La legittimazione processuale speciale dell'ANAC
Le raccomandazioni vincolanti sono state sostituite dal nuovo istituto della legittimazione processuale speciale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), in materia di contratti pubblici di rilevante impatto. La disciplina è modellata sull’analoga previsione del potere di azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) contro gli atti lesivi della concorrenza e riflette i suggerimenti del Consiglio di Stato. Permangono molti dubbi sull’applicazione dello strumento, sia nella fase procedimentale che in quella processuale. Il nodo principale consiste nello stabilire se l’intervento dell’ANAC sia obbligatorio e se la stazione appaltante sia tenuta ad adeguarsi incondizionatamente al parere, secondo i principi dell’autotutela doverosa.
L’art. 52 ter del d.l. 24.4.2017, n. 50, convertito nella l. 21.6.2017, n. 96, ha confermato la soppressione delle raccomandazioni vincolanti disposta dal decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici. Al loro posto ha previsto una disciplina ispirata all’art. 21 bis della l. 10.10.1990, n. 287, che prevede la legittimazione speciale dell’AGCM, in materia di provvedimenti lesivi della concorrenza1.
Le regole, inserite dai nuovi co.1-bis, 1-ter e 1-quater dell’art. 211 del Codice, stabiliscono:
1) l’attribuzione all’ANAC di una legittimazione processuale espressa concernente i contratti pubblici di rilevante impatto;
2) un procedimento prodromico all’esercizio dell’azione;
3) l’applicazione del rito di cui all’art. 120 del c.p.a.;
4) il rinvio a un regolamento attuativo dell’ANAC. Il legislatore sviluppa lo schema concettuale dell’advocacy2. L’ANAC ha non il potere di ordinare, con la raccomandazione vincolante, il riesame degli atti illegittimi, ma la facoltà di rivolgersi al giudice.
L’art. 211 presenta differenze dall’art. 21 bis:
a) l’elenco degli atti impugnabili comprende i bandi di gara ma non i regolamenti:
b) si limita il potere ai contratti di rilevante impatto;
c) si fa riferimento alle stazioni appaltanti anziché alle amministrazioni pubbliche;
d) la violazione deve essere grave;
e) il termine per il parere decorre dalla notizia della violazione;
f) è prevista la comunicazione del parere;
g) il termine per la conformazione è stabilito dall’ANAC;
h) non si prevede che il ricorso sia presentato tramite l’Avvocatura dello Stato;
i) si applica l’articolo 120 del c.p.a.;
j) l’ANAC può adottare un regolamento attuativo.
Si dubita se l’art. 21 bis sia compatibile con i caratteri soggettivi della giurisdizione amministrativa, introducendo un’ipotesi di giurisdizione di diritto oggettivo (TAR Lazio, Roma, III, 15.3.2013, n. 2720; TAR Lazio, Roma, II, 6.5.2013, n. 4451) disancorata da una situazione sostanziale3, ma connessa alla tutela della concorrenza (TAR Lazio, Roma, II, n. 4451/2013), che coincide con la somma di interessi di fatto: un’azione senza posizione soggettiva (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; TAR Lazio, Roma, II, n. 4451/2013). Un più convincente filone interpretativo nega che l’art. 21 bis abbia introdotto un’ipotesi di giurisdizione oggettiva4 (Cons. St., V, 30.4.2014, n. 2246; TAR Lombardia, Milano, I, 8.7.2016, n. 1356; TAR Calabria, Catanzaro, I, 29.6.2016, n. 1373): il potere dell’AGCM è un’azione a tutela di una situazione giuridica differenziata.
Diversa è però l’ipotesi dell’art. 211. Nei contratti pubblici è evidente la rilevanza delle posizioni individuali e sono rari interessi totalmente adespoti. La legittimazione dell’ANAC determina un fenomeno di sostituzione processuale, piuttosto che di personificazione di interessi diffusi.
La riforma del 2017 segna un passaggio dal precontenzioso al supercontenzioso, o pluscontenzioso, dilatando l’ambito delle controversie. Ma le direttive del 2014 impongono di assicurare un controllo di legalità sulle procedure di gara. L’ampliamento della legittimazione al ricorso risulta coerente con tale fine. Sono stati superati i dubbi di costituzionalità dell’art. 21 bis.
Con riguardo al contrasto con l’art. 103 Cost. la norma costituzionale non limita la giurisdizione oggettiva, ma definisce uno standard di protezione minimo (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013). La Corte ha respinto le censure secondo cui l’art. 21 bis avrebbe introdotto una figura assimilabile al pubblico ministero, in violazione dell’art. 113, co. 1, Cost. (C. cost., 14.2.2013, n. 20). Con riguardo alla legittimazione dell’Autorità ad impugnare gli atti adottati dalle regioni, la norma ha integrato i poteri già attribuiti all’AGCM dagli artt. 21 ss. della l. n. 287/1990, senza prevedere un controllo statale simile a quello previsto dall’abrogato art. 125, co. 1, della Cost. (C. cost., n. 20/2013; Cons. St., V, n. 2246/2014).
Questi esiti interpretativi possono intendersi anche nell’ipotesi della legittimazione speciale dell’ANAC.
