Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il secolo XII inaugura un nuovo periodo della storia medievale, in cui gli autori vivono in modo diverso il proprio rapporto con la letteratura classica. La fortuna di un testo classico si può valutare in questo periodo non solo nel rapporto di citazione o allusione, ma anche nei commenti e nelle glosse, operazione didascalica e insieme frutto di una particolare stagione di riflessione sui testi.
Giovanni di Salisbury
Bisogna rispettare gli autori del passato
Metalogicon
Massimo rispetto è dovuto agli autori del passato, da coltivare con assiduità e rispetto; […] se il senso del discorso è lo stesso, tra gli antichi e i contemporanei, il testo antico è maggiormente degno di venerazione. […] Recolo Peripatetico disse una cosa che ritengo esatta: è facile per chiunque ai nostri tempi comporre un’opera, che non risulti inferiore a quelle classiche sia per l’eleganza del dettato che per il contenuto di verità; […] ma questo avviene perché possiamo trarre profitto dal lavoro di chi ci ha preceduto: se infatti spesso siamo in grado di scoprire cose nuove, è solo perché usufruiamo di forze non nostre, e della somma dottrina dei padri. […] Diceva Bernardo di Chiaravalle che siamo nani sulle spalle di giganti: possiamo vedere più in profondità e più lontano di loro, ma non per maggiore acutezza della vista, o per superiore prestanza fisica, bensì perché stiamo sopra e svettiamo grazie alla mole dei giganti che ci sostengono.
Giovanni di Salisbury, Metalogicon, testo latino in P.L. III 4, 199 col 900 b.c.
Pietro Abelardo
Virgilio e la profezia su Cristo
Lettera VII
Il più grande dei nostri poeti, Virgilio, aveva sentito certamente questa profezia della Sibilla, se non erro, e doveva averla presente quando nella IV Egloga preannunciava che sotto Cesare Augusto, durante il consolato di Pollione, sarebbe nato in maniera miracolosa un fanciullo mandato sulla terra dal cielo, che avrebbe tolto i peccati del mondo, e vi avrebbe inaugurato una nuova età meravigliosa. Tutto questo Virgilio cantava sulla traccia, lo ammette egli stesso, di un [...] vaticinio della Sibilla [...] cumana. [...]
È giunta l’ultima età vaticinata dalle profezie cumane / da capo nasce una gran serie di secoli / Già torna anche la vergine, tornano i regni di Saturno / già dall’alto discende una nuova progenie
(Bucoliche IV, 4-7)
Considera bene ogni parola [...] e vedi se non contengono in modo esplicito e completo i punti essenziali della fede cristiana intorno a Cristo.
in Storia delle mie disgrazie. Lettere d’amore di Abelardo e Eloisa, a cura di F. Roncoroni, Milano, Garzanti, 1974
Il periodo carolingio aveva saldamente rinforzato il ruolo dei classici, considerandoli momento imprescindibile del percorso formativo di qualsiasi persona colta; nei secoli X e XI si andava esaurendo in larga misura l’antica avversione che alcuni autori cristiani avevano manifestato nei confronti della cultura classica, stimata pericolosa perché pagana. Il secolo XII segna una nuova, decisiva svolta nella storia della letteratura medievale. Dal 1927, anno in cui Charles Homer Haskins pubblica il saggio sulla rinascita del XII secolo, il dibattito sull’entità di questo rinascimento è ancora aperto; il dato inconfutabile è che gli autori di questo periodo hanno la precisa coscienza di uno stacco netto che separa la loro epoca da quanto è avvenuto prima. Questa tappa della querelle des anciens, per cui certi autori si definiscono moderni rispetto agli antiqui che li hanno preceduti, comporta un diverso rapporto con la tradizione letteraria: da rifiutare, imitare, inglobare che sia, essa rappresenta comunque qualcosa di altro rispetto all’esperienza contemporanea.
