La lotta contro Genova
Il lungo secolo che va dal trattato di Milano del 25 maggio 1298, che mette fine alla guerra di Curzola tra Genova e Venezia, alla pace di Genova del 28 giugno 1406 è contrassegnato dal costante confronto delle due Repubbliche marinare per il dominio del Mediterraneo. Due guerre "coloniali" contrappongono le due potenze, che vi investono tutti i loro mezzi militari, navali ed economici, e vi trascinano i loro alleati: Bisanzio, i Catalani, l'Ungheria e persino i Turchi.
Il confronto coinvolge in effetti tutto il Mediterraneo. Inizia quando crolla la talassocrazia bizantina; raddoppia d'intensità con la quarta Crociata e con la riconquista di Costantinopoli ad opera dei Greci di Nicea; si estende al Mediterraneo orientale dopo la caduta degli Stati franchi di Siria e Palestina e gli interdetti pontifici che proibiscono il commercio con i Saraceni; giunge infine al mar Nero, dove l'incontro tra i Mongoli e gli Occidentali favorisce Genova. La concorrenza è altrettanto viva in Occidente, nei porti iberici o sulle rotte atlantiche verso l'Inghilterra e le Fiandre. Tutti i settori geografici sono coinvolti. È una lotta senza quartiere, senza un attimo di respiro, nella quale interagiscono gli interessi politici e militari, i progetti di crociata contro Turchi e Mamelucchi, la politica di colonizzazione nei territori conquistati e persino i tentativi di evangelizzazione promossi dal papa alla periferia dell'Asia. In pratica tutte le potenze mediterranee si trovano in qualche modo implicate nella rivalità veneto-genovese, dai multipli fini e dalle vicende mutevoli.
Città costiere, senza grandi risorse locali, Venezia e Genova devono cercare i rifornimenti lontano dai loro poveri territori. Divengono perciò delle città "di servizi" e di scambi, inserite in reti commerciali e marittime concorrenti che, a causa del gioco delle clientele, si prolungano sino al cuore dell'Europa centrale e nord-occidentale da una parte, e dell'Asia e del Vicino Oriente dall'altra. Tutte e due sono anche città di transito, sbocchi sul Mediterraneo delle regioni più dinamiche dell'Occidente: le Fiandre attraverso la vallata del Rodano o i passi delle Alpi; la Germania meridionale che cerca le materie prime e i prodotti orientali a Venezia (il fondaco dei Tedeschi); le città padane che guardano talvolta verso Genova e talaltra verso Venezia.
L'anonimo autore delle Honorantiae civitatis Papiae si stupisce che il popolo veneziano non lavori la terra, non semini e non vendemmio (1). Il suo stupore, per quanto esagerato, ci ricorda nondimeno che i rifornimenti di Venezia vengono dal mare: i cereali in primo luogo, ma anche il vino, l'olio e persino il sale, del quale ha fatto strumento della propria potenza.
Per quanto si abbia la tendenza a sottostimare i rifornimenti cerealicoli che arrivano a Venezia dalla terraferma o dalle proprietà dei patrizi veneti nelle regioni di Mantova e di Ferrara (2), si deve riconoscere che la maggior parte del grano necessario per un grande centro di consumo, per le flotte e per le armate veneziane arriva via mare. In alcuni mercati di rifornimento è assai aspra la concorrenza con i Genovesi, che devono anch'essi cercare all'esterno della loro regione la maggior parte dei propri approvvigionamenti (3). Venezia e Ragusa si accaparrano le risorse cerealicole dei paesi adriatici, cosicché i mercanti genovesi abbandonano i porti pugliesi. In Sicilia, al contrario, la quota delle esportazioni verso Venezia è molto bassa: meno del 2% dell'esportazione complessiva di granaglie, per quanto in caso di carestia alcuni intraprendenti mercanti di Barcellona si incarichino d'inviare partite di grano siciliano nell'Adriatico (4). Nel Mediterraneo occidentale la Sardegna e la penisola iberica contano poco negli approvvigionamenti cerealicoli veneziani, molto di più in quelli genovesi (5).
In Oriente Venezia ha creato un vero monopolio nei territori a lei direttamente sottomessi. I feudatari cretesi devono vendere i cereali alla metropoli al prezzo fissato dal senato veneziano. A seconda delle necessità quest'ultimo decide quale quantità debba essere inviata a Venezia e quale possa essere commercializzata sul mercato libero. La regola si fa più elastica soltanto in caso di raccolti eccezionali. La campagna cretese diviene così un vasto sistema di sfruttamento sottomesso alle esigenze della madrepatria e dell'economia mercantile. Si è potuto calcolare che un terzo circa del grano immagazzinato a Venezia proviene da Creta. La durezza dello sfruttamento coloniale e la pesantezza del monopolio cerealicolo sono tali che gli stessi feudatari veneziani partecipano alla rivolta isolana del 1363. Per diminuire la tensione la Serenissima deve acconsentire a licenze d'esportazione e avallare l'aumento del prezzo del grano (6).
Le esportazioni cretesi sono ben lontane dal soddisfare tutti i suoi bisogni. Venezia perciò s'interessa agli altri mercati orientali e si scontra con l'aspra concorrenza genovese. Dal 1268 i mercanti veneziani, per fronteggiare la carestia italiana, cercano di procurarsi grani presso Tartari, Alani, Circassi, Russi, Turchi, Armeni e Greci; nello stesso periodo viene segnalato per la prima volta sul mercato genovese il grano di Romània (7). La libertà d'esportazione dei grani dal Ponto e da Bisanzio è uno dei temi dominanti dei negoziati tra il governo veneziano e il basileus durante i primi decenni del XIV secolo, tanto più che dal 1304 i Genovesi hanno la possibilità di esportare senza problemi il grano dalla Tracia e dal Peloponneso. Nell'ottobre 1324 Venezia ottiene infine che i propri mercanti possano liberamente esportare il grano dall'Impero (8).
Nel mar Nero la posizione veneziana è più delicata. La regione offre abbondanti risorse cerealicole che Pegolotti enumera in maniera assai dettagliata, riportando sempre le misure utilizzate nel muid di Caffa (9). Sottolinea così il monopolio genovese sui traffici del grano dal Ponto, esportato in Occidente o verso Trebisonda e Costantinopoli. Venezia cerca di opporsi: tra il 1303 e il 1327, il maggior consiglio offre un premio a qualsiasi veneziano che possa vendere al comune grano del Ponto (10). La questione dei rifornimenti cerealicoli provoca d'altronde nel 1347 la rottura con Genova, perché Venezia ha siglato un trattato con i Tartari per ottenere carichi di grano, proprio quando l'assedio di Caffa esaspera il conflitto tra Genova e il khan (11).
Negli anni che seguono la guerra degli Stretti, i Genovesi, che controllano gli approvvigionamenti nell'area danubiana, vogliono obbligare i Veneziani ad associarsi a loro, riservandosi allo stesso tempo i carichi migliori. Il governo ducale si lamenta presso le autorità genovesi, che invitano il podestà di Pera a trattare i sudditi veneziani "fraterne, amicabiliter et benigne " (12).
Durante tutto il XIV secolo Venezia non può mai veramente controllare gli sbocchi delle principali regioni cerealicole del mar Nero e deve lasciare l'iniziativa ai Genovesi. Così cerca d'incrementare i propri acquisti negli emirati turchi dell'Asia minore, dove il prezzo del grano è inferiore a quello in vigore in Romània. Ottiene dei successi incontestabili, benché alla fine del Trecento i Genovesi riescano a ottenere grani provenienti dalle regioni di Focea e d'Altologo (13). In breve su tutti i mercati orientali, con la sola eccezione dei domini veneziani, tra le due Repubbliche marinare vi è un'aspra concorrenza per il controllo del traffico dei cereali, indispensabile per la sussistenza dei loro cittadini. Il peso della fiscalità doganale le incita a intervenire presso i produttori per ottenere condizioni privilegiate e facilitare così i rifornimenti.
Tra le altre derrate di consumo corrente, il vino, l'olio e il sale sono oggetto di un commercio internazionale che esaspera a sua volta le rivalità tra gli uomini d'affari. Per quanto la vite sia stata una delle colture principali della Laguna (14), l'importazione veneziana dei vini orientali è nel XIV secolo una pratica corrente, sia per il consumo locale, sia per la riesportazione. I vini di Creta, malvasia, athiri e moscatelli, riforniscono quasi esclusivamente il mercato veneziano e sono rare le navi genovesi che possono caricarli (15). La concorrenza si acuisce soprattutto in Romània e nel mar Nero, dove, come precisa Pegolotti, si vendono vini di ogni origine, di Candia, di Malvasia, dell'Italia del Sud (essenzialmente della regione di Tropea) e anche di Trilia, sulla costa meridionale del mar di Marmara (16). Alla Tana, per esempio, le transazioni registrate dal notaio veneziano Benedetto Bianco nel 1359-1362 riguardano il vino di Tropea, di Larissa, di Cotrone, di Malvasia e di Grecia (17). Questi carichi costituiscono con i drappi e le tele d'Occidente uno dei grandi prodotti di scambio con i Tartari.
Non sembra che il traffico d'olio abbia dato luogo ad analoghe rivalità: è oggetto di trasporti sparsi, frazionati, dalle pianure litorali verso le grandi città vicine. I Veneziani riservano le produzioni delle Marche e della Puglia, della Morea e di Creta per il proprio consumo e per venderle all'Egitto mamelucco. I Genovesi, dal canto loro, vivono delle risorse della Riviera, dove l'ulivo è onnipresente, ed esportano in Oriente l'olio di Siviglia, Gaeta, Napoli e Djerba: un traffico che si ferma al limite settentrionale della cultura dell'olivo. Oltre quel confine i grassi d'origine animale sono d'uso più frequente degli oli vegetali, in particolare nei territori mongoli. Venezia ha costruito la sua espansione sul commercio del sale, il prodotto più importante della Laguna. Ha in seguito acquisito il controllo delle saline dell'Adriatico, da Muggia a Corfù, e ha fatto del sale la zavorra per eccellenza, un carico di ritorno che assicura noli elevati agli armatori in cambio dell'abbassamento dei costi di trasporto per i prodotti di grande valore: il sale sovvenziona la mercanzia (18). Gli armatori veneziani vanno anche a completare il loro carico nelle saline mediterranee, la cui produzione è loro disputata dai Genovesi: Hyères e Lavalduc in Provenza; Cagliari in Sardegna; Ibiza, La Mata e Tortosa nell'area iberica; Cipro, Alessandria e le saline di Crimea in Oriente.
Mentre a Venezia è raro l'utilizzo di un intero bastimento per il trasporto del sale, Genova possiede una vera e propria flotta del sale, attiva per esempio tra Ibiza e la Liguria. Non esita inoltre a far ricorso a navi straniere, mentre Venezia riserva il trasporto di tutte le sue merci alle proprie imbarcazioni (19). La vera concorrenza tra le due Repubbliche è incentrata sulla riesportazione del sale verso le città padane, che sono approvvigionate mediante convogli di muli che attraversano l'Appennino o mediante barconi risalenti il Po. Il ducato di Milano, che occupa una posizione commerciale di prim'ordine ai piedi dei passi delle Alpi, sa sfruttare la concorrenza tra Genova e Venezia e conclude contratti con l'una e con l'altra. Tuttavia per Venezia il sale è subordinato ad altre merci, delle quali fa abbassare il prezzo; per Genova è un mezzo di scambio fondamentale che s'inserisce nel traffico complesso dei grani, dell'allume, del pesce, della carne e dei formaggi. Così per il rifornimento e per la riesportazione delle derrate alimentari le due Repubbliche marinare si fanno concorrenza sugli stessi mercati d'Oriente, ma l'una ha una posizione dominante nell'Adriatico, l'altra nel Tirreno. I trasporti massicci di prodotti alimentari hanno un'incidenza politica considerevole: renderli sicuri, liberare da ogni pericolo le vie che percorrono impone alleanze, suscita un'ardita strategia di controllo sulle rotte marittime e terrestri, così come una sorveglianza delle zone di produzione e di commercio. Tali trasporti si articolano inoltre su quelli dei prodotti di lusso, le preziose spezie, oggetto d'intensa concorrenza (20).
Le spezie compongono un vasto insieme di prodotti di condimento, di tintoria e di farmacia, che comprende il pepe e lo zenzero come lo zucchero, l'allume e il cotone. Nel mondo medievale sono state oggetto di un traffico che è stato a lungo considerato il motore del rinnovamento del commercio internazionale. In quest'ultimo Genova e Venezia svolgono un ruolo di primo piano.
Le vie delle spezie si sono sviluppate al ritmo delle perturbazioni che hanno sconvolto i lunghissimi itinerari intercontinentali, attraverso i quali i prodotti dell'Estremo Oriente erano inviati sino ai margini del mondo mediterraneo. Descritte da Guglielmo di Tiro, Beniamino di Tudela e Ibn Djobair, Alessandria e Il Cairo, teste di ponte delle vie per il mar Rosso, rimangono i magazzini delle spezie, dall'installazione dei Fatimidi in Egitto nel 969 sino alla fine della dinastia ayyubide nel 1250. La pace mongola, che garantisce ai mercanti la sicurezza sugli itinerari dell'Asia centrale, riattiva le vie della seta e delle spezie che portano alla Tana o a Trebisonda. Allo stesso tempo la caduta degli Stati latini di Siria e Palestina rafforza le proibizioni pontificie di commerciare coi Saraceni e allontana i mercanti occidentali da Alessandria, per circa quarant'anni, periodo che Ashtor identifica con la crisi del commercio nel Levante (21). Dagli ultimi decenni del XIII secolo al 1345 gli emporia del Ponto divengono i magazzini del mondo. Si comprende quindi come essi siano la posta in gioco nella lotta tra Genova e Venezia durante i primi decenni del Trecento: Caffa, la Tana, Tabriz e Trebisonda sono al centro dei traffici più redditizi (22). È difficile conoscere i movimenti delle navi durante la prima metà del XIV secolo. Tutt'al più si sa, grazie alla testimonianza di Villani, che, quando i Tartari attaccano nel 1343 i mercanti occidentali della Tana, le perdite veneziane ammontano a 300.000 fiorini e quelle genovesi a 350.000: senza dubbio corrispondono agli investimenti mercantili di quell'anno. Il disastro provoca in Italia un rialzo dei prezzi dal 50 al 100 %, a seconda del tipo di spezie richiesto (23).
La disorganizzazione dei khanati mongoli a partire dagli anni 1345-1350 e, quindi, l'ascesa dei Ming in Cina, fanno perdere ogni interesse per i lunghi itinerari dell'Asia centrale. I mercanti indiani e arabi ritrovano allora le vie del golfo Persico e del mar Rosso, tanto che gli uomini d'affari occidentali sollecitano l'abrogazione degli interdetti pontifici o, almeno, la concessione di licenze per commerciare di nuovo in Egitto e in Siria. In mezzo secolo Venezia stabilisce la sua preminenza su queste nuove vie, lungo le quali il sistema delle mude diventa regolare: da due a sei galere partono ogni anno per l'Egitto, da tre a nove per Cipro e la Siria prima del 1370, allorché Genova deve accontentarsi di una o due galere verso l'Egitto e la Siria e da tre a cinque cocche, a seconda degli anni. Dopo il 1372, cacciati da Cipro per la conquista genovese di Famagosta, i Veneziani fanno di Beirut il capolinea della muda "di Cipro": ogni anno vi vengono inviate da tre a sei galere, mentre Alessandria ne accoglie in media soltanto tre. Verso il 1400 gli investimenti veneziani in Egitto e in Siria arrivano per le sole spezie a più di 400.000 dinari. Da parte dei Genovesi, sei o sette cocche o galere vengono mandate ogni anno ad Alessandria e Beirut; verso la fine del XIV secolo esse rappresentano un investimento che può raggiungere i 500.000 dinari, ma da questa somma bisogna sottrarre il valore del cotone e dell'allume caricato in Oriente, ossia circa 100.000 dinari (24). Malgrado le interruzioni del traffico, in seguito alla spedizione di Pietro I di Cipro contro Alessandria nel 1365 o durante la guerra di Chioggia nel 1377-1381, Venezia occupa incontestabilmente il primo posto tra le nazioni occidentali in terra d'Islam.
Cotone e sete costituiscono un carico complementare per le galere e articoli di riesportazione per le due Repubbliche marinare. Per quanto concerne il cotone, Ashtor ha sottolineato a che punto Venezia abbia saputo approfittare dello sviluppo dell'industria manifatturiera nel sud della Germania, in Boemia e in Slesia per rifornirla di materia prima acquistata soprattutto in Siria (Laodicea, Sarmin e Hamah), senza dimenticare i propri clienti tradizionali in Lombardia (Milano) e nelle Fiandre. Per alimentare i propri filatoi e quelli delle città padane Genova si rifornisce in Egitto piuttosto che in Siria (25).
In Italia l'industria della seta conosce un rapido sviluppo: dal 1150 a Lucca, dall'inizio del XIII secolo a Venezia, un po' più tardi a Genova, dove diviene l'attività più importante della città nel corso del Quattrocento (26). Questa consistente crescita diminuisce l'importazione di sete lavorate in Oriente, ma suscita bisogni crescenti di seta grezza. Venezia è avvantaggiata dal suo dominio diretto o indiretto delle regioni produttrici nella Romània latina: i feudi degli Acciaiuoli in Morea e il Despotato producono infatti seta grezza; Clarentza e Patrasso la esportano. Le galere di Romània caricano a Negroponte e a Modone "fardelli" di seta, che si aggiungono a quelli che provengono dalle regioni del Ponto (27). Verso la fine del XIV secolo Venezia diviene il grande mercato della seta in Occidente a detrimento di Genova. Quest'ultima, dopo essere stata pioniera nell'importazione delle sete caucasiche e cinesi tra il 1250 e il 1350, deve accontentarsi delle discontinue risorse della Romània e dell'Anatolia, che compensa importando anche seta da Granada (28).
I libri "di mercanzia" sottolineano come lo zucchero sia la spezia più ricercata durante il XIV e il XV secolo, quando diviene un bene di consumo regolare. La coltura della canna ha progredito rapidamente dal Vicino Oriente all'Occidente. Durante il XIV secolo, a parte le consegne tradizionali dalla Mesopotamia, dalla Siria e dall'Egitto, Cipro e la Sicilia sono i più grandi mercati mediterranei. Genova e Venezia vi si fanno, ancora una volta, concorrenza. Marino Sanudo Torsello pretende nel suo Liber secretorum fidelium Crucis (29) che Cipro produca così tanto zucchero che la cristianità non avrebbe bisogno di ricorrere ai paesi musulmani: un'asserzione senza dubbio esagerata! Nondimeno, dopo la caduta degli Stati franchi in Siria e Palestina, a Cipro si sono sviluppati tre centri di produzione: su una proprietà regia dei Lusignano nella regione di Pafos, a Kolossi con gli Ospedalieri e a Episkopi con la famiglia veneziana dei Cornaro (30).