Quali sono i casi in cui l’ANAC ha il potere di agire dinanzi al g.a.? Nell’art. 211 tre previsioni restringono i confini del potere:
i) il rilevante impatto del contratto;
ii) la gravità della violazione;
iii) le determinazioni regolamentari dell’ANAC.
Un aggiuntivo elemento è rappresentato dal riferimento alle sole violazioni del codice.
L’oggettivo indebolimento del ruolo dell’ANAC è duplice:
a) scompaiono le raccomandazioni vincolanti;
b) il raggio di azione del potere è più contenuto.
Sotto il profilo soggettivo, l’art. 211 considera i provvedimenti di qualsiasi stazione appaltante, tenendo conto dell’ampia e complessa nozione di cui alla lettera o) del codice.
Il co. 1 bis considera i contratti di rilevante impatto. Lo scopo è lasciare un margine discrezionale all’intervento dell’ANAC.
Poiché l’unica azione disciplinata è proponibile dinanzi al g.a., l’ANAC non può denunciare violazioni incidenti sull’esecuzione del contratto, che appartengono alla cognizione del g.o.
La scelta è discutibile, poiché l’interesse pubblico potrebbe emergere proprio nella fase esecutiva, considerando anche la possibile assenza di soggetti legittimati ad agire in giudizio.
L’elencazione degli atti impugnabili dall’ANAC comprende i bandi di gara. Il riferimento potrebbe ritenersi superfluo, poiché l’elenco indica già gli atti generali.
Tra questi rientrano i regolamenti, benché la disposizione, a differenza dell’art. 21 bis, non li consideri.
Il nuovo istituto si applica anche ai contratti esclusi, aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, nonché ai contratti attivi. L’affidamento di tali contratti, ai sensi dell’art. 4 del Codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.
L’illegittimità deve riguardare la disciplina dei contratti pubblici (co. 1-bis), invece il co.1-ter fa riferimento alle sole violazioni del presente Codice. La formula avrebbe la conseguenza di escludere le violazioni di fonti estranee al codice e la proponibilità di questioni di legittimità costituzionale od europea.
Nel contrasto fra i due commi è preferibile un’interpretazione omogenea, che consideri rilevante tutta la disciplina in materia di contratti pubblici.
Non è agevole stabilire in che cosa consista la grave violazione. In prima approssimazione, si dovrà fare riferimento alle gravi violazioni di cui all’art. 121 del c.p.a. Ma potranno essere considerate anche altre illegittimità, definite dall’ANAC.
La formula utilizzata potrebbe comportare l’inammissibilità delle censure di eccesso di potere e di incompetenza.
Ma anche il riparto delle competenze attiene all’ordinato svolgimento delle funzioni delle stazioni appaltanti e l’eccesso di potere conserva uno spazio significativo nel contenzioso. Le stazioni appaltanti procedono attraverso ponderazioni di interessi che postulano un successivo controllo di legittimità. Le linee guida dell’ANAC enfatizzano la discrezionalità delle stazioni appaltanti, subordinata all’obbligo di motivazione.
Pertanto, il potere di azione dell’ANAC non è limitato alla violazione di legge, ma si estende anche alle altre ipotesi di annullabilità del provvedimento di cui all’art. 21 octies, co. 1, l. n. 241/1990.
Secondo l’art. 21 bis, nei casi in cui una p.a. abbia adottato un atto lesivo della concorrenza, l’Autorità emana, entro 60 gg. un parere in cui indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se l’amministrazione non si conforma, l’Autorità può ricorrere in giudizio entro 30 gg.
L’art. 211 contiene due differenze:
i) il termine decorre dalla notizia della violazione;
ii) il termine per conformarsi è quello assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni.
Occorre stabilire:
a) se l’iter preliminare vada seguito in tutti i casi o costituisca una mera opzione per l’Autorità;
b) la natura giuridica del procedimento e del parere;
c) l’obbligatorietà o la facoltatività dell’azione;
d) i doveri in capo alla stazione appaltante.
È ammissibile un ricorso non preceduto dal parere? L’art. 211 non è univoco. Sul piano letterale, la disposizione pare contemplare un’ipotesi generale, non subordinata a regole procedurali (co. 1-bis), e un’ipotesi speciale, contrassegnata dal passaggio attraverso il parere motivato (co. 1-ter). La giurisprudenza qualifica il parere di cui all’art. 21 bis quale indispensabile presupposto di ammissibilità del ricorso (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; TAR Lazio, Roma, III, 27.5.2015, n. 7546; Cons. St., VI, 28.1.2016, n. 323), valorizzando il tenore della norma, che instaura una coincidenza fra i primi due commi, e la ratio legis, volta a favorire la dialettica fra amministrazioni (TAR Lazio, Roma, II, n. 4451/2013). L’argomento esegetico non è estensibile all’art. 211, nel quale difetta l’indicata coincidenza letterale. Ma il parere motivato è strumento deflattivo del contenzioso, configurando il ricorso come extrema ratio (Cons. St., V, n. 2246/2014; TAR Lazio, Roma, II, 1.9.2014, n. 9264). Né sussistono ragioni per ritenere che l’ordinamento abbia predisposto due distinte forme di tutela (Cons. St., V, n. 2246/2014).
