Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Quattrocento si affermano le armi da fuoco e si delineano processi politici che portano alla formazione degli eserciti permanenti e allo sviluppo di nuovi organismi tattici. Si tratta di una fase di sperimentazione, operata sia sul versante dell’affinamento di schemi bellici tradizionali e collaudati, sia attraverso l’assimilazione di forme militari inedite, per quanto legate ad atavici assetti socio-culturali (fanterie svizzere), e che dà vita all’arte militare moderna.
L’organizzazione della guerra in Europa
La scena militare europea del XV secolo è dominata dal mercenariato. Né gli obblighi feudali, né l’arruolamento di armati tra la popolazione sono estinti: questi sistemi occupano tuttavia una zona marginale del mondo militare e si conservano, in parte, lì dove più pressanti si mostrano le urgenze della guerra. È il caso della Francia, ancora impegnata nella prima metà del secolo nel devastante conflitto con l’Inghilterra: i re francesi continuano a convocare i nobili al servizio con la formula dell’arrière-ban (leva indiretta), revisione dell’antica chiamata alle armi carolingia (hériban), e raccolgono corpi di arcieri e balestrieri dalle comunità e dalle parrocchie, benché gli esiti di tali ordinanze si rivelino deludenti; allo stesso modo, i re di Germania proclamano ancora la leva feudale (Lehnsaufgebot). È il servizio mercenario però, come si diceva, a dominare. Le accresciute dimensioni dei conflitti lo impongono e le risorse finanziarie degli Stati europei, aumentate a seguito del perfezionamento delle strutture amministrative, lo consentono. D’altronde, l’aristocrazia occidentale, resistente a prestare il servitium debitum feudo-vassallatico, si mostra incline, parallelamente, a far fruttare la propria atavica abilità guerriera offrendosi al mercato della guerra. La formula del contratto di ingaggio, elaborata nel corso del Trecento, si conferma così, nel Quattrocento, come lo strumento più adeguato a incanalare nel sistema mercenario quanti, di oscura origine o di scarsa fortuna, siano interessati a un arruolamento come semplici uomini d’arme (cavalieri) o fanti, o per chi, di ceto elevato, voglia inserirsi in una compagine mercenaria militandovi con un proprio seguito o intenda costituirne una propria. Le compagnie, del resto, come vengono dette queste formazioni, organizzate a imitazione delle società mercantili, sono strutture aperte, suscettibili di dilatazioni o contrazioni organiche a seconda della fama e della fortuna del capitano, che propone al miglior offerente l’ingaggio del proprio potenziale bellico.
Ma se le leggi del mercato governano ovunque l’organizzazione della guerra, è solo in Italia che il sistema assume forme evolute. In Spagna, in Inghilterra e in Germania infatti il contratto di ingaggio militare, pur diffusissimo, stenta a dar vita a schemi di arruolamento stabili; e benché in Francia, sin dalla prima metà del Trecento, sia rilevabile un maggior ordine, con il ricorso regolare alle lettres de retenue, con le quali il re assolda i propri mercenari, l’ingaggio non presenta termini vincolanti e deve essere rinegoziato periodicamente.
L’organizzazione della guerra in Italia
Codificato nella forma della “condotta”, da cui l’appellativo di condottiero assunto dai capi delle compagnie, e regolato dal diritto commerciale, in Italia l’ingaggio appare subordinato invece a precise norme giuridico-contrattuali, tese a definire i tempi di militanza e la quantità e qualità delle truppe che lo Stato (locator) “noleggia” dal titolare dell’impresa (conductor). È significativo anzi che nella penisola si vadano affermando le prime milizie permanenti: la coerenza e la stabilità del contratto spingono verso la stabilità del servizio, patteggiato anche per i periodi di pace. Si tratta di un aspetto cruciale del processo evolutivo che interessa l’organizzazione della guerra in Europa, e che risulta favorito in Italia da un ulteriore elemento caratteristico: la profonda commistione tra istituzioni politiche e compagini armate. A partire dai primi decenni del Quattrocento, infatti, molti principi minori si convertono al mercenariato. È il caso dei Montefeltro di Urbino, dei Malatesta di Rimini, dei Gonzaga di Mantova, degli Estensi di Ferrara, per far solo gli esempi più noti: fondate proprie compagini mercenarie, costoro entrano nella dialettica politica col duplice ruolo di mercenari e statisti, contribuendo a orientarne gli equilibri verso la sfera militare. Parallelamente, le grandi compagnie a condotta degli Attendoli, degli Sforza, dei Piccinino, forti di diverse migliaia di combattenti, di proprie amministrazioni e cancellerie, si presentano come veri e propri Stati itineranti, capaci di dialogare su un piano di quasi parità con le maggiori potenze della penisola.
