La letteratura in Spagna
Esiste una nuova letteratura per il nuovo secolo?
Anche nel mondo ispanico, l’ingresso nel nuovo secolo ha suscitato le inevitabili riflessioni sullo stato della letteratura, tentativi di offrire quadri di sintesi del passato recente, riletture del Novecento, bilanci degli ultimi anni e prospettive per il futuro. Convegni di specialisti e numeri monografici di riviste sono stati dedicati a tali problematiche (El teatro español, 2002; Palabra de América, 2004; «Ínsula», 2006; «Ínsula», 2007) e, tuttavia, appare difficile tracciare una linea di confine che coincida con il limite cronologico del millennio: di fatto, le analisi più accorte rilevano come tra gli anni Novanta e questo primo decennio del 21° sec. sia difficile individuare nette fratture o inversioni di tendenza. Molti dei processi attuali sono stati, di fatto, avviati a partire dalla fine degli anni Ottanta e si sono consolidati negli anni Novanta del 20° sec. e, per quanto riguarda la Spagna, è possibile individuare una linea di demarcazione chiara che si colloca alla fine del processo di transizione politica verso la democrazia, quando l’avvento del Partido socialista obrero español (PSOE) al governo coincise con una serie di cambiamenti politici e sociali destinati a influenzare stili di vita, movimenti artistici e politiche culturali. È proprio in quegli anni che sono apparsi e si sono imposti con forza elementi d’innovazione e di sperimentazione che costituiscono le basi delle tendenze più significative, ancora oggi operanti, nell’ambito della produzione narrativa, del teatro e della poesia.
In Spagna come in Europa e più in generale nel mondo occidentale, il passaggio di secolo è avvenuto nel segno di una crisi caratterizzata dalla perdita di fiducia nella capacità dei sistemi religiosi, filosofici e ideologici di spiegare e influenzare la realtà; negli ultimi trent’anni la critica ha sintetizzato nella definizione di postmodernismo questo sentimento di crisi, alimentato dal vuoto lasciato dal crollo delle certezze del dopoguerra e acuito, con la fine della guerra fredda, dalla percezione di un mondo in rapida e incontrollata trasformazione. Venuta meno la convinzione di poter fare affidamento sull’esistenza di un sistema coerente atto a interpretare la realtà e svanita la fede nelle possibilità di trasformazione nel segno del progresso, la visione del mondo è cambiata radicalmente. Il risultato di questo processo porta a valutare l’esperienza in termini di pluralità e relatività, di confusione tra reale e virtuale, e investe il linguaggio stesso, avvertito come incapace di esprimere tale realtà. In questa prospettiva, la letteratura non rappresenta più lo spazio dove si espongono e realizzano i grandi conflitti, né è il terreno su cui è possibile fornire risposte a interrogativi esistenziali, né tantomeno soluzioni per un futuro migliore. Le problematiche sociali sono scivolate in secondo piano nella letteratura postmoderna che, invece, tende a mettere in rilievo piccole storie quotidiane e conflitti individuali. La perdita di un punto di vista coerente e solido, che aiuti a interpretare la realtà, lascia spazio a storie frammentate, alla decostruzione spaziotemporale, alla dissoluzione del personaggio. L’indeterminazione, il dubbio, il vuoto invitano i lettori a entrare nell’opera, a cercarvi le proprie risposte, a collaborare con gli autori alla ricerca di un senso o dei sensi, dal momento che la polisemia è un’altra delle caratteristiche della letteratura postmoderna, generata dal rifiuto di un punto di vista univoco e dall’adozione di uno sguardo multiprospettico. L’universo onirico e quello irrazionale collaborano a questa decostruzione della realtà, l’ironia e la parodia corrodono ogni certezza. La crisi della rappresentatività del linguaggio conduce a una svalutazione degli aspetti semantici della parola, a favore del significante e della componente fonetica, o alla rivalutazione di segni non verbali; in modo analogo non risulta più prioritario il rapporto tra il testo e la realtà extraletteraria, quanto piuttosto la riflessione sulla natura stessa del testo, la sua struttura complessiva, le sue fonti, la sua realtà linguistica, cosicché l’elemento intertestuale e la riflessione metaletteraria assumono enorme rilievo.
Su questo tessuto si innestano, nel nuovo secolo, inedite problematiche connesse soprattutto alle tecnologie sempre più raffinate e potenti che ci circondano e sempre più accessibili, per lo meno nel mondo occidentale. Di fatto, anche in questo ambito la discussione è stata avviata almeno a partire dalla seconda metà degli anni Novanta ma è solo dopo il 2000 che essa si è generalizzata e imposta all’attenzione della critica e di un pubblico sempre più vasto e partecipe (in ambito spagnolo si vedano, a puro titolo di esempio, Moreno 2002 e Literatura y cibercultura, 2004). Se si volesse, dunque, individuare un vero limite di demarcazione che segni l’avvio di nuove tendenze, questo andrebbe ricercato, più che in una data, nell’attitudine che caratterizza la generazione di coloro che sono nati intorno agli anni Settanta e che posseggono una competenza tecnologica estranea alle generazioni precedenti. In Spagna come nell’America Latina, questi autori ‘giovani’ non solo condividono un orizzonte culturale omogeneo e globalizzato, segnato da una formazione televisiva e da una dominante cultura dell’immagine, da un’istruzione interdisciplinare, dalla facilità di viaggiare e dalla concreta possibilità di conoscere altri Paesi, ma soprattutto dominano i vari linguaggi delle nuove tecnologie (dagli SMS ai DVD, dalla televisione a Internet). Non si tratta solo di conoscere e sapere utilizzare tali codici e magari imitarli e riprodurli all’interno del testo letterario, quanto piuttosto di assumerli come modelli e trasformarli in strutture narrative o poetiche, non più vincolate alla linearità (del tempo, della pagina scritta, dei nessi di causa ed effetto) quanto al concetto di rete. Molti fra questi autori hanno un proprio blog che utilizzano non solo come strumento di diffusione del lavoro personale, luogo di incontro e di pubblicità, ma anche come spazio per la sperimentazione di forme di scrittura e di arte. Il processo tecnologico degli ultimi anni con la sua velocità vertiginosa, la stessa facilità di accesso ai moderni mezzi di comunicazione hanno di fatto aperto una breccia anche nel panorama letterario e sembrano spingere con maggior forza verso il rifiuto di ogni conformismo creativo e verso la costante ricerca di innovazione, nella consapevolezza dell’impatto sociale che tali novità portano con sé. Sembra dunque inevitabile che scelte del genere comportino anche un interesse sociologico e che l’uso delle nuove tecnologie determini un atteggiamento progressista, laico e distante dalle divisioni ideologiche del passato e dall’impegno politico militante, avvertiti come non più significativi e attuali. Su un piano più propriamente letterario, ciò significa il rifiuto della letteratura tradizionale considerata commerciale e ‘tardomoderna’, ma soprattutto la consapevolezza che «il modo di narrare del 21° secolo deve essere diverso da quello del secolo appena trascorso» (Azancot 2007); da qui il predominio di forme frammentate di discorso e l’ibridazione di generi che annulla le frontiere non solo tra romanzo, saggio e poesia, ma anche tra distinte forme di arte (letteratura, musica, cinema, teatro ecc.). Come si può dedurre anche da questa sintetica descrizione, le nuove tecnologie esaltano ed esprimono in forma potenziata problematiche che non possono dirsi del tutto originali e che molti scrittori ‘tardomoderni’ hanno già sperimentato negli ultimi decenni con esiti rilevanti. Al di là delle novità del mezzo tecnologico, questi autori condividono con i loro predecessori inquietudini e convinzioni che caratterizzano la cosiddetta letteratura postmoderna. È tuttavia indubbio che l’adozione di forme di comunicazione di massa come strumenti letterari comporta una serie di trasformazioni di ampia portata, che vanno dalla dissoluzione della frontiera fra cultura alta e cultura bassa all’annullamento dell’esistenza di un centro e di una periferia, insito in uno strumento come Internet pensato per annullare le distanze.