Venezia è dunque direttamente interessata al trasporto dello zucchero cipriota, che riserva alle galere di Stato, talvolta definite galee zucharorum, rimpiazzate da navi private quando la muda di Cipro non può caricare tutto lo zucchero disponibile. Pegolotti riferisce il costo dei noli da Cipro a Venezia e da Venezia nelle Fiandre (31). I porti meridionali dell'isola, vicini ai luoghi di produzione, sono frequentati dalle galere veneziane più di Famagosta, da dove tuttavia partono carichi di zucchero sin dalla fine del XIII secolo (32). Le grandi società di Piacenza, le compagnie di commercio fiorentine, i Genovesi, partecipano a questi traffici da Famagosta, divenuta il magazzino generale del commercio con il Levante. Quando, a partire dal 1374 e soprattutto dal trattato del 1383, i Genovesi conquistano la città per farne l'unico porto dell'isola aperto al commercio d'importazione e d'esportazione, gli incidenti con i Veneziani si moltiplicano, obbligando la Serenissima a interdire temporaneamente ai suoi ogni traffico con Cipro (33). La muda viene interrotta e sostituita dal 1375 con il convoglio di Beirut; riprenderà soltanto nel 1445. Navi private veneziane continuano senza dubbio a fare scalo a Cipro, ma rischiano di vedersi confiscato il carico, se non passano per lo scalo obbligatorio di Famagosta. La carenza di documentazione sulla navigazione privata non ci permette di sapere quanta parte Venezia conservi del commercio di zucchero cipriota alla fine del XIV secolo, nonostante l'intensa rivalità commerciale che la oppone a Genova sull'isola.
In Sicilia la coltura della canna da zucchero si sviluppa verso la fine del Quattrocento. Destinato in primo luogo ai grandi centri di consumo del Tirreno e del Mediterraneo occidentale, lo zucchero siciliano viene esportato da mercanti toscani, catalani e genovesi. Venezia partecipa a queste esportazioni soltanto nel corso del XV secolo e sempre in proporzioni modeste (34). La domanda veneziana è indirizzata soprattutto verso i mercati orientali.
Il commercio delle spezie, a lungo considerato il motore del rinnovamento economico dell'Occidente, è poca cosa in tonnellaggio in rapporto alle derrate alimentari e soprattutto alle materie prime necessarie all'industria: coloranti, cera e cuoio, allume e metalli. Anche in questo campo gli obiettivi commerciali di Genova e Venezia sono in contrapposizione.
I coloranti, indispensabili all'industria tessile, appaiono poco nei carichi delle navi di ritorno dall'Oriente. Uno dei più cari, la cocciniglia, viene caricato dai Genovesi sulle navi che tornano da Pera e dal mar Nero e dai Veneziani sulle galere di Romània, a Negroponte e a Modone, dato questo che non ci offre però molte indicazioni sull'origine geografica di questo prodotto(35). Dalle stesse zone vengono anche i carichi maggiori di cera e di cuoio, esportazioni danubiane e della Crimea costantemente segnalate nella corrispondenza e nelle lettere di carico dell'archivio Datini. Genova e Venezia sono in accanita concorrenza per controllare il traffico dei prodotti dell'allevamento e della foresta: cera, cuoio e pellicce. Per queste ultime, Venezia "mieux placée par rapport à l'Europe profonde et aux forêts slaves" è divenuta il più grande centro di transito, scambio e ridistribuzione nel mondo mediterraneo, nonostante che Genova sia favorita dalla sua posizione nel mar Nero (36). I Mamelucchi sono talmente avidi di pellicce da permetterne l'ingresso esentasse in Egitto, secondo i termini del trattato concluso con Genova nel 1290 (37).
Indispensabile per l'industria tessile occidentale, l'allume è oggetto di un traffico intenso, che i Genovesi cercano di controllare già dalla fine del XIII secolo. I fratelli Zaccaria tentano in effetti di riservarsi il monopolio di questo prodotto. Benedetto, con l'aiuto del genero Paolino Doria, console a Trebisonda, organizza un vero e proprio trust dell'allume, per commercializzare in Occidente la produzione delle miniere di Focea e dell'Asia minore. Nel 1296 i Veneziani cercano di abbattere questo monopolio devastando Focea Vecchia (38). Dopo la morte di Benedetto, nel 1307, suo fratello Manuel e poi i suoi discendenti hanno l'incarico di sfruttare le miniere di allume. Riconquistate da Bisanzio nel 1336, esse sono riprese dieci anni più tardi dalla spedizione genovese di Simone Vignoso e in seguito sfruttate ad esclusivo beneficio dei membri della maona di Chio. La produzione viene venduta sul posto ai Genovesi, ma anche ai mercanti fiorentini, di Montpellier e persino veneziani. Questi non subiscono veramente la concorrenza genovese: attraverso Cipro e senza dubbio persino attraverso Altologo ottengono l'allume anatolico di Kütahya, attraverso la muda del mar Nero quello di Koloneia (Karahissar), e attraverso Negroponte quello di Focea, venduto dalla maona. Inoltre le autorità candiote cercano di stimolare lo sfruttamento dell'allume di Creta, ma sembra senza grande successo (39); Così i bisogni dei mosaicisti e dei vetrai di Venezia, nonché quelli dell'esportazione verso le Fiandre, sono soddisfatti senza essere troppo sottoposti agli alti e bassi delle relazioni veneto-genovesi.
Il commercio dei metalli suscita una doppia corrente di traffici: ferro e stagno verso Oriente, piombo e rame verso Occidente. Il bisogno di ferro e legno dei paesi musulmani è ben noto: l'embargo pontificio sui prodotti strategici punta in primo luogo proprio su questo (40). Per la sua posizione geografica, prossima alle produzioni della Carinzia e di Brescia, Venezia svolge un ruolo di primo piano nell'esportazione delle lastre di ferro verso Oriente, malgrado il rigore dell'embargo decretato dal papato. Il metallo segue due strade, una passa attraverso Creta per giungere a Costantinopoli e alla Tana, l'altra va verso Cipro, Laiazzo e Acri. Secondo Pegolotti e secondo un anonimo libro veneziano di commercio del XIV secolo, Patrasso, Clarentza e Negroponte sono i mercati veneziani del ferro nel Mediterraneo orientale. I Genovesi sembrano più attivi nell'esportazione di oggetti metallici elaborati, in particolare nella coltelleria, che occupa un posto di non secondario rilievo nelle esportazioni verso Oriente (41). Lo stagno, il cui imbarco sulle galere veneziane in partenza per il Mediterraneo orientale viene segnalato dal senato (42), segue un lungo cammino dai porti inglesi al Levante. Con la lana e i drappi è una delle monete di scambio contro l'allume e le spezie importate nell'Europa del Nord. Venezia partecipa a questo traffico più di Genova (43).
Nell'altro senso circolano il piombo e il rame. Pegolotti menziona la vendita di piombo a Costantinopoli, Candia e Alessandria, mentre le lettere di carico dell'archivio Datini parlano dei "pezzi" di piombo che le navi genovesi riportano dalla Romània (44). Il commercio di rame è senza dubbio più importante. Ibn Battûta conosceva le miniere di rame della regione d'Erzincan (45), ma sono quelle di Kastamonu, vicino a Sinope, che interessano gli Italiani. Le lettere di carico e la corrispondenza commerciale di Datini menzionano queste esportazioni verso l'Occidente; nel 1389 il genovese Battista da Zoagli riporta 880 pondi di rame, circa 80 tonnellate, e numerose navi hanno a bordo sbarre di rame e fogli riuniti in "ballette". I Veneziani hanno larga parte in questi trasporti, poiché una mercuriale di Barcellona cita il rame viniziano, senza dubbio il metallo venuto dall'Oriente per il tramite di Venezia (46). La dispersione nello spazio dei giacimenti metallici impedisce a una delle due Repubbliche mercantili d'imporre il suo dominio sul traffico.
Lo sviluppo della schiavitù nel mondo mediterraneo a partire dal XII secolo è legato a molteplici fattori: le lotte tra cristiani e musulmani nella penisola iberica fanno arrivare sul mercato numerosi prigionieri di guerra, l'apertura del mar Nero offre ai mercanti occidentali l'accesso ai paesi caucasici e asiatici che riforniscono la tratta, l'espansione economica delle metropoli mediterranee accresce la domanda di manodopera domestica, fattore di benessere, mentre la Sicilia e, in misura minore, il regno di Napoli hanno bisogno di braccia per i lavori dei campi. Le vicissitudini politiche e la congiuntura economica si uniscono per dare alla tratta un'ampiezza nuova e offrire agli uomini d'affari italiani un ruolo maggiore nella sua organizzazione. Genova e Venezia vi fanno naturalmente la parte del leone (47).
Durante il XIV secolo, mentre perde importanza il reclutamento regionale di schiavi dalle rive dell'Adriatico sino a Venezia o dal Mediterraneo occidentale sino a Genova, a partire dalle rive del mar Nero si organizzano due correnti principali. Genovesi e Veneziani vi incontrano forti tradizioni schiavistiche, frutto di ondate d'invasioni, di guerre, di difficoltà economiche o di durissime carestie frumentarie, che spingono i popoli della foresta o i nomadi dell'Asia centrale a condurre verso i porti del Ponto quantità di adulti, di adolescenti e persino di bambini, ridotti in schiavitù. L'insediamento di fondaci italiani nel mar Nero alla fine del XIII secolo non ha creato la tratta, ma l'ha favorita dando nuova ampiezza ad antiche usanze.
Una di queste correnti conduce verso le città del Mediterraneo occidentale Circassi, Abkazi, Mingreli, Russi, Caucasici, Greci e soprattutto Tartari, che nel XIV secolo costituiscono la grande maggioranza del contingente di schiavi orientali, a Genova come a Venezia (48). Gli atti del notaio veneziano Niccolò Bono ci permettono di seguire una galera di Romània, a bordo della quale il carico di schiavi doveva essere sufficientemente numeroso perché fossero effettuate transazioni a ogni scalo, dalla Tana a Venezia: vengono messi in vendita Tartari e Mongoli (49). Sulle galere genovesi di Romània avviene lo stesso: nel maggio 1396 quella di Nicoloso Usodimare trasporta 6.000 cantari di allume e ottanta schiavi. Le due Repubbliche marinare utilizzano questi arrivi per i propri bisogni, ma anche per riesportare nell'Italia settentrionale e centrale. Questo ruolo di distributori, mal conosciuto per Venezia salvo qualche licenza di esportazione, è essenziale a Genova, dove circa il 25% degli schiavi sono esportati fuori della Liguria, verso la Toscana e l'Italia padana e soprattutto verso il Sud della Francia e i paesi della corona d'Aragona (50).
La seconda corrente della tratta, alla quale partecipano Genovesi e Veneziani, collega i paesi del mar Nero all'Egitto. Precedente all'insediamento italiano nei territori del Ponto, poiché ha permesso ai Mamelucchi - schiavi-soldati originari di questa regione - d'impadronirsi del potere in Egitto nel 1250, questo flusso è aumentato a partire dal decennio 1270-1280. I sultani mamelucchi, imitando Baibars, considerano vitale l'importazione di schiavi dal mar Nero e sono disposti a pagare i prezzi più alti pur di ottenerli: la loro alleanza con Michele VIII Paleologo e i suoi successori facilita la tratta (51). Il memoriale consegnato al papa Clemente V dagli inviati di Enrico II Lusignano, re di Cipro, in occasione del concilio di Vienne non si sbaglia, quando sottolinea che bisogna impedire ai "cattivi cristiani", e si intendano i mercanti italiani, di rifornire l'Egitto di schiavi del Ponto. Il sequestro dei loro vascelli vibrerebbe un colpo fatale alla forza dei battaglioni mamelucchi (52). Malgrado gli interdetti pontifici, ripetuti più volte, la vantaggiosa tratta non si interrompe.
Al centro del meccanismo vi sono due isole che potrebbero essere considerate "le cerniere della tratta": Chio per i Genovesi e Creta per i Veneziani. All'incrocio delle rotte marittime che portano verso l'Egitto e la Siria al Sud, verso la Romània e il mar Nero al Nord, l'isola di Chio non poteva non svolgere un ruolo fondamentale nei complessi circuiti della tratta. Infatti Guillaume Adam, nel De modo Sarracenos extirpandi, fustiga gli Zaccaria, padroni dell'isola, che si danno al vergognoso commercio degli schiavi verso l'Egitto e offrono così armi ai Saraceni contro i cristiani (53). Sotto il dominio della maona il mercato della tratta presenta una varietà estrema; insieme ai Tartari si trovano Bulgari, Circassi, Turchi, Greci, Russi e Armeni. Per quanto i documenti notarili pervenutici non facciano alcuna allusione alla destinazione degli schiavi, la proporzione di maschi, superiore in rapporto alla popolazione servile messa in vendita a Caffa o a Pera, è un indizio che un gran numero di questi giovani è destinato al mercato egiziano (54).
Nonostante sia situata al centro del Mediterraneo orientale, Creta non sembra aver svolto un ruolo decisivo nella ridistribuzione della manodopera servile verso l'Egitto. Nei primi decenni del XIV secolo Venezia si oppone in effetti all'esportazione degli schiavi del Ponto verso i territori del Soldano. Nel giugno del 1304 una lettera del duca di Creta, Guido da Canale, attesta la vendita di un carico di schiavi a Candia, una parte dei quali, acquistata da un mercante genovese, viene sequestrata dalle autorità veneziane dell'isola, con grave danno dell'emiro di Alessandria (55). Alcuni anni più tardi Venezia estende alla tratta l'embargo pontificio. Gli atti della pratica mostrano che le transazioni a Creta vertono su soggetti greci o turchi piuttosto che su schiavi tartari o circassi, molto più richiesti in Egitto, e che Venezia pensa prima di tutto a rifornire di manodopera servile i possedimenti fondiari di Creta.
Come indica il trattato di Emmanuel Piloti del 1420 (56), i Genovesi restano i principali fornitori di schiavi dell'Egitto. Non per questo la concorrenza tra le due Repubbliche marinare per l'accesso ai principali mercati della tratta nel Kuban e nel Caucaso è minore. Qui lo schiavo viene considerato, in effetti, una merce come le altre, scambiata contro sale, pesce salato e pezze di stoffa, un commercio quindi al di fuori dell'economia monetaria, ma che arricchisce i fondaci italiani, Caffa in primo luogo, la Tana in secondo. La conquista di questi mercati permette di rispondere alla domanda delle città occidentali e ai bisogni dell'Egitto di schiavi-soldati. Genova durante il XIV secolo sembra meglio piazzata di Venezia per soddisfare le une e gli altri.
"In mari constituta", ma sprovvista di una popolazione sufficiente per occupare vasti territori, Venezia deve concentrare i suoi sforzi in piazze strategiche che le permettano di controllare gli sbocchi delle vie di terra, lungo le quali transitano le derrate alimentari, le materie prime e i prodotti di lusso che le sono indispensabili, e di sorvegliare gli assi marittimi, che le sue galere percorrono con regolarità.
Uno dei principali ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo deriva dalla lentezza delle comunicazioni lungo itinerari smisurati, che si estendono dall'Inghilterra e dalle Fiandre sino al mar Nero. Occorrono infatti da ventiquattro a trentaquattro giorni per andare da Venezia a Candia, da sette a otto settimane per raggiungere Trebisonda o la Tana. Per arrivare nelle Fiandre sono invece necessari circa cinquanta giorni. Le distanze in giorni di navigazione sono nello stesso ordine di quelle che separano nel XIX secolo Londra dai paesi più lontani del Commonwealth (57). Su rotte così lunghe, gli scali svolgono un ruolo fondamentale. Così Venezia costruisce pazientemente nel XIII e XIV secolo una rete omogenea e coordinata di punti strategici, che scandiscono le grandi vie marittime del mondo mediterraneo.
La localizzazione geografica degli scali risponde prima di tutto a una semplice necessità pratica: galere e navi a vela attraccano al crepuscolo e riprendono la navigazione soltanto alle prime luci dell'alba. La notte e le insidie notturne terrorizzano i marinai (58). I capitani affrontano l'oscurità soltanto in caso di imperiosa necessità, quando si tratta per esempio di percorrere grandi distanze senza approdi, come da Rodi ad Alessandria o da Creta all'Egitto. L'assillo della notte induce i patroni delle galere a cercare un approdo che assicuri loro una totale sicurezza: un capo, un'isola abitata o deserta e, nel migliore dei casi, un porto ben protetto. Tutti questi scali, separati gli uni dagli altri dalla distanza che una galera può percorrere in un giorno, servono di rifugio per la notte. Soltanto i grandi porti permettono ai capitani di completare l'equipaggio e i rifornimenti di bordo con prodotti freschi e ai mercanti di intraprendere i loro affari. Corone e Modone, Negroponte e Candia, Costantinopoli, la Tana e Trebisonda aggiungono a queste funzioni quella di magazzini del commercio internazionale, cosa che implica un più lungo soggiorno delle galere da mercato, così come delle navi a vela e delle cocche della navigazione libera. I loro capitani possono ripararvisi dai pirati, effettuare riparazioni negli arsenali locali e raccogliere informazioni sulle condizioni della navigazione. Così Corone e Modone vengono chiamate "i due occhi della Repubblica", ma ogni scalo svolge per Venezia lo stesso ruolo di sorveglianza del mare.
Per mantenere il controllo di questo impero senza terre e controllare la rete delle vie marittime che rinserra i luoghi di scambio, Venezia mantiene nel Levante una squadra navale permanente. Ogni anno arma una flotta del Golfo, composta da almeno tre navi, che sorvegliano sei mesi su dodici l'accesso al canale d'Otranto e scortano talvolta i legni mercantili sino in Romània o a Rodi. Inoltre le differenti colonie sono obbligate a conservare in piena efficienza galere da guardia: un armamento molto pesante dal punto di vista finanziario e mal sopportato dai marinai a causa del soldo troppo basso che viene loro proposto. Nel XIV secolo Creta normalmente deve armare quattro galere, due delle quali vanno a unirsi alla flotta del Golfo, una sorveglia Negroponte e la quarta vigila su Candia e la costa anatolica. Creta svolge anche un ruolo fondamentale nel dispositivo veneziano di controllo degli assi marittimi (59).
Come si presenta questa rete di scali alla fine del Trecento? Nei mari del Nord i Veneziani della muda delle Fiandre attraccano a Bruges e ad Anversa. Dopo un primo tentativo di convoglio di galere nel 1315, con la partecipazione dello Stato, nel 1319 un ambasciatore veneziano va nelle Fiandre a negoziare l'apertura di un consolato, la libertà di commercio e di soggiorno, la riduzione delle tasse commerciali (60). In Inghilterra la prima visita delle galere veneziane è attestata nel 1319 a Southampton, da dove, però, le tiene lontano per molti anni una rissa scoppiata tra marinai veneziani e gli abitanti della città. Londra e Sandwich sono scali occasionali che le galere di Stato frequentano regolarmente soltanto dopo il 1384 (61). Il lungo conflitto franco-inglese e i contrasti con l'Aragona fanno sì che Venezia preferisca a lungo la via di terra, che porta alle Fiandre passando per la Germania, alla via marittima di Ponente.