Gli eserciti permanenti
Stabilità delle norme di ingaggio e dilatazione dei tempi di ferma; fusione tra sfera politica e militare: il sistema mercenario italiano, alimentato dai capitali messi a disposizione dal credito bancario e sostenuto dalla cultura giuridica e dalla prassi politica, abbeverato, in una parola, alla sorgente della razionalità rinascimentale, dà origine a casi unici, come quello di Francesco Sforza (1401-1466), che da condottiero, nel 1450, diviene duca di Milano, e, come si diceva, si indirizza verso le prime forme di esercito permanente. Ritoccando un sistema avviato sin dal 1420 da Filippo Maria Visconti infatti, a Milano viene consolidata in periodo sforzesco la milizia stanziale dei familiares ad arma, già guardia del duca, che a metà secolo conta alcune centinaia di uomini d’arme e numerosi condottieri. Allo stesso tempo, a Venezia, con l’ingaggio diretto da parte del governo di armigeri “sciolti”, non inquadrati cioè in compagnie indipendenti (le cosiddette lanze spezzate), si costituisce un reparto permanente di cavalleria che, tra gli anni Venti e Trenta del Quattrocento, appare rigidamente sottoposto all’autorità di capitani nominati dalla Repubblica. Si tratta di sistemi precocissimi, ma non certo unici. L’esigenza di milizie permanenti, utili in tempo di pace alla conservazione dello Stato e integrabili in guerra con l’ingaggio di condottieri, si fa sentire ovunque in Europa e, se non porta sempre a esiti duraturi, avvia una fase di vivace sperimentazione. Come in Francia, dove vengono istituite le compagnie di ordinanza, ossia dei contingenti mercenari stabili, composti da uomini d’arme e arcieri, coerentemente ripartiti tra le province del regno e mantenuti a spese delle popolazioni locali; esperienza proficua, avviata negli anni Quaranta del Quattrocento e seguita, nella seconda metà del secolo, dal Ducato di Borgogna. Nel Regno di Napoli la ricerca di un modello di organizzazione permanente della milizia mercenaria porta invece a risultati singolarissimi. Investendo sulla professionalità guerriera sviluppata dal piccolo patriziato urbano del regno in oltre un secolo di lotte dinastiche, e incanalandola in un dispositivo militare gestito direttamente dalla corona, i monarchi aragonesi di Napoli realizzano una cavalleria demaniale (hominidarme del demanio) che presenta le stimmate della modernità. Pagate dalla “tesoreria militare”, infatti, e poste al comando di “ufficiali” di nomina regia (homini da capo), essi pure stipendiati e privi di proprie compagnie, quelle truppe vanno a formare una vera e propria milizia “nazionale”, naturalmente radicata sul territorio, in quanto composta da sudditi del regno, e che nella seconda metà del secolo arriva a contare alcune migliaia di combattenti.
Innovazioni tecniche: artiglierie e armi da fuoco
Non è solo sul terreno dell’organizzazione della guerra però che nel corso del Quattrocento si realizzano capitali traguardi: anche sul versante “organico”, relativo cioè alla composizione delle forze armate, e su quello tecnico, si registrano importanti risultati.
Intanto, le artiglierie da fuoco, introdotte in Europa a partire dalla fine del Trecento, si affermano in modo massiccio, soppiantando negli assedi le macchine a leva e a contrappeso dei secoli anteriori. Bombarde e mortai di bronzo e ferro, ordigni del peso di svariate tonnellate, capaci di scagliare proiettili di pietra, vengono fatti costruire dai maggiori Stati europei, gli unici in grado di riunire le risorse necessarie alla realizzazione di queste costosissime bocche da fuoco, che vanno a costituire i parchi d’artiglieria nazionali. Ne risulta modificata, più che la tecnica degli assedi, che resta immutata in Europa fino almeno al XVII secolo, la struttura delle fortificazioni, che assumono forme appuntite, a “stella”, per offrire meno superficie al tiro delle bombarde e si muniscono di protezioni ausiliarie e strutture atte a ospitare le artiglierie da difesa.
