Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’età della Restaurazione inglese (1660-1700) s’impone, in campo letterario, il genio di John Dryden, poeta cesareo, saggista raffinato e autore drammatico di successo. Ma alla corte di Carlo II si distinguono anche, per i loro atteggiamenti libertini, i poeti John Wilmot e Charles Sedley. La satira, in cui eccelle Dryden, trova altri maestri in John Oldham, Samuel Butler e Charles Cotton, mentre la narrativa e il romanzo fanno le prime prove nelle opere di Aphra Behn e di John Bunyan.
La Restaurazione inglese
Dopo la morte di Cromwell, la restaurazione della monarchia in Inghilterra sembra essere l’unico modo di garantire la stabilità politica, purché venga rispettata la libertà di culto e i poteri del re siano bilanciati dalle prerogative parlamentari. Carlo II, invece, sceglie la via dell’assolutismo, combattendo insieme il Parlamento e l’estremismo puritano. La situazione peggiora con Giacomo II che tenta di ripristinare il cattolicesimo come religione di Stato, inimicandosi i protestanti, che lo depongono e chiamano al trono Guglielmo III d’Orange.
Quello della Restaurazione è dunque un periodo di grande fermento religioso, che vede fronteggiarsi cattolici, anglicani e puritani. Anche i letterati prendono parte attiva nello scontro, schierandosi, nelle loro opere, a favore dell’uno o dell’altro partito.
I poeti di corte
I poeti di cui si circonda Carlo II sono i successori di quei poeti cavalieri rimasti sempre fedeli alla causa monarchica, magari in un forzato esilio al di là della Manica. Educati a un gusto e a un costume raffinati, essi contribuiscono a creare a corte un clima di spregiudicato edonismo, che intende contrapporsi al rigorismo puritano.
Libertini impenitenti, John Wilmot, conte di Rochester, e sir Charles Sedley sono nobili cortigiani che compongono per diletto. La loro poesia erotica ha accenti licenziosi e lascivi, celebra l’amore dei sensi in versi aggraziati e musicali.
Anche John Dryden è un sostenitore convinto della monarchia, il cui ritorno coincide per lui con il ritorno della giustizia e della stabilità. Nominato poeta cesareo, la sua satira sferzante colpisce tutti i nemici della monarchia, bollati come eversori dell’ordine costituito. Dryden è stato spesso accusato di opportunismo perché, dopo aver sostenuto la necessità di aderire alla Chiesa anglicana, cui si appoggiava Carlo II, con l’ascesa al trono del cattolico Giacomo II si converte al cattolicesimo e si impegna nella sua difesa nel poemetto La cerva e la pantera.
In realtà il problema religioso è per Dryden secondario: quello che più gli importa è la difesa dell’autorità, la sola in grado di garantire i valori di ordine, decoro, armonia, che, per Dryden, reggono la società e, secondo la sua concezione classicistica, anche la poesia.
Dryden sa adattarsi alle mode letterarie del suo tempo: è insuperabile nella poesia d’occasione, capace di trattare con abilità i soggetti più diversi, passando dal tono malinconico dell’elegia a quello pacato ma vigoroso dell’encomio, come nel caso dei versi celebrativi in onore dell’amico William Congreve.
Dryden fornisce inoltre prove convincenti nei due generi teatrali più seguiti dal pubblico nell’età della Restaurazione: la commedia di costume con il Matrimonio alla moda e il dramma eroico, nel quale si serve con grande maestria dello strumento metrico da lui più amato e perfezionato, ossia il distico rimato.
L’opera di Dryden è accompagnata da una costante riflessione critica sull’arte, sollecitata dalle questioni di volta in volta poste dalla sua produzione letteraria: i suoi drammi e le sue traduzioni sono spesso introdotte da prefazioni che discutono la natura e i problemi principali sollevati dal genere in oggetto. Il genere in cui Dryden consegue, tuttavia, i suoi migliori risultati è la satira, di cui conosce tutte le sfumature e i registri, dall’ironia al sarcasmo, dalla burla all’invettiva. Ad essa fa ricorso, di volta in volta, contro i nemici della monarchia o contro i poeti rivali.