Nel Mediterraneo occidentale le navi della muda delle Fiandre attraccano nei porti catalani o andalusi - Maiorca, Valenza, Barcellona, Cadice, Siviglia, Malaga - e completano i loro carichi nelle saline di Ibiza e di La Mata (62). Gli scali di Provenza - Marsiglia e Aigues-Mortes - e quelli di Barbaria - Tunisi e Mahdia - nel XIV secolo sono frequentati soltanto dalle navi private. Le mude del trafego e di Aigues-Mortes sono create soltanto nel XV secolo. Nell'Adriatico il governo veneziano proclama costantemente la sua sovranità sul Golfo e la Dalmazia; si sforza ad ogni costo di impedire al re d'Ungheria e alle signorie slave l'accesso al mare: l'obiettivo è quello di assicurarsi la sicurezza della navigazione e una linea continua di scali lungo la costa dalmata. Venezia ci riesce solamente nel 1409, quando Ladislao abbandona per trattato le sue posizioni a Cattaro, Durazzo, Saseno e Corfù, quest'ultima essendo stata ceduta nel 1386 da Carlo III di Durazzo. Così Venezia estende il suo dominio sul basso Adriatico e sulle isole Ionie e controlla i principali scali da Pola a Modone, ad eccezione di Ragusa (63).
Nell'Egeo la concorrenza genovese è naturalmente più agguerrita. Le navi della Superba per guadagnare Chio e Mitilene devono passare al largo delle basi veneziane della Morea (Clarentza, Corone e Modone, Nauplia) e attraversare le Cicladi, controllate da dinastie veneziane. È una zona pericolosa; infatti le coste meridionali e orientali della Morea vedono numerosi scontri tra Veneziani e Genovesi. In seguito la navigazione genovese verso la Romània si appoggia a basi marittime nell'Egeo orientale - Chio, Focea, Samo, Mitilene e Adramittio - lasciando l'Ovest - Negroponte, le Sporadi e Tessalonica - sotto il dominio veneziano. Si capisce che le pretese di Venezia sull'isola di Tenedo, proprio all'entrata dei Dardanelli, siano state considerate come un rimettere in questione questa divisione di fatto: la guerra di Chioggia ne è l'immediata conseguenza.
Nel Mediterraneo orientale Creta, Cipro e la Piccola Armenia sono luoghi di ripiego per mercanti che commerciano con l'Egitto, dal quale sono per un momento allontanati a causa degli interdetti pontifici contro il commercio con i Saraceni. Creta è la chiave di volta del sistema veneziano: scali indispensabili per le mude di Cipro e in seguito di Beirut e Alessandria, Candia e, in misura minore, Canea, Retimo e Sitia sono i magazzini dei prodotti d'Oriente e d'Occidente, porti di transito del commercio internazionale. In compenso Famagosta sfugge nel 1373 alla rete veneziana, che deve contentarsi, in condizioni incerte, di Limassol, Pafos e Larnaca. La muda di Cipro ha come destinazione ultima il porto di Laiazzo nella Piccola Armenia, attivamente frequentato dalle galere veneziane sino al saccheggio della città ad opera dei Mamelucchi nel 1337: in seguito Laiazzo non appare più nella lista degli scali veneziani (64). Il controllo del sultano sui fondaci occidentali di Alessandria e i porti della Siria e della Palestina, soprattutto Beirut, evita che la concorrenza tra le due Repubbliche marinare si faccia più dura.
Questa si scatena pienamente invece nelle regioni del Ponto. Dopo la fine del XIII secolo Genova vi costituisce una rete omogenea di scali: Vicina, Kilia e Licostomo sono gli sbocchi sul mare dei paesi danubiani; Cetatea Alba (Moncastro) controlla la "strada moldava" alla bocca del Dniestr. Sulla costa della Crimea Caffa è il fulcro delle colonie genovesi, che comprendono anche Cembalo e Soldaia, quest'ultima ripresa a Venezia nel 1365 assieme ai casali di Gothia. Più ad est i mercanti genovesi sono presenti a La Copa, Vosporo e Matrega, semplici punti di raccordo che permettono di dominare la via commerciale che porta alla Tana. Se si aggiunge che Genova controlla anche la regione di Zichia, la costa orientale del mar Nero, dove viene aperto un consolato a Savastopoli, e la costa dell'Anatolia con i fondaci di Samastri, Sinope e Simisso, non restano a Venezia che la Tana e Trebisonda, dove, tuttavia, i quartieri genovesi e veneziani sono contigui e si scontrano in frequenti risse. La navigazione delle galere veneziane nel mar Nero e la sicurezza dei mercanti dipendono quindi dalla buona volontà non soltanto dei governi locali, ma anche delle autorità genovesi e dei loro sudditi (65).
Sviluppo di un impero coloniale?
"L'ambizione territoriale non ha mai avuto alcun ruolo nella politica veneziana", scriveva George T. Dennis (66). Questo è vero, se con ciò s'intende che Venezia non ha mai voluto creare un vasto impero continentale. Tuttavia l'occupazione di basi navali, di scali e di isole nel corso del XIII e XIV secolo sembra ben rientrare in un piano globale e premeditato di espansione, mirante ad assicurare la libertà economica di Venezia e a proteggere la sicurezza dei suoi commerci: il mare genera un "imperialismo talassocratico".
Nel corso del XIV secolo, quantomeno nel Mediterraneo orientale, Venezia cerca in effetti di completare le proprie conquiste per rafforzare la rete di possedimenti diretti o indiretti. In seguito al trattato veneto-bizantino del settembre 1302 (67), le isole egee di Santorino, Ceos e Serifo, Cerigo e Scarpantos passano sotto la sovranità di Venezia, la cui influenza si esercita in maniera preponderante sui domini dei Ghisi e sul ducato di
Naxos. Dopo una lunga lotta contro i Catalani e i terzieri - così erano chiamati i tre feudatari dell'isola - nel 1390 Negroponte diventa veneziana. Nella stessa direzione va l'occupazione di Tenedo nel 1376: controllare il passaggio obbligatorio degli Stretti e impedirvi la supremazia genovese.
Nel mar Nero Venezia non riesce a stabilire una dominazione territoriale autonoma rispetto ai poteri locali, come accade per Caffa e la Gazarìa genovese, ma si impegna per ottenere concessioni nelle due città situate ai punti d'arrivo delle vie asiatiche. Anzitutto alla Tana, dove nel 1332, dopo qualche decennio di navigazione libera, i Veneziani inviano una prima muda, seguita da un ambasciatore, Andrea Zeno, che ottiene dal khan Uzbek la concessione di un terreno sulle rive del Don per costruirvi alcune case e un attracco per le navi. Ma la prima menzione di un console veneziano alla Tana è datata già fin dal gennaio 1326 (68). Lo svilupparsi di un insediamento veneziano contiguo a uno stabilimento commerciale genovese più antico non fa che accrescere tra i mercanti delle due nazioni quella rivalità che è in gran parte all'origine delle due guerre veneto-genovesi (1350-1355, 1376-1381).
Anche a Trebisonda, testa di ponte del traffico verso Tabriz e la Persia, i Genovesi hanno preceduto i loro rivali stabilendovi una comunità diretta da un console già prima del 1290 (69). Venezia deve aspettare il 1319 perché una crisobolla concessa da Alessio II le accordi una base permanente diretta da un bailo al Leontokastron, nonché la libertà di commercio negli Stati dei Grandi Comneni. I conflitti con il vicino insediamento genovese e con i successori di Alessio II a proposito dei diritti commerciali non impediscono che durante il XIV secolo Trebisonda sia, insieme alla Tana, il centro del commercio veneziano nel mar Nero (70).
La costituzione di reti di scali, basi navali, stabilimenti commerciali e colonie porta dunque le due Repubbliche marinare ad affrontarsi principalmente nel mar Egeo e nello spazio del Ponto. Nell'Egeo Genova domina la parte orientale, Venezia le parti occidentale e meridionale, ma la questione del controllo degli Stretti rimane oggetto di costante antagonismo. Nel mar Nero Genova ha costruito una fittissima rete di fondaci atti a stornare verso Caffa, chiave di tutto il sistema genovese, le risorse locali e quelle provenienti dalle zone più remote dell'Asia. La politica di Venezia cerca perciò di contrastare queste tendenze monopolistiche al fine di assicurare ai propri mercanti una parte del commercio internazionale passante attraverso la regione del Ponto. Altrove - nel Mediterraneo occidentale, nel Maghreb o nel Mediterraneo orientale - la concorrenza è altrettanto reale ma non dà luogo a un confronto così esacerbato. La lotta per il dominio del mare può essere suddivisa in tre periodi, ciascuno scandito da una delle grandi guerre "coloniali" che oppongono l'una all'altra le due Repubbliche marinare.
La seconda guerra veneto-genovese (1293-1299) è originata dalle rivalità commerciali e coloniali tra le due Repubbliche e termina senza vincitori né vinti. Con il trattato di Milano (25 maggio 1299), concluso grazie alla mediazione di Matteo Visconti, Genova e Venezia rinunciano a ogni pretesa per le perdite subite dall'inizio delle ostilità, promettono la liberazione di tutti i prigionieri dopo la ratifica del trattato e s'impegnano a non intervenire nei conflitti che vedano implicata una delle due parti, nel Tirreno per Venezia nell'ipotesi di una guerra tra Genova e Pisa, nell'Adriatico per Genova nel caso di una controversia tra Venezia e una potenza limitrofa. Insomma, una pace onorevole che consolida il primato commerciale di Genova nella zona del Ponto senza perciò eliminarne Venezia e che rimanda a più tardi la conclusione della lotta ingaggiata per il dominio del mare (71).
Nel Mediterraneo occidentale la superiorità genovese si afferma nella penisola iberica e sulle rotte dell'Atlantico. I primi viaggi marittimi verso le Fiandre e l'Inghilterra vengono organizzati a Genova a partire dal 1277 (72). Dal 1292 i fratelli Zaccaria trasportano direttamente l'allume di Focea fino in Fiandra (73). Sebbene alcune navi private veneziane si arrischino nell'Atlantico sin dalla fine del XIII secolo, bisogna attendere il 1315 perché a Venezia si organizzi, a partecipazione statale, un convoglio di galere verso Bruges che assicuri il flusso dei prodotti del Levante verso i mari nordici. I Veneziani ottengono i loro primi privilegi commerciali qualche anno più tardi: nel 1332 stabiliscono un consolato a Bruges e nel 1358 ricevono dal conte di Fiandra il riconoscimento di natio. Certamente alla stessa epoca questo avviene anche per la natio genovese in Fiandra, per quanto il primo testo conservato sia datato solamente 1395 (74).
Sulle rotte marittime del Nord la commissio del senato veneziano prevede pochi e brevi scali per le galere: quattro giorni in Sicilia (Messina, Palermo), tre giorni a Maiorca, uno a Cadice e Malaga, una sosta un po' più lunga a Siviglia, ancora un giorno a Lisbona (75). Nessuno scalo francese è menzionato prima della separazione del convoglio in due parti, una verso Southampton e Londra e l'altra verso Bruges. Niente di paragonabile ai lunghi scali delle galere genovesi nei porti della penisola dove le colonie permanenti dei Liguri hanno di gran lunga la meglio sulle piccole comunità veneziane (76).
Nel Maghreb le due Repubbliche marinare cercano di ottenere una parità di trattamento. Un consolato veneziano è attestato a Tunisi nel 1231, qualche anno dopo l'installazione di quello genovese (77). Il trattato del 1287 che definisce i diritti dei Genovesi nel regno hafsida è seguito dai trattati del 1305 e del 1317 che garantiscono la sicurezza ai mercanti veneziani, la libera giurisdizione del loro console, la fissazione dei diritti sul commercio, paragonabili in tutto e per tutto a quelli pagati dai Genovesi. Venezia si lamenta delle estorsioni commesse dai proscritti genovesi nel 1323 ma rifiuta di associarsi ai Genovesi quando questi ultimi organizzano una spedizione punitiva contro i pirati di Mandia. Dal 1317 al 1391 i privilegi commerciali dei Veneziani sembrano essere stati regolarmente rinnovati, permettendo lo svilupparsi di un traffico che non è ancora regolato dallo Stato ma lasciato all'iniziativa degli armatori privati (78).
In Oriente il trattato di Milano lascia faccia a faccia Venezia e l'Impero bizantino, schierato a fianco di Genova in seguito all'attacco veneziano contro Pera nel luglio 1296 ma abbandonato dal suo alleato al momento dei negoziati di pace. Negli anni che seguono le due Repubbliche profittano a turno della debolezza dell'Impero divenendo sempre più esigenti e ottenendo così l'accrescimento delle proprie concessioni. Nel febbraio del 1301 il senato veneziano invia in Oriente due flottiglie per combattere i Bizantini nel mar Egeo: le isole di Kos, Amorgos, Serifo e Santorino cadono in mano dei Veneziani e così rimangono finché l'Impero si risolve a negoziare. Il trattato del 4 ottobre 1302, che accorda inoltre a Venezia dei risarcimenti, rende manifesta la bancarotta della politica occidentale di Bisanzio (79).
In effetti nello stesso momento Andronico II, che ha imprudentemente fatto appello alla Compagnia catalana per lottare contro i Turchi, è ricorso a Genova per limitare le estorsioni di quei mercenari che, non pagati, si rivoltano contro il loro datore di lavoro. Il comune ottiene come contropartita un primo allargamento del quartiere di Pera, poi nel marzo del 1304 una seconda crisobolla che autorizza i suoi abitanti a proteggersi con un fossato, a utilizzare i propri pesi e misure, a beneficiare di una totale franchigia dai diritti e della sola giurisdizione delle autorità genovesi. Contemporaneamente il basileus lascia che Benedetto Zaccaria occupi l'isola di Chio, concessa per dieci anni al signore di Focea, a condizione che egli riconosca la sovranità bizantina (80). Nel 1306 una flotta genovese agli ordini di Antonio Spinola attacca senza convinzione i Catalani, poi si ritira. Solo la decisione imperiale di affamare i ribelli vietando ai contadini di Tracia di coltivare i loro campi riesce a sloggiare i Catalani dai dintorni della capitale e ad allontanarli verso la Macedonia nel corso dell'estate del 1307 (81).
Un nuovo fattore interviene a modificare l'atteggiamento delle due Repubbliche marinare: i progetti di Carlo di Valois. Marito di Caterina di Courtenay, imperatrice titolare di Costantinopoli, Carlo di Valois, col concorso di suo fratello Filippo il Bello, del re di Napoli e del papato, progetta una spedizione contro Bisanzio con il fine di restaurare l'Impero latino di Costantinopoli. Apre quindi dei negoziati con Venezia che, con il trattato del 19 dicembre 1306, s'impegna a fornire le navi necessarie e a inviare dieci galere in Romània "contro i nemici comuni dell'impero [latino> ". Genova, che ha rifiutato di partecipare alla spedizione, vede in questo accordo una minaccia contro i propri possedimenti nel Ponto, bramati dai Veneziani. Si riavvicina perciò al basileus e si fa più accomodante. Da parte sua Venezia deve constatare che la morte di Caterina di Courtenay (1308) e la mancanza di denaro e del sostegno di Filippo il Bello fanno abbandonare a Carlo di Valois i progetti di conquista. Conclude allora un trattato (11 novembre 1310) con Andronico II che le accorda 40.000 iperperi di risarcimento e regola l'esportazione del grano dall'Impero (82). Così il fronte latino contro Bisanzio si dissolve e si ristabiliscono relazioni diplomatiche e commerciali normali, ma non senza incidenti che oppongono Venezia e Genova.
L'origine di tali attriti va ricercata nell'attività incontrollabile dei pirati che agiscono per conto proprio o sostenuti, sotto banco, dal comune cui appartengono (83). Venezia risponde agli attacchi dei pirati genovesi al largo delle coste di Laiazzo inviando la flotta di Giustiniano Giustiniani che fa una dimostrazione davanti a Pera e costringe il governo genovese a versare 8.000 ducati a titolo di indennizzo. Nel 1309 i Veneziani fanno prigioniero il genovese Lodovico Morisco, fratello di un ammiraglio al servizio del basileus, e lo accusano di atti di pirateria al largo di Carpathos. Si lamentano anche degli attacchi effettuati dai Genovesi di Pera contro navi mercantili veneziane e reclamano giustizia presso il basileus in virtù del trattato del 1285 che rende quest'ultimo responsabile degli atti di ostilità commessi nell'Impero nei riguardi dei sudditi del comune. Benché i Peroti sostengano la politica filoghibellina di Andronico II, vista di buon occhio da Venezia, nel 1327 pirati genovesi saccheggiano ancora imbarcazioni veneziane e s'impadroniscono di trecento prigionieri. Per rappresaglia l'anno seguente i Veneziani catturano quattro navi genovesi nei pressi di Hieron e costringono il governo di Genova a versare un risarcimento (84). Questi sono solo alcuni sparsi episodi della vasta lotta che nella prima metà del XIV secolo vede coinvolti Genovesi, Veneziani e Turchi per la dominazione di quello che era stato lo spazio marittimo bizantino (85).
Malgrado questi incidenti il secondo decennio del XIV secolo vede delinearsi un riavvicinamento tra Venezia e Bisanzio. In effetti Andronico II sostiene la lega ghibellina costituita da suo figlio Teodoro di Monferrato, Venezia, Pisa e Lucca, mentre Genova, passata sotto il potere delle famiglie guelfe, non riesce a ristabilire la propria autorità sulla colonia di Pera, rimasta ghibellina. Venezia approfitta della divisione interna della sua rivale e dell'inizio della guerra civile tra Andronico II e suo nipote Andronico III per ottenere, nell'ottobre 1324, un trattato che soddisfi tutte le sue richieste: 12.000 iperperi di risarcimento per i danni subiti dai suoi sudditi nell'Impero e totale libertà del commercio dei grani (86). Nel frattempo, procacciandosi amicizie nei due campi che si disputano l'Impero, i Peroti aumentano l'autonomia del loro quartiere, che cominciano a fortificare, mettendo così in luce l'impotenza dell'Impero.
Bisanzio manifesta anche la propria incapacità a contenere la spinta verso ovest degli emirati turchi, una minaccia che Genova e Venezia giudicano pericolosa per le loro attività commerciali nel mar Egeo. Tuttavia la reazione delle due Repubbliche è differente. Genova rafforza le sue posizioni ottenendo nel 1304 la concessione dell'isola di Chio, che permette agli Zaccaria di proteggere il traffico dell'allume di Focea. Venezia si associa ai progetti di crociata e di lega contro i Turchi, la cui teoria viene elaborata, tra gli altri, da uno dei suoi sudditi, Marino Sanudo Torsello, nel suo Liber secretorum fidelium Crucis (87). Fin dal 1327 Venezia preconizza la formazione di una lega antiturca comprendente Bisanzio, gli Ospedalieri e Martino Zaccaria, signore di Chio. Questi progetti si coniugano con quelli del re di Francia, Filippo IV, del re di Cipro, Ugo IV, e del papato. Nel 1334 una quarantina di vascelli riuniti dalle forze della lega infliggono una disfatta alla flotta del bey di Karasi nei pressi di Adramittio, ma la flotta di Umūr d'Aydīn resta intatta e minacciosa. Genova, che non ha partecipato alla spedizione, fa le spese di sporadiche reazioni bizantine tendenti a restaurare la sovranità imperiale sui territori dell'Impero occupati dagli stranieri: nel 1329 Martino e Benedetto II Zaccaria vengono espulsi da Chio, nel 1336 Mitilene torna sotto la sovranità diretta del basileus, lo stesso avviene per Focea quattro anni più tardi (88).
