La guerra dello spread
Fondo salva-Stati, intervento della BCE, supervisione bancaria comune sono le più importanti misure per tentare di risolvere la crisi dell’eurozona. Ma finché permarrà la diffidenza tra paesi creditori e debitori, non si otterranno risultati durevoli.
Dopo dieci anni di inflazione stabile, bassi interessi e un tasso di crescita medio del 2% all’anno, il sistema dell’euro è entrato in crisi. La grande recessione globale del 2008-09 ha inizialmente colpito tutti i paesi fuori e dentro l’area, ma dal 2010 ha preso forme specifiche nell’eurozona mettendo a repentaglio l’intero progetto europeo. Nella seconda metà del 2011 i paesi dell’euro sono entrati in una seconda fase recessiva.
Nel 2012 il quadro è ulteriormente peggiorato convincendo le autorità europee ad accelerare la messa in opera di politiche anticrisi, avviando al contempo una discussione profonda sulla riforma del Trattato di Maastricht, la cui architettura è, in una certa misura, all’origine della crisi stessa. Nonostante i progressi, l’impasse non è superata, una via di uscita si potrà trovare solo se la dinamica del negoziato politico europeo riuscirà ad andare oltre il conflitto tra paesi creditori e debitori.
La recessione del 2008 ha fatto esplodere il debito, delle banche, soprattutto in Spagna e Irlanda, e quello degli Stati, specie in Italia e Grecia. Poiché gli Stati intervengono per salvare le banche e le banche comprano titoli pubblici per salvare gli Stati, la distinzione, anche se importante all’origine, diventa semantica con l’avanzare della crisi.
Il problema è il debito consolidato di banche e Stati. I paesi avanzati che hanno il controllo della loro moneta generalmente non corrono il rischio di fallimento perché la loro Banca centrale può stampare valuta per finanziarli. Le conseguenze in questo caso sono un deprezzamento del tasso di cambio e una crisi valutaria, ma si evita la crisi sovrana.
Nel sistema euro questo meccanismo manca perché i singoli paesi non hanno il potere di stampare moneta, decisione che spetta alla BCE. Si crea così una situazione simile a quella dei paesi emergenti che prendono prestiti in valuta straniera di cui non hanno il controllo. Il debito sovrano li espone al rischio di bancarotta, che si riflette nei tassi sui titoli di Stato, amplificando il costo di finanziamento e aggravando la situazione in un circolo vizioso. I titoli di Stato dei paesi indebitati dell’eurozona, che prima della crisi erano considerati senza rischio, improvvisamente sono stati riprezzati, mettendo sotto stress non solo gli Stati, ma anche le istituzioni finanziarie che li hanno in bilancio. I primi sintomi di questa fragilità si sono evidenziati in Grecia nel 2010, ma dall’estate del 2011 anche Italia e Spagna sono state contaminate. Madrid e Roma hanno, però, una dimensione molto diversa da Atene e se perdessero accesso al mercato manderebbero all’aria la moneta unica. La dinamica viziosa non finisce qui. Dato il rischio sovrano che contamina le banche dei paesi che ne sono soggetti, gli istituti di credito dell’Europa del Nord (paesi creditori) hanno cessato i finanziamenti alla periferia (paesi debitori) prosciugando quindi una fonte essenziale di liquidità, quella derivante dai prestiti interbancari. Non avendo più accesso al mercato, le banche dei paesi periferici sono costrette a ricorrere ai prestiti della BCE.
Si crea dunque la ‘balcanizzazione’ del sistema bancario, con le banche italiane che ridivengono italiane e quelle tedesche che tornano germaniche, invertendo quel processo di integrazione finanziaria che era stato un pilastro del progetto dell’euro. Poiché le banche della periferia hanno ora costi di rifinanziamento più alti delle banche dell’Europa forte, i tassi che applicano a imprese e consumatori sono più elevati, condannando in tal modo all’impotenza la politica monetaria di Francoforte. Qualunque sia il tasso d’interesse stabilito dalla BCE, i tassi in Italia saranno più alti di quelli in Germania e quindi la politica monetaria diventa di fatto restrittiva nel primo paese ed espansiva nel secondo.
Questo meccanismo, se si combina all’effetto delle politiche di bilancio necessarie a rimettere i conti in ordine, aggrava le condizioni dell’economia reale dei paesi della periferia e, date le strette connessioni economiche tra paesi dell’eurozona, comincia anche ad avere un effetto di rallentamento su economie forti come quella tedesca. Nel 2012 sono avvenute tre cose importanti: l’approvazione del fondo salva-Stati ESM (European Stability Mechanism), l’annuncio delle politiche di acquisto di titoli di Stato da parte della BCE, l’annuncio di un progetto per la supervisione bancaria comune. Queste misure vanno nella direzione giusta.
Il fondo salva-Stati dovrebbe dare respiro ai paesi indebitati, gli interventi della BCE dovrebbero attenuare le crisi di liquidità e agire da calmiere sui tassi di interesse e la supervisione bancaria comune dovrebbe aiutare a superare la balcanizzazione del sistema finanziario.
Tuttavia, molte incertezze rimangono sulla modalità degli interventi e sulla loro dimensione. La ragione è che queste politiche implicano rischi e costi per i creditori e possono riuscire solo se i paesi debitori si impegnano
in progetti di riforma. Le risposte alla crisi avvengono quindi a piccoli passi, sono il frutto di negoziati difficili e divisivi e non parte di un ambizioso progetto di revisione dell’architettura dell’euro.
Finché questa dinamica tra creditori e debitori sarà dominata da una diffidenza reciproca, basata su una percezione distorta della distribuzione dei costi e dei benefici della moneta unica, la crisi continuerà a persistere.
Supervisione e unione bancaria europea
Contestualmente alla crisi dei debiti sovrani e al varo del fondo salva-Stati permanente, l’ESM, è emersa l’esigenza di costruire un sistema condiviso di regole per la sorveglianza del settore bancario, dimostratosi particolarmente vulnerabile. Tale funzione è stata finora svolta dall’EBA (European Banking Authority), l’organismo fondato il 1° gennaio 2011 e presieduto dall’italiano Andrea Enria, che ha appunto il compito di predisporre il codice delle regole comuni. Ma il progetto messo a punto dal commissario europeo per il Mercato interno e i servizi, Michel Barnier (che dovrebbe diventare operativo a partire dal 2013 nelle banche che usufruiscono degli aiuti BCE, per poi estendersi su tutte le banche dell’eurozona entro il 1° gennaio del 2014) introduce una netta discontinuità nell’attività di controllo, in quanto trasferisce alla BCE una serie di poteri finora esercitati nell’ambito dei singoli Stati. Poteri che, una volta approvato il progetto (sul quale gravano però le perplessità tedesche), saranno insindacabili da parte dell’autorità politica, esercitabili su tutte le banche (compresi gli istituti minori) e soprattutto incisivi. La supervisione bancaria dovrà inoltre essere affiancata da altri due pilastri, edificati i quali si avrà una vera e propria unione bancaria europea: il sistema di garanzie europee dei depositi e il fondo europeo per la risoluzione dei fallimenti bancari.
I libri
■ Max Otte, Fermate l’eurodisastro!, 2011.
■ Joseph E. Stiglitz, The price of inequality, 2012.
■ Paul R. Krugman, Fuori da questa crisi, adesso!, 2012.