John Dryden
Mac Flecknoe
Tutte le cose umane son soggette al declino,
E, quando chiama il Fato, i monarchi debbono obbedire:
Scoprì questo Flecknoe che, come Augusto, da giovane
Chiamato al potere, a lungo lo mantenne:
In versi e in prosa gli fu riconosciuto incontrastato
Su tutto il reame di Stoltezza, un potere assoluto.
Questo principe avanti negli anni, prosperando in pace
Con il conforto di progenie numerosa,
Stanco degli affari, stabilì dopo lungo ponderare
Di decidere la successione al potere:
Ed esaminando quale dei suoi figli fosse adatto
A regnare, e a condurre guerra eterna all’ingegno;
Esclamò: “È deciso! Ché la natura vuole ch’egli soltanto
Abbia a regnare che più mi rassomigli:
Shadwell soltanto fra tutti i miei figli è quello
Ch’è saldo ed immoto nella completa stupidità.
Ma Shadwell mai devia nella ragione.
Qualche raggio d’intelligenza può cadere sulla mente degli altri,
Aprirsi un varco e produrre un lucido intervallo;
Ma la completa notte di Shadwell mai non ammette raggio,
In lui le nebbie si levano e sconfiggono il giorno:
La sua superba mole sazia lo sguardo
E sembra fatta per la stolida maestà:
Simile a quelle querce che ombreggian la pianura,
E, dispiegate in pompa solenne, regnano passive.
Heywood e Shirley furono soltanto esemplari di Te,
L’ultimo, il grande profeta di Tautologia:
Ed io perfino, un cretino ben più noto di loro,
Fui mandato avanti per prepararti la strada;
E rozzamente vestito di rustico panno di Norwich venni
Ad istruire le nazioni nel nome più grande.
Del mio liuto il gorgheggio che già accordai
Per cantare a re Giovanni di Portogallo,
Non fu che preludio di quel giorno glorioso,
Nel quale tu fendesti l’argenteo Tamigi,
Con remi ben ritmati precedendo il vascello reale
Gonfio d’orgoglio per il celeste incarico;
E, pregno di un inno, comandante di un’armata,
Mai tale personaggio rimbalzò su coperte d’Epsom!
Sembrami di veder salpare un nuovo Arione,
Il liuto che ancor ti trema sotto l’unghia.
Sotto il tuo pollice adunco da una riva all’altra
Trema l’ultima corda per timore, rugghiano i bassi:
Gli echi di Pissing-Ally Shadwell invocano,
E Shadwell rispondono dal palagio di Aston.
Attorno alla tua barca s’affollano i pesciolini,
Come il pane tostato in zuppa mattutina.
Poi qualche volta, principe della tua banda armoniosa
Bandisci le tue carte col gesto di chi trebbia.
Mai i piedi di St. André tennero cadenza più monotona
Neppure i piedi della tua rimata Psiche
Sebbene per ritmo e per senso eccellano,
Caddero sì giusti, sì eguali a una tautologia,
Che, pallido d’invidia, Singleton ripudiò
Il liuto e la spada che portava trionfando
E mai, giurò, avrebbe più impersonato Villerius.
Qui si arrestava il vecchio genitore e piangeva di gioia
In estasi silenziosa pel promettente figlio.
Qualsivoglia argomento, ma su tutti i suoi drammi, dimostrano
Ch’egli era nato con il crisma della stupidità.
Testo originale:
All human things are subject to decay,
And, when Fate summons, monarchs must obey:
This Flecknoe found, like Augustus, young
Was call’d to empire and had govern’d long:
In prose and verse was own’d, without dispute
Through all the realms of Non-sense, absolute.
This aged prince now flourishing in peace,
And blest with issue of a large increase,
Worn out with business, did at length debate
To settle the succession of the State:
And pond’ring which of all his sons was fit
To reign, and wage immortal war with wit;
Cry’d, ’tis resolv’d; for nature pleads that he
Should only rule, who most resembles me:
Shadwell alone, of all my sons, is he
Who stands confirm’d in full stupidity.