In questo panorama che si viene delineando, cambiano anche il ruolo del mondo editoriale e del lettore. Se molti di questi autori affidano le proprie opere sperimentali ai circuiti delle piccole case editrici, in ambito sia narrativo sia poetico la circolazione di testi tramite Internet e strumenti digitali si impone come imprescindibile, non solo per la natura democratica della rete (si pensi a quanto sta avvenendo nel campo della commercializzazione di prodotti musicali) ma perché in taluni casi, per es. per la poesia visiva o la poesia-performance, essi costituiscono il supporto più idoneo alla loro diffusione, quando non il mezzo indispensabile per la loro stessa esistenza, come nel caso del romanzo intermediale. Per quanto riguarda il lettore, a esso spetta un ruolo essenziale, di partecipazione attiva: rispetto al libro tradizionale che poteva essere accettato o rifiutato (ovvero non comprato o non letto per intero) e in cui i margini di intervento del lettore erano comunque limitati (leggere, chiudere il libro, tornare indietro per rileggere, saltare le pagine ecc.), la comunicazione intermediale consente una facoltà di decisione molto maggiore. Il lettore costruisce il proprio percorso di lettura liberamente (o almeno in un’apparente libertà dal momento che si muove sempre in uno spazio ideato, organizzato e gestito da uno o più autori), cliccando sul testo, aprendo nuove finestre seguendo un ordine da lui deciso o del tutto casuale, abbandonando un blog per entrare in un altro tramite i link; insomma da vero internauta naviga nella rete, avvicinando il proprio ruolo a quello dell’autore. Se da decenni la critica della ricezione aveva posto l’attenzione sull’importanza del lettore e sulla sua funzione ermeneutica, così come sui condizionamenti esercitati da chi legge nei confronti del mercato editoriale, le nuove frontiere della tecnologia hanno dotato il lettore di un potere straordinario e molto più evidente.
Il panorama letterario sembra dunque, oggi, oscillare tra due poli, seppure all’interno di un’unitaria matrice ‘postmoderna’: da un lato sopravvivono e godono di ampio spazio e successo, tanto di pubblico come di critica, autori, generi e modalità di scrittura consolidate che affidano al libro la propria voce, percependolo come strumento idoneo e ancora vivo di comunicazione letteraria, come dimostrano gli scaffali affollati delle librerie, i premi letterari e le cronache culturali; dall’altro, si affaccia sullo scenario odierno una generazione portatrice di nuove forme di creazione e di comunicazione, per la quale l’uso delle nuove tecnologie non rappresenta soltanto un mezzo, ma costituisce un modo diverso di guardare e percepire il mondo, di interpretare e quindi riprodurre la realtà e che inevitabilmente agisce anche sulle modalità di distribuzione della letteratura.
La critica riflette questa realtà dicotomica: la letteratura contemporanea è spesso analizzata alla luce di quella del passato appena trascorso, con il duplice obiettivo di cogliere gli scarti rispetto alla tradizione e individuare le prospettive di cambiamento, ma anche di valutare l’opera degli scrittori da tempo affermati nell’ottica di chi si appresta a definire il canone del secondo Novecento. Un esempio di questo atteggiamento si può individuare nell’incontro Palabra de América, organizzato nel 2003 a Siviglia dalla casa editrice Seix Barral (Palabra de América, 2004), durante il quale una dozzina di scrittori latinoamericani sono stati invitati a parlare della propria opera, con il duplice scopo di indicare i propri punti di riferimento e delineare così un quadro dei ‘maestri’ del Novecento e allo stesso tempo autodefinirsi come nuova generazione e mettere a fuoco i nuovi percorsi della narrativa latinoamericana.
Accanto a quest’atteggiamento più tradizionale, che guarda al passato per leggere il presente, non mancano settori della critica più attenti ai fermenti del contemporaneo che hanno iniziato a indagare le nuove tendenze, a proporre classificazioni e a individuare gruppi generazionali (Azancot 2007; Alameda 2007), in uno sforzo di fare ordine nel mutevole panorama contemporaneo che non di rado si rivela effimero. Anche in questo caso si possono citare degli esempi come il Congreso de narrativa última NEO3, coordinato dallo scrittore e critico Eloy Fernández Porta (n. 1974) e svoltosi a Barcellona nel 2003, che aveva l’intenzione di mettere a fuoco l’apparizione e l’identità di una generazione legata alle nuove tecnologie, al pop, alla trasversalità delle arti (lo stesso Fernández Porta è autore di un libro dal titolo significativo di Afterpop. La literatura de la implosión mediática, 2007); oppure l’incontro tra nuovi narratori intitolato XXI. Atlas literario español, organizzato nel 2007 a Siviglia, ancora una volta dalla casa editrice Seix Barral, e dedicato anch’esso agli scrittori emergenti. Nei paragrafi che seguono si cercherà di seguire lo sviluppo, attraverso i differenti generi letterari, di queste due linee parallele: da un lato, l’esigenza di definire il canone che si è venuto delineando nel corso del secondo Novecento e, dall’altro, l’identificazione di nuove tendenze.