L’art. 211 non fornisce elementi per stabilire i caratteri della scelta dell’Autorità:
i) per una tesi, la scelta è totalmente libera, riconducibile al potere di difendersi in giudizio;
ii) per un’altra tesi, l’opzione è discrezionale, richiedendo una ponderazione di interessi;
iii) per una terza opinione, la decisione è vincolata all’oggettivo accertamento dei presupposti indicati dalla legge;
iv) una quarta opinione ritiene che il potere è vincolato, ma sulla base dei criteri stabiliti dall’Autorità.
Quest’ultima tesi è preferibile e trova un punto di appoggio, per l’ANAC, nel co. 1-quater. Il regolamento dovrebbe evidenziare, positivamente, i casi in cui l’ANAC è tenuta a promuovere l’azione.
È agevole individuare le conseguenze di un intervento dell’ANAC esorbitante dal limite dei suoi poteri: il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, anche di ufficio, per mancanza di una condizione dell’azione. Nel caso in cui emerga l’eventuale violazione dell’obbligo di procedere, l’autore della segnalazione, o altro interessato, potrebbe contestare il silenzio o la determinazione negativa dell’ANAC, mediante ricorso al TAR. Nell’ipotesi in cui l’ANAC, dopo il parere motivato, non proceda al giudizio, in violazione dei criteri fissati nel regolamento, si dovrebbe ammettere l’impugnabilità della determinazione di non attivare il giudizio. Pertanto, è opportuno che l’Autorità formalizzi in ogni caso la determinazione di agire o di non agire dinanzi al TAR. È dubbio, però, che il giudice possa annullare la determinazione negativa dell’ANAC, riaprendo il termine per il ricorso, con una pronuncia recante l’ordine di esercitare l’azione, anche perché l’appurata illegittimità della condotta dell’ANAC non parrebbe idonea a superare l’intervenuta decadenza dal potere di agire. Resterebbe ferma la sola responsabilità risarcitoria dell’Autorità.
La prima fase del procedimento è finalizzata alla adozione del parere. Pur trattandosi di un procedimento a iniziativa di ufficio, chiunque può sollecitare l’emanazione del parere, come già affermato con riguardo all’art. 21 bis (TAR Lazio, Roma, II, n. 4451/2013; TAR Sicilia, Catania, IV, 7.4.2015, n. 947). Ma le segnalazioni del cittadino non sono produttive di alcun vincolo per l’Autorità. Il terzo potrebbe essere già leso dal provvedimento e ha la possibilità di agire in giudizio. Se è rimasto inerte, l’ordinamento non potrà consentire un secondo rimedio attraverso l’impugnazione dell’archiviazione. Questo esito, tuttavia, non è estensibile alla ipotesi in cui l’unico strumento riconosciuto dall’ordinamento al terzo, mero cittadino contribuente, consista nella possibilità di attivare il procedimento dinanzi all’Autorità. Emerge, allora, la necessità di offrire protezione ai cittadini titolari di interessi legittimi, secondo il considerando n. 122 della direttiva 2014/24/UE, nell’ambito di una procedura svolta dinanzi a un’autorità indipendente. Il sistema nazionale non offre una soluzione appagante al problema della attuazione della previsione europea. La legittimazione speciale dell’ANAC è inidonea a realizzare il risultato, per la inadeguatezza dello strumento e per le numerose limitazioni previste dall’art.
211. La disciplina nazionale segna ora un passo indietro rispetto alle raccomandazioni vincolanti. Sarebbe opportuno definire, allora, attraverso un’integrazione del codice, un procedimento pre-contenzioso dinanzi all’ANAC, attivato dal cittadino che lamenti la violazione della normativa UE. La decisione dovrebbe avere efficacia vincolante e il procedimento caratterizzato da rapidi termini decadenziali, con il massimo rigore nella specificità e dei motivi di censura. In attesa di questa disciplina, le iniziative del cittadino intese a stimolare i poteri di cui al co. 1-ter devono essere tutelate, generando in capo all’ANAC un dovere di provvedere, tutelabile con ricorso al g.a. La doverosità dell’intervento dell’ANAC potrebbe collegarsi, in ogni caso, alle iniziative di soggetti pubblici qualificati, come le segnalazioni del giudice amministrativo, ai sensi della legge Severino. In sede regolamentare, l’ANAC potrà attribuire rilievo pure agli esposti di associazioni di utenti. Si può prospettare un’interferenza tra le legittimazioni previste dall’art. 21 bis e dall’art. 211. Il potere dell’ANAC si fonda sulla disciplina della concorrenza, ai sensi dell’art. 117 Cost. Ma non tutte le norme in materia di contratti pubblici hanno tale fine. Pertanto, le legittimazioni dell’ANAC e dell’Antitrust sono concorrenti, ma solo in un’area di illegittimità plurioffensive. La disciplina dei termini della sequenza è complessa. Si tratta di stabilirne la decorrenza e la natura perentoria od ordinatoria. Il co. 1-ter dell’art. 211 chiarisce che il termine per il parere decorre dalla notizia della violazione. Il decorso non può essere collegato alla mera pubblicazione legale del provvedimento. In senso contrario, l’Autorità sarebbe costretta a un continuo e monitoraggio di tutti gli atti amministrativi (Cons. St., V, 9.3.2015, n. 1171). Per parte della dottrina, invece, «trattandosi di un parere che ha una marcata funzione “processuale” (…), sembra debbano soccorrere i principi generali in materia di termine di decadenza per l’impugnazione degli atti amministrativi»5. Con riguardo alla disciplina dell’art. 21 bis secondo un primo orientamento (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013), il termine di 60 gg. previsto dalla legge per l’emanazione del parere ha natura ordinatoria. Per TAR Lazio, Roma, II, n. 9264/2014, laddove l’Autorità non intenda proporre ricorso, ma voglia solo limitarsi a sollecitare una nuova valutazione dell’amministrazione, il termine sarebbe ordinatorio. Nel caso in cui il parere sia prodromico alla proposizione del ricorso giurisdizionale, il termine deve considerarsi perentorio. Ma la giurisprudenza prevalente sostiene la natura perentoria del termine (TAR Veneto, Venezia, I, 26.6.2015, n. 737; TAR Calabria, Catanzaro, I, n. 1373/2016). Anche per Cons. St., V, n. 1171/2015 un termine «o è perentorio, o non lo è». La tesi del carattere perentorio dei termini previsti dal co. 1-ter risulta quindi preferibile.
