Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A paragone dei sommi capolavori e delle grandi figure della letteratura rinascimentale, le opere degli autori portoghesi del Seicento non possono che apparire assai meno significanti e originali. È tuttavia alquanto discutibile il luogo comune secondo cui il Seicento portoghese sarebbe un’epoca di cupa e sterile decadenza. In verità, la civiltà letteraria del Seicento appare oggi alla critica ricca di energie positive e di spunti sconcertanti e suggestivi, complessi e inquietanti.
Poeti e prosatori
In Portogallo i risultati più interessanti sono raggiunti, senza dubbio, dalla prosa; la poesia, fortemente influenzata e spesso condizionata dall’esperienza di Luis de Góngora (1561-1627), si presenta densa di concetti, artifici verbali e immagini ardite, ma non è particolarmente originale.
Nelle due cospicue raccolte Fenice rinata (1715-1728) e Postiglione di Apollo (1761-1762) sono riscontrabili molte delle tematiche più care ai poeti del Seicento: fra l’altro, argomenti mitologici e religiosi, motivi occasionali, elegiaci, satirici ed epici. In molti di questi componimenti, poi, sono rinvenibili alcune costanti della poesia portoghese, quali un intenso e mai artificiale rapporto col divenire naturale, una certa propensione per paesaggi notturni, sinistri e agitati, e un attento (e talora profondo) scandaglio interiore.
Decisamente più avvincente e pregevole è, comunque, la prosa secentesca: tanto quella sacra (orazioni, trattati), quanto quella profana (dialoghi, apologhi, storiografia, narrazioni). Certo, il Seicento portoghese non offre personalità del respiro di Luis Vaz de Camões (m. 1580) o di Gil Vicente (1465-1536), ma non può assolutamente essere considerato un “tempio del cattivo gusto” da rigettare acriticamente nella sua globalità.
Soffermiamoci allora brevemente sulle figure più rappresentative del barocco portoghese.
Francisco Rodrigo Lobo, compiuti gli studi giuridici presso l’università di Coimbra, preferisce non esercitare l’avvocatura e ritirarsi nella serenità delle sue tenute, coronando quell’ideale di vita bucolica tanto caro, per esempio, a Góngora. Protetto dai duchi di Braganza, nella sua breve esistenza (solo 41 anni) si cimenta in numerose opere: in poesia, compone versi musicali di forte e intenso cromatismo (Romanze del 1596 e le Egloghe del 1605) e un poema epico di scarso rilievo; in prosa, scrive un romanzo pastorale in tre parti ispirato a precedenti italiani e non privo di finezza (La primavera del 1601; Pastore e pellegrino del 1608; Disingannato del 1614) e un felice trattato sulle “belle maniere” in forma dialogica (La corte nel villaggio del 1619), modellato sull’allora diffusissimo Cortegiano di Baldassarre Castiglione.
Il rappresentante forse più tipico del gongorismo portoghese è J. Baía, della cui vita non si sa sostanzialmente nulla. Le sue poesie pullulano di figure, concetti, immagini e invenzioni squisitamente gongoriste.
Suor Violante do Céo (1602-1693) appartenente all’ordine delle Domenicane, compone nel corso della sua lunga esistenza, trascorsa soprattutto nella meditazione, non poche poesie in spagnolo e in portoghese. La concettosa, intellettualistica e un po’ artificiosa densità di tali componimenti è direttamente riconducibile alla poetica barocca.
Francisco Manuel de Melo è certamente l’individualità più attraente del secolo. Nato a Lisbona nel 1608 da famiglia nobile e illustre, frequenta fin dalla prima giovinezza l’ambiente cortigiano, divenendo così ben presto un autentico gentiluomo. Formatosi presso i Gesuiti, si appassiona all’“arte della guerra”, conducendo poi un’esistenza varia e movimentata fra battaglie, naufragi, viaggi (India, Fiandre, Inghilterra...), prigionie, assassinii, processi, esili e incarichi importanti. Geniale e arguto poligrafo, tanto nella lingua materna che in spagnolo, compone, fra l’altro, scritti storiografici, autobiografici, polemici, morali; alquanto pittoreschi e curiosi si rivelano ancor oggi gli Apologhi dialogati, dai quali si evince una morale piuttosto pessimista e disingannata.
Melo si rivela inoltre delicato, vivace e (in certi casi) profondo poeta, vicino sia alla tradizione petrarchista cinquecentesca, sia al gongorismo, che sempre lo affascina con la sua ardua, policroma e vivace eleganza. Fra le sue composizioni in versi, raccolte nelle Opere metriche (1665), si possono ricordare i vibranti sonetti per la morte di Ines de Castro. Melo si cimenta felicemente anche nella commedia, sulle orme del grande Gil Vicente.
Storici e oratori
Monumento della storiografia secentesca è la Monarchia lusitana dei monaci cistercensi di Alcobaça, che si adoperano con gran vigore per rianimare lo spirito autonomista e indipendentista dei Portoghesi, giungendo al punto di falsare i dati fattuali con forzature di ogni sorta.
Il nobile Cavaliere di Malta Manoel de Sousa decide di ritirarsi in convento (dove prende il nome di Luís) in seguito alla morte della figlia. Fra le sue corpose opere storiografiche, bisogna menzionare almeno la vasta Storia di San Domenico, divisa in tre parti. Frate erudito e intelligente, Sousa sa esprimere i risultati delle sue serie ricerche in uno stile equilibrato, limpido e armonioso, che in non pochi momenti assume movenze poetiche.
Nato in Portogallo da famiglia di modeste condizioni, Antonio Vieira emigra ancor fanciullo in Brasile, ove compie i suoi studi sotto la guida dei Gesuiti, l’ordine di cui verrà in seguito a far parte. Oratore di grande talento e dottrina, è il maggiore predicatore portoghese del Seicento. Strenuo difensore dei diritti tanto degli indigeni brasiliani quanto degli ebrei portoghesi e organizzatore di grande senso pratico, Vieira ricopre importanti incarichi diplomatici, ma in seguito, sospettato di messianismo, conosce le amare esperienze del confino, dei processi dell’Inquisizione e del carcere duro.
Soltanto dopo la deposizione diAlfonso VI, questo gesuita idealista, eloquente e battagliero riesce a recuperare la sua posizione a corte: nel 1669 gli viene affidata un’importante missione politico-diplomatica a Roma, dove riscuote ampi consensi per le sue notevoli qualità di oratore sacro.
I suoi Sermoni (1679-1684) sono mirabili, oltre che per il generoso impegno civile, morale, religioso e politico, per lo stile, vigoroso e pregno di concetti sottili, ricercati e preziosi.
Insieme col grande Vieira, l’altro campione dell’oratoria e, in generale, della prosa sacra in lingua portoghese è l’oratoriano Manuel Bernardes che, dopo essersi laureato in filosofia e diritto canonico all’ateneo di Coimbra, conquista in breve tempo fama e stima presso i potenti della corte. La sua fatica più nota è la Nuova Foresta (1706-1728) in cinque volumi, ponderosa raccolta di sentenze e massime di personaggi autorevoli, articolata come un vero e proprio dizionario. PadreBernardes, in uno stile sempre preciso ed efficace, compone altresì gli Esercizi spirituali e i Sermoni e discorsi. Agli scritti di questo eruditissimo oratoriano, che trascorse tutta la vita sui libri, mancano, tuttavia, quell’energia bellicosa e quel vivido calore umano che caratterizzano le opere di padre Vieira.