La poesia: dalle antologie al blog
È nell’ambito della poesia che è stato più evidente il tentativo di formulare un canone di fine millennio, sulla base del quale stabilire l’eredità del passato e sul cui sfondo delineare le tendenze innovative di questi anni; in parte tale esigenza può dirsi condizionata da una delle forme di pubblicazione predilette dal mercato editoriale, quella delle antologie che per loro natura obbligano a una selezione secondo canoni stabiliti dal curatore o, in casi più rari, da una linea editoriale. Sta di fatto che sin dall’ultimo decennio del secolo scorso sono apparse in Spagna numerose raccolte dalle caratteristiche eterogenee: alcune guardano al passato (anche recente) e si limitano a pubblicare autori già noti e affermati anche presso un vasto pubblico, altre hanno l’obiettivo ambizioso di indicare nuove proposte estetiche; alcune hanno carattere nazionale, altre guardano ai territori regionali e alle diverse lingue della Penisola iberica; non mancano sillogi di genere riservate alla poesia di voce femminile o raccolte assemblate in base a un criterio generazionale; né si è esaurita la moda delle antologías consultadas, basate, cioè, sulla consultazione di un campione di lettori o di critici, talora degli stessi poeti (Prieto de Paula 2007). La proliferazione di antologie negli ultimi anni è stata tale da spingere a domandarsi se la loro diffusione sia il sintomo di una reale vitalità del panorama poetico contemporaneo, segnato dalla presenza di gruppi ed estetiche distinte o contrapposte, o piuttosto risponda a strategie mercantili cui non sarebbe estranea l’affermazione di tendenze marginali rispetto ai grandi centri culturali di Madrid e Barcellona; in ogni caso la loro cospicua presenza ha indotto a valutare persino l’idea della possibile nascita di un genere specifico con proprie caratteristiche strutturali (Palenque 2007) e a parlare di «poetica dell’antologia» (Ruiz Casanova 2007). A titolo esemplificativo e a testimonianza della ricchezza del fenomeno, limitandosi alle raccolte più significative tra quelle apparse dopo il 2000, si possono ricordare: El hacha y la rosa (tres décadas de poesía española) (2001), a cura di José Pérez Olivares; Hitos y señas (1966-1996). Antología crítica de poesía en castellano (2001), a cura di Ricardo Virtanen; Poesía española reciente (1980-2000) (2001), a cura di Juan Cano Ballesta; il numero monografico della rivista «Hofstra hispanic review» curato da Marta López Luaces e intitolato Poesía española contemporánea. Crítica y poesía (2007); Metalingüísticos y sentimentales. Antología de la poesía española (1966-2000). 50 poetas hacia el nuevo siglo (2007), curata da Marta Sanz Pastor. Molti di questi volumi, oltre alla selezione dei testi, concedono ampio spazio a introduzioni e saggi in cui si tenta una valutazione più serena della discussione, non di rado esacerbata, che ha attraversato il mondo della poesia spagnola negli ultimi decenni e ha condotto alla contrapposizione di correnti poetiche. Tale atteggiamento critico ha consentito una più obiettiva valutazione di estetiche e forme d’espressione, ma anche l’apertura verso tendenze fino a poco tempo fa considerate marginali. Così, più che insistere sulle differenze e le dicotomie fra correnti alternative, si è piuttosto tentato di creare un quadro di sintesi in cui l’idea di un’evoluzione lineare dei movimenti poetici, basata su trasformazioni che rispecchiavano di volta in volta rapporti di continuità o di rottura rispetto alla tradizione, ha lasciato spazio invece a un’idea di simultaneità. Tale concetto rimanda all’immagine della rete, in cui i processi di cambiamento possono avvenire anche contemporaneamente e secondo percorsi non escludenti, cosicché è possibile per un autore attraversare più tendenze.
La maggior parte di queste antologie non presenta voci nuove ma contribuisce a fissare di fatto il canone di fine Novecento: si conferma il nucleo dei poeti cosiddetti novísimos (nuovissimi) con Pere Gimferrer (n. 1945), Guillermo Carnero (n. 1947), Leopoldo María Panero (n. 1948); tra le voci che iniziarono a pubblicare negli anni Ottanta, troviamo inclusi sistematicamente Antonio Colinas (n. 1946), Antonio Carvajal (n. 1945), Jenaro Talens (n. 1946), Juan Luis Panero (n. 1942), Luis Alberto de Cuenca (n. 1950), Jaime Siles (n. 1951), Miguel d’Ors (n. 1946), Luis Antonio de Villena (n. 1951), Eloy Sánchez Rosillo (n. 1948), Ana Rossetti (n. 1950), Andrés Sánchez Robayna (n. 1952), Jon Juaristi (n. 1951); rimandano all’estetica dell’esperienza e neosimbolista poeti degli anni Novanta come, per es., Luis García Montero (n. 1958), Felipe Benítez Reyes (n. 1960), Andrés Trapiello (n. 1953), Carlos Marzal (n. 1961), Julio Martínez Mesanza (n. 1955); e ancora rappresentanti di una linea purista come Olvido García Valdés (n. 1950) e surrealista come Blanca Andreu (n. 1959). Rispetto a tali poeti che hanno dominato il panorama degli ultimi anni e che oggi sono considerati autori di riferimento, non mancano antologie che propongono una linea alternativa e che mettono in discussione il preteso realismo della poesia spagnola degli ultimi decenni come, tra le più recenti, De lo imposible a lo verdadero. Poesía española 1965-2000 (2000), curata da Antonio Garrido Moraga. Infine, dopo il 2000, si intensificano le raccolte che propongono giovani poeti, anche se spesso la selezione, più che rimandare a una scelta critica omogenea, risponde a criteri generazionali o geografici: Veinticinco poetas españoles jóvenes (2003), a cura di Ariadna G. García, Guillermo López Gallego e Álvaro Tato, riunisce poeti nati tra il 1962 e il 1985, accomunati dalla partecipazione a progetti comuni o a riviste; La otra joven poesía española (2003), a cura di Alejandro Krawietz e Francisco León, include autori nati tra il 1962 e il 1974 che rifiutano sia la linea realistica, sia la tradizione simbolista. Tra le proposte più interessanti per aver dato origine a un vivace dibattito critico, si deve menzionare, per concludere, il volume Poesía hispánica contemporánea. Ensayos y poemas (2005), a cura di André Sánchez Robayna e Jordi Doce, che affianca autori spagnoli e ispanoamericani postulando l’idea di unità della poesia in lingua spagnola, non nel senso di una identità di temi e forme, ma di dialogo, di connessioni culturali, di una comune sensibilità che si riconosce nel concetto di nazionalità linguistica più che storico-geografica. Unità che non annulla le differenze, evidenti in una più spiccata tendenza alla sperimentazione e all’avanguardia in America rispetto alla tendenza prima classicista e poi realista che ha contraddistinto la poesia spagnola dal dopoguerra (fatta eccezione per i novísimos che, infatti, seppero guardare anche all’esperienza americana). Le questioni aperte da questa antologia, che non a caso riunisce testi e saggi critici, sembrano indicare possibili nuovi percorsi per il prossimo futuro: una maggiore attenzione a forme di sperimentazione come esperienza connaturale al linguaggio poetico; una valutazione, anche in sede critica, della tradizione poetica aperta a questo dialogo con la cultura ispanoamericana; il tramonto di forme di classificazione generazionali (di cui non poco si è abusato nella critica ispanica degli ultimi decenni) e il superamento di formule standardizzate che incasellano i poeti in rigide etichette (Rodríguez-Refojo 2007).
