periodo, tra il 1930 e il 1950 circa, in cui la maggior parte degli astronomi credeva che tutte le stelle avessero circa la stessa età - 2 miliardi di anni - e si fossero formate nell'Universo primordiale, in condizioni molto diverse; una trattazione seria della fisica del processo di formazione delle stelle si deve a sviluppi successivi alla Seconda guerra mondiale.
Dal punto di vista osservativo, si è giunti a una buona conoscenza del processo di formazione delle stelle. Si tratta di una dinamica piuttosto rapida, che impiega soltanto lo 0,1% circa del tempo che la stella trascorrerà fondendo idrogeno in elio. È anche un processo abbastanza inefficiente, che trasforma in stelle solamente una piccola percentuale del gas disponibile, prima che il resto sia disperso dai venti stellari e dalla radiazione ultravioletta provenienti dalle prime stelle di grande massa. Il processo è tale da favorire fortemente la formazione di stelle piccole rispetto a quelle grandi, e la distribuzione delle masse che ne risulta è spesso della forma N(M)∝M−x, in cui x è compreso tra 2,0 e 2,5 in un intervallo di masse compreso tra 100÷120 e circa 0,3 masse solari, con un appiattimento della pendenza, o una flessione, nell'intervallo di masse delle nane brune. Questo spettro, chiamato funzione di massa iniziale, varia relativamente poco tra le diverse regioni di formazione di stelle, e tra le differenti galassie. Nelle prime fasi del processo, precedentemente all'avvio delle reazioni nucleari, le stelle doppie e triple sono già molto frequenti, e costituiscono nella maggior parte dei casi la metà, o anche più, della popolazione protostellare. Questi sistemi binari mostrano lo stesso intervallo di rapporti di masse (da 1:1 a 10:1) e di distanze reciproche (si va da stelle che sono quasi a contatto a distanze di migliaia di unità astronomiche) che si osservano nelle popolazioni più evolute. Le tipiche regioni di formazione delle stelle contengono una quantità di gas pari a un numero di masse solari che va dalle centinaia ai milioni, e le loro dimensioni variano da poche unità ad alcune centinaia di parsec.
Le stelle, dunque, si formano in ammassi, anche se molti tra questi non rimangono gravitazionalmente legati dopo la dispersione dei gas residui. Tra gli ammassi se ne trovano quindi molti con età compresa tra 106 e 109 anni, ma soltanto pochi di massa molto grande che datano 1010 anni (per es., gli ammassi globulari nell'alone della Via Lattea). L'ammasso nel quale si formò il nostro Sistema solare probabilmente era costituito da poche centinaia di stelle e si è disperso dopo circa 108 anni. I membri di un ammasso stellare si formano in genere tutti allo stesso tempo, da una nube di gas di composizione quasi uniforme, e sono quindi particolarmente utili per effettuare confronti con i calcoli delle curve di evoluzione stellare e delle isocrone.
Una teoria completa della formazione delle stelle dovrebbe presumibilmente poter prendere le mosse dalle proprietà osservate di una nube molecolare gigante (massa, distribuzione di densità e temperatura, composizione, rotazione, intensità e forma del campo magnetico, velocità e direzione dei flussi interni di gas, ecc.) e predire il numero di stelle che si formeranno, le loro masse, la loro natura binaria o meno, e tutte le altre caratteristiche. In questa accezione, non esiste attualmente una teoria della formazione delle stelle. Tutti i processi fisici coinvolti sono più o meno compresi, ma il loro numero è talmente alto, e si manifestano su scale di dimensioni così diverse (dai milioni di chilometri dei diametri delle stelle ai 1014 chilometri della dimensione delle nubi), che non è possibile né per i calcoli analitici né per quelli numerici incorporare in modo appropriato tutti gli elementi. Secondo la visione attuale, la turbolenza è particolarmente importante nel determinare le dimensioni dei nuclei densi il cui accrescimento dà luogo alla formazione della stella. Si pensa inoltre che i campi magnetici giochino un ruolo determinante nell'arrestare il processo.
Nella transizione da protostelle a stelle, quando si avviano le reazioni nucleari, i giovani oggetti stellari sono caratterizzati spesso sia da dischi di accrescimento sia da getti uscenti dai poli, e vi sono prove di brillamenti, di fenomeni analoghi alle macchie solari, e di altre manifestazioni, che si presentano a livelli di intensità maggiori di quelli tipici delle stelle più vecchie. L'ambiente primordiale sulla Terra e sugli altri pianeti deve aver risentito senza dubbio di un flusso più intenso di radiazione ultravioletta e X, e di particelle di alta energia, associati alla maggiore attività del Sole in quell'epoca.
Le stelle non si trovano mai, o almeno non si formano mai, isolate; fanno parte, al contrario, di sistemi composti da 106÷1012 stelle, chiamati galassie. Verso la fine del XIX e l'inizio del XX sec. gli astronomi discutevano sulla possibilità che le indistinte nebulose a spirale osservate nel cielo fossero nubi di polveri all'interno della nostra Via Lattea, o che fossero invece galassie indipendenti (universi isola). Vi sono in realtà esempi di entrambi i tipi, tuttavia la questione dell'esistenza di galassie esterne fu risolta definitivamente, tra il 1923 e il 1927, da Edwin Powell Hubble, il quale poté misurarne la distanza, collocandole con certezza al di fuori della Via Lattea.