But Shadwell never deviates into sense.
Some beams of wit on other souls may fall,
Strike through and make a lucid interval;
But Shadwell’s genuine night admits no ray,
Strike through and make a lucid interval;
But Shadwell’s genuine night admits no ray,
His rising fogs prevail upon the day:
Besides his goodly fabric fills the eye,
And seems design’d for thoughtless majesty:
Thoughtless as monarch oaks, that shade the plain,
And, spread in solemn state, supinely reign.
Heywood and Shirley were but types of thee,
Thou last great prophet of tautology:
Even I, a dunce of more renown than they,
Was sent before but to prepare thy way;
And coarsely clad in Norwich drugget came
To teach the nations in thy greater name.
My warbling lute, the lute I whilom strung
When to King John of Portugal I sung,
Was but the prelude to that glorious day,
When thou on silver Thames did’st cut thy way,
With well tim’d oars before the royal barge,
Swell’d with the pride of thy celestial charge;
And big with hymn, commander of an host,
The like was ne’er in Epsom blankets toss’d.
Methinks I see the new Arion sail,
The lute still trembling underneath thy nail.
At thy well sharpen’d thumb from shore to shore
The treble squeaks for fear, the basses roar:
Echoes from Pissing-Alley, Shadwell call,
And Shadwell they resound from Aston Hall.
About thy boat the little fishes throng,
As at the morning toast, that floats along.
Sometimes as prince of thy harmonious band
Thou wield’st thy papers in thy threshing hand.
St. Andre’s feet ne’er kept more equal time,
Not ev’n the feet of thy own Psyche’s rhyme:
Though they in number as in sense excel;
So just, so like tautology they fell,
That, pale with envy, Singleton forswore
The lute and sword which he in triumph bore
And vow’d he ne’er would act Villerius more.
Here stopt the good old sire; and wept for joy
In silent raptures of the hopeful boy.
All arguments, but most his plays, persuade,
That for anointed dullness he was made.
in Le più belle pagine della letteratura inglese, vol. II. Dall’età di Milton a oggi, a cura di F. Ferrara, Milano, Nuova Accademia Editrice, 1960
Gli altri poeti satirici
Nell’ambito della satira non vanno trascurati il talento geniale, nella scia di Cervantes e Rabelais, di Samuel Butler, creatore di Hudibras; il motteggio acre e beffardo di Oldham; l’amaro pessimismo di Rochester cui si deve la Satira contro il genere umano.
John Bunyan e la tradizione puritana
La letteratura della Restaurazione non si esaurisce comunque nella cerchia dei “begl’ingegni” della corte di Carlo II. La tradizione puritana, per quanto messa in secondo piano e ostacolata dalla cultura ufficiale, non viene soffocata e anzi produce alcuni dei suoi frutti migliori nell’opera di John Bunyan.
La vita stessa di Bunyan, predicatore battista, costretto a passare dodici anni in prigione, mostra qual è il trattamento riservato dallo Stato agli oppositori. Tuttavia lo spirito di Bunyan esce rafforzato da questa esperienza, ed egli può pubblicare le sue opere di argomento religioso, che aprono la strada agli sviluppi del romanzo inglese.
Il destino finale dell’uomo è oggetto delle opere di Bunyan, che nel Viaggio del pellegrino descrive allegoricamente il cammino del cristiano verso la salvezza, mentre ne La vita e la morte di messer Malvagio rappresenta con immediatezza anche maggiore, e senza più ricorrere all’allegoria, il percorso inverso del malvagio verso la dannazione.
La prosa del capolavoro di Bunyan, Il viaggio del pellegrino, si rifà, per la vivacità del linguaggio e per la concretezza delle immagini, allo stile della Bibbia e soprattutto a quello dei sermoni popolari che, dovendo trasmettere ardui concetti teologici a gente semplice, si servono di una tecnica che Bunyan, in quanto predicatore, padroneggia alla perfezione.