La fortuna delle antologie non è che un aspetto del proliferare delle pubblicazioni di poesia: in anni recenti, si sono moltiplicate le case editrici specializzate o che sostengono collane di poesia, i premi letterari che incentivano la pubblicazione specialmente di opere prime e di giovani autori, le riviste, in particolare di ambito universitario. Tuttavia, il fenomeno più innovativo degli ultimi anni è quello dei blog di poesia, diffusissimi sia in Spagna sia in America Latina. Strumenti in costruzione permanente che raccolgono l’opera di poeti viventi, come «un’antologia mobile e deforme, senza limiti né gerarchie» secondo la definizione offerta da Agustín Calvo Galán (http://lasafinidadeselectivas.blogspot.com, 20 aprile 2008); il criterio organizzativo che presiede alla creazione di tali siti, se talora corre il rischio di rispondere a interessi di amicizia o particolari, può anche rivelarsi ‘democratico’ dal momento che in molti casi i poeti inclusi vengono indicati da altri poeti partecipanti, come accade nella rete di blog Las afinidades electivas, creata su modelli latinoamericani e ora attiva anche in Spagna. Oltre a consentire la lettura di testi, i blog sono straordinari diffusori di informazioni su pubblicazioni, incontri di gruppi di poesia e spesso diventano essi stessi promotori di eventi e recital.
Narrativa: dal romanzo postmoderno al romanzo ipermediale
Il panorama editoriale della narrativa sembra, a prima vista, presentare un’immagine di continuità con le tendenze degli ultimi decenni. Nonostante i ritmi sostenuti con cui le case editrici danno alle stampe le novità, sorrette anche dall’attività dei premi letterari e da una concertata promozione orchestrata dalla stampa e dai mezzi di comunicazione, il panorama della narrativa non sembra aver subito scosse dirompenti negli ultimi anni. La distanza, seppure breve rispetto all’epoca della transizione, ha consentito di guardare al romanzo dell’ultimo quarto del Novecento in modo sistematico e di canonizzare quegli autori nati tra il 1939 e il 1955, che si sono affermati negli anni Settanta aprendo strade innovative, per poi confermare il loro valore a partire dalla metà degli anni Ottanta. La tenuta del gradimento da parte dei lettori che continuano a premiare le loro opere, così come il riconoscimento critico sancito anche dallo svolgimento di atti accademici li ha definitivamente elevati allo status di autori di riferimento: si pensi, per es., al Grand séminaire dell’Université de Neuchâtel che negli ultimi anni ha consacrato convegni internazionali a Javier Tomeo (n. 1932), Álvaro Pombo (n. 1939), José María Merino (n. 1941), Luis Mateo Díez (n. 1942), Cristina Fernández Cubas (n. 1945), Juan José Millás (n. 1946), Enrique Vila-Matas (n. 1949), Julio Llamazares (n. 1955), Antonio Muñoz Molina (n. 1956). Ma è sufficiente guardare le liste dei libri più venduti e più recensiti per trovare accanto agli scrittori appena nominati, autori come José Jiménez Lozano (n. 1930), Juan Marsé (n. 1933), Eduardo Mendoza (n. 1943), Vicente Molina Foix (n. 1946), Javier Marías (n. 1951, peraltro appena nominato accademico della Real Academia Española), a testimonianza di una vitalità ben lontana dal potersi considerare esaurita. La pubblicazione di romanzi di autori di questa generazione, diversi per temi e ricerca formale, ha spesso dato adito alla valorizzazione da parte della critica dell’impianto stilistico delle loro opere che mantengono un alto livello di accuratezza espressiva e ricerca linguistica. Dietro tale valutazione positiva si nasconde la polemica – per la verità piuttosto esplicita – verso autori più giovani, la cui semplicità di stile tradisce talora una certa mancanza di coscienza linguistica che le innovazioni dal punto di vista strutturale e formale non riescono a neutralizzare.