Questo molto sommariamente è il teatro della ricezione dei classici tra l’XI e il XII secolo; l’analisi della frequentazione degli auctores impone inoltre di considerare le variabili dovute alla trasmissione e all’allestimento fisico dei codici. Nei secoli XI e XII la stragrande maggioranza dei libri veniva ancora copiata negli scriptoria monastici, con sempre maggior cautela filologica per l’emendazione e la collazione di più esemplari, e con aumentata consapevolezza della rarità di alcuni testi. L’atto del copiare un testo su un codice viene condizionato dalle modalità di lettura del codice stesso: l’impaginazione moderna nasce proprio in questo periodo della storia letteraria, quando la fruizione di un’opera comincia a essere legata in modo indissolubile alla sua glossatura, al commento del lettore. Glosse e commenti cominciano nella letteratura ellenistica; il procedimento viene intensificandosi durante il periodo carolingio soprattutto relativamente ai testi sacri, per poi estendersi anche alla letteratura profana.
Nel secolo XII abbondano gli apparati interpretativi, avvertiti dagli estensori come un momento altissimo nell’esercizio del sapere: Guglielmo di Conches afferma con soddisfazione di essere “interprete e relatore delle cose antiche, non autore di nuove” e Maria di Francia dice che gli antichi già sapevano che i posteri sarebbero stati più acuti di loro, perché avrebbero potuto glossare il testo arricchendone il senso.
Secondo Holtz (Glosse e commenti, 1995) glosse e commenti riguardano ogni tipo di opera, ma alcuni generi letterari sono stati poco o nulla commentati, come i testi storici – il primo commento di cui abbiamo notizia è quello a Tito Livio di Nicholas Trivet, morto dopo il 1334 – le cronache, i racconti, le agiografie, le raccolte epistolari, i sermoni. Numerosi sono invece i commenti riguardanti le Sacre Scritture; tra le opere di retorica e dialettica le più commentate sono il De inventione e la Rhetorica ad Herennium; per il diritto Giustiniano, per la geometria Euclide, tra i poeti naturalmente il primato è di Virgilio, come si evince dall’evoluzione delle impaginazioni dei manoscritti virgiliani che procede dal IX all’XI secolo con crescente complessità.
Il commento spesso è motivato da intenti pedagogici dovuti allo stile di un’opera o alla materia che vi si tratta, altre volte dipende dalla longevità di un testo: l’accesso agli antichi trattati di Donato e Prisciano, su cui si basa da Alcuino in poi l’insegnamento della grammatica, sarebbe stato arduo senza la mediazione del maestro che provvede al compendio, al commento o, quantomeno, alle glosse che accompagneranno i trattati retorici classici fino a quando, verso la fine del XII secolo, non ne verranno composti di nuovi.
La sopravvivenza dei classici è affidata anche al fatto che gli auctores forniscono i modelli pratici delle teorie esposte nei trattati. Gli auctores sono naturalmente quelli del canone, però continuamente aggiornato: nell’alto Medioevo Terenzio e Virgilio vengono sostituiti dai nuovi classici come Sedulio, Aratore o Paolino da Nola, per poi essere oggetto di rinnovato interesse e quindi di nuovi commenti a partire dal X secolo.
La pratica del commento si intensifica a partire dall’XI secolo, ma, come abbiamo accennato, ha una lunga tradizione; i commenti medievali agli autori classici sono quindi di due tipi: quelli che si rifanno a commenti antichi (come per Virgilio) e quelli affatto nuovi come il Commentum Brunsianum a Terenzio o quello attribuito a Bernardo Silvestre dedicato a una lettura allegorica dei primi sei libri dell’Eneide. Munk Olsen ricorda che i soli commenti antichi che sembra si siano veramente imposti sono quelli di Servio alle Bucoliche, Georgiche ed Eneide di Virgilio. Ancora nell’XI secolo resistono alcuni commenti classici come quello di Elio Donato a Terenzio oppure quello ad Ovidio e a Stazio di Lattanzio Placido o quello di Vittorino al De inventione ciceroniano, ma nel XII secolo scompaiono tutti, tranne Prisciano e il commento serviano all’’Eneide; segno che i moderni si sono imposti definitivamente: il commento partecipa della ricezione di un’opera e quindi più facilmente diventa obsoleto.