La norma non stabilisce se il potere dell’ANAC sia soggetto alle regole previste dall’art. 21 nonies, concernenti l’annullamento di ufficio. Si sostiene che la disposizione regola l’esercizio di un potere di azione processuale, per cui non potrebbero trovare applicazione norme riguardanti l’attività sostanziale. In senso opposto, la tesi della natura amministrativa del procedimento dovrebbe condurre all’applicazione delle regole generali.
Il decorso di un lungo lasso di tempo, d’altro canto, potrebbe avere rilievo per valutare l’interesse al ricorso, anche se la legittimazione speciale dell’Autorità risulta sganciata da una verifica stretta della sua attualità e concretezza. Il tempo trascorso, poi, potrebbe determinare la decisione di mantenere l’efficacia del contratto anche in caso di accertata illegittimità dell’aggiudicazione.
Una diversa opinione ritiene che l’art. 21 nonies riguarda non il parere dell’ANAC, ma la successiva determinazione della stazione appaltante. Il parere è destinato ad evidenziare l’oggettiva violazione, senza alcun rilievo delle ragioni di interesse pubblico all’annullamento d’ufficio. Ma la stazione appaltante potrebbe stabilire di non annullare il provvedimento indicato nel parere, per la presenza di un interesse pubblico prevalente.
Si deve ritenere, però, che il limite dei 18 mesi, previsto dall’art. 21 nonies, si applichi direttamente all’ANAC, in occasione del parere vincolante.
La tesi prevalente, riferita all’art. 21 bis, è nel senso della superfluità di un coinvolgimento dell’amministrazione e dei terzi controinteressati nel procedimento preliminare. Questa deroga ai principi della l. 7.8.1990, n. 241 contraddice l’affermata natura amministrativa del procedimento. Gli argomenti a sostegno della tesi sono i seguenti:
a) la ristrettezza del termine di 60 gg. renderebbe defatigante il contraddittorio;
b) il parere motivato non avrebbe, di per sé, alcuna portata lesiva;
c) non vi sarebbe violazione di regole procedimentali, in assenza di un diretto pregiudizio;
d) la dialettica tra l’ANAC e gli altri soggetti si aprirebbe solo dopo l’adozione del parere;
e) la determinazione dell’Autorità riguarda il riscontro oggettivo di illegittimità, senza ponderazione discrezionale di interessi.
Si replica che:
i) la breve durata dei termini non impedisce un contraddittorio snello ed efficace;
ii) il parere costituisce un presupposto indispensabile per l’azione giudiziaria;
iii) l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento può essere sanata ai sensi dell’art. 21 octies, co. 2;
iv) il parere non può costituire comunicazione di avvio del procedimento;
v) il giudizio dell’ANAC presenta profili discrezionali attinenti al rilevante impatto del contratto e alla gravità della violazione; il contraddittorio deve estendersi anche all’attività vincolata della p.a.
È allora preferibile ritenere che il rapido procedimento preliminare debba essere svolto con l’osservanza dei principi partecipativi di cui alla l. n. 241/1990, declinati dal regolamento attuativo dell’ANAC.
L’atto conclusivo della prima fase del procedimento preliminare è un parere motivato. Non ne è chiara la natura giuridica. La formula sottolinea la struttura di un giudizio. Secondo una possibile interpretazione, il parere si dovrebbe limitare ad indicare l’oggettiva sussistenza delle violazioni riscontrate e la possibile successiva iniziativa processuale dell’Autorità: una determinazione preparatoria, priva di effetti costitutivi od obbligatori.
Ma è preferibile ritenere che l’atto non debba limitarsi a definire i soli profili di illegittimità dell’atto e debba racchiudere anche gli elementi tipici dell’autotutela, di cui all’art. 21 nonies.