Anche sul piano tematico, si riscontra una forte continuità con i decenni appena trascorsi: al di là dell’auge del romanzo storico e del poliziesco, resta viva in particolare l’attenzione verso il passato recente con lo sguardo rivolto agli anni della guerra e della dittatura, cui si affianca ora una riflessione sull’epoca della transizione e della democrazia e sulle ferite scaturite da vecchie e nuove forme di terrorismo. Un fenomeno analogo si registra anche in America Latina dove all’interesse ancora molto vivo per le tragiche vicende legate alle dittature che hanno dilaniato il continente, si affianca l’attenzione a temi di attualità come il narcotraffico e la violenza della guerriglia in Colombia, o le problematiche legate al destino dei figli dei desaparecidos in Argentina. La scarsa novità di temi non significa, tuttavia, da parte di questi autori, una rinuncia alla sperimentazione formale: basti pensare a un romanzo come La piedra en el corazón (2006), di Luis M. Díez (n. 1942), in cui il dolore e lo stupore scaturiti dall’attentato alla stazione di Atocha a Madrid nel 2004 sono resi tramite una scrittura fortemente lirica, quasi dei poemi in prosa, in brevissimi capitoli che alludono all’esplosione e alla realtà frammentata che ha generato; quasi in una costruzione allegorica, il dolore istantaneo e collettivo di cui è vittima la società è proiettato sulla sofferenza duratura e privata di una famiglia disgregata dalla malattia mentale di un figlio. Una notevole insofferenza verso tematiche avvertite come ‘tardomoderne’, abusate e ritenute oramai stereotipate, si registra, invece, proprio tra le voci più giovani: si pensi al caso emblematico di Isaac Rosa (n. 1974) che, dopo aver dedicato un romanzo all’epoca del franchismo (El vano ayer, 2004; trad. it. Il vano ieri, 2007), scrive una sorta di remake (¡Otra maldita novela sobre la guerra civil!, 2007) in cui commenta risultati, ingenuità ed errori di quel primo romanzo, le ragioni e i modi della sua scrittura, prendendo le distanze non solo dal tema trattato ma da una forma narrativa oramai sentita come convenzionale e logora. Al racconto realista che guarda alla storia o che ricostruisce intime vicende del quotidiano, si sostituisce – per opera degli autori più giovani – un realismo della crudeltà, violento e spregiudicato, che vuole svelare nella sua efferatezza la faccia occulta della società dei consumi. Un realismo costruito quindi sulla critica sociale, che raccoglie le istanze dei gruppi giovanili più radicali e si fa portatore delle inquietudini risvegliate dalle recenti trasformazioni nel campo del lavoro e della vita sociale, si apre a linguaggi trasgressivi e commistioni di generi, in una ricerca di sperimentazioni formali che vogliono essere una provocazione sul piano estetico e politico. Una letteratura che si definisce minore perché libera dalla schiavitù e dagli obblighi del mercato e che quindi spesso si affida anche a circuiti editoriali indipendenti. Una narrativa, dunque, che reinventa la sua funzione politica, non più nella direzione militante del passato ma sapendo leggere le questioni sociali dei nostri giorni, dal punto di vista dei protagonisti.
In questo panorama, il cambiamento forse più interessante e che sembra indicare una reale novità nella comunicazione letteraria e nella sua ricezione ha a che fare, come si è detto, con l’influsso delle nuove tecnologie sul linguaggio e sulla scrittura, particolarmente fecondo proprio nell’ambito della narrativa. Accanto a un modello di scrittura che presuppone la mimesi della realtà attraverso il filtro dell’io, si delinea un modello digitale che consente «la registrazione e la ri-trasmissione di ciò che l’io sperimenta, in tempo reale» (Alameda 2007, p. 18) grazie all’uso delle moderne tecnologie. Per gli scrittori nati negli anni Settanta, il linguaggio sembra essere qualcosa di più che uno strumento; esso è l’aspetto che determina il vero cambiamento di rotta rispetto alla narrativa del 20° sec.: non solo si raccolgono formule già sperimentate dal romanzo postmoderno come la mescolanza di codici linguistici e letterari, la commistione fra generi, la riflessione metaletteraria, l’esclusione del narratore, ma si scelgono mezzi di comunicazione diversi: non solo il libro ma anche Internet, i blog, i videogiochi. È il caso, per es., del romanzo multimediale Tierra de extracción (http://www.newmedios.com/tierra) di Domenico Chiappe (n. 1970; autore dell’impianto narrativo e della scrittura) e Andreas Meier (realizzatore del supporto informatico) con la partecipazione di vari artisti di ambiti diversi, che per le modalità di fruizione si avvicina più a un videogioco che a un romanzo: il lettore può scegliere un percorso lineare, tradizionale come lo scorrere le pagine di un libro, o trovare un proprio ordine di lettura seguendo i link e aprendo le finestre disponibili nella sequenza che ritenga opportuna; a lui è affidato il compito di trasformare in un discorso organico il discorso frammentato delle varie finestre, deputate a fornire informazioni su personaggi e luoghi oltre che a proporre sequenze narrative che consentono il progredire dell’azione. Chiappe insiste sulla novità del mezzo e sulla necessità di inventare un nuovo linguaggio che risponda alle qualità tecniche del supporto: il romanzo ipermediale consente di integrare armonicamente e simultaneamente in un unico spazio elementi narrativi, musicali, fotografici, video, pittorici (ciascuno affidato a un artista del settore) e a moltiplicare così i piani narrativi, dal momento che ciascuno di questi codici è portatore di un punto di vista. Inoltre, questo genere comporta una nuova riflessione sullo spazio e sul tempo: il video comprime tutte le opzioni in un unico spazio, eliminando il concetto di linearità a favore di quello di simultaneità, così come il tempo della narrazione non si organizza più secondo la sequenza cronologica, in un prima o un dopo. Sarà il lettore a organizzare il tempo secondo una sua logica personale, potendo dilatare o contrarre il racconto.