Questi effimeri successi comportano reazioni diverse da parte delle due Repubbliche marinare. Dopo aver, a dire di Niceforo Gregoras (89), favorito nel 1337 il progetto dell'emiro ottomano Orhan di attaccare Costantinopoli, i Genovesi di Pera svolgono un ruolo decisivo nelle guerre civili bizantine successive al 1341, non avendo altra preoccupazione se non quella di salvaguardare e sviluppare i propri interessi territoriali e commerciali. Prima trattano con la reggente Anna di Savoia per rinnovare il trattato di Ninfeo (90), poi favoriscono Giovanni VI Cantacuzeno, finché la reggente mantiene il controllo di Costantinopoli, si riavvicina a Venezia e invoca una crociata latina contro i Turchi che sostengono Cantacuzeno (91). Al contrario, quando Giovanni VI fa il suo ingresso a Costantinopoli e si sforza di restaurare lo Stato spezzando la supremazia economica genovese, i Peroti aiutano Anna di Savoia, fortificano il loro fondaco e si preparano al conflitto con l'imperatore.
Invece Venezia per la difesa dei propri possedimenti egei mantiene una politica risolutamente ostile ai Turchi e favorevole alla reggente Anna di Savoia. Nel 1343 si unisce all'iniziativa di Ugo IV di Cipro e del papa Clemente VI per formare una nuova lega con gli Ospedalieri (92). Vengono riunite una trentina di imbarcazioni che il 28 ottobre 1344, malgrado importanti problemi finanziari, di comando e di strategia, riescono a impadronirsi del porto di Smirne. Tuttavia i Latini devono lasciare l'acropoli ai Turchi in seguito a un attacco nel corso del quale muoiono il capo della spedizione, Martino Zaccaria, e il legato pontificio, Enrico d'Asti (93). L'anno successivo Venezia concede un modesto aiuto alla "crociata" del delfino Umberto di Viennois e ancora, nel 1347, partecipa con alcuni vascelli alla flotta armata contro i Turchi (94).
Nel Mediterraneo orientale i quattro primi decenni del XIV secolo sono contraddistinti dalla proibizione del commercio con i Saraceni, un interdetto che il papa cerca di far applicare da tutta la cristianità. Genova e Venezia reagiscono diversamente alle ingiunzioni pontificie. Nel 1292 il governo veneziano vieta l'esportazione di materiale strategico (legname, ferro, pece) verso il Levante e la vendita di schiavi all'Egitto, in conformità a una legislazione canonica già vecchia. Clemente V nell'ottobre 1308 proibisce ogni commercio con i Mamelucchi e chiede tanto al doge di Venezia quanto all'arcivescovo di Genova di pubblicare la bolla. Quando nel 1312 il concilio di Vienne autorizza gli Ospedalieri a impadronirsi di ogni imbarcazione cristiana che commerci con l'Egitto, Venezia aspetta ancora cinque anni prima di vietare questo traffico ai suoi mercanti. Ai Genovesi, che hanno mantenuto un consolato ad Alessandria durante il primo decennio del XIV secolo e il cui ruolo di fornitori di schiavi caucasici all'Egitto viene denunciato da Guillaume Adam (95), il comune proibisce soltanto la vendita di armi e di schiavi (96). In pratica, i convogli di galere statali s'interrompono dopo il 1312 (97) e i mercanti delle due nazioni che continuano a recarsi in Egitto o in Siria lo fanno a proprio rischio e pericolo.
Dopo il 1323 l'embargo viene rafforzato. Sotto la pressione della Santa Sede il governo veneziano pubblica un divieto generale di commercio con i territori del Sultanato, che tutti i sudditi di Venezia devono abbandonare entro l'aprile del 1324. Per ventiquattro anni, come ricordato dal trattato del 1345 tra il sultano e Venezia (98), nessuna imbarcazione della Serenissima arriverà in Egitto, benché i Veneziani sembrino aver conservato il possesso dei fondaci che essi occupavano ad Alessandria. Quanto ai Genovesi, la loro presenza in Siria è attestata da diverse clausole del Liber Gazarie degli anni 1330 e 1340 (99), ma non si hanno testimonianze dirette circa le loro attività ad Alessandria prima del 1344.
La riduzione delle attività marittime e commerciali in Egitto e Siria porta alla ribalta quei territori considerati generalmente di secondaria importanza dai mercanti occidentali - Creta, Cipro, la Piccola Armenia -, dove i prodotti orientali arrivano con l'intermediazione dei rifugiati dalla Siria-Palestina dopo il 1291, che hanno mantenuto rapporti con i loro fornitori musulmani. Creta all'inizio del XIV secolo serve da base commerciale veneziana con il Levante musulmano; i Genovesi non sembrano figurarvi, benché sia menzionata l'esistenza, certamente effimera, di un consolato genovese a Candia (100).
Cipro è una terra di libera concorrenza da cui si irradiano le strade dirette verso la Siria, la Piccola Armenia e l'Asia centrale. Genovesi e Veneziani vi si sono stabiliti su un piano di parità: i primi in virtù del privilegio concesso dal re Enrico I nel giugno 1232, i secondi in seguito al trattato del 1306 stipulato con l'usurpatore Amaury, signore di Tiro(101). Nel corso del XIV secolo i Lusignano sostengono a più riprese gli interessi dei Veneziani, si mostrano molto favorevoli al rafforzamento del divieto pontificio sul commercio con i Saraceni, cercano di rivedere i privilegi accordati ai Genovesi nel 1232, recalcitrano di fronte alle richieste di indennizzo avanzate dai Genovesi lesi nella persona o nei beni. A ciò fanno seguito profonde tensioni seguite da negoziati e dal rinnovo dei trattati: minacce d'espulsione nel 1299, 1306 e 1313, sommosse antigenovesi nel 1310 e 1331, seguite da accordi nel 1329 e 1338. È fuor di ogni dubbio che i favori manifestati dai Lusignano nei riguardi dei Veneziani abbiano esasperato le comunità genovesi e preparato i tumulti che scoppiano nell'ottobre 1372 in occasione dell'incoronazione di Pietro II. Le conseguenze sono note: assoggettamento della corona di Cipro ai Genovesi, ma anche durevole deterioramento delle relazioni tra le due Repubbliche marinare italiane(102).
Tra il 1328 e il 1344 Venezia invia galere da mercato verso Cipro e la Piccola Armenia tanto quanto in Romània) (103), il che dimostra l'importanza che i porti ciprioti e cilici rivestono come luoghi di trasbordo delle mercanzie provenienti dall'Oriente musulmano. Laiazzo, punto d'arrivo della via che da Tabriz passa per Erzincan e Siwas, dettagliatamente descritta da Pegolotti (104), nei primi decenni del XIV secolo è un deposito di rilievo del commercio internazionale, importante almeno quanto Pera. Da lì partono un certo numero di spedizioni veneziane dirette verso le Indie e la Cina, in concorrenza con i viaggi intrapresi verso queste stesse regioni dai mercanti genovesi a partire dai fondaci della Crimea (105). Preceduti dai Genovesi a Cipro, i Veneziani cercano molto presto di ottenere condizioni privilegiate in Piccola Armenia: vi riescono nel 1307, 1310 e di nuovo nel 1331 e 1333. Indubbiamente la presa di Laiazzo da parte dei Mamelucchi nel 1337 deve essere stata considerata un disastro dai Veneziani e ciò deve averli spinti a riprendere la rotta di Alessandria, sollecitando licenze pontificie.
Le divergenze delle politiche messe in atto dalle due Repubbliche marinare sono ancora più nette in mar Nero, dove i Genovesi intendono conservare la supremazia assicurata loro sin dal 1261 dal trattato di Ninfeo. I Veneziani cercano di recuperare il ritardo stabilendosi allo sbocco delle due vie che conducono verso l'Asia centrale. La loro apparizione sulle rive del Ponto è databile all'ultimo terzo del XIII secolo: nel 1264 a Tabriz il testamento di un certo Pietro Viglioni attesta la precocità dei legami commerciali con la capitale degli I1-Khan, mentre un documento del 1293 dimostra la presenza di una piccola colonia veneziana ivi permanente sin dal 1291 (106). Ma mentre la colonia genovese nella capitale dei Grandi Comneni ha a capo un console già prima del 1290, bisogna aspettare il 1319 perché una crisobolla definisca lo statuto giuridico e politico della colonia veneziana. L'imperatore di Trebisonda, Alessio II, accorda allora a Venezia un terreno al Leontokastron per stabilirvi un fondaco e la libertà di traffico nei suoi Stati, mantenendo però l'obbligo di pagare il kommerkion e le tasse sulla pesa delle mercanzie. Questa concessione conduce rapidamente, nel 1327 e soprattutto nel 1328, a conflitti con il vicino insediamento commerciale genovese. La guerra civile sviluppatasi nell'Impero di Trebisonda rende precaria la situazione dei mercanti e obbliga il senato a sospendere nel 1346 l'invio di galere da mercato, come avveniva dal 1332 (107).
La sicurezza a Trebisonda condiziona l'accesso dei mercanti occidentali alle vie che conducono a Tabriz, la capitale degli Il-Khan di Persia. Anche qui Genovesi e Veneziani entrano in concorrenza. A Tabriz i Genovesi sembrano aver formato una colonia più importante, al punto che uno di loro, Buscarello de' Ghisolfi, viene scelto come ambasciatore dal khan Argoun per negoziare un'alleanza col papato contro i Mamelucchi (108) Fin dai primi anni del XIV secolo vi viene stabilito un consolato, mentre occorre attendere il 22 dicembre 1320 perché un privilegio del khan Abu Sa'id determini le regole applicabili alla colonia veneziana e al suo console (109). Numerosi incidenti rendono la vita difficile ai mercanti, al punto che nel 1329 il senato fa eleggere una commissione di cinque membri "super novis de Turisio" (110). L'anarchia che fa seguito alla morte di Abu Sa'id porta anche il senato a proibire, il 17 dicembre 1338, ogni commercio con l'Impero degli Il-Khan (111). Mentre riorganizza l'amministrazione della propria colonia di Tabriz, Genova attende il 1341 per ordinare a sua volta il boicottaggio del commercio con la Persia (112). Anche se il nuovo khan, Malek Ashraf, chiede nel 1344 il ritorno degli Occidentali a Tabriz, nuovi movimenti xenofobi allontanano definitivamente i Veneziani dalla Persia.
A questa data la loro situazione nelle regioni settentrionali del mar Nero non è migliore. Soldaia, da dove sono partiti per la Cina i fratelli Polo, stenta a sopravvivere a causa della vigorosa concorrenza della genovese Caffa. La città, assediata dalle truppe del capo tartaro Nogai, in rivolta contro il governo centrale dell'Orda d'Oro, non riesce a risollevarsi, tanto più che nuovi attacchi dci khan Tochtai e Uzbek mettono in fuga gli abitanti. Soldaia perde allora ogni ruolo nel commercio internazionale a vantaggio di Caffa e delle colonie italiane della Tana, alla foce del Don (113). Anche questa città, punto d'arrivo della seconda via che attraverso i territori mongoli andava verso l'Asia centrale, vede esacerbarsi i conflitti tra mercanti genovesi e veneziani, dal momento in cui questi ultimi, verso gli anni Venti del Trecento, vi stabiliscono una colonia permanente diretta da un console e ottengono, come i Genovesi, privilegi di extraterritorialità (114). A partire dal 1341 le due comunità si fronteggiano: il senato veneziano invia un ambasciatore presso il khan Uzbek per reclamare un quartiere distante da quello dei Genovesi. Non per questo le risse diminuiscono (115). Nel 1343, in seguito all'uccisione di un tartaro da parte di un veneziano, tutti i Latini vengono espulsi dalla Tana e i loro beni confiscati. Questi incidenti provocano un forte rialzo dei prezzi delle spezie in Italia e una grave carestia a Bisanzio, dove vengono a mancare il grano, il sale e il pesce salato (116). Dopo il saccheggio della Tana gli eserciti di Djanibek pongono l'assedio davanti a Caffa. La città, potentemente fortificata, resiste e nel febbraio 1344 i difensori distruggono le macchine d'assedio dei Tartari che, scoraggiati, si ritirano. Genova e Venezia, dopo aver tentato mosse separate presso Djanibek, nel luglio 1345 uniscono gli sforzi e decidono di vietare ai propri sudditi tutte le terre del khanato a nord di Caffa, ma di permettere ai Veneziani l'accesso alla colonia genovese, esenti da ogni tassa (117). Così gli scambi con il mondo asiatico attraverso la via della Mongolia tornano a concentrarsi a Caffa. Ma Genova non trae alcun vantaggio da questo accordo perché nel 1346 Caffa viene nuovamente assediata dalle armate del khan e l'anno seguente i Veneziani riescono a tornare da soli alla Tana in virtù di un nuovo privilegio mongolo negoziato separatamente (118). Le misure di ritorsione prese allora dai Genovesi, che non possono ammettere di essere tenuti in disparte, conducono allo scontro delle due Repubbliche marinare e alla guerra degli Stretti (119).
L'origine del conflitto va ricercata nei tre settori geografici che hanno visto l'affermarsi della presenza genovese: nel mar Nero, dove è più viva la concorrenza commerciale tra le due Repubbliche marinare; a Costantinopoli, dove i Genovesi non possono ammettere la restaurazione dello Stato tentata da Giovanni VI Cantacuzeno; nel mar Egeo, dove la presa di Chio e di Focea ad opera della spedizione di Simone Vignoso nel 1346 è un duro colpo per Bisanzio e per gli interessi veneziani.
Come sottolinea Gregoras (120), i Genovesi pretendono di controllare l'insieme del commercio delle regioni del Ponto e di stabilire la propria sovranità su tutti i territori costieri controllati dall'Orda d'Oro, tenendone lontani i rivali veneziani. A Caffa, assediata una seconda volta dalle armate mongole, essi oppongono una resistenza feroce che i Tartari non riescono a vincere malgrado facciano ricorso alla guerra "batteriologica": essendosi propagata nel loro accampamento un'epidemia di peste, essi lanciano i cadaveri degli appestati oltre le mura della città. Gli assediati ributtano le salme in mare, ma è sufficiente qualche marinaio contaminato per portare in Occidente i germi della grande pandemia del 1348, la Peste Nera (121). Avendo resistito ai Tartari, i Genovesi di Caffa si abbandonano a rappresaglie contro i mercanti veneziani quando questi si reinstallano alla Tana nel 1347, e manifestano così la loro intenzione di non fare le spese di un accordo concluso senza di loro con l'Orda d'Oro. Immediatamente il senato di Venezia vieta alle galere di Romània di entrare nel mar Nero e rifiuta la proposta genovese di partecipare, su un piede d'uguaglianza, al commercio di Caffa a condizione che i Veneziani si astengano dal recarsi alla Tana (122). Si realizzano così le condizioni di un grave conflitto che scoppia subito dopo il passaggio dell'ondata di peste che devasta l'Occidente.
Ben presto Bisanzio si unisce a Venezia nell'opposizione all'espansione genovese. In effetti fin dal suo ingresso a Costantinopoli, il 3 febbraio 1347, Giovanni VI Cantacuzeno manifesta la sua intenzione di risollevare le sorti di Bisanzio caduta sotto il giogo degli stranieri: per farlo deve chiedere aiuto agli emirati turchi che hanno sostenuto l'usurpatore contro la reggente Anna di Savoia e suo figlio Giovanni V (123). I Peroti, inquieti, approfittano dell'assenza dell'imperatore per fortificare il loro quartiere e prepararsi allo scontro. In tutta fretta Giovanni VI fa costruire una flotta e scatena così la "guerra latina" (15 agosto 1348 - 5 marzo 1349), nel corso della quale i Peroti mettono in atto un blocco della capitale, fanno delle dimostrazioni navali nei dintorni e s'impadroniscono della squadra imperiale alla sua uscita dagli arsenali (124). Al contempo essi vogliono controllare il traffico degli Stretti, cosa che Venezia non può accettare.
Lo scacco subito dalla flotta imperiale non rimette in discussione la volontà politica di Cantacuzeno. Convinto che la rinascita di Bisanzio possa essere realizzata soltanto con il ridimensionamento economico e territoriale dei Genovesi, egli definisce una nuova politica doganale mirante ad attirare verso Costantinopoli una parte del traffico diretto verso Pera. Tenta quindi di riprendere Chio, di cui si era impadronita la flotta di Simone Vignoso. Cerca di ottenere da Venezia armi e materiale navale e poi, quando constata che il doge Andrea Dandolo vuol rispondere con la forza alle provocazioni dei Genovesi, accetta un'alleanza. Allearsi con Venezia è certamente pericoloso, ma è indispensabile a causa dei deboli mezzi navali di Bisanzio, incapace di contrastare da sola la superiorità marittima dei Genovesi. L'alleanza potrebbe inoltre permettere il recupero dei perduti territori di Chio e Focea e forse ristabilire la sovranità dell'Impero su Galata.
Gli avvenimenti del 1345-1346 nel mar Egeo hanno in effetti accresciuto i risentimenti di Venezia e Bisanzio contro i Genovesi. Nel novembre del 1345, sull'onda dell'entusiasmo per la crociata promossa dal papato, il delfino Umberto di Viennois lascia Venezia alla testa di una piccola spedizione sostenuta dal doge e diretta contro i Turchi. Poi si ferma a Negroponte dove perde parecchi mesi senza combinare niente. Allertato, il governo genovese, che teme le mire della Serenissima, affida a privati l'armamento di una flotta: ventinove galere, comandate da Simone Vignoso, si dirigono verso Oriente per proteggere, si dice, Caffa assediata dai Tartari. Nel giugno 1346, quando Clemente VI, spinto dal delfino Umberto e sicuramente anche da Venezia, si rivolge a Anna di Savoia per chiederle di consegnare l'isola di Chio alla lega antiturca, Simone Vignoso arriva a Negroponte, rifiuta il suo aiuto al delfino e si dirige rapidamente verso Chio, attaccandola il 15 giugno 1346. Tre mesi più tardi i Greci, non soccorsi da Bisanzio, capitolano. Il 20 settembre anche il governatore di Focea cede le armi. Genova ha così vinto la corsa contro il tempo per la riconquista dei suoi antichi possedimenti egei, una riconquista che le permette di avere tutta una catena di scali lungo il mar Egeo, equilibrando in tal modo la già consolidata rete veneziana (125).
Presa di Chio e di Focea, "guerra latina", pretese genovesi di dominare il mar Nero, sono motivi sufficienti per spingere il doge Andrea Dandolo alla guerra. Dopo qualche scaramuccia nel 1348, nel 1350 scoppia il conflitto. Venezia, la cui popolazione è stata decimata dalla peste, deve ricorrere a una rigorosa coscrizione per armare trentacinque galere, affidate al capitano generale da mar Marco Ruzzini. Questa flotta attacca quattordici galere genovesi cariche di merci al largo di Negroponte. Il richiamo del bottino è tale che i marinai veneziani non sfruttano il proprio vantaggio e qualche tempo dopo sono incapaci di opporsi a una flotta genovese venuta a saccheggiare e bruciare Negroponte. A questo punto Venezia deve cercare degli alleati capaci di aiutarla a schiacciare i Genovesi.