Altri prosatori della Restaurazione
La tendenza verso la semplificazione e la chiarezza espressiva è condivisa anche da altri prosatori del periodo della Restaurazione che pure praticano generi molto diversi, come Temple che nella sua produzione saggistica, pubblicata in varie Miscellanee, tende a una stilizzazione urbana e raffinata, oppure John Evelyn e SamuelPepys che nei loro diari ci presentano uno spaccato interessante della società contemporanea.
Samuel Pepys
Incoronazione di Carlo II d’Inghilterra
23 aprile 1661 (giorno dell’incoronazione) - Con molta fatica e col favore di Mr Cooper sono riuscito a issarmi sul palco al lato nord dell’Abbazia, dove con molta pazienza sono rimasto in attesa dalle quattro del mattino fino alle undici, ora in cui è apparso il Re. Nel centro dell’Abbazia era situato una specie di trono, su di una predella, con uno sgabello. Tutti i dignitari erano vestiti di rosso. Entrò alfine il Decano di Westminster con i vescovi (i più indossavano cappe dorate) e dopo di questi i nobili, nei loro abiti da cerimonia, bellissimi a vedersi. Fece poi il suo ingresso il Duca e dietro di lui il Re, preceduto da Lord Sandwich che portava lo scettro, la spada, il globo e la corona. Il Re indossava una lunga tunica e incedeva a capo scoperto; era bello a vedersi. Dopo che tutti ebbero preso posto vi fu un sermone e poi un servizio Divino. Nello stesso momento, presso l’altare maggiore, il Re si sottoponeva a tutti i riti della incoronazione, che con mio grande dispiacere, dal punto in cui ero, non potevo vedere. Quando la corona fu posata sulla testa del Re si levò un alto grido di giubilo, poi il Re si avvicinò al trono e la cerimonia continuò. Tutti i vescovi vennero ad inginocchiarsi dinanzi a lui.si fece avanti il Re dell’Armi e rivolto a ciascun lato della chiesa disse a voce altissima: “Se qualcuno di voi è a conoscenza di qualcosa che vieti a Carlo Stuart di essere Re d’Inghilterra venga avanti e lo proclami”. Poi il Lord Cancelliere lesse un’amnistia generale e Lord Cornwallis gettò fra il pubblico delle medaglie d’argento. Però non mi fu possibile afferrarne nemmeno una. Il frastuono era tale che non potei nemmeno godere della bella musica, ma credo che fosse così per tutti. Pressato da un bisogno urgente fui costretto a uscire prima della fine della cerimonia. Per andare dall’Abbazia al Palazzo di Westminster dovetti passare tra due file di transenne e v’erano diecimila persone e la strada era coperta di panno blu; e palchi lungo tutto il percorso. Al palazzo tutto era arredato con tappezzerie e v’erano palchi l’un sull’altro e dame splendide; in uno piccolino a destra eravamo io e mia moglie... Poi entrò il Re, portava lo scettro e la corona e incedeva sotto un baldacchino, sorretto da sei aste d’argento, ciascuna sostenuta da un Barone dei Cinque Porti con campanelle da ogni lato. Dopo un lungo tragitto il Re arrivò al limite della sala dove erano le tavole apparecchiate. Ognuno sedette alla propria tavola ed era uno spettacolo da vedersi. La prima portata fu presentata al Re dai Cavalieri del Bagno. Lord Albemarle intanto si era recato nella cucina reale per assaggiare un boccone di ogni vivanda che doveva essere servita al Re. Il più bello fu quando i Lord Northumberland e Suffolk e il Duca di Omond fecero il loro ingresso nella sala, a cavallo, e andarono a fermarsi ai lati della tavola reale dove rimasero fino al termine del banchetto. Allora apparve dal fondo il campione del Re, Sir Edward Dymock, in perfetta armatura da battaglia, preceduto da un araldo che ne portava lo scudo, la spada, e che a gran voce annunciò: “Se mai qualcuno osasse contestare a Carlo Stuart il legittimo titolo di Re d’Inghilterra, ecco il campione pronto a misurarsi con lui”.
in Le più belle pagine della letteratura inglese, vol. II. Dall’età di Milton a oggi, a cura di F. Ferrara, Milano, Nuova Accademia Editrice, 1960