La guerra sul ‘metodo Stamina’
Messo a punto da un non specialista, Davide Vannoni insegna infatti psicologia all’Università di Udine, e promosso dall’associazione da lui fondata, la Stamina Foundation Onlus, il cosiddetto metodo Stamina prevede che sul paziente venga effettuato il prelievo da un osso di cellule staminali mesenchimali, normalmente deputate a generare l’osso stesso, la cartilagine e il tessuto adiposo. Dopo una coltura delle cellule di qualche settimana e una loro esposizione a etanolo e acido retinoico, esse vengono iniettate nuovamente nel paziente per via endovenosa. La terapia viene applicata nella cura di svariate malattie aventi origine neurologica, autoimmune oppure genetica.
Subito dopo l’inizio della sperimentazione l’Istituto superiore di sanità boccia il trattamento, mentre è l’Agenzia italiana del farmaco a decretarne il blocco della sperimentazione. Un fatto questo che provoca il ricorso ai giudici del lavoro dei pazienti in trattamento per essere autorizzati a continuare la cura. Sull’onda di una forte pressione mediatica, molto simile a quella che accompagnò il famoso metodo Di Bella per la cura del cancro, l’allora ministro della Salute Renato Balduzzi autorizza con apposito decreto legge la prosecuzione del trattamento per i pazienti in cura. A quel punto anche in Parlamento si determina un vastissimo consenso a favore del metodo Stamina: si arriva così alla conversione del decreto legge in un’apposita legge che dà l’avvio a una limitata – durerà solo 18 mesi – sperimentazione clinica della terapia sotto il controllo dell’Istituto superiore di sanità e dell’Agenzia italiana del farmaco; il tutto accompagnato da un finanziamento di 3 milioni di euro.
Sulla vicenda la rivista scientifica Nature è intervenuta in 2 occasioni attaccando l’operato di Vannoni e del suo team. Dapprima pubblicando un articolo nel quale si dimostra che i dati sui quali si basa la ‘controversa’ terapia sono errati e frutto di un plagio; successivamente con un editoriale nel quale, senza troppi giri di parole, si afferma che «ci sono molte ragioni per le quali la sperimentazione dovrebbe essere fermata» e che dunque «le autorità italiane non dovrebbero andare avanti nel sostenere test clinici costosi di una terapia cellulare non provata e che non ha solide basi scientifiche».
A ottobre si registra però un dietro front da parte del governo. In seguito al parere negativo espresso a settembre dal Comitato scientifico nominato dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che rileva l'assoluta assenza di presupposti scientifici per giustificare l'avvio della sperimentazione, viene emanato dal ministro un provvedimento di ‘presa d’atto’ che accoglie la tesi degli esperti e blocca definitivamente la sperimentazione stessa.
di Alessandro Albanese