Li trova nei Catalani, feroci avversari di Genova per il dominio della Sardegna. Dopo parecchi decenni di tensioni derivate dall'espansione catalana verso il ducato di Atene e Negroponte, Venezia si riavvicina alla corona d'Aragona. Nel gennaio 1351 conclude un trattato con Pietro IV, il quale promette di armare diciotto galere e di affittarne una dozzina ai Veneziani. Nel maggio Cantacuzeno entra a far parte dell'alleanza e s'impegna a fornire una dozzina di navi, che si sommano alle quaranta circa che Venezia promette di schierare, con il concorso delle città della Laguna, della Dalmazia e dei propri possedimenti in Oriente. L'obiettivo è impadronirsi dei fondaci genovesi, restituire Pera e Chio al basileus e distruggere le flotte genovesi per sottomettere definitivamente la metropoli ligure (126).
Una prima squadra veneziana, comandata da Niccolò Pisani, attacca Pera senza successo, poi ripiega verso Negroponte dove, alla notizia dell'imminente arrivo della flotta genovese agli ordini di Paganino Doria, si autoaffonda. Quest'ultima non riesce a impadronirsi di Negroponte e batte in ritirata verso Chio per evitare di affrontare in cattive condizioni la flotta veneto-catalana comandata da Pancrazio Giustinian e Ponzio di Santapau. Dopo una breve tappa a Chio, nel corso dell'autunno 1351 Paganino Doria guadagna Pera, devastando al proprio passaggio Tenedo e poi Eraclea, sul mare di Marmara. Comincia allora una lunga attesa: a Costantinopoli, quella di Cantacuzeno, impaziente di veder arrivare i propri alleati veneziani e catalani; a Pera e sulle loro navi, quella dei Genovesi, mal approvvigionati malgrado l'aiuto portato loro da Orhan, emiro degli Osmanli, e Hizir, emiro di Aydīn (127). La flotta alleata, decimata dalle tempeste, arriva finalmente in vista di Costantinopoli nei primi giorni del febbraio 1352 e qui si unisce alle navi bizantine. Nelle acque del Bosforo si ingaggia una battaglia confusa e indecisa: nel crepuscolo invernale ha luogo un combattimento orribile, una spaventosa carneficina da una parte e dall'altra. Essendo rimasti soli a contare i propri morti, i Genovesi si credono i vincitori, mentre Veneziani e Catalani, troppo indeboliti, si ritirano lasciando alle prese Genovesi e Greci. I primi, aiutati dagli Osmanli, bloccano la città imperiale e obbligano Cantacuzeno a deporre le armi. Il trattato bizantino-genovese del 6 maggio 1352 segna la fine dell'alleanza di Bisanzio con i Veneziani e i Catalani, concede la piena proprietà di Galata ai Genovesi, rinnova il trattato di Ninfeo per quanto concerne la franchigia doganale, ma vieta alle imbarcazioni greche di recarsi alla Tana senza l'autorizzazione dei Genovesi. Poi Paganino Doria rimette insieme i resti della sua flotta e raggiunge Genova nell'agosto del 1352 (128).
Oramai la guerra ritorna in Occidente dove i Genovesi oppongono alla coalizione catalano-veneziana la loro alleanza con gli Angioini di Ungheria che cercano di impadronirsi della Dalmazia. Nel 1353 la flotta veneziana raggiunge la squadra catalana in Sardegna e sconfigge i Genovesi al largo di Alghero. Ma Paganino Doria riesce a fuggire, si dà a vari saccheggi nell'Adriatico e nell'Egeo e infligge una pesante sconfitta all'ammiraglio veneziano Niccolò Pisani a Porto Longo, presso Sapienza. La situazione viene salvata dall'abile diplomazia veneziana che accetta la mediazione dei Visconti, protettori di Genova. Con il trattato di Milano del 1 ° giugno 1355 le due Repubbliche marinare s'impegnano a non attaccarsi più, a liberare i rispettivi prigionieri e a sospendere per tre anni ogni relazione commerciale con la Tana (129). "Pace bianca", questo nuovo trattato dimostra come la guerra degli Stretti non abbia minimamente modificato l'equilibrio politico-economico delle due Repubbliche nei mari orientali dove nessuno è in grado di imporre una talassocrazia.
Il bilancio di questi anni di guerra è pesante. Per quanto concerne il mar Nero, Venezia e Genova si disputano ancora il dominio del traffico. Dopo l'interruzione di tre anni prevista dal trattato di Milano, nel 1358 riprendono le relazioni commerciali con i Tartari in seguito a due ambasciate genovesi e veneziane venute a reclamare le antiche franchigie (130). Gli atti del notaio veneziano Benedetto Bianco (1359-1363), redatti alla Tana, mostrano l'attività delle diverse comunità mercantili occidentali, Genovesi, Veneziani, Catalani e Fiorentini, che comprano seta, grano, schiavi e vendono vino, tele e drappi. Dopo la morte del khan Berdibeg nel 1359 la situazione per gli Occidentali diviene sfavorevole. Il Kiptchak è dilaniato dalle lotte fratricide degli eredi e la Tana, a diretto contatto con la steppa e i Tartari, risente violentemente di tutti i soprassalti dell'Orda d'Oro (131). Inoltre l'espulsione dei Mongoli dalla Cina e la rovina del potere dei Djagataidi in Asia centrale, sotto i primi colpi di Tamerlano, segnano la distruzione della via attraverso i territori dei Mongoli e, conseguentemente, il declino della Tana (132).
L'interesse di Genova e Venezia si concentra allora sulle altre regioni del Ponto. A nord Genova consolida le proprie posizioni a spese di Venezia: dopo aver creato fin dagli anni Quaranta del Trecento una base a Cembalo (Balaklava), nel 1365 si annette Soldaia, che i Veneziani non erano riusciti a recuperare alla fine del periodo di devetum instaurato dalla pace di Milano, e diciotto villaggi di Gothia per completare la banda litorale della Gazarìa genovese (133). A ovest i Genovesi saldamente stabiliti a Kilia e Licostomo, alla foce del Danubio, non vi tollerano alcuna concorrenza. Anche i Veneziani, che hanno ottenuto condizioni molto favorevoli per il loro commercio dallo zar bulgaro Ivan Aleksandar, nel 1352 arrivano a concludere un'alleanza con il despota Dobrotitch, signore della costa tracia del mar Nero e in guerra con i Genovesi dal 1360 al 1387 (134). Quest'ultimo cerca l'appoggio di Genova per imporre suo genero, il despota Michele, figlio di Giovanni V Paleologo, sul trono di Trebisonda (135). La spedizione del conte Amedeo VI di Savoia, cui partecipano navi genovesi e veneziane, restituisce a Bisanzio i possedimenti del litorale bulgaro a sud dei Balcani ma non modifica minimamente il peso delle due Repubbliche marinare nella regione (136).
Nell'Impero dei Grandi Comneni la concorrenza tra Genovesi e Veneziani rimane accesa come lo era nella prima metà del XIV secolo. Dal 1347 al 1364 i rapporti regolari tra Venezia e Trebisonda si sono interrotti a causa della guerra degli Stretti e del permanere della tensione veneto-genovese. Nel 1363 Alessio III prende l'iniziativa di riallacciare i rapporti con Venezia. I negoziati si concludono nel marzo 1364 con una crisobolla che accorda ai Veneziani una diminuzione delle tasse doganali e un nuovo terreno a Trebisonda. Ma, in seguito alle risse scoppiate nell'aprile del 1365 con i Genovesi nella capitale dei Grandi Comneni, il senato deve inviare un'ambasciata che ottiene una nuova diminuzione delle tasse sulla circolazione delle merci, la concessione di un terreno, l'autonomia amministrativa per la colonia veneziana e l'immunità giuridica per i suoi sudditi. Il fondaco viene fortificato tra il 1368 e il 1372 ma non ritrova la prosperità di cui aveva goduto nel passato. Il declino del traffico con Tabriz e nuove vessazioni subite dai mercanti veneziani nel 1374-1376 inducono il senato a inviare una spedizione di dieci galere che costringe l'imperatore a versare dei risarcimenti e a ridurre il tasso del kommerkion. La nuova guerra veneto-genovese che scoppia precisamente nel 1376 impedisce la ripresa di normali relazioni commerciali tra Venezia e Trebisonda (137).
All'indomani del trattato di Milano nel mar Egeo e nel Mediterraneo orientale si verificano alcuni cambiamenti nell'equilibrio politico-economico tra Venezia e Genova. Per ricompensarlo dell'aiuto prestatogli nella riconquista del trono, Giovanni V Paleologo concede a un avventuriero genovese, Francesco Gattilusio, la mano di sua sorella Maria Paleologa, dandole in dote l'isola di Mitilene. Poi, in cambio di un tributo simbolico, accetta di riconoscere ufficialmente l'occupazione di Chio da parte dei Genovesi (138). Nel 1384 i Gattilusio rafforzano il loro potere acquistando l'isola di Enos. Per quanto restino autonomi dalla propria madrepatria, i Gattilusio offrono alle imbarcazioni genovesi i magnifici rifugi naturali dei golfi di Kalloni e di Vera schierandosi inoltre a fianco dei possedimenti genovesi in Oriente nella lotta contro i Turchi. Con l'acquisizione di Chio e Mitilene viene così completata la rete degli scali genovesi sulle rotte della Romània e dell'Asia minore, controbilanciando in tal modo la parallela rete di Venezia, maggiormente incentrata sulla penisola greco-balcanica. È facile capire perché i tentativi veneziani di impadronirsi di Tenedo, allo sbocco degli Stretti, abbiano provocato l'ultimo grande conflitto veneto-genovese.
Favoriti dalla guerra degli Stretti, i Turchi passano in Europa grazie alla benevolente neutralità dei Genovesi. Nel 1355 viene presa Gallipoli, preludio a una vasta occupazione cha va dalla Marizza al mar Nero. Pur concludendo accordi commerciali con gli emirati (139), Venezia non resta insensibile agli appelli del papa Innocenzo VI in favore di una rinnovata lega antiturca, cui gli stessi Genovesi vengono sollecitati a partecipare (140). Il re di Cipro, Pietro I, intraprende un viaggio in Occidente per ottenere le necessarie adesioni ma la rivolta dei feudatari cretesi, che invano hanno chiesto l'appoggio dei Genovesi (141), mobilita le risorse di Venezia e rinvia a più tardi la partecipazione della Serenissima alla crociata contro gli Ottomani.
Come era accaduto nella prima metà del XIV secolo, dopo il 1350 l'isola di Cipro è teatro di un'aspra lotta d'interessi che oppone i Genovesi ai Veneziani. Fino dalla sua ascesa al trono nel 1360 Pietro I rinnova i privilegi ai sudditi di San Marco, mentre tre anni più tardi una nuova sommossa antigenovese deteriora le relazioni dei Lusignano con la Superba. Ma, avendo bisogno della cooperazione genovese per i propri progetti di crociata contro Alessandria, il re di Cipro si affretta a concludere con Genova un trattato che conferma i privilegi concessi nel 1232 e accorda condizioni favorevoli allo sviluppo della comunità genovese di Cipro (142). Tuttavia le conseguenze della spedizione cipriota di Alessandria (per cui si rimanda più sotto) inaspriscono la rivalità esistente tra le due comunità italiane locali. La crisi politica aperta dall'assassinio di Pietro I nel 1369 e la sommossa scoppiata in occasione dell'incoronazione del suo successore nel 1372 complicano la situazione. Cacciati da Famagosta con grande soddisfazione dei Veneziani, i Genovesi vi rientrano con la forza. La spedizione di Pietro Campofregoso, che porta alla capitolazione del re Pietro II e al trattato del 1374, lascia nelle mani di Genova Famagosta, divenuta pegno del debito dei Lusignano verso i loro vincitori. Questi ultimi si adoperano subito per fare della città l'unico porto dell'isola aperto al traffico di importazione e di esportazione. A partire dal 1373 Venezia sospende la muda di Cipro, cercando di compensarla con l'organizzazione di un convoglio di galere verso Beirut nel 1374 (143). Nondimeno la presa di Famagosta ad opera dei Genovesi rappresenta per Venezia un grave rovescio, la perdita di un deposito privilegiato dei prodotti orientali, ed è uno dei motivi della guerra veneto-genovese del 1376-1381.
Superati nello sfruttamento economico del mar Nero, allontanati dalla Piccola Armenia dai Mamelucchi e da Famagosta dai Genovesi, i Veneziani puntano tutto sulla ripresa delle relazioni commerciali con la Siria e l'Egitto. Qui hanno maggior successo e progressivamente recuperano il loro ritardo sui Genovesi per diventare alla fine del XIV secolo la prima nazione mercantile occidentale ad Alessandria. Avendo ottenuto licenze pontificie per commerciare con l'Egitto e poi concluso un trattato col sultano nel febbraio 1345 (144), Venezia riapre subito la propria linea di galere verso Alessandria, interrotta soltanto dalla guerra con Genova nel 1351 e 1354. Creta e Cipro servono da deposito per i prodotti egiziani, il cui traffico conosce un rapido sviluppo. Inoltre Venezia evita di partecipare alla spedizione di Pietro I contro Alessandria, dalle catastrofiche conseguenze per il commercio occidentale: fondaci incendiati, mercanti imprigionati, beni confiscati. Eccezionalmente Genova e Venezia agiscono di concerto: con molte ambasciate separate e poi congiunte (1366-1368) ottengono la normale ripresa del traffico, non senza incidenti e vessazioni a danno degli Italiani. Finalmente nel dicembre del 1370 un trattato mette fine allo stato di guerra tra il sultano, il re di Cipro, i Catalani, i Veneziani e i Genovesi (145). Malgrado alcune difficoltà in Siria, dove nel 1376 i loro mercanti sono vittime di nuove estorsioni, i Veneziani riescono ad accrescere il volume dei propri scambi con i territori mamelucchi. Hanno la meglio anche sui Genovesi che non sono più così indispensabili come un tempo per la fornitura di schiavi caucasici all'Egitto. Nel momento in cui ha inizio la guerra di Chioggia, che interromperà ogni traffico per quattro anni, i Veneziani sono divenuti la prima nazione occidentale esportatrice di cotone e di spezie da Siria e Egitto.
Ma non è in queste regioni che scoppia l'ultimo grande conflitto veneto-genovese, bensì, come si è visto, a Cipro e soprattutto a Bisanzio. In occasione del suo inutile viaggio in Occidente nel 1369 Giovanni V Paleologo avrebbe promesso al doge, in cambio di una controparte finanziaria, la cessione della minuscola isola di Tenedo, all'imbocco degli Stretti. A partire da questa eccellente base marittima i Veneziani avrebbero potuto a modo loro intralciare il traffico genovese verso Costantinopoli e il mar Nero. L'isola viene occupata nel 1372. I Peroti sostengono allora la ribellione del figlio del basileus Andronico IV contro il padre e Genova riprende la vecchia politica degli anni 1340-1355: inasprire i dissensi interni alla famiglia imperiale per difendere i propri interessi territoriali e economici, mantenendo al contempo buone relazioni con i Turchi. Venezia fa il gioco inverso: sostiene l'imperatore regnante che nella primavera del 1376 le concede infine in piena proprietà l'isola di Tenedo, che qualche mese più tardi a sua volta Andronico IV, dopo aver imprigionato il padre, accorderà agli amici genovesi (146). Gli elementi di un quarto conflitto veneto-genovese ci sono tutti. A Bisanzio la guerra di Tenedo o di Chioggia si unisce a lotte civili attizzate dai due avversari.
La guerra di Chioggia è incontestabilmente la più dura prova sostenuta da Venezia nel corso di vari secoli. Con una popolazione diminuita dalla peste, risorse ridimensionate dalla recessione generale dell'economia europea, dissensi tra l'aristocrazia di governo e il popolo dei governati, la Serenissima deve affrontare da sola una temibile coalizione. Genova si è alleata al re di Ungheria, Luigi I, che, signore della Dalmazia, priva Venezia del legname e degli equipaggi delle città dalmate e minaccia le comunicazioni della Laguna con il Nord e l'Est. Il patriarca di Aquileia, i prelati del Friuli e soprattutto Francesco da Carrara, signore di Padova, costituiscono con la Superba una lega che isola Venezia dalla parte della terraferma. Per la prima volta la guerra si trasferisce nel "Golfo", dove Venezia deve lottare per la propria sopravvivenza mettendo in campo tutte le risorse umane, economiche e morali di cui dispone. Tre uomini di carattere, il doge Andrea Contarini, gli ammiragli Vettor Pisani e Carlo Zeno, riescono a mobilitare tutte le energie e a salvare la città da un disastro annunciato.
Il conflitto comincia in Oriente quando i Veneziani si mettono a fortificare Tenedo. I Peroti obbligano allora Andronico IV a prendere le armi, a trarre in arresto i mercanti veneziani e a confiscare i loro beni, trascinando così Bisanzio in una guerra coloniale provocata dalla rivalità economica delle due Repubbliche marinare. Ma i Genovesi non riescono a vincere l'ostinata resistenza del bailo Antonio Venier, trinceratosi a Tenedo (novembre 1377). Essi subiscono un altro scacco allorquando Giovanni V, sostenuto da Venezia, si rifugia presso il sultano degli Osmanli, Murad, e ottiene dal suo protettore delle truppe che nel luglio 1379 gli permettono di riprendere il potere a Costantinopoli. Pera viene allora assediata da ogni lato, mancano i rifornimenti. Infine in settembre il fondaco viene liberato grazie alla vittoria riportata da Niccolò di Marco sulla flotta bizantino-turca (147).
Ma le principali operazioni navali hanno luogo in Occidente. Venezia cerca di colpire nel vivo l'avversario inviando una squadra nel Tirreno. Il suo comandante, il capitano generale da mar Vettor Pisani, riporta una vittoria eclatante ad Anzio, distrugge la flotta avversaria e conduce in stato di prigionia a Venezia molti nobili genovesi. Poi va a passare l'inverno a Pola, in Istria, dove viene sorpreso nel maggio 1379 dalla flotta genovese che, malgrado la morte in combattimento del suo ammiraglio Luciano Doria, distrugge le navi avversarie e costringe alla fuga Vettor Pisani. Forti di questo successo i Genovesi, aiutati dagli eserciti padovani, s'impadroniscono di Chioggia (16 agosto 1379) e cingono d'assedio Venezia, privandola ben presto dei rifornimenti. Il mare, fino a quel punto sostentatore, diviene una minaccia, portando il nemico fino alle porte della città. Il doge allora fa ostruire i passaggi della Laguna, tagliare le comunicazioni dell'avversario, reclutare mercenari, decretare la mobilitazione generale. Il ritorno dall'Oriente di Carlo Zeno, la cui flotta era arrivata fino a Beirut per saccheggiare le navi genovesi, blocca i nemici a Chioggia. Dopo mesi di combattimenti, in cui per la prima volta la polvere da sparo svolge un importante ruolo, nel giugno 1380 i Genovesi sono costretti ad arrendersi. Benché le scaramucce per il controllo dell'Adriatico continuino fino al 1381, gli avversari sono talmente sfiniti che accettano la mediazione di Amedeo VI di Savoia (148). I negoziati si concludono con una nuova pace bianca.