L’opinione si basa sulle considerazioni svolte dal Consiglio di Stato, con riferimento ai limiti sistematici delle raccomandazioni vincolanti, ricondotte nell’autotutela decisoria. La circostanza che la determinazione dell’ANAC consista nella decisione di proporre un ricorso e non nell’imposizione di un ordine non attenua l’esigenza di ponderare i diversi interessi in gioco. Il co. 1-ter prescrive che il parere sia motivato, senza alcuna limitazione al profilo riguardante le violazioni riscontrate: queste sono soltanto uno degli elementi dell’atto, ma non esauriscono il dovere di motivazione. Non risulta univoca l’individuazione degli effetti derivanti dal parere. Il dato testuale fa propendere per il carattere meramente consultivo (C. cost., n. 20/2013; TAR Lazio, Roma, II, n. 9264/2014), ma una seconda lettura lo definisce come una particolare diffida. Al riguardo, risultano ipotizzabili due tesi.
La prima configura il parere come un vero e proprio ordine di conformarsi, o, quanto meno, di attivare il riesame del provvedimento affetto da illegittimità (una raccomandazione semivincolante o una raccomandazione minore).
La seconda sostiene che la diffida sia del tutto privata e vada inquadrata tra le dichiarazioni non provvedimentali della p.a. Si tratterebbe, pertanto, di una mera informativa, a carattere deflattivo, nell’interesse della p.a. Secondo la tesi della diffida, l’Autorità, attraverso l’emanazione del parere motivato, invita l’amministrazione alla conformazione (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013).
È preferibile l’interpretazione pubblicistica, che assegna al parere effetti provvedimentali.
Con riguardo all’art. 21 bis, la Corte costituzionale e il Consiglio di Stato qualificano la conformazione al parere come esercizio del potere di autotutela. Occorre stabilire se la determinazione della stazione appaltante sia soggetta alla disciplina di cui all’art. 21 nonies (motivazione, partecipazione, termine ragionevole) e ai principi dell’autotutela. Secondo la dottrina «l’obbligo di conformarsi sussiste»6. Se la sanzione della doverosità consistesse nel rischio di un ricorso proposto dall’Autorità, la portata dell’obbligo diventerebbe davvero molto esigua. Sarebbe più corretto definire il potere di conformazione quale mero “onere” della stazione appaltante, destinato a scongiurare l’alea dell’eventuale giudizio. Se, invece, si volesse ritenere che il parere vincolante crei, in capo alla stazione appaltante, un vero e proprio obbligo di provvedere, rilevante sul piano sostanziale, le conseguenze sarebbero diverse, poiché qualsiasi interessato dovrebbe considerarsi abilitato ad agire in giudizio, per far valere l’attuazione del dovere. Quale disciplina è applicabile all’atto di conformazione? Non sembra dimostrato che ci trovi in presenza di un’ipotesi di autotutela doverosa. Vi potrebbero essere, in tale direzione, alcuni argomenti:
i) la conformazione indica l’attuazione di un obbligo;
ii) il parere motivato assume caratteristiche molto simili a quelle del parere vincolante di cui all’art. 211, co. 1;
iii) l’ANAC assegna alla stazione appaltante un termine per l’adeguamento, facendo pensare alla costituzione di un obbligo giuridico. Tuttavia, è innegabile che ogni determinazione di secondo grado debba tenere conto dei principi regolatori dell’autotutela. Sembra allora preferibile la tesi secondo cui la stazione appaltante, se intende conformarsi al parere, perché concorda con la valutazione giuridica espressa dall’ANAC in ordine all’accertamento della violazione, debba pur sempre esercitare il potere discrezionale riguardante tale procedimento, con riferimento alla ponderazione di tutti gli interessi coinvolti.
Secondo la dottrina7, va esclusa l’immediata impugnabilità del parere dell’AGCM, essendo eventuale la circostanza che la p.a. si conformi ad esso. La p.a. potrebbe ignorare il parere e gli eventuali terzi interessati alla conservazione dell’atto potranno intervenire ad opponendum nel giudizio di annullamento iniziato dall’Autorità. Se, invece, la p.a. segue il parere modificando l’atto, il ricorso potrà indirizzarsi contro tale nuovo provvedimento (TAR Lazio, Roma, II, n. 9264/2014; Cons. St., V, n. 1171/2015). In definitiva, quindi, il parere va considerato sempre atto presupposto, che diventa lesivo solo quando viene adottato l’atto consequenziale. Altra questione riguarda la necessità di realizzare il contraddittorio anche con l’ANAC, nel caso in cui la parte impugni la determinazione conformativa adottata dalla stazione appaltante, senza lamentare alcuna violazione intrinseca del preventivo parere, che pure costituisce uno degli antecedenti logici della decisione. In linea di massima, anche in tali ipotesi è evidente l’interesse dell’Autorità a difendere una determinazione della stazione appaltante coerente con le valutazioni espresse in occasione della adozione del parere motivato. Pertanto, si può affermare con certezza che l’ANAC possa intervenire ad opponendum. Ma è preferibile ritenere, che, in ogni caso, considerando l’unitarietà della vicenda, l’ANAC sia parte necessaria del giudizio, ancorché diretto contro il solo provvedimento della stazione appaltante, senza alcuna censura di illegittimità derivata. Non sembra, invece, che il ricorrente sia tenuto a notificarle il ricorso a pena di inammissibilità entro il termine decadenziale, ben potendo integrare il contraddittorio in un momento successivo. Nell’art. 211, l’espressa impugnabilità è prevista solo con riguardo ai pareri vincolanti di precontenzioso e alle (abrogate) raccomandazioni vincolanti. In base all’argomento a contrario, si dovrebbe ritenere la non impugnabilità dei pareri di cui al co. 1-ter. Tuttavia, tale conclusione potrebbe essere a sua volta smentita dalla previsione dell’art. 213, che stabilisce, in modo generalizzato, l’impugnabilità di tutti gli atti dell’ANAC, allo scopo di bilanciare gli ampi poteri assegnati a tale soggetto.