Il romanzo ipermediale è un esempio estremo di nuova scrittura che arriva a mettere in discussione anche l’idea autoriale, fomentando forme di collaborazione creativa (il che non significa necessariamente scrittura a più mani – spesso rifiutata a salvaguardia della coerenza stilistica del prodotto – quanto collaborazione di autori con competenze diverse). Accanto a esso, restano comunque ben più numerose le forme di sperimentazione legate alla pagina scritta, pur accettando le suggestioni che provengono dai nuovi linguaggi. Basti pensare al fenomeno, piuttosto raro nella lingua spagnola, di accettazione di parole straniere non adattate morfologicamente che nell’era di Internet sembra imporsi anche a livello letterario; l’uso di sigle o di termini e marche pubblicitarie; il ricorso a lessici specializzati come quello scientifico; l’adozione di note a piè di pagina come parti integranti del testo narrativo; l’inclusione di codici visivi e segni grafici non alfabetici; il travaso di modalità narrative desunte dal linguaggio cinematografico e audiovisivo. Per es., Sueños itinerantes (2004) di Irene Zoe Alameda (n. 1974) include icone, segni matematici e musicali per registrare il pensiero del protagonista che ha una formazione scientifica; nel racconto Lear (2001) di E. Fernández Porta il testo è disposto su due colonne, una per la voce del narratore e l’altra per commenti di dettagli apparentemente insignificanti del primo testo, allo scopo di ricreare grazie a un artificio grafico l’idea di simultaneità, con una tecnica ispirata al linguaggio cinematografico; l’‘estetica del blog’ sarebbe alla base del romanzo Nocilla dream (2006; trad. it. Il sogno della Nocilla, 2007) di Agustín Fernández Mallo (n. 1965), che ricrea attraverso una trama frammentata, fatta di microracconti, i ritmi e le modalità dello zapping e del navigare in rete (Pozuelo Yvancos 2007; Alameda 2007). Con molta onestà, gli autori che adottano tali strategie riconoscono il debito contratto con scrittori e testi del passato remoto (la presenza di lessici tecnici in Moby Dick, la disgregazione della trama in Tristram Shandy, il ricorso all’immagine nei calligrammi di Apollinaire e Huidobro ecc.) ma anche più vicini: le possibilità di letture parallele offerte da Rayuela (1963; trad. it. Il gioco del mondo, 1969) di Julio Cortázar (1914-1984), l’inclusione di immagini nel Castello dei destini incrociati (1975) di Italo Calvino (1923-1985) o in Negra espalda del tiempo (1992; trad. it. Nera schiena del tempo, 2000) di J. Marías, la mescolanza di linguaggi di La verdad sobre el caso Savolta (1975; trad. it. La verità sul caso Savolta, 1995) di Eduardo Mendoza (n. 1943; cfr. Chiappe 2006; Alameda 2007). L’apertura dello sguardo verso altre letterature è, a sua volta, un dato interessante: gli autori spagnoli si sono sempre nutriti della propria tradizione letteraria, senza rifiutarla (neppure all’epoca delle avanguardie storiche), alla ricerca di modelli e stimoli, in un fitto dialogo intertestuale che è una delle caratteristiche della cultura spagnola dai tempi di Lope de Vega al 20° sec. (basterà ricordare il proficuo rapporto con la letteratura medievale e dei Secoli d’oro intessuto nel Novecento dalla Generazione del ’98, prima, e dalla Generazione del ’27, poi). Oggi questo legame sembra attenuarsi: gli scrittori dell’era di Internet sono molto attenti a ciò che accade fuori dai confini nazionali, così come da quelli linguistici della letteratura in lingua spagnola, e guardano alle letterature europea e nordamericana come fonti e modelli del proprio lavoro, con una disponibilità alla contaminazione e al dialogo di gran lunga maggiore rispetto a quella che caratterizzava gli autori del passato.
Teatro della crisi ed etica del teatro
La discussione attorno al teatro in questi anni sembra riproporre problematiche antiche: per certi versi, alcune sintesi sullo stato della scena spagnola all’inizio del secolo non lasciano ben sperare sulla sua vitalità e, seppure in una situazione politico-sociale e culturale totalmente mutata, riecheggiano tristemente polemiche che si potevano ascoltare all’inizio del Novecento e sopravvivevano negli anni della dittatura e della transizione. Nonostante l’aumento del numero degli spettatori e la conseguente crescita delle entrate, registrati dagli anni Novanta, molti addetti ai lavori valutano tali dati apparentemente positivi con non poche riserve e perplessità: il pubblico aumenta ma è un pubblico convenzionale, che predilige il teatro di intrattenimento e commerciale; nel migliore dei casi, si tratta di spettatori abituati al teatro letterario, incentrato sul testo, che prediligono la riproposizione di opere del passato e messe in scena tradizionali, mentre molto minore sembra la fascia di utenza interessata a forme di innovazione; il teatro pubblico è di frequente accusato di non svolgere adeguatamente la propria funzione e si guarda con sospetto a forme di collaborazione tra pubblico e privato che, assicurando una gestione economica priva di rischi, non incentivano la ricerca e non scommettono sul nuovo. Si rinnovano antiche lamentele sulla mancanza di spazi e di finanziamenti per opere alternative e l’accesso agli scenari continua a essere difficile per molti drammaturghi contemporanei. Esiste ancora in Spagna, come negli anni Settanta, una rete di sale ‘minori’, note prevalentemente a un pubblico ristretto di appassionati, che allestiscono produzioni a basso costo, disposte a rischiare sulla qualità dei prodotti, ma che restano al margine dei circuiti della pubblicità e della grande informazione, pur attuando una politica culturale intelligente, al passo con i tempi e attenta alle esigenze di autori e pubblico. Non di rado i testi teatrali vivono sulla carta più che sulla scena, grazie soprattutto a riviste specializzate e a piccole case editrici, o a volumi pubblicati da e per gli addetti ai lavori. Negli ultimi anni, anche case editrici importanti, rivolte in particolare a un’utenza universitaria, hanno iniziato a proporre edizioni rigorose di testi contemporanei, privilegiando tuttavia pochi autori ben noti, come José Sanchis Sinisterra (n. 1940) e José Luis Alonso de Santos (n. 1942), e accogliendo un numero di titoli assai limitato. Di fatto, il teatro è per sua natura il genere letterario su cui influiscono più pesantemente le leggi del mercato e gli imperativi della politica culturale di istituzioni statali, regionali, municipali, così che la dicotomia fra testi teatrali editi e testi teatrali rappresentati, tra qualità e successo, può giungere a essere molto profonda. Né si deve dimenticare la concorrenza esercitata dal cinema e dalla televisione che, se per un verso costituiscono mezzi di comunicazione con cui il teatro è chiamato a confrontarsi e a dialogare, dall’altro sottraggono pubblico e hanno una ripercussione sociale infinitamente più ampia.
Anche i rapporti tra autori, registi e compagnie, da un lato, e la critica, dall’altro, continuano a registrare incomprensioni e divergenze: in un tempo in cui è possibile un accesso illimitato all’informazione (dalla programmazione delle varie sale, ai siti Internet delle compagnie, dai blog di singoli autori, attori e registi a quelli sui festival nazionali e internazionali) si rimprovera alla critica (almeno quella esercitata sui giornali di informazione generale) di ridurre troppo spesso il proprio ruolo a mera cassa di risonanza o a mezzo di propaganda delle politiche culturali promosse dalle istituzioni, invece di contribuire se non a formare un pubblico competente e attento, curioso e fedele, per lo meno a stimolarne intelligenza e sensibilità. A tale riguardo si registrano però, a partire dagli anni Novanta, anche segni positivi: sono sempre più frequenti convegni e incontri in cui i molteplici operatori del mondo del teatro (compresi critici e traduttori) sono chiamati a confrontarsi, mettendo i diversi punti di vista e le proprie competenze al servizio del teatro. Tale atteggiamento collaborativo non solo comporta una maggiore responsabilità sociale e culturale per i critici, chiamati a formulare un giudizio libero e competente, ma anche il superamento di una visione del teatro in cui il testo è considerato l’elemento preponderante, a favore di una concezione più complessa del fenomeno teatrale che ne valorizza il carattere performativo. Una delle (tardive) conquiste del secolo sembra essere, infatti, la maggiore attenzione rivolta al teatro come messa in scena, come arte che vive nella rappresentazione, non necessariamente generata solo da un testo e nella quale l’elemento verbale perde la propria centralità fino a essere subordinato ad altri codici (non mancano, per es., drammaturghi come Alonso de Santos che scelgono di pubblicare le proprie opere soltanto dopo averle viste allestite a teatro, sottomettendo in tal modo il proprio testo a variazioni suggerite dagli attori, dai registi e dagli scenografi, o accogliendo soluzioni sorte dalle difficoltà pratiche della messa in scena).