Il trattato di Torino dell'8 agosto 1381 (149) obbliga Venezia a consegnare Tenedo al conte di Savoia entro due mesi e a versare immediatamente una cauzione di 150.000 fiorini. Genova potrà esigere la demolizione totale delle fortificazioni e delle case dell'isola. A Cipro le vengono riconosciuti diritti particolari. Le due nazioni si vietano il commercio alla Tana per due anni. Il re d'Ungheria riconosce il ruolo preminente di Venezia nell'Adriatico, ma dietro il versamento di un'indennità annuale, e conserva la sovranità sulla Dalmazia. Tuttavia l'accordo si rivela di difficile applicazione: la guarnigione veneziana di Tenedo, comandata da Mudazzo e sostenuta dalla popolazione greca, rifiuta di obbedire alla metropoli. Quest'ultima è costretta a inviare un corpo di truppe che nell'aprile 1383 fa capitolare Mudazzo, e solo allora può intraprendere la smilitarizzazione dell'isolotto (150).
Così come per le precedenti, anche il bilancio di questa quarta guerra veneto-genovese è indeciso. Venezia ha dovuto affrontare un considerevole sforzo finanziario senza trarne un reale profitto. Genova, malgrado la vittoria iniziale, ha ottenuto ben poco. Soprattutto, le due Repubbliche marinare si sono vanamente affrontate per difendere i propri interessi in Oriente. Una volta di più, la pace di Torino prova che nessuna delle due città può avere la meglio sull'altra e che l'unica soluzione possibile è un equilibrio fondato sullo statu quo. Oramai, piuttosto che cercare di distruggere la superiorità genovese nei traffici nel mar Nero, d'altronde assai meno fruttuosi rispetto all'inizio del XIV secolo, Venezia si dedica a consolidare le proprie posizioni nell'Egeo e nel Mediterraneo orientale, sempre sorvegliando i progressi degli Ottomani nella penisola balcanica.
Questi ultimi sono i principali beneficiari del conflitto: hanno approfittato della guerra e dei dissensi interni alla famiglia imperiale bizantina per rafforzare il proprio dominio sulla Tracia e la Macedonia, a partire dalla nuova capitale Adrianopoli. Oramai sono loro, non più Bisanzio, a controllare gli Stretti. Con il loro conflitto Venezia e Genova hanno in effetti indebolito l'Impero. Per quanto il trattato del 2 novembre 1382 restauri la concordia tra Giovanni V e Genova, il comune ha cura di precisare che non interverrebbe a fianco dell'imperatore contro gli Osmanli, segno che non rinuncia alla duplicità manifestata da lungo tempo in Oriente per la difesa a breve termine dei propri interessi (151).
I due ultimi decenni del Trecento non sono segnati da conflitti di grande portata ma dal moltiplicarsi di incidenti attestanti, in ogni settore del Mediterraneo orientale, che la gelosia e la diffidenza reciproche dominano i rapporti tra le due Repubbliche marinare. In mar Nero, il senato veneziano deve intervenire presso il governo genovese per proteggere i propri sudditi cui i Peroti vogliono proibire la navigazione, a causa del conflitto con il principe Dobrotich, nonché il trasporto degli schiavi, di cui intendono riservarsi il monopolio. Essi cercano anche di imporre loro il pagamento del kommerkion a Caffa, a dispetto degli accordi (152). Nondimeno, Venezia riprende l'organizzazione dei convogli diretti verso la Romània, ma limitati a due o tre galere che, secondo le circostanze, possono ricevere o meno dal bailo di Costantinopoli l'autorizzazione a proseguire il loro cammino fino alla Tana e a Trebisonda (153). Alle foci del Don, gli insediamenti occidentali hanno perso il proprio splendore anche prima che nel 1395 Tamerlano venga a distruggerli (154). Subito dopo queste devastazioni Genova e Venezia si sforzano di restaurare i propri fondaci: nel 1399 ricompare il consolato genovese e dal 1396 le navi veneziane ritornano alla Tana (155). Ma soltanto una minima parte del commercio delle spezie passa ancora per le regioni del Ponto: Alessandria e Beirut si sono già impadronite dei principali prodotti orientali. Per quanto concerne Trebisonda, il viaggio annuale delle galere viene sospeso dal 1385 al 1395 ma il sacco della Tana ad opera di Tamerlano risveglia l'interesse della Serenissima per la via "alternativa" dell'Asia centrale. In seguito a un'ambasciata Manuele II concede a Venezia una nuova crisobolla ma i mercanti sono così reticenti che le galere fanno fatica a trovare locatari. D'altronde la colonia permanente veneziana è ridotta a pochi individui (156). Con il declinare del ruolo del mar Nero negli scambi internazionali la concorrenza veneto-genovese si quieta (157).
Nei riguardi dell'Impero bizantino e del Sultanato ottomano le due Repubbliche, che si sorvegliano, hanno un comportamento ambiguo, esitando tra una politica di parziale collaborazione con il governo ottomano per la protezione dei propri interessi economici e l'imperativo morale di contribuire alla resistenza della cristianità sostenendo gli sforzi di Bisanzio per la sua sopravvivenza (158). Nel giugno del 1388, appena un anno dopo aver concluso un trattato con Murad, Genova propone a Venezia la formazione di una lega antiturca, unitamente alla spartizione del Mediterraneo in zone d'influenza. In novembre o dicembre i Peroti concludono una lega offensiva e difensiva con Francesco Gattilusio, signore di Mitilene, i Cavalieri di Rodi e la maona di Chio, ma il comune in quanto tale non vi partecipa (159). Dopo la battaglia del Kossovo (15 giugno 1389) le due Repubbliche si affrettano a inviare rappresentanti presso Bayazid per ottenere la conferma degli antichi privilegi (160).
Le proteste di amicizia non impediscono di prendere misure difensive. Vedono la luce nuovi progetti di lega antiturca che riuniscono Venezia e Genova, ma nessuna delle due Repubbliche vuole veramente impegnarsi senza il concorso delle altre potenze cristiane (161). Non essendosi realizzata l'unità d'azione, Genova evita di partecipare alla disastrosa spedizione del re Sigismondo e Venezia assiste passivamente al disastro di Nicopolis (28 settembre 1396), quando la flotta di Tommaso Mocenigo si limita a raccogliere i superstiti (162). Nel 1399 la spedizione condotta da Boucicaut con l'aiuto di navi genovesi, veneziane e rodiensi per soccorrere Costantinopoli posta sotto blocco dai Turchi, non contribuisce affatto a migliorare le sorti della capitale e dei coloni latini (163). Ogni azione contro i Turchi viene guastata dalla reciproca diffidenza delle due Repubbliche marinare, che sanno rispondere soltanto con buone parole al basileus Manuele II venuto con un lungo viaggio a implorare il soccorso dell'Occidente. Solo la vittoria di Tamerlano sulle truppe di Bayazid ad Ankara (28 luglio 1402) fa scendere la pressione ottomana e permette alle due Repubbliche di concludere insieme un trattato con Solimano, uno degli eredi di Bayazid: la rotta del mar Nero è nuovamente sicura e ristabilita la libertà di traffico nei territori ottomani (164). Ma, preoccupate soprattutto di non far avvantaggiare la rivale, né Genova né Venezia sanno trarre un decisivo profitto dalla debolezza ottomana nel primo decennio del XV secolo; nel momento in cui il pericolo turco sembra essere sparito il fronte comune si dissolve.
Indubbiamente Venezia capisce che il mar Nero, a causa dell'anarchia dei khanati mongoli, l'Asia minore, in ragione dell'espansione turca, e Costantinopoli, minacciata nella propria esistenza, non necessitano più di grandi sforzi militari e navali per la protezione di vantaggi commerciali oramai in declino. Lo stesso discorso non vale per la zona balcanica e il mar Egeo, dove al tornante dei secoli XIV e XV la Serenissima cerca di rafforzare i propri interessi politici e territoriali. Il centro di gravità del sistema coloniale veneziano si sposta verso il cuore del mondo balcanico ed egeo. Qui si assiste al "trionfo dell'annessione veneziana" (Freddy Thiriet): acquisizione di Durazzo e Scutari, occupazione di Corfù e di Butrinto nel 1386, acquisto di Nauplia e di Argos nel 1388, sovranità sull'insieme di Negroponte dopo la morte dell'ultimo terziero nel 1390, estensione della dominazione diretta su Tinos e Mykonos nel 1390, acquisizione parziale del ducato di Atene alla morte di Nerio Acciaiuoli nel 1394, protezione del despotato di Morea da parte della flotta veneziana, senza contare la riconquista della Dalmazia sulla corona ungherese. La Serenissima è diventata il difensore ufficiale della Romània greco-latina. Nel frattempo Genova, caduta sotto il potere del re di Francia Carlo VI, assiste impotente ai progressi della rivale. Solo il maresciallo Boucicaut, crociato d'altri tempi divenuto governatore reale della città nel 1401, tenta di rimettere in discussione i successi veneziani.
Il pretesto per l'intervento in Oriente gli viene offerto dagli affari di Cipro. Il nuovo re Janus (1398-1432), constatando che il proprio regno è strangolato dalle pretese finanziarie dei Genovesi, sollecita l'aiuto di Venezia per riconquistare Famagosta, da lui assediata nel marzo 1402. Boucicaut invia una spedizione comandata da Antonio Grimaldi che mette in fuga l'esercito del Lusignano, e nella stessa occasione sequestra alcune galere veneziane che si trovano nel porto di Famagosta. Janus chiede ancora una volta aiuto a Venezia, che lo rifiuta ma arma quindici galere al fine di intimidire Boucicaut. Nel gennaio 1403 Janus riprende l'assedio della città. Allora il governatore generale di Genova ottiene la neutralità di Venezia e nell'aprile dello stesso anno, col pretesto di ristabilire l'ordine a Cipro, parte da Genova alla testa di una spedizione. La Serenissima fa sorvegliare da vicino l'esercito genovese che dapprima si reca a Rodi, dove ottiene l'appoggio del gran maestro degli Ospedalieri, Philibert de Naillac, per ristabilire la pace col re Janus. Con il trattato di Nicosia del 7 luglio 1403 quest'ultimo promette ai Genovesi un forte indennizzo (165).
Boucicaut decide allora di proseguire la propria crociata contro gli Infedeli effettuando incursioni sulle coste anatoliche e siriane: saccheggia Candeloro, si incaglia davanti a Tripoli, il 10 agosto 1403 mette a sacco Beirut prendendosela soprattutto con le sedi delle compagnie veneziane lì installate. Avvertita rapidamente, la Serenissima ingiunge al capitano generale della propria flotta, Carlo Zeno, di intervenire per farsi restituire merci e navi veneziane. Al suo ritorno Boucicaut viene attaccato al largo dell'isola di Sapienza, presso Modone: i Veneziani si impadroniscono di tre galere genovesi e fanno numerosi prigionieri. Il governatore generale riesce a raggiungere Genova, catturando nei pressi della Sicilia una grossa galera veneziana e una cocca carica di preziose mercanzie (166).
Restano da riparare i danni. I negoziati si trascinano. Venezia in effetti sospetta che il re di Francia voglia, con l'occasione, intervenire negli affari italiani. Il conflitto con Francesco da Carrara signore di Padova, le sequele dell'espansione fiorentina verso il Tirreno (annessione di Pisa), le incursioni del pirata Niccolò da Moneglia nell'Adriatico a danno delle navi veneziane, l'orgoglio ferito di Boucicaut che non accetta di essere ritenuto responsabile della tensione veneto-genovese, tutto ciò complica le discussioni. Un primo accordo viene raggiunto a Venezia il 22 marzo 1404: Genova si impegna a rimborsare le perdite subite dai Veneziani a Famagosta e a Beirut, Venezia a restituire le navi genovesi catturate a Modone e a liberare i prigionieri. Boucicaut non accetta queste condizioni, ma la popolazione di Genova non è favorevole alla ripresa delle ostilità contro Venezia. Finalmente la pace di Genova del 28 giugno 1406 elabora un compromesso che prevede il risarcimento reciproco dei mercanti: cinque arbitri, presto sostituiti da Amedeo VIII di Savoia, saranno nominati per la stima delle somme da versare. L'intransigenza di Boucicaut nei confronti di Venezia finisce solamente con l'espulsione del governatore reale e la fine della dominazione francese a Genova (settembre 1409) (167).
Nel Mediterraneo orientale gli ultimi due decenni del XIV secolo vedono Genova e Venezia adottare un atteggiamento differente nei confronti dei Mamelucchi. Alla ripresa del traffico con Alessandria nel 1382 Venezia moltiplica le ambasciate concilianti per ottenere un consolato al Cairo e il diritto per i suoi mercanti di utilizzare i propri pesi e misure. Con una media di tre galere all'anno, ma con un ammontare di investimenti più elevato rispetto alle altre nazioni occidentali, alla fine del Trecento Venezia riesce a controllare la maggior parte del commercio con l'Oriente musulmano (168). Genova invece è incapace di controllare l'attività delle proprie squadre, i cui interventi si trasformano troppo spesso in incursioni di pirateria (contro Sidone e Beirut nel 1383, contro Rosetta e Damietta nel 1384, contro Tripoli nel 1390 oppure contro navi del sultano nel 1388 o nel 1396). La spedizione di Boucicaut ha conseguenze catastrofiche per gli interessi genovesi in Oriente, rendendo le relazioni con i Mamelucchi ancora più difficili e facendo definitivamente perdere a Genova il ruolo principale nel commercio con l'Oriente musulmano (169).
All'altra estremità del Mediterraneo Venezia non partecipa alla "crociata" contro Tunisi del 1390, impresa franco-genovese. Il trattato del 1391 la ricompensa per la sua neutralità confermando gli accordi anteriori, garantendole le forniture di grano che desidera e restituendole i prigionieri cristiani detenuti dal sovrano hafsida. Alla fine del XIV secolo tutte le nazioni cristiane in Berberia godono di un regime di equità e uguaglianza (170). Nella penisola iberica Venezia non riesce a recuperare il ritardo sulla rivale: nel 1400 apre un consolato a Malaga (171), fa attraccare le proprie navi a Valenza, Maiorca, Siviglia e Cadice, e cerca di ottenere per i propri sudditi gli stessi diritti dei Genovesi (172). Verso l'Atlantico il traffico delle mude di Fiandra riprende nel 1384, ma diviene regolare soltanto dopo il 1392 (173). Cinque anni più tardi i Veneziani trasformano in loggia la casa Ter Ouder Beurse a Bruges, in quella piazza degli affari dove nel 1399 i Genovesi costruiscono a loro volta la loggia della propria "nazione" (174). In Inghilterra la comunità veneziana di Londra si organizza nel primo decennio del XV secolo (175), Per Venezia come per Genova le vie commerciali verso il Ponente sono il complemento indispensabile degli scambi di beni nel Mediterraneo.
Non è facile fare un bilancio di un secolo di relazioni veneto-genovesi. Due Repubbliche marinare, ugualmente potenti, hanno fatto dello sfruttamento del mare il motore della propria vita economica. Ponti gettati tra Oriente e Occidente, hanno costruito la propria fortuna sul ruolo di intermediarie non solo tra le due parti del Mediterraneo, ma andando oltre fino a Londra e Bruges, fino a Delhi e Pechino. Questa mediazione doveva appoggiarsi sul dominio del mare e sul possesso di scali e di magazzini, posti giudiziosamente nei punti d'incontro delle rotte marittime o allo sbocco delle vie intercontinentali seguite dai flussi mercantili. I loro tentativi di talassocrazia e di espansione coloniale non potevano far altro che opporle l'una all'altra. Dalla guerra di Curzola a quella di Chioggia questi scontri sono sempre stati sterili, avendo avuto come unico risultato quello di indebolire Bisanzio, trascinata nei conflitti, e di rafforzare i Turchi nella loro espansione invece di contrastarla. Venezia talvolta è stata sensibile alle necessità della crociata contro l'invasore ottomano, ma ha rifiutato di portarne il peso da sola.
Genova in compenso ha considerato soltanto la difesa a breve termine dei propri interessi commerciali e territoriali: da qui una duttilità, se non persino un'ambiguità, della sua politica che le ha impedito di far fronte comune con la rivale quando le circostanze lo avrebbero imposto. Dopo aver dominato in Oriente alla fine del XIII secolo, quando la parte più importante dei flussi commerciali passava per il mar Nero, Genova ha dovuto lasciare la supremazia a Venezia quando il centro dei traffici si è nuovamente spostato verso la Siria e l'Egitto nella seconda metà del Trecento. Tuttavia le posizioni acquisite allora dai Genovesi nella penisola iberica e sulle rotte dell'Atlantico erano ricche di un avvenire da cui Venezia si sarebbe trovata in gran parte esclusa.
Traduzione di Floriana Santini
1. Honorantiae civitatis Papiae, in M.G.H., Scriptores, XXX, 2, 1934, p. 1452. Il doge Giovanni Soranzo riprende lo stesso tema nel 1327: Venezia "in mari constituta caret totaliter vineis atque campis": cf. Georg M. Thomas, Diplonzatarium Veneto-Levantinum, sine Acta et Diplomata, res Venetas, Graecas atque Levantiis illustrantia a. 1300-1454, I-II, Venezia 1880-1899: I, p. 208.
2. Gino Luzzatto, Storia economica di Venezia dall'XI al XVI secolo, Venezia 1961, p. 52; Giorgio Cracco, Un "altro mondo". Venezia nel Medioevo dal secolo XI al secolo XIV Torino 1986, p. 9; Frederic C. Lane, Storia di Venezia, Torino 1978, p. 68.
3. Jacques Heers, Gênes au XVe siècle. Activité économique et problèmes sociaux, Paris 1961, pp. 323-346; Michel Balard, La Romanie génoise (XIIe- début du XVe siècle), I-II, Genova-Roma 1978 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, 92): II, pp. 749-768.
4. Henri Bresc, Un monde méditerranéen. Economie et société en Sicile 1300-1450, I-II, Palermo-Roma 1986: I, p. 534; Claude Carrère, Barcelone, centre économique à l'époque des dcultés 1380-1462, I-II, Paris-La Haye 1967: II, p. 602.
5. Marco Tangheroni, Aspetti del commercio dei cereali nei Paesi della Corona d'Aragona, I, La Sardegna, Pisa 1981, pp. 186-188; Maria Teresa Ferrer 1 Mallol, Els Italians a terres catalanes (segles XII-XV), "Anuario de Estudios Medievales", 10, 1980, pp. 461-466. Alla fine del XIV secolo Sardegna e Spagna contribuivano al rifornimento di Genova in ragione del 10-25% dei bisogni di quest'ultima: M. Balard, La Romanie génoise, II, pp. 762-763.
6. Freddy Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen Âge. Le développement et l'exploitation du domaine colonial vénitien (XIIe-XVe siècles), Paris 1959, pp. 3 18-319; Mario Gallina, Una società coloniale del Trecento. Creta tra Venezia e Bisanzio, Venezia 1989, pp. 60-65, 127-130; Sarah Arenson, Food for a Maritime Empire: Venice and Its Bases in the Middle Ages, in Maritime Food Transport, a cura di Klaus Friedland, Köln 1994, pp. 177-182.
7. Martin da Canal, Les estoires de Venise. Cronaca veneziana in lingua francese dalle origini al 1275, a cura di Alberto Limentani, Firenze 1972, p. 328; M. Balard, La Romanie génoise, II, p. 759.
8. Julian Chrysostoniides, Venetian Commercial Privileges under the Palaeologi, "Studi Veneziani", 12, 1970, pp. 267-356; Angeliki E. Laiou, Constantinople and the Latins. The Foreign Policy of Andronicus II 1282-1328, Cambridge (Mass.) 1972, pp. 73, 237, 273-275, 309-310; Michel Balard, Le commerce du blé en mer Moire (XIIIe-XVe siècles), in AA.VV., Aspetti della vita economica medievale, Firenze 1985, pp. 68-69, e ora anche in Michel Balard, La mer Noire et la Romanze génoise (XIIIe-XVe siècles), London 1989, cap. VI.