L’amministrazione destinataria del parere potrebbe decidere di non aderire alle indicazioni dell’Autorità, sia perché ritiene il provvedimento emanato immune dalle censure indicate, sia perché afferma che non sussistano i presupposti richiesti dall’art. 21 nonies, l. n. 241/1990.
L’eventuale ricorso dell’Autorità dovrebbe contenere, oltre ai motivi inerenti le violazioni, anche le valutazioni relative al rifiuto dell’annullamento d’ufficio.
Secondo parte della giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013), tale tesi è apparsa in contrasto con il dato letterale e con la stessa ratio della norma: la successiva attività dell’amministrazione, non costituisce l’estrinsecazione di un potere di autotutela, non implicando alcun apprezzamento discrezionale. Ma si deve ribadire che il ritiro del provvedimento censurato a seguito del parere rientra nel fenomeno dell’autotutela, anche ipotizzando l’assenza di discrezionalità. Del resto, se il ricorso è proposto da un terzo danneggiato dal ritiro o dalla modifica del provvedimento a seguito del parere dell’AGCM (TAR Lazio, Roma, II, n. 9264/2014; Cons. St., V, n. 1171/2015), si è in presenza di un normale giudizio di legittimità avverso un vero e proprio atto di autotutela. Il termine entro cui la p.a. può conformarsi al parere decorre dalla comunicazione, rilevando a tal fine il momento di formazione e comunicazione effettiva dell’atto (TAR Sicilia, Catania, IV, 3.3.2014, n. 676). Ma è preferibile ritenere che: per l’Autorità il termine di 60 gg. per la pronuncia del parere è rispettato se, entro tale data, l’atto è formato e avviato il procedimento di comunicazione. Per la stazione appaltante il termine per la conformazione decorre dal momento in cui risulta perfezionata la comunicazione. Si sostiene la natura dilatoria del termine assegnato con il parere (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; TAR Sicilia, Catania, IV, n. 676/2014; TAR Lazio, Roma, III, n. 7546/2015; TAR Veneto, Venezia, I, n. 737/2015). In senso contrario, per Cons. St. (IV, n. 323/2016; nello stesso senso TAR Lazio, Roma, III, 6.5.2016, n. 5335) il termine per il ricorso decorre dall’atto di non conformazione: la configurazione acceleratoria del termine favorisce l’azione dell’Autorità che non deve attendere l’eventuale ripensamento, il quale può pervenire anche a giudizio in corso. In dottrina8 si sono manifestati alcune critiche, perché «la dichiarazione di non volersi conformare non è un provvedimento, dal quale debba farsi decorrere un termine per impugnare» e «questa interpretazione potrebbe incentivare comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni interessate». È pacifica, infine, la perentorietà del termine per la proposizione del ricorso (TAR Sicilia, Catania, IV, n. 676/2014; TAR Veneto, Venezia, I, n. 737/2015).
Verificata la mancata conformazione al parere motivato, l’ANAC può attivare il giudizio.
L’art. 211 non prevede un atto formale con cui si esterni la decisione. Scaduto il termine per il ricorso, comunque, l’inerzia è equivalente ad una determinazione negativa.
L’amministrazione destinataria del parere potrebbe emanare una determinazione con cui respinge la richiesta di ritiro del provvedimento.
In tali casi quale è l’oggetto del giudizio: il rifiuto di conformazione o il provvedimento originario?
Prevale la tesi che oggetto del ricorso sia l’atto originario (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; Cons. St., IV, n. 323/2016). L’annullamento del provvedimento determinerà un effetto caducante dell’atto di rifiuto. La soluzione vale nel caso in cui il rifiuto sia motivato con la confutazione degli argomenti del parere: tali deduzioni riemergeranno nel giudizio proposto dall’ANAC.
Diverso è il caso in cui la stazione appaltante richiami l’art. 21 nonies (affidamento, interesse pubblico) o gli artt. 121 e 122 del c.p.a., nel caso in cui il contratto sia stato stipulato. Appurata l’illegittimità del provvedimento, bisognerà verificare se sia giustificata la scelta di non procedere all’autotutela. Pertanto, il rifiuto non potrà essere caducato per effetto dell’accertata violazione, ma dovrà essere impugnato dall’ANAC con specifiche censure.
Nell’ipotesi in cui il rifiuto di autotutela sia motivato con riferimento alla violazione della procedura prodromica non è necessaria la sua impugnazione, perché il giudice dovrà verificare la ritualità della fase preliminare.