Anche qui un posto primario spetta all’Italia, dove si assiste a una vera e propria fioritura delle artiglierie, non solo di quelle pesanti, ma anche delle mezzane e delle minute e manesche, utilizzabili tanto nelle azioni ossidionali, quanto in battaglia, come artiglierie mobili da campo montate su carri e armi da tiro: la fantasia dei costruttori italiani, anzi, si esalta e a tali armi vengono conferiti nomi evocativi, che ne richiamano la forma affusolata, a forma di rettile (serpentine, colubrine), la speciale traiettoria disegnata dal tiro, simile al volo dei rapaci (girifalchi, falconetti), il rumore (schioppetti) o che rievocano armi desuete (cerbottane, spingarde).
L’avvio dell’arte militare moderna
In campo organico, le affinate cognizioni strategiche codificate nei primi trattati sull’arte della guerra suggeriscono la formazione di contingenti di cavalleria leggera, di cui viene apprezzata la notevole versatilità operativa, sperimentata nelle guerre contro gli Arabi in Spagna e contro i Turchi nei Balcani. Gruppi sempre più consistenti di cavalleggeri, armati di sottile lancia e di scudo, ingaggiati in Spagna (ginetti) e in Albania (stradiotti), cominciano ad affluire così, a partire dalla seconda metà del secolo, negli eserciti europei, in seno ai quali si afferma intanto un’altra affine tipologia di combattente: il balestriere a cavallo, che alla mobilità aggiunge l’efficienza del tiro. Del resto, anche le fanterie, tanto quelle dei tiratori (arcieri e balestrieri, ai quali si aggiungono col tempo gli schioppettieri), quanto quelle appiedate, armate di lancia, scudo e spada, vanno ampliandosi e definendosi professionalmente, dando vita a compagnie mercenarie autonome, inquadrate da connestabili. La cavalleria pesante, da parte sua, l’arma tradizionale per definizione, appare essa pure sottoposta a una profonda revisione.Desunto dalla coppia “classica” del cavaliere e del suo scudiero, il nucleo tattico di base della cavalleria, la lancia, già costituito nel XIV secolo da tre combattenti, l’uomo d’arme, ossia il lanciere corazzato, e due aiutanti armati alla leggera, viene ampliata nel corso del Quattrocento con l’inserimento di altri elementi ausiliari, tutti montati, utili a sviluppare un’azione coordinata attorno all’armigero allorché, al termine della carica, si accende la mischia. È qui ravvisabile il tentativo di portare al massimo grado di specializzazione la tattica guerresca del cavaliere, incarnato dall’uomo d’arme, che appare ora completamente chiuso in un’armatura d’acciaio che i progressi dell’artigianato hanno reso ancor più resistente e leggera. Si tratta però dell’ultimo sussulto di una tradizione in declino. Mentre tali innovazioni sono in atto, difatti, fa la sua comparsa la fanteria svizzera e sulle punte delle sue picche, tra il 1476 e il 1477, nelle battaglie di Grandson, di Morat, e Nancy, si infrange la fiorita cavalleria di Carlo il Temerario.
È l’atto di nascita dell’arte militare moderna: da allora le fanterie di picchieri domineranno i campi di battaglia. Stretti nei loro quadrati riuniti attraverso atavici sistemi aggregativi di matrice clanica, gli Svizzeri rilanciano un antico costume bellico barbarico, che ancora una volta – lo stesso si era verificato nel secolo precedente per le fanterie di tiratori – le necessità militari degli Stati europei, impegnati a dotarsi di strumenti bellici sempre più efficaci e brutali, hanno risvegliato dalle contrade più isolate e “conservative” del continente, integrandolo nei loro evoluti dispositivi militari. La cultura militare europea riscopre in tal modo il cuneus, l’antica formazione di battaglia delle tribù germaniche, e lo rielabora, attraverso uno straordinario percorso che dall’alto Medioevo giunge fino alle soglie dell’Età moderna.