Anche in ambito teatrale l’estetica postmoderna mantiene vigore e accanto ad autori come J. Sanchis Sinisterra, J.L. Alonso de Santos e Fermín Cabal (n. 1948), che hanno segnato il panorama teatrale degli ultimi decenni grazie alla qualità delle loro opere ma anche in virtù del prezioso lavoro svolto nei laboratori di drammaturgia e all’attività di regia, si è formata una nuova generazione, denominata Generación Bradomín per il suo vincolo con l’omonimo premio teatrale. Il teatro di questa nutrita schiera di drammaturghi, per i quali l’entrata nel nuovo secolo coincide con la maturità artistica, segue due linee prioritarie: se il teatro d’autore e di testo continua, infatti, ad avere un ruolo dominante nella produzione contemporanea spagnola, al suo fianco si va imponendo, specialmente nella scena alternativa, un teatro d’immagine e corpo (Teatro y sociedad, 2004). Entrambe queste correnti lavorano sui postulati dell’estetica postmoderna: frammentazione della struttura drammatica, rottura spaziotemporale e superamento dei rapporti di causa-effetto, utilizzazione di tecniche di montaggio cinematografiche, presenza di mezzi audiovisivi, allusioni intertestuali che rinviano ad altri generi e ad altri codici, costante riflessione metateatrale, commistione fra il piano dell’irrealtà e quello della realtà, ellissi di informazione, finali aperti, appello al ruolo attivo del pubblico chiamato a colmare i vuoti della narrazione, a dare senso a personaggi senza biografia e dall’identità incerta e così via. Inoltre, questo teatro postmoderno spesso predilige il discorso riduttivo, giocando sul vuoto (anche scenografico), sull’impoverimento della scena e della trama, sulla sottrazione di risorse e di mezzi, ma anche di elementi del racconto, di dati relativi all’identità dei personaggi e alle loro storie, in opposizione a un teatro ‘saturo’, basato sull’accumulazione di mezzi, di codici, di risorse espressive. In tal modo, il pubblico è chiamato a un lavoro interpretativo attivo: deve infatti riempire le strutture indeterminate che il testo teatrale propone, colmare i vuoti di informazione, dare senso a ciò che può apparire illogico o irreale, creare l’opera in un processo interattivo che Sanchis Sinisterra ha ampiamente teorizzato nei suoi saggi sull’estetica della ricezione e la cui elaborazione ha fatto scuola.
Partendo da questi tratti strutturali, autori come Ernesto Caballero (n. 1957), Lluïsa Cunillé (n. 1961), Javier García Yagüe (n. 1961), Sergi Belbel (n. 1963), Jordi Galcerán (n. 1964), Rodrigo García (n. 1964), Borja Ortiz de Gondra (n. 1965), Juan Mayorga (n. 1965), Yolanda Pallín (n. 1965), Angélica Liddell (n. 1966) scommettono sull’elemento etico del teatro. Anche in questo caso, tale scelta non rimanda a un atteggiamento politico schierato ed engagé (anche se negli ultimi anni non sono mancate esplicite prese di posizione contro le guerre in ῾Irāq e in Afghānistān), né tanto meno a certo teatro didattico in voga negli anni Cinquanta e Sessanta. Dinanzi alla generale sensazione di insicurezza, di relativismo e disorientamento, essi cercano risposte positive che si affidano alla capacità di leggere la realtà con uno sguardo complesso, mai univoco. Molti dei temi che percorrono il romanzo contemporaneo riaffiorano a teatro: l’emarginazione, la violenza urbana, l’attenzione a tutto ciò che è marginale e periferico, la paura dell’altro e dell’alterità, la ricerca di identità sessuale emergono spesso con violenza a sottolineare l’incomunicabilità, la solitudine, la crisi di identità, la frustrazione, il malessere di personaggi che si rifugiano nelle droghe, nella xenofobia, nell’aggressività sociale e privata che si traduce in gesti brutali e nella volgarità della parola. Come in molte opere narrative, questi personaggi degradati, agenti o vittime di violenza, si muovono in angosciosi scenari urbani, dove la città non ha più nulla di rassicurante, ma rappresenta il labirinto in cui è possibile perdersi; caotica e abitata da esseri marginali e aggressivi, è avvertita come incubo; spazio delle opportunità che potrebbe garantire migliori condizioni di vita ma in cui la paralisi dello sviluppo economico causa emarginazione, soprusi, paura, frustrazione, odio. E all’interno della città, il condominio diventa l’emblema dell’intimità minacciata, dove il vicino si trasforma in possibile criminale e le pareti domestiche in spazi di efferata violenza. Il teatro, con il suo linguaggio ellittico basato sul dubbio, sull’incertezza, sull’assenza di un punto di vista unico e la ricerca di polisemia, invita a interrogarsi su questa realtà, rifiuta ogni affermazione totalizzante e ogni fondamentalismo, difende la validità dei molteplici punti di vista alla ricerca del dialogo e della tolleranza. L’incontro con l’altro è segnato anche dalla stessa trasversalità dei linguaggi (letteratura, musica, arti visive, cinema, danza): il movimento corporeo è messo in relazione con la parola, l’installazione, la proiezione video, le arti plastiche, alla ricerca dell’integrazione di una molteplicità di codici.