Nelle ipotesi di cui all’art. 21 bis il giudizio prescinderebbe sempre dalla verifica dell’interesse ad agire (TAR Lazio, Roma, II, n. 4451/2013). Secondo la dottrina «sfuma nel rapporto processuale che contraddistingue questo peculiare diritto di azione di AGCM anche l’interesse ad agire»9.
Pur così ampliato, l’interesse originario al ricorso e la sua permanenza andrebbero sempre verificati.
In tal senso, per TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; TAR Lazio, Roma, III,, 20.2.2015, n. 2896, permane l’interesse all’annullamento degli atti che, seppure revocati, continuano a trovare applicazione nei rapporti pregressi.
In caso di conformazione tardiva al parere motivato, poi, è corretta la pronuncia di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso dell’ANAC.
Nel giudizio di cui all’art. 211 non opera la competenza territoriale funzionale del TAR Lazio ex art. 135, co. 1, lett. b) c.p.a. (TAR Sicilia, Catania, IV, n. 676/2014): la previsione si riferisce alle controversie aventi a oggetto i provvedimenti dell’Autorità e non quelle da quest’ultima promosse (TAR Veneto, Venezia, I, n. 737/2015; TAR Calabria, Catanzaro, I, n. 1373/2016).
L’art. 211 è univoco nello stabilire che l’azione dell’ANAC resti sempre soggetta al rito di cui all’art. 120 c.p.a. Appare superflua la previsione esplicita del termine di 30 gg. per la proposizione del ricorso.
Il riferimento all’art. 120 pone la questione rito applicabile all’impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni.
Se l’ANAC ottiene l’immediata conoscenza dell’ammissione il giudizio deve svolgersi secondo il rito superspeciale di cui all’art. 2 bis. Se l’Autorità ne ottiene notizia dopo l’aggiudicazione, la logica acceleratoria entra in conflitto con la legittimazione dell’ANAC. L’ANAC dovrebbe intervenire attraverso l’impugnazione congiunta dell’aggiudicazione e del provvedimento di ammissione o di esclusione. Il giudizio resterà assoggettato al rito di cui all’art. 120 ordinario e non a quello dei co. 2-bis e 6-bis. L’ANAC può attivare il giudizio cautelare? L’azione deve essere preceduta dalla fase procedimentale diretta all’adozione del parere. Tale dilatazione dei tempi sembra inconciliabile con la ratio della tutela cautelare. Ma l’ANAC potrebbe bruciare i tempi, imponendo alla stazione appaltante di conformarsi al parere entro un termine strettissimo, senza attivare il contraddittorio. Lo spazio per la tutela cautelare sarebbe assicurato nelle forme dell’istanza di misure urgenti ante causam e del giudizio monocratico (Cons. St., V, n. 2246/2014). Si prospetta un’obiezione radicale connessa alla legittimazione dell’ANAC: se questa è disancorata da un interesse sostanziale, appare difficile ipotizzare un pregiudizio grave e irreparabile10. Ma l’esigenza cautelare dell’ANAC potrebbe emergere in funzione dell’interesse perseguito, anche perché l’art. 120, richiamato dall’art. 211, contempla la tutela cautelare. L’ANAC è titolare del potere di proporre motivi aggiunti, sia per prospettare nuovi vizi del provvedimento impugnato, sia per contestare nuovi provvedimenti (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013). L’Autorità non è obbligata a emanare un nuovo parere se propone motivi aggiunti contro lo stesso atto (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; TAR Lombardia, Milano, I, n. 1356/2016). L’art. 211 non ripete il co. 2 dell’art. 21 bis, sul patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Tale norma pare superflua, giacché l’art. 1, R.D. 30.10.1933, n. 1611 prescrive il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato per tutte le Amministrazioni dello Stato, comprese le Autorità indipendenti, ma ha un limitato rilievo nelle ipotesi in cui il ricorso sia proposto contro un’altra Amministrazione dello Stato (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013). L’art. 21 bis specifica che il ricorso in esame è proposto dall’AGCM sempre con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato: pertanto, ad avvalersi dell’avvocato del libero foro sarà sempre l’Amministrazione resistente. L’art. 211 omette il riferimento all’Avvocatura dello Stato: anche in caso di conflitto il patrocinio è regolato dalla disciplina generale.