9. Francesco Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, a cura di Allan Evans, Cambridge (Mass.) 1936, pp. 42, 54-55.
10. Freddy Thiriet, Délibérations des assemblées vénitiennes concernant la Romanie, I-II, Paris-La Haye 1966-1971: I, nrr. 289, 351, 407, 434, 440 e 453.
11. Raimondo Morozzo della Rocca, Notizie da Caffa, in AA.VV., Studi in onore di Amintore Fanfani, III, Milano 1962, pp. 267-295; Elizabeth A. Zachariadou, Prix et marchés des céréales en Romanie (1343-1405), "Nuova Rivista Storica", 61, 1977, nrr. 3-4, pp. 295-296 (pp. 291-306); Serban Papacostea, "Quod non iretur ad Tanam". Un aspect fondamental de la politique génoise dans la mer Noire au XIVe siècle, "Revue des Etudes Sud-Est Européennes", 17, 1979, nr. 2, pp. 201-207 (pp. 201-217).
12. G.M. Thomas, Diplomatarium, II, pp. 58-60.
13. Elizabeth A. Zachariadou, Trade and Crusade. Venetian Crete and the Emirates of Menteshe and Aydin (1300-1415), Venezia 1983, pp. 163-164; M. Balard, La Romanie génoise, II, p. 754.
14. G. Cracco, Un "altro mondo", p. 8.
15. Ugo Tucci, Le commerce vénitien du vin de Crète, in Maritime Food Transport, a cura di Klaus Friedland, Köln 1994, pp. 199-211; M. Gallina, Una società coloniale, pp. 131-136; F. Thiriet, La Romanie vénitienne, pp. 320-321. Nel 1393 la nave di Manuele Doria fa scalo a Candia per completare il suo carico con alcune vegete di Malvasia: cf. Leone Liagre de Sturler, Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont d'après les archives notariales génoises (1320-1400), I-II, Bruxelles-Rome 1969: II, pp. 746-751.
16. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, p. 24.
17. A.S.V., Cancelleria inferiore, b. 19, notaio Benedetto Bianco, atti del 1° agosto, 18 ottobre, 23 novembre e 3 dicembre 1362.
18. Jean-Claude Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, I-II, Lille 1978-1979: soprattutto II, pp. 144-150.
19. Domenico Gioffrè, Il commercio genovese del sale e il monopolio fiscale nel secolo XIV, "Bollettino Ligustico per la Storia e la Cultura Regionale", 10, 1958, pp. 3-32; J. Heers, Gênes au XVe siècle, pp. 349-356; J.-C. Hocquet, Le sei, II, pp. 600-612; Ciro Manca, Aspetti dell'espansione economica catalano-aragonese nel Mediterraneo occidentale. Il commercio internazionale del sale, Milano 1966.
20. Su questi problemi, cf. Michel Balard-Jean-Claude Hocquet-Jacqueline Guiral-Hadziiossif-Henri Bresc, Le transport des denrées alimentaires en Méditerranée à la fin du Moyen-Âge, in Maritime Food Transport, a cura di Klaus Friedland, Köln 1994, pp. 91-175.
21. Eliyahu Ashtor, Levant Trade in the Later Middle Ages, Princeton (NJ.) 1983, pp. 3-63.
22. M. Balard, La Romanie génoise, II, pp. 849-862; Sergej P. Karpov, L'impero di Trebisonda, Venezia, Genova e Roma (1204-1461). Rapporti politici, diplomatici e commerciali, Roma 1986, pp. 29-69; Id., Italianskije Morskije Respubliki, i iougnoie pritchernomorie v XIII-XV vv: problemi torgovli, Moskva 1990.
23. E. Ashtor, Levant Trade, p. 63.
24. Ibid., pp. 114-136; Doris Stöckly, Le système de l'Incanto des galées du marché à Venise (fin XIIIe -- milieu XVe siècle), Leiden i995, pp. 93-152.
25. E. Ashtor, Levant Trade, pp. 173-179; Jacques Heers, Il commercio nel Mediterraneo alla fine del sec. XIV e nei primi anni del XV, "Archivio Storico Italiano", 113, 2, 1955, pp. 157-173 (pp. 157-209), analizza i carichi delle galere veneziane e genovesi, utilizzando le lettere di carico dell'archivio Datini. Il cotone è al secondo posto dopo le spezie.
26. J. Heers, Gênes au XVe siècle, p. 236. Sullo sviluppo della produzione di seta nell'Italia del Nord a partire da Lucca, cf. Luca Molà, La comunità dei Lucchesi a Venezia. Immigrazione e industria della seta nel tardo Medioevo, Venezia 1994.
27. Jean Longnon-Peter Topping, Documents sur le régime des terres dans la principauté de Morée, Paris-La Haye 1969, pp. 204-205, 212, 214-215; F. Thiriet, La Romanie vénitienne, p. 349; J. Heers, Il commercio nel Mediterraneo, pp. 168-169; Dionysios A. Zakythinos, Le despotat grec de Morée, London 19752, pp. 256-260.
28. M. Balard, La Romanie génoise, II, pp. 723-733; J. Heers, Il commercio nel Mediterraneo, p. 173.
29. Marino Sanuto Torsello, Liber secretorum fidelium Crucis, in Gesta Dei per Francos, a cura di Jacques Bongars, II, Hanoviae 1611, p. 24.
30. Marie-Louise Von Wartburg, Production du sucre de canne à Chypre: un chapitre de technologie médiévale, in Coloniser au Moyen Âge, a cura di Michel Balard-Alain Ducellier, Paris 1995, pp. 126-13I.
31. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, p. 144,
32. Michel Balard, Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Cipro da Lamberto di Sambuceto (11 ottobre 1296-23 giugno 1299), Genova 1983, nrr. 138 e 160. Sui problemi del trasporto dello zucchero, v. Doris Sötckly, Le transport maritime d'État à Chypre, complément des techniques coloniales vénitiennes (XIIIe -XVe siècles): l'exemple du sucre, in Coloniser au Moyen Âge, a cura di Michel Balard-Alain Ducellier, Paris 1995, pp. 131-141, e Svetlana V. Bliznjuk, Die Venezianer auf Zypern im 13. und in der ersten Hälfte des 14. Jahrhunderts, "Byzantinische Zeitschrift", 84-85, 1991-1992, nr. 2, pp. 441-451.
33. Freddy Thiriet, Regestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Romanie, I, Paris-La Haye 1958, pp. 154, nr. 628, e 184, nr. 673; Id., Délibérations, II, p. 91, nr. 1003; George Hill, A History of Cyprus, II, Cambridge 1948, p. 438; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 120 e 216; Michel Balard, I Genovesi nel regno medievale di Cipro (in greco), in Istoria tès Kyprou, a cura di Theodoros Papadopoullos, IV, Nicosia 1995, P. 324.
34. H. Bresc, Un monde méditerranéen, I, pp. 570-573.
35. J. Heers, Il commercio nel Mediterraneo, pp. 169 e 173.
36. Robert Delort, Le commerce des fourrures en Occident à la fin du Moyen Âge (vers 1300-vers 1450), I-II, Roma 1978: II, pp. 1003-1021.
37. E. Ashtor, Levant Trade, pp. 8 e 163.
38. Roberto S. Lopez, Benedetto Zaccaria, ammiraglio e
mercante nella Genova del Duecento, Firenze 19962, p. 213.
39. M. Balard, La Romanie génoise, II, pp. 769-782; Hippolyte Noiret, Documents inédits pour servir à l'histoirede la domination vénitienne en Crete, Paris 1882, pp. 107, 327-328, 410-411; F. Thiriet, La Romanie vénitienne, pp. 325, 336, 342 e 418; Id., Délibérations, II, nr. 806.
40. E. Ashtor, Levant Trade, pp. 8, 10, 14 e passim.
41. Rolf Sprandel, Le commerce du fer en Méditerranée orientale au Moyen Âge, in Sociétés et compagnies de commerce en Orient et dans l'océan Indien, a cura di Michel Mollat, Paris 1970, pp. 387-392.
42. F. Thiriet, Regestes, p. 78.
43. J. Heers, Il commercio nel Mediterraneo, pp. 167-168; E. Ashtor, Levant Trade, p. 159.
44. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 33, 70, 76 e 105; M. Balard, La Romanie génoise, II, p. 783.
45. Ibn Battûta, Voyages, a cura di Stéphane Yerasimos, I-III, Paris 1982: II, p. 162.
46. Federigo Melis, Documenti per la storia economica. Secoli XIII-XIV, Firenze 1972, p. 312.
47. All'opera molto analitica di Charles Verlinden, L'esclavage dans l'Europe médiévale, II, Gand 1977, si aggiunga Jacques Heers, Esclaves et domestiques au Moyen Âge dans le monde méditerranéen, Paris 1981, con una notevole bibliografia.
48. C. Verlinden, L'esclavage, pp. 566-603; Domenico Gioffrè, Il mercato degli schiavi a Genova nel secolo XV, Genova 1971; M. Balard, La Romanie génoise, II, pp. 794-796.
49. C. Verlinden, L'esclavage, pp. 568-569.
50. M. Balard, La Romanie génoise, II, pp. 831-832.
51. Subhi Y. Labib, Handelsgeschichte Aegyptens im Spaetmittelalter 1171-1517, Wiesbaden 1965, pp. 85-86; E. Ashtor, Levant Trade, p.11.
52. Enrico II di Lusignano, Consilium, in Jacques Marie J. L. de Mas Latrie, Histoire de l'île de Chypre sous le règne des princes de la maison de Lusignan, I-III, Paris 1852-1861: II, pp. 119-120; Peter W. Edbury, The Kingdom of Cyprus and the Crusades 1191-1374, Cambridge 1991, p. 134; Sylvia Schein, Fideles Crucis. The Papacy, the West and the Recovery of the Holy Land 1274-1314, Oxford 1991, p. 213; Norman Housley, The Later Crusades from Lyon to Alcazar 1274-1580, Oxford 1992, p. 28.
53. Guillaume Adam, De modo Sarracenos extirpandi, in Recueil des Historiens des Croisades. Documents arméniens, II, Paris 1906, p. 531 (pp. 521-555).
54. M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 308-309.
55. C. Verlinden, L'esclavage, pp. 814-815.
56. Emmanuel Piloti, Traité sur le passage en terre Sainte, a cura di Pierre-Herman Dopp, Louvain-Paris 1958, p. 143.
57. Freddy Thiriet, Problemi dell'amministrazione veneziana nella Romania, sett. XIV-XV, in Venezia e il Levante finoal secolo XV, a cura di Agostino Pertusi, I/2, Firenze 1973, p. 779 (pp. 773-782); D. Stöckly, Le système de l'Incanto, p. 162.
58. Ugo Tucci, Sur la pratique vénitienne de la navigation au XVIe siècle: quelques remarques, "Annales E.S.C.", 13, 1958, pp. 72-86; Michel Balard, Escales génoises sur les routes de l'Orient méditerranéen au XIVe siècle, "Recueils de la Société Jean Bodin", 32, 1974 (AA.VV., Les grandes escales), pp. 243-264; Id., Navigations génoises en Orient d'après les livres de bord du XIVe siècle, "Comptes-rendus des Séances de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres", novembre-décembre 1988, pp. 781-793.
59. ALBERTO Tenenti, Venezia e la pirateria nel Levante: 1300 c. 1460 c., in Venezia e il Levante fino al secolo XV, a cura di Agostino Pertusi, I/2, Firenze 1973, pp. 747-755 (pp. 705-771).
60. Roberto Cessi, Le relazioni commerciali tra Venezia e le Fiandre nel secolo XIV, in Id., Politica ed economia a Venezia nel Trecento, Roma 1952, p. 91 (pp. 71-172); D. Stöckly, Le système de l'Incanto, p. 155.
61. Alwyn A. Ruddock, Italian Merchants and Shipping in Southampton 1270-1600, Southampton 1951, pp. 22-26; Eleonora-Mary Carus-Wilson, Medieval MerchantVenturers, London 1954, p. 64.
62. M.T. Ferreri Mallol, Els Italians, pp. 461-466; J.-C. Hocquet, Le sel, I, pp. 96-97, 206-207. C. Carrére, Barcelone, II, pp. 600-606, sottolinea la poca importanza delle importazioni veneziane a Barcellona e la presenza soltanto episodica dei mercanti della Serenissima.
63. Roberto Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Firenze 1981, pp. 300-305 e 350; F.C. Lane, Storia di Venezia, p. 240; Alain Ducellier, La façde maritime de l'Albanie au Moyen Âge. Durazzo et Valona du XIe au XVe siècle, Salonica 1981, pp. 396-402 e 561-568; J.-C. Hocquet, Le sel, piante fuori testo.
64. D. Stöckly, Le système de l'Incanto, pp. 123 e 135.
65. Marze Nystazopoulou Pélékidis, Venise et la mer Noire du XIe au XVe siècle, "Thesaurismata", 7, 1970, pp. 15-51; Serban Papacostea, Venise et les pays roumains au Moyen Âge, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, a cura di Agostino Pertusi, II, Firenze 1973, pp. 599-624; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 130-162; Elena C. Skrzinskaja, Storia della Tana, "Studi Veneziani", 10, 1968, pp. 3-45; Bernard Doumerc, La Tana au XVe siècle: comptoir ou colonie?, in État et colonisation au Moyen Âge et à la Renaissance, a cura di Michel Balard, Lyon 1989, pp. 251-266; Sergej P. Karpov, Dokumenty po istorii venecianskoj faktorii Tana vo vtoroj polovine XIV v., in Id., Il mar Nero nel Medioevo (in russo), Moskva 1991, pp. 191-216; Id., L'impero di Trebisonda, pp. 71-139.
66. George T. Dennis, Problemi storici concernenti i rapporti tra Venezia, i suoi domini diretti e le Signorie feudali nelle isole greche, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, a cura di Agostino Pertusi, I/1, Firenze 1973, p. 220 (pp. 219-235).
67. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, nr. 7; cf. A.E. Laiou, Constantinople and the Latins, p. 111.
68. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, pp. 243-244; F. Thiriet, Regestes, nr. 28, p. 28; E.C. Skrzinskaja, Storia della Tana, p. 8; Mihnea Berlndei-Gilles Veinstein, La Tana-Azaq, de la présence italienne à l'emprise ottomane (XIIIe-milieu XVIe siècle), "Turcica", 8, 1976, nr. 2, p. 120 (pp. 110-201); Sergej P. Karpov, On the Origin of Medieval Tana, "Byzantinoslavica", 56, 1995, pp. 227-235.
69. Emile Janssens, Trébizonde en Colchide, Bruxelles 1969, pp. 93-97; M. Balard, La Romanie génoise, I, p. 134.
70. S.P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 71-139.
71. Liber Iurium Reipublicae Genuensis, a cura di Ercole Ricotti, in Monumenta Historiae Patriae, IX, Torino 1857, coll. 344-352; Georg Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), "Atti della Società Ligure di Storia Patria", n. ser., 15, 1975, nr. 2, pp. 242-247 (pp. 5-456); R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, pp. 165-166; F.C. Lane, Storia di Venezia, pp. 100-101; A.E. Laiou, Constantinople and the Latins, pp. 108-109; Serban Papacostea, Gênes, Venise et la mer Noire à la fin du XIIIe siècle, "Revue Roumaine d'Histoire", 29, 1990, nrr. 3-4, pp. 2 11-236.
72. Renée Doehaerd, Les galères génoises dans la Manche et la Mer du Nord à la fin du XIIIe et au début du XIVe siècle, "Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome", 19, 1938, pp. 5-76.
73. M. Balard, La Romanie génoise, II, p. 866.
74. Giovanna Petti Balbi, Mercanti e ῾nationes' nelle Fiandre: i Genovesi in età bassomedievale, Pisa 1996, pp. 20-22.
75. D. Stöckly, Le système de l'Incanto, pp. 155-159.
76. M.T. Ferrer 1 Mallol, Els Italians, pp. 428-448, 461-466; Geo Pistarino, Presenze e influenze italianenel sud della Spagna (sett. XII-XV), in AA.VV., La presencia italiana en Andalucía, siglos XIV-XVII. Actas del I Coloquio hispano-italiano, Sevilla 1985, pp. 21-51.
77. Georges Jehel, Les Génois en Méditerranée occidentale n XIe-début XIVe siècle). Ebauche d'une strategie pour un empire, Amiens 1993, pp. 373, 405.
78. Jacques Marie J.L. De Mas Latrie, Traités de paix et de commerce et documents divers concernant les relations des Chrétiens avec les Arabes de l'Afrique septentrionale au Moyen Age, Paris 1866, pp. 170, 237, 239-240, 244-249; André E. Sayous, Le commerce des Européens à Tunis depuis le mie siècle jusqu'à la fin du XVIe, Paris 1929, pp. 76-82; Alberto Sacerdoti, Venezia e il regno hafsida di Tunisi. Trattati e relazioni diplomatiche (1231-1534), "Studi Veneziani", 8, 1966, pp. 303-346.
79. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, nr. 7; A.E. Laiou, Constantinople and the Latins, p. 11.
80. Georgii Pachymeris De Michaele et Andronico Palaeologis libri XIII, I-II, Bonnae 1835: II, p. 558; Philip P. Argenti, The Occupation of Chios by the Genoese and Their Administration of the Island 1346-1566, I-III, Cambridge 1958: I, pp. 55-57; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 62-63.
81. Angeliki E. Laiou, The Provisioning of Constantinople During the Winter 1306-1307, "Byzantion", 37, 1967, pp. 92-97 (pp. 91-113); Geo Pistarino, L'Impero greco tra Genovesi e Almogaveri, in Id., I Signori del mare, Ge-nova 1992, pp. 155-206; Peter Lock, The Franks in the Aegean : 1204-1500, London 1995, pp. 104- I 07.
82. F. Thiriet, La Romanie vénitienne, pp. 157-159; A.E. Laiou, Constantinople and the Latins, pp. 200-237; M. Balard, La Romanie génoise, I, p. 65.
83. F. Thiriet, Déliberations, I, nrr. 168-169.
84. A.E. LAioU, Constantinople and the Latins, pp. 269, 273, 276; M. Balard, La Romanie génoise, I, p. 67.
85. Michel Fontenay-Alberto Tenenti, Course et piraterie méditerranéennes de la fin du Moyen Age au début du XIXe siècle, in Course et piraterie. Etudes présentées à la Commission internationale d'Histoire maritime (San Francisco, aoút 1975), Paris 1975, pp. 95-100 (pp. 78-136); A. Tenenti, Venezia e la pirateria nel Levante, pp. 716, 726-727.
86. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, pp. 200-203.
87. A. E. Laiou, Constantinople and the Latins, pp. 3 12-314.; David Jacoby, Catalans, Turcs et Vénitiens en Romanie (1305-1332): un nouveau témoignage de Marino Sanudo Torsello, "Studi Medievali", ser. III, 15, 1974, pp. 217-261; N. Housley, The Later Crusades, pp. 36-37.
