La hora de los hornos
(Argentina 1966-68, 1968, bianco e nero, 264m); regia: Fernando Solanas, Octavio Getino; produzione: Edgardo Pallero, Fernando Solanas per Grupo Cine Liberación; sceneggiatura: Fernando Solanas, Octavio Getino; fotografia: Juan Carlos Desanzo; montaggio: Antonio Ripoll, Fernando Solanas, Juan Carlos Macías; musica: Roberto Lar, Fernando Solanas; voci narranti: Edgardo Suárez, María de la Paz, Fernando Solanas.
Il film, che ha come sottotitolo "Notas y testimonios sobre el neocolonialismo, la violencia y la liberación", si divide in tre parti: Neocolonialismo y violencia, Acto para la liberación ‒ a sua volta suddiviso nelle due grandi sezioni Crónica del peronismo (1945-1955) e Crónica de la resistencia (1955-1966) ‒ e infine Violencia y liberación. La prima parte ‒ in cui Fernando Solanas, secondo le sue stesse parole, utilizza tutte le sue conoscenze di cinema pubblicitario per dar vita a un film-shock ‒ è composta da un prologo e tredici sezioni: La historia, El país, La violencia cotidiana, La ciudad puerto, La oligarquía, El sistema, La violencia política, El neorracismo, La dependencia, La violencia cultural, Los modelos, La guerra ideológica, La opción. In questi primi novanta minuti, il film offre una descrizione critica dell'Argentina e della sua situazione culturale, politica, economica e sociale. La seconda e la terza parte del film, secondo il regista, "fungono da strumenti di riflessione". Nella seconda parte, più lunga, vengono descritti, con uno stile di impatto minore rispetto alla prima parte, gli anni del peronismo al potere ‒ compresa un'intervista a Perón in esilio ‒ e quelli del peronismo colpito dalla proscrizione. La terza parte, che dura soltanto 45 minuti, è uno studio ‒ basato su citazioni, dichiarazioni e interviste ‒ sulle forme di violenza in Argentina e negli altri paesi 'non liberati'.
Girato in clandestinità tra il 1966 e il 1968, durante la dittatura di Juan Carlos Onganía, La hora de los hornos ottenne immediatamente un grande successo internazionale e portò alla ribalta del cinema latinoamericano il nome di Fernando Solanas e quello del Gruppo Cine Liberación da lui fondato assieme a Octavio Getino, Gerardo Vallejo ed Edgardo Pallero. Secondo i loro intenti, l'arte doveva avere lo scopo di modificare la realtà. La presentazione ufficiale del film ebbe luogo in Italia nel giugno del 1968, in occasione della quarta edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, in un contesto culturale europeo estremamente ricettivo nei confronti di proposte cinematografiche come questa. Il film ottenne infatti il gran premio della giuria e il premio FIPRESCI. In seguito proseguì il proprio percorso partecipando ai festival di Karlovy Vary, Locarno, Mannheim e venne presentato in Europa in varie occasioni (tra le altre, nelle cineteche di Parigi e Berlino). La sua proiezione, inoltre, fu inserita nel programma dei festeggiamenti di Cuba, in occasione del decimo anniversario della rivoluzione. L'anno successivo il film venne proiettato a Cannes, nell'ambito della Semaine de la Critique, e Solanas fu intervistato da Jean-Luc Godard per la televisione (anni dopo, nel 1988, a Cannes Solanas otterrà il Premio per la regia con Sur, unico regista argentino a riuscirci fino a ora). Nonostante questi riconoscimenti internazionali, La hora de los hornos venne presentato in Argentina soltanto nel 1973, quando Juan Domingo Perón aveva ormai assunto la presidenza del paese. Fino ad allora esso rimase vietato; nelle occasioni in cui si cercò di mostrarlo alla stampa organizzando proiezioni private, la polizia intervenne a impedirne lo svolgimento. Il film, tuttavia, era visibile a Montevideo già dal 1969, mentre in Argentina veniva proiettato clandestinamente dai sindacati e dai gruppi di base per favorire la riflessione, il dibattito e la mobilitazione. Va però specificato che nel 1973 venne presentata soltanto la prima parte del film, Neocolonialismo y violencia, con alcune modifiche rispetto alla versione del 1968: d'altra parte Solanas sosteneva che, trattandosi di un film per sua natura 'incompiuto', esso poteva essere rivisto alla luce della Storia, invece di assumere una forma definitiva. Come afferma il critico Luciano Monteagudo, "fin dalla sua ideazione La hora de los hornos era stato concepito come un'opera aperta, passibile di modifiche in accordo con le esigenze politiche del momento". In Argentina la distribuzione commerciale e ufficiale delle tre parti di cui si compone il film sarebbe avvenuta soltanto nel 1998, trent'anni dopo la sua presentazione in Europa. Questi tre decenni di 'invecchiamento' avevano trasformato il film in una sorta di mito (di fatto esso non era reperibile nemmeno in video, se si esclude una registrazione effettuata nel corso di una proiezione della prima parte), ma forse per lo stesso motivo esso non suscitò reazioni rilevanti da parte del pubblico. Nel 1998 l'Argentina era governata da Carlos Menem, proveniente dalle fila del peronismo, movimento politico che, nel 1968, La hora de los hornos riteneva il più indicato a favorire la liberazione nazionale; però, all'epoca Menem aveva ormai alle spalle nove anni di presidenza e aveva spianato la strada alle grandi potenze economiche mondiali, proprio le stesse che La hora de los hornos considerava nemiche del popolo argentino.
Lo stile del film di Solanas non aveva avuto molti predecessori in Argentina; tra i pochi possiamo ricordare, per le tematiche e per il suo realismo, il cortometraggio documentario Tire dié (1958) di Fernando Birri, di cui La hora de los hornos (straripante nell'eterogeneità delle sue immagini) include un importante frammento. La hora de los hornos non venne realizzato a partire da una sceneggiatura tradizionale, né seguendo un piano di lavorazione ben preciso; Solanas realizzava le riprese e poi pensava al montaggio, fase di lavoro per lui fondamentale. Grazie alla giustapposizione di frammenti scioccanti, soprattutto nella prima parte, il film acquista una forza espressiva ricollegabile sia alle esperienze del montaggio nel cinema sovietico degli anni Venti, sia alle tecniche pubblicitarie che Solanas sapeva padroneggiare alla perfezione. Nella prima parte del film, destinata a essere quella che meglio resiste al tempo, le crude immagini di alcuni uomini che aspettano e di una donna nuda in un letto, in un ambiente contrassegnato dalla povertà e dalla violenza, con in sottofondo la canzone nazionale Aurora, possono essere ricollegate ‒ con un salto di trent'anni ‒ a quelle del finale di Garage Olimpo di Marco Bechis, del 1999. Quest'ultimo utilizza la stessa canzone ‒ anche se in un'altra versione ‒ per concludere una delle storie più dure che siano mai state raccontate sulla dittatura. Invece di portare alla liberazione auspicata da La hora de los hornos, tra il 1976 e il 1983 essa oscurò l'Argentina.
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