Gli autori più copiati e commentati sono anche quelli più letti, e sono poche le sorprese rispetto ai secoli precedenti: Virgilio è uno degli autori classici più frequentati; se il numero di manoscritti virgiliani subisce una flessione nel corso del X secolo, questo è dovuto alla quantità di copie prodotte nei secoli precedenti. Secondo lo spoglio di Munk Olsen, che ha isolato 25 testi pervenutici in più di 50 codici ciascuno e risalenti al IX-XII secolo (La popularité des textes classiques entre le IX et le XII siècle, 1984-1985), i dati raccolti accordano una predilezione dell’XI secolo per Orazio (rammentiamo che secondo la celebre distinzione di Traube, oggi non più pacificamente accettata, i secoli X-XI corrisponderebbero all’età oraziana), ma sono letti anche Persio e Giovenale.
Il XII secolo preferisce l’Eneide rispetto a Ecloghe e Georgiche; per Orazio, letto e copiato in modo uniforme fino al IX secolo, si assiste nell’XI secolo a una maggior considerazione per la lirica, mentre nel XII secolo saranno copiate soprattutto Satire, Epistole e l’Arte poetica. L’incremento delle copie si nota, nel XII secolo, anche per Terenzio, Sallustio, Cicerone dei trattati morali e Seneca: in effetti nel 1100 è palese un certo interesse per testi in prosa (spesso Terenzio veniva copiato e letto senza considerare la metrica).
Tra le opere poetiche spiccano Tebaide, Farsalia, Metamorfosi. Insomma sono sempre gli autori del canone a essere letti e copiati più frequentemente: d’altronde, evolvendosi in maniera sempre più organizzata la struttura scolastica, il canone risulta più rigidamente rispettato; il fenomeno è visibile nel XII e maggiormente nel XIII secolo con l’affermarsi delle università. In effetti il XII secolo restringe la rosa degli autori letti e copiati, magari conservandoci un maggior numero di copie ma di pochi autori. Questa selezione ha ridotto la scelta di testi classici, compensata solo parzialmente dalla presenza di qualche testo più raro tramandatoci in esemplari isolati o in stralci contenuti in qualche florilegio.
La riflessione sugli autori del canone non è un’operazione che i critici compiono interamente a posteriori sulla base dei manoscritti superstiti; esiste anche una vasta letteratura in cui possiamo leggere le considerazioni compiute dagli autori sul senso della tradizione e sul valore contemporaneo dell’esperienza letteraria, come nel Dialogus super auctores di Corrado di Hirsau, un’opera scolastica propedeutica alla lettura dei testi, in cui assistiamo alla sistematizzazione del patrimonio letterario pagano e cristiano oltre che all’elencazione degli autori canonici.
La lettura di un classico, la sua presenza in una biblioteca o in un florilegio costringono a porsi il problema del rapporto che lega, in un determinato periodo storico, un autore con la sua fonte, a sondare il rapporto di imitazione e di citazione/allusione che con quel testo si istaura: “il commento è il luogo primario della critica letteraria medievale” (Ileana Pagani, Lo spazio letterario del Medioevo, vol. III, Roma, 1995).
In questo senso il commento e la glossa, criticati quando diventano esibizione fine a se stessa, per esempio da Incmaro di Reims, risultano per noi non soltanto sedimento di un’operazione meramente didascalica, ma piuttosto strumento che, se da una parte ha orientato la fruizione del testo classico in senso normativo, dall’altra ne ha custodito la stratificazione delle letture, e quindi anche la memoria della sua reattività.