Il processo di formazione delle galassie è ancor meno ben compreso rispetto a quello delle stelle, poiché di esso non si conoscono perfettamente tutti gli elementi fondamentali, in particolare la natura e il comportamento della materia oscura, che costituisce circa il 90% della massa di una galassia tipica. Sembra probabile, comunque, che il processo inizi con la contrazione gravitazionale di elementi di materia oscura, ognuno forse composto da circa 108 masse solari. Con il passare del tempo, il gas affluisce in questi elementi, che possono interagire e mescolarsi.
Tra i fenomeni fondamentali nell'evoluzione delle galassie hanno particolare rilevanza: (a) la trasformazione del gas in stelle; (b) l'espulsione violenta del materiale elaborato da parte delle stelle morenti; (c) il flusso di gas dalle regioni esterne delle galassie verso il centro; (d) i venti stellari, che sospingono i gas contenenti elementi pesanti appena sintetizzati al di fuori della galassia, nello spazio circostante; (e) gli incontri e le fusioni di piccole galassie, che generano galassie più grandi (questi eventi innescano spesso tutta una serie di formazioni di stelle); (f) la formazione gravitazionale di raggruppamenti di galassie piccole e grandi in sistemi che vanno da poche galassie, non più di una dozzina, fino ad ammassi con migliaia di galassie.
La Via Lattea fa parte di un sistema chiamato Gruppo locale di cui fanno parte circa altre trenta galassie minori, del quale è uno dei due membri di dimensioni maggiori (l'altro è costituito dalla Nebulosa di Andromeda). Il Gruppo locale fa parte a sua volta di una struttura più grande, chiamata Superammasso locale, o Supergalassia, al centro della quale si trova l'ammasso di galassie della Vergine, che comprende centinaia di membri. Altri grandi ammassi sono visibili al di là delle costellazioni della Chioma di Berenice, di Perseo e dei Pesci; gli ammassi prendono spesso il nome delle costellazioni al di là delle quali si trovano, anche se non hanno nulla in comune con le stelle che formano le costellazioni stesse.
La tab. 3 rappresenta la gerarchia delle strutture astronomiche comuni, dalla Terra all'Universo.
Una galassia tipica consta di quattro elementi: (a) un nucleo denso, che spesso contiene un buco nero, la cui massa è circa lo 0,1% della struttura complessiva; (b) uno sferoide di stelle relativamente vecchie, costituito da un rigonfiamento centrale che digrada in un alone più diffuso di stelle vecchie e povere di metalli, e da ammassi stellari; (c) un disco piatto nel quale si trovano gas e polveri, e dove ha luogo la formazione delle stelle; (d) un alone esteso di materia oscura. L'aspetto fisico di una galassia dipende in gran parte dal rapporto tra la componente sferoidale e quella piatta, in rotazione. Nelle galassie a spirale, come la Via Lattea, le due componenti sono confrontabili. Nelle galassie giganti ellittiche la componente sferoidale e l'alone dominano, mentre le galassie irregolari di dimensioni inferiori, come la Nube di Magellano, sono costituite quasi esclusivamente dal disco. Come nel caso delle stelle, il numero di galassie piccole o nane è di gran lunga maggiore di quello delle galassie grandi e di massa elevata. In generale, le galassie a dominanza sferoidale si trovano in grandi ammassi, in particolare al centro di questi, mentre le galassie in cui la componente del disco domina si trovano nei piccoli gruppi e alla periferia degli ammassi, dove c'è un passato di minori interazioni e fusioni.
Gli ammassi di galassie più grandi hanno almeno altrettanta massa sotto forma di gas tra le galassie di quanta ve ne sia sotto forma di stelle all'interno delle galassie. Collocato nella profonda buca di potenziale gravitazionale dell'ammasso, il gas è caldo ed emette raggi X, di cui possiamo analizzare intensità e spettro, ricavando la massa dell'ammasso indipendentemente dalle misure basate sul moto delle galassie e sull'effetto di lente gravitazionale sulle galassie lontane da parte di quelle vicine. I tre metodi danno in genere risultati coerenti, il che rafforza l'idea che la maggior parte del potenziale gravitazionale è dovuto alla materia oscura e conferma la validità della relatività generale come descrizione del modo in cui le forze gravitazionali agiscono su larga scala.
Le stelle e le galassie fungono da traccianti delle proprietà dell'Universo nel suo complesso. Le galassie, anche se non sono strutture permanenti, ci consentono di osservare approssimativamente dove si concentra la porzione dominante della materia nell'Universo, e quando il processo di concentrazione è iniziato. Le stelle ci forniscono indicatori sia di distanza sia di tempo. La scala di distanze sottesa alla misura dell'espansione cosmica (la costante di Hubble) si basa sulle variabili Cefeidi e sulla loro relazione periodo-luminosità, oltre che sui diagrammi colore-luminosità degli ammassi di galassie, che servono a loro volta a calibrare le supernovae e le altre candele standard. I limiti inferiori all'età dell'Universo sono fissati dall'età delle stelle più antiche (stelle non evolute e nane bianche in ammassi globulari) e dal decadimento del torio in altre stelle antiche che si trovano nell'alone della Via Lattea.
Tutta la conoscenza umana, e certamente tutta la conoscenza astronomica, è senza alcun dubbio unitaria, ma le stelle non sono un cattivo punto per cominciare. Da una prospettiva antropocentrica, il Sole è la sorgente di energia che rende possibile la vita sulla Terra e, quando esso si espanderà e diverrà una gigante rossa, tra 5 miliardi di anni circa, la Terra cesserà inevitabilmente di essere abitabile e gli oceani evaporeranno.
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