I centenari e il canone
L’esordio del nuovo secolo è stato segnato dalla celebrazione di alcuni centenari e anniversari significativi (Pedro Calderón de la Barca, Baltasar Gracián, la pubblicazione del Don Chisciotte, la guerra civile spagnola, per citarne solo alcuni) che hanno rappresentato momenti di riflessione importanti sulla letteratura e la storia dei secoli scorsi, segnando l’avvio di nuove prospettive di studio e alimentando feconde relazioni tra l’esperienza del passato e il presente. In questi anni si raccolgono i frutti di processi critici avviati negli anni Ottanta e che oggi giungono a maturazione, spesso sostenuti da imprese editoriali impegnative come, per es., l’edizione critica delle comedias di Lope de Vega, a cura del gruppo di ricerca Prolope, l’edizione degli autos sacramentales di Calderón de la Barca avviata dall’editore Reichenberger, progetti di edizione di altri autori di teatro dei secoli d’oro come Francisco de Rojas Zorrilla, la rinnovata vitalità degli studi critici sulla letteratura del Quattrocento; imprese spesso collettive che consentono una conoscenza approfondita di zone ancora opache dell’universo letterario del passato (i cosiddetti autori ‘minori’, o le opere ‘minori’ di autori classici di rilievo), permettendo di ridisegnare i contorni di epoche e tendenze. Non si tratta, dunque, di elaborare una ridefinizione del canone, quanto di realizzare un’esplorazione di ambiti fino a oggi meno indagati che consente di avere un quadro molto più dettagliato e ricco di sfumature di determinati fenomeni.
In taluni casi, la riflessione su questioni attuali ha condotto a una rivalutazione di fenomeni artistici del passato: nell’ottica di un’apertura verso l’Europa si possono leggere alcune tendenze della ricerca attuale in cui gruppi internazionali di studiosi affrontano questioni letterarie in una prospettiva ampia, spesso interdisciplinare. La letteratura spagnola è sempre più studiata in rapporto alle culture circostanti, così, per es., la formula della commedia secentesca è analizzata nelle sue ripercussioni europee, la lirica del Quattrocento è riletta alla luce del petrarchismo italiano, gli studi sulla traduzione rivelano legami e percorsi di libri e uomini che consentono di ridefinire il quadro complessivo di un autore o di un’epoca. Si pensi infine all’attenzione rivolta agli aspetti spettacolari del teatro, cui si faceva cenno poc’anzi, che ha avuto ripercussioni non solo a livello teorico o in relazione agli allestimenti di lavori contemporanei, ma anche rispetto alla conoscenza e alla rappresentazione del teatro classico, con il conseguente profluvio di studi su compagnie, attori, teatri, macchinari, scenografie del Secolo d’Oro e il riflesso sul lavoro teatrale. Per es., il lavoro di ricerca del Seminario de investigación de dramaturgos clásicos andaluces ha portato alla messa in scena di testi di Juan de la Cueva, in uno scambio proficuo di esperienze tra studiosi del teatro classico e addetti ai lavori. Inoltre, sull’onda di occasioni commemorative, per quanto riguarda il teatro, si è tornati non solo a studiare ma anche a mettere in scena testi spesso trascurati come le commedie e gli entremeses di Miguel de Cervantes, la produzione minore di Calderón de la Barca, o ci si è spinti a rappresentare testi non nati per la scena (come nel caso di un ardito allestimento del Viaje del Parnaso di Cervantes curato da Eduardo Vasco o di varie versioni teatrali del Don Chisciotte).
Per quanto riguarda i centenari, due occasioni in particolare hanno assunto rilievo anche oltre i confini del mondo ispanico, per la portata universale delle opere che si celebravano: il quarto centenario della pubblicazione della Prima parte del Don Chisciotte nel 2005 e i quarant’anni dall’apparizione di Cien años de soledad (trad. it. Cent’anni di solitudine, 1968) di Gabriel García Márquez nel 2007. Si tratta dei due romanzi di lingua spagnola che più hanno inciso sul panorama letterario occidentale, attorno ai quali si è costruita e consolidata l’identità del mondo ispanico, e se tali celebrazioni (che nel caso del Chisciotte non si sono limitate al solo ambito letterario, coinvolgendo in ogni angolo del pianeta anche altri linguaggi e saperi, dal teatro al cinema, dalla musica alle arti visive e dando luogo a vere e proprie forme di spettacolarizzazione della cultura) mostrano talora il loro lato effimero e di circostanza, la ricerca di un consenso facile e la conquista di un pubblico ampio e non specializzato, non si può tuttavia negare che esse abbiano avuto un ampio valore simbolico e spesso anche un rilievo culturale indiscutibile. Per quanto riguarda il Don Chisciotte, per es., è significativa la pubblicazione di una nuova edizione del testo (2004) promossa dalla Real Academia Española e dalla Asociación de Academias de la Lengua Española, formata dalle istituzioni di ventuno Paesi dell’America Latina, che hanno voluto riproporre il capolavoro cervantino in un’edizione popolare, distribuita in tutto il mondo di lingua spagnola e facilmente accessibile sul piano economico, proprio a suggellare quell’unità linguistica che è avvertita come radice identitaria e ‘patria’ culturale dai popoli che vivono sulle due sponde dell’Atlantico. Il romanzo di García Márquez, seppure privo di quel valore fondante che connota il Chisciotte, rappresenta il momento più felice di un processo di ritorno, grazie al quale la letteratura americana ha saputo restituire alla Spagna (e a tutta la letteratura occidentale) stimoli ed energie, idee ed esperimenti, che hanno nutrito il romanzo del secondo Novecento.
Se la Spagna è stata, per fattori congeniti, l’interlocutore privilegiato del mondo culturale latinoamericano, oggi essa guarda ad altri orizzonti con il medesimo interesse e il medesimo impegno che ha a lungo riservato all’America. La sua stessa posizione geografica sembra destinarla a un duplice ruolo: da un lato, guardando all’Atlantico, mantenere vivo il dialogo con il continente latinoamericano, dall’altro recuperare una posizione nel mondo mediterraneo. In quest’ottica si debbono leggere i recenti sforzi di politica culturale sia verso i Paesi del Sud dell’Europa (si pensi al potenziamento di alcune sedi ‘mediterranee’ dell’Instituto Cervantes, come quelle di Napoli e Palermo, o agli scambi culturali promossi sempre più di frequente da ambasciate e università), sia verso l’Africa settentrionale. Un’operazione pilotata dai vertici istituzionali ma che, attenta ai fermenti del presente, raccoglie stimoli provenienti dal mondo della cultura e della ricerca e vuole indicare un modo moderno di rileggere la storia del passato; un ritorno al dialogo con culture, come l’italiana e l’araba, che in altri tempi hanno influenzato e nutrito la letteratura spagnola e le arti in genere, ma nell’ottica del 21° sec.: senza antagonismi, varcando le frontiere politiche e religiose, e con lo sguardo rivolto ai grandi temi che attraversano il mondo contemporaneo come la questione dei migranti o i rapporti tra Occidente e Islam.
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