L’art. 211 non evidenzia quali siano le azioni proponibili dall’Autorità. L’unica domanda coerente con la funzione attribuita all’ANAC sembra quella di annullamento. Ciò non impedisce la proposizione di domande connesse, come la richiesta di dichiarazione d’inefficacia del contratto. Paiono ammissibili pure la domanda per l’applicazione delle sanzioni alternative di cui agli artt. 121 e 123 del c.p.a., nonché l’azione di ottemperanza. L’ANAC potrebbe agire per individuare l’operatore economico subentrante all’aggiudicatario, in caso di gravi violazioni, che determinano, anche d’ufficio, la pronuncia di inefficacia del contratto. Invece, nell’ipotesi dell’art. 122 c.p.a. è sempre necessaria una domanda della parte interessata al subentro. Dubbia è l’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno subito dall’ANAC: potrebbe risultare difficile dimostrare la sussistenza di un pregiudizio patrimoniale. Questa controversia pare comunque estranea alla logica dell’art. 211 e dovrebbe connettersi alla legittimazione ordinaria dell’ANAC. L’ANAC può richiedere al giudice di sollevare questioni di legittimità costituzionale o comunitaria? Con riferimento all’art. 21 bis, la risposta positiva è prevalente (TAR Lazio, Roma, III, n. 2720/2013; TAR Lazio, Roma, III, n. 2896/2015). Tale conclusione va estesa all’azione ANAC. L’ostacolo formale, costituito dalla formula del co. 1-ter, che considera le sole violazioni del codice, è superabile perché il Codice riguarda il complesso delle norme di derivazione europea e i vincoli costituzionali. Per la dottrina11 si può ipotizzare un giudizio impugnatorio (appello, revocazione) promosso dall’ANAC. Ciò è senz’altro ammissibile nei casi di rigetto della domanda proposta dalla stessa ANAC dinanzi al TAR. Sembra ammissibile anche l’appello da parte dell’ANAC di una sentenza di rigetto del ricorso proposto da un altro soggetto. In tal caso, è superflua l’attivazione del procedimento preliminare. Si potrebbe ipotizzare, poi, una sentenza che, annullando la determinazione di una stazione appaltante, determini una violazione del diritto degli appalti. L’art. 211 non contempla questa fattispecie, ma è innegabile l’interesse dell’ANAC all’impugnazione della sentenza del TAR.
L’attuazione regolamentare determinerà un differimento della messa a regime del nuovo istituto. Nella fase transitoria potranno porsi alcuni problemi. La legittimazione dell’ANAC potrà riferirsi solo alle violazioni riguardanti procedure di gara bandite dopo l’entrata in vigore del codice (aprile 2016). Fermo tale limite, la normativa è di immediata applicazione, in base al principio tempus regit actum. Il co. 1-ter descrive una disciplina sostanziale, ma appare prevalente la proiezione verso il processo.
Diventa determinante la data in cui l’ANAC ottiene la notizia della violazione e non l’epoca, precedente, in cui l’illegittimità si è realizzata. Sussiste, allora, la legittimazione dell’ANAC in ordine alle notizie intervenute dopo l’entrata in vigore della normativa,ancorché riferite a violazioni precedenti. È incerta la legittimazione dell’ANAC in ordine alle notizie acquisite prima dell’entrata in vigore del co. 1-bis. La soluzione preferibile è nel senso che dalla data di entrata in vigore del nuovo istituto decorrere il termine di 60 gg., previsto dal co. 1-ter, in relazione a tutte le notizie già acquisite. Allo scopo di ottenere la certezza della notizia l’ANAC potrà richiedere agli autori di eventuali segnalazioni, di rinnovare la comunicazione della notizia, adeguandola alla nuova disciplina. I procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge potranno riqualificarsi come procedimenti ex art. 211, co. 1-bis ss.
1 Dimitrio, G.Filice, M., I poteri di competition advocacy dell’AGCM ex art. 21 bis, l. n. 287/1990, in Giorn. dir. amm., 2017, 2, 262; Mattarella, B.G., I ricorsi dell’autorità antitrust al giudice amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2016, 3, 291; Clarich, M., I poteri di impugnativa dell’Agcm ai sensi del nuovo art. 21 bis della l. n. 287/1990, in Concorrenza e mercato, 2013, 868; Giovagnoli, R., Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM nell’art. 21bis legge n. 287/1990, in www.giustamm.it.
2 D’Alberti, M., I poteri di advocacy delle autorità di concorrenza in prospettiva comparata, in Concorrenza e mercato, 2013, 871.
3 Cintioli, F., Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in federalismi.it, 2012; Sandulli, M.A., Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle a.a.i., in www.giustiziaamministrativa.it, 2013; Politi, R., Ricadute processuali a fronte dell’esercizio dei nuovi poteri rimessi all’AGCM ex art.21b della l.287/1990. Legittimazione al ricorso ed individuazione dell’interesse alla sollecitazione del sindacato. Ovvero: prime riflessioni sul nuovo protagonismo processuale dell’autorità antitrust, tra il Minosse di Dante ed il Giudice di De André, in Federalismi.it, 2012; Bellesini, C., L’articolo 21 bis della legge n. 287 del 1990 e la legittimazione ad agire nel processo amministrativo della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Rass. Avv. St., 2016, 239 ss.; Clarich, M., I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21 bis della l. n. 287/1990, in justice.luiss.it, 2013; Simonetti, H., L’art. 21 bis della Legge 287/1990 ed il potere di impugnazione dell’Agcm: è ancora il secolo della «giustizia nell’amministrazione»?, in giustamm.it.
4 Sandulli, M.A., op. cit.
5 Giovagnoli, R., op. cit.
6 Mattarella, B.G. op. cit.
7 Giovagnoli, R., op. cit.
8 Mattarella, B.G, op. cit.
9 Cintioli, F., op. cit., 16.
10 Cintioli, F., op. cit., 17.
11 Cintioli, F., op. cit.