88. Paul Lemerle, L'émirat d'Aydin, Byzance et l'Occident. Recherches sur "La Geste d'Umur Pacha", Paris 1957, pp. 56-57, 66-67, 108-113; Ludovico Gatto, Per la storia di Martino Zaccaria signore di Chio, "Bullettino dell'Archivio Paleografico Italiano", n. ser., 2, 1956, pp. 325-345; Costas P. Kyrris, john Cantacuzenus and the Genoese 1321-1348, "Miscellanea Storica Ligure", 3, 1963, pp. 7-48; P.P. Argenti, The Occupation of Chios, I, pp. 6o-68; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 69-74; E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 21-40; P.W. Edbury, The Kingdom of Cyprus, pp. 157-158.
89. Nicephori Gregorae Byzantina Historia, a cura di Ludovico Schopen, I-II, Bonnae 1829-1830: I, P. 359.
90. Trattato del settembre 1341, in Gerolamo Bertolotto, Nuova serie di documenti sulle relazioni di Genova con l'Impero bizantino, "Atti della Società Ligure di Storia Patria", 28, 1896, pp. 545-550 (pp. 337-573).
91. F. Thiriet, Régestes, nr. 155; Id., La Romanie vénitienne, p. 167; P. Lemerle, L'émirat d'Aydin, pp. 182-183.
92. Riccardo Predelli, I Libri commemoriali della Re-pubblica di Venezia, Regesti, I-IV, Venezia 1876-19o1: II, nr. 18, p. 117; F. Thiriet, Regestes, nrr. 155, 158; P.W. Edbury, The Kingdom of Cyprus, pp. 157-158.
93. Jules M. M. Gay, Le page Clément VI et les affaires d'Orient (1342-1352), Paris 1904; P. Lemerle, L'émirat d'Aydin, pp. 18o-193; E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 41-62; N. HousLEY, The Later Crusades, p. 59.
94. F. Thiriet, Regestes, nr. 194. Sulla spedizione del delfino Umberto di Viennois, cf. infra.
95. G. Adam, De modo, p. 531.
96. E. Ashtor, Levant Trade, pp. 17- 19.
97. D. Stockly, Le système de l'Incanto, p. 142.
98. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, p. 291.
99. Vito Vitale, Le fonti del diritto marittimo ligure, Ge-nova 1951, pp. 86, 89-90, 102; Giovanni Forche-Ri, Navi e navigazione a Genova nel Trecento. Il "Liber Gazarie", Genova 1974, pp. 77, 78, 94, 110; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 48-49.
100. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, nr. 183; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 38-39.
101. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, pp. 42-45; David Jacoby, The Rise of a New Emporium in the Eastern Mediterranean: Famagusta in the Late Thirteenth Century, "Meletai kai Hypomnèmata", I, 1984, pp. 143-179; Peter W. Edbury, Cyprus and Genoa: the Origins of the War of 1373-1374, in Praktika tou Deuterou Diethnous Hypriologikou Synedriou, II, Nicosia 1986, pp. 109-126; Michel Balard, Les Vénitiens en Chypre dans les années 1300, "Byzantinische Forschungen ", 12, 1987, pp. 587-603.
102. P.W. Edbury, The Kingdom of Cyprus, pp. 155-156, 199-200; M. Balard, I Genovesi, pp. 262-263.
103. D. Stòckly, Le système de l'Incanto, pp. 118, 130.
104. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 28-29.
105. Roberto S. Lopez, Nuove luci sugli Italiani in Estremo Oriente prima di Colombo, "Studi Colombiani", 3, 1952, pp. 361, 393 (pp. 337-398); Id., L'importance de la mer Noire dans l'histoire de Génes, in I Genovesi nel Mar Nero durante i secoli XIII e XIV Colloquio romeno-italiano, Bucarest 1977, pp. 26-29 (pp. 13-33); Michel Balard, Precursori di Cristoforo Colombo. I Genovesi in Estremo Oriente nel XIV secolo, in Atti del Convegno internazionale di studi colombiani (Genova 13-14 ottobre 1973), Genova 1975, pp. 149-164, ora anche in Id., La mer Noire et la Romanie génoise (Xiii'--Xv' siècles), London 1989, cap. XIV.
106. Edito in "Archivio Veneto", 26, 1883, pp. 161-165; G. Caro, Genova e la supremazia, p. 175 n. 32.
107. S. P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 75-85, 277; F. Thiriet, Regestes, nr. 192; D. Stöckly, Le système de l'Incanto, p. 107.
108. Luciano Petech, Les marchands italiens dans l'empire mongol, "Journal Asiatique", 250, 1962, pp. 562-565 (pp. 549-574); Jacques Paviot, Buscarello de' Ghisolfi, marchand génois intermédiaire entre la Perse mongole et la chrétienté latine (fin du XIIIe début du XIVe siècle), in AA.VV., La Storia dei Genovesi. Atti del Convegno di studi sui Ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, Genova 1991, pp. 107-117.
109. M. Balard, La Romanie génoise, I, p. 140; Jacques Paviot, Les marchands italiens dans l'Iran mongol, in corso di stampa, comunicazione che analizza il trattato pubblicato da G.M. Thomas, Diplomatarium, I, nr. 85, pp. 173-176.
110. Giuseppe Giomo, Le rubriche dei Libri `Misti' del Senato perduti, "Archivio Veneto", 18, 1879, pp. 335, 337 (pp. 315-338)
111. F. Thiriet, Regestes, nr. 83.
112. R.S. Lopez, Nuove luci, p. 360; V. Vitale, Le fonti del diritto, pp. 16-119; G. Forcheri, Navi e navigazione, pp. 15- 17.
113. Marie Nystazopoulou Pélékidis, La ville de Sougdaia en Chersonèse taurique (in greco con riassunto in francese), Athenai 1965, pp. 41-52; Ead., Venise et la mer Noire, pp. 26-2 7.
114. S. P. Karpov, On the Origin, p. 234.
115. F. Thiriet, Regestes, nr. 151; E.C. Skrzinskaja, Storia della Tana, pp. 10-11.
116. E. Ashtor, Levant Trade, p. 63; N. Gregorae Byzantina Historia, II, p. 686.
117. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, pp. 301-304; cf. Roberto S. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Bologna 1938, pp. 257-259; S. Papacostea, "Quod non iretur ad Tanam", pp. 206-208.
118. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, pp. 311-3 13; Albano Sorbelli, La lotta tra Genova e Venezia per il predominio del Mediterraneo. 1: 1350-1355, "Memorie della R. Accademia di Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", 5, 1910-1911, pp. 95-96 (pp. 87-142).
119. F. Thiriet, Regestes, nrr. 162, 165, 169, 175, 180, 185, 196, 201, 203; Id., La Romanie vénitienne, p. 168; E.C. Skrzinskaja, Storia della Tana, pp. 10-11; R. Morozzo della Rocca, Notizie da Caffa, pp. 267-295; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 75-76, 154.
120. N. Gregorae Byzantina Historia, II, p. 877.
121. R. S. Lopez, Storia delle colonie genovesi, pp. 258-259. 122. F. Thiriet, Regestes, nr. 202, p. 61; G.M. Thomas, Diplomatarium, I, p. 340; cf. S. Papacostea, "Quod non iretur ad Tanam", pp. 208-209.
123. Enric Frances, Quelques aspects de la politique de Jean Cantacuzène, "Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici", n. ser., 5, 1968, pp. 167-176.
124. I racconti dettagliati sono forniti da Joanni Cantacuzeni Historiarum libri IV, a cura di Ludovico Schopen, I-III, Bonnae 1828-1832: III, pp. 68-79; N. Gregorae Byzantina Historia, II, pp. 841-867; e Alexios Makrembolites, Logos historikos, in Athenasios Papadopoulos-Kerameus, Analekta Hierosolymitikès Stacliyologias, I-V, Petrograd 1891-1898: I, pp. 156-159 (pp. 145-159); cf. Helène Ahrweiler, Byzance et la mer, la marine de guerre, la politique et les institutions maritimes de Byzance aux VIIe XVe siècles, Paris 1966, p. 385.
125. Marie Claude Faure, Le dauphin Humbert Il à Venise et en Orient, 1343-1347, "Mélanges de l'École Française de Rome", 27, 1907, pp. 509-562; P. Lemerle, L'émirat d'Aydin, pp. 195-197;pp. Argenti, The Occupation of Chios, I, pp. 91- 105; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 12 2-126.
126. Elena C. Skrzinskaja, Petrarka o genuezcah na Levante, "Vizantijskij Vremennik", 2, 1949, pp. 245-266; F. C. Lane, Storia di Venezia, pp. 209-210; Costas P. Kyrris, John Cantacuzenus, the Genoese, the Venetians and the Catalans (1348-1354), "Byzantina", 4, 1972, pp. 331-356; Maria M. Costa, Sulla battaglia del Bosforo (1352), "Studi Veneziani", 14, 1972, pp. 197-210.
127. F. Thiriet, Délibérations, I, nr. 596, p. 228; Nichel Balard, A propos de la bataille du Bosphore. L'expédition génoise de Paganino Doria à Constantinople (1351-1352), "Travaux et Mémoires du Centre de Recherches d'Histoire et Civilisation Byzantines", 4, 1970, pp. 431-469, ora anche in Id., La mer Noire et la Romanie génoise (XIIIe-XVe siècles), London 1989, cap. II; Ernst Werner, Die Geburt einer Grossmacht. Die Osmanen (1300-1481), Berlin 1966, p. 140.
128. F. C. Lane, Storia di Venezia, pp. 210-212; M. Balard, A propos; il saggio di John E. Dotson, The Voyage of Simon Lecavello: a Genoese Naval Expedition of 1351, in AA.VV., Saggi e documenti del Civico Istituto Colombiano, VI, Genova 1985, pp. 267-282, si interessa solo al percorso seguito da una delle galere della flotta genovese. Un breve riassunto del conflitto in P. Lock, The Franks in the Aegean, pp. 158-159. Il testo del trattato è pubblicato in Ihor P. Medvedev, Le traité byzantino-génois du 6 mai 1352, "Vizantijskij Vremennik", 38, 1977, pp. 161-172.
129. Liber Iurium, coll. 617-627; Wilhelm Von Heyd, Histoire du commerce du Levant au Moyen Äge, I-II, Amsterdam 1967, pp. 508-509; Teofilo O. De Negri, Storia di Genova, Milano 1968, pp. 462-463; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, pp. 313-316; F. C. Lane, Storia di Venezia, pp. 212-213; G. Cracco, Un "altro mondo", pp. 136-137; Eva S. e Gerhard Rösch, Venedig im Spätmittelalter 1200-1500, Würzburg 1991, pp. 64-65.
130. F. Thiriet, Regestes, nrr. 324, 325, pp. 87-88.
131. Bertold Spuler, Die Goldene Horde. Die Mongolen in Russland (1223-1502), Wiesbaden 1965, pp. 109-121; E.C. Skrzinskaja, Storia della Tana, pp. 14-15; M. Nystazopoulou Pélékidis, Venise et la mer Noire, pp. 29-30.
132. Maurice Lombard, Caffa et la fin de la route mongole, "Annales E.S.C.", 5, 1950, pp. 100-103; R.S. Lopez, Nuove luci, pp. 368-369.
133. M. Nystazopoulou Pélékidis, La ville de Sougdaia, pp. 50-51; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 157-158.
134. F. Thiriet, Regestes, nr. 576, p. 143; Vasil Gjuzelev, Il mar Nero e il suo litorale nella storia del Medioevo bulgaro, "Byzantinobulgarica", 7, 1981, pp. 21-23 (pp. 11-24); Id., Du commerce génois dans les terres bulgares durant le XIVe siècle, "Bulgarian Historical Review", 7, 1979, nr. 4, pp. 36-58; Id., Les relations bulgaro-vénitiennes durant la première moitié du XIVe siècle, "Études Historiques", 9, 1979, pp. 41-51; Michel Balard, Les Génois et les régions bulgares au XIVe siècle, "Byzantinobulgarica", 7, 1981, pp. 87-97, ora anche in Id., La mer Noire et la Romanie génoise (XIIIe-XVe siècles), London 1989, cap. IX. V. soprattutto Genova e la Bulgaria nel Medioevo. Atti delle "Giornate bulgare a Genova" 28-30 ottobre 1981, Genova 1984, con i contributi di Vasil Gjuzelev, I rapporti bulgaro-genovesi nei secoli XIII-XV, pp. 99-111, e Nuovi documenti sull'attività commerciale dei Genovesi nelle terre bulgare del secolo XIV, pp. 397-426, nonché di Elisaveta Todorova, Le relazioni di Dobrotiza con i Genovesi, pp. 235-248, e Gli insediamenti genovesi alle foci del Danubio: Vicina, Chilia, Licostomo, pp. 427-459.
135. E. Todorova, Le relazioni di Dobrotiza, pp. 242-244.
136. Federico E. Bollati Di Saint-Pierre, Illustrazioni. della Spedizione in Oriente di Amedeo VI (Il Conte Verde), Torino 1890; V. Gjuzelev, Il mar Nero, pp. 21-22.
137. Dionysios A. Zakythinos, Le chysobulle d'Alexis III Comnène empereur de Trébizonde en faveur des Vénitiens, Paris 1932; S. P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 85-101.
138. M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 171-174.
139. E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 54-62.
140. Freddy Thiriet, Una proposta di lega antiturca tra Venezia, Genova e Bisanzio nel 1362, "Archivio Storico Italiano", 113, 1959, pp. 321-334; E.A. Zachariadou, Trade and Crusade, pp. 63-69. Il 5 marzo 1357 ad Avignone viene rinnovata per cinque anni la lega tra Venezia, Cipro e gli Ospedalieri per la difesa di Smirne e la protezione dai corsari turchi. La partecipazione di Genova viene sollecitata nel 1362.
141. F. Thiriet, Délibérations, II, nr. 792, p. 37.
142. J.M J.L. De Mas Latrie, Histoire de file de Chypre, II, pp. 248-249; G. Hill, A Histoy of Cyprus, pp. 324-325; P.W. Edbury, The Kingdom of Cyprus, p. 164.
143. P.W. Edbury, The Kingdomof Cyprus, pp. 197 - 211; Id., Cyprus and Genoa, pp. 109-126; Catherine Otten-Froux, Les relations politico-financières de Gênes avec le royaume des Lusignan (1374-1460), in Coloniser au Moyen Âge, a cura di Michel Balard-Alain Ducellier, Paris 1995, pp. 61-75; D. Stöckly, Le système de l'Incanto, pp. 124-125.
144. G.M. Thomas, Diplomatarium, I, nrr. 153-155.
145. E. Ashtor, Levant Trade, pp. 64-102.
146. Freddy Thiriet, Venise et l'occupation de Ténédos au XIVe siècle, "Mélanges de 1'École Française de Rome", 65, 1953, pp. 219-245; George T. Dennis, The Reign of Manuel Il Palaeologus in Thessalonica 1382-1387, Roma 1961, pp. 26-34; John W. Barker, Manuel II Palaeologus 1391-1425. A Study in Late Byzantine Statesmanship, New jersey 1969, pp. 13-22.
147. Peter Charanis, The Strife' Among the Palaeologi and the Ottoman Turks 1370-1402, "Byzantion", 16, 1942-1943, pp. 286-314, ora anche in Id., Social, Economie and Political Lift in the Byzantine Empire, London 1973; G.T. Dennis, The Reign of Manuel, pp. 40-41; J.W. Barker, Manuel Il, pp. 31-34.
148. W. von Heyd, Histoire du commerce du Levant, I, pp. 519-520; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, pp. 327-332; F.C. Lane, Storia di Venezia, pp. 225-234; Vito Vitale, Breviario della Storia di Genova. Lineamenti storici e orientamenti bibliografici, I-II, Genova 1955: I, pp. 143-144; F. Thiriet, La Romanie vénitienne, pp. 177-178; T. O. De Negri, Storia di Genova, pp. 431-433; G. Cracco, Un "altro mondo", pp. 143-145.
149. Liber Iurium, coll. 858-906.
150. La questione di Tenedo monopolizza l'attenzione del senato veneziano fino all'aprile del 1384: cf. F. Thiriet, Regestes, pp. 150-159, 163. Sulle reazioni genovesi, cf. Francesco Surdich, Genova e Venezia fra Tre e Quattrocento, "Atti della Società Ligure di Storia Patria", n. ser., 7, 1967, nr. 2, pp. 221-227, 231-232 (pp. 205-327).
151. Luigi T. Belgrano, Prima serie di documenti riguardanti la colonia di Pera, "Atti della Società Ligure di Storia Patria", 13, 1877-1884, pp. 133-140 (pp. 97-336); Frani Dölger, Regesten der Kaiserurkunden des Oströmischen Reiches, I-V, Miinchen 1924-1965, nr. 3177; G.T. Dennis, The Reign of Manuel, pp. 50-51; J.W. Barker, Manuel Il, pp. 41-42.
152. F. Thiriet, Regestes, nrr. 653, 671, 683, 686, 689, pp. 159, 163, 166, 167.
153. S. P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 102, 131; D. Stöckly, Le système de l'Incanto, pp. 111-112.
154. W. von Heyd, Histoire du commerce du Levant, II, pp. 374-376; E.C. Skrzinskaja, Storia della Tana, p. 16; M. Berindei-G.Veinstein, La Tana-Azaq, p. 124.
155. M. Balard, La Romanie génoise, I, p. 156; D. Stöckly, Le s y s t è m e d e l'Incanto, pp. 111- 112.
156. S. P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 103-1 15.
157. Georghe I. Bratianu, La mer Noire. Des origines à la conquête ottomane, Munich 1969, pp. 245-249; Michel Balard, Gênes et la mer Noire (XIIIe-XVe siècles), "Revue Historique", 270, 1983, pp. 31-54, ora anche in Id., La mer Noire et la Romanie génoise (XIIIe-XVe siècles), London 1989, cap. V.
158. F. Surdich, Genova e Venezia, pp. 235-236.
159. F. Thiriet, Regestes, nr. 739, p. 178; Luigi T. Belgrano, Seconda serie di documenti riguardanti la colonia di Pera, "Atti della Società Ligure di Storia Patria", 13, 1877-1884, pp. 953-965 (pp. 931-1003); Camillo Manfroni, Le relazioni fra Genova, l'impero bizantino e i Turchi, "Atti della Società Ligure di Storia Patria", 28, 1896, pp. 719-720 (pp. 577-895).
160. F. Thiriet, La Romanie vénitienne, p. 356; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, pp. 335-336; M. Balard, La Romanie génoise, I, pp. 97-98.
161. F. Thiriet, Regestes, nrr. 789, 813, 829, pp. 189-190, 194, 197; F. Surdich, Genova e Venezia, p. 236.
162. Joseph Delaville Le Roulx, La France en Orient au XIVe siècle, I-II, Paris 1886: I, pp. 246-299; J.W. Barker, Manuel II, pp. 129-139; N. Housley, Zhe Later Crusades, pp. 76-79.
163. J. Delaville Le Roulx, La France en Orient, I, pp. 359-383; J. W. Barker, Manuel II, pp. 162- 168.
164. George T. Dennis, The Byzantine-Turkish Treaty of 1403, "Orientalia Christiana Periodica", 33, 1967, pp. 72-88; J.W. Barker, Manuel H, pp. 224-226.
165. J. M. J. L. De Mas Latrie, Histoire de file de Chypre, II, pp. 466-471; J. Delaville Le Roulx, La France en Orient, II, pp. 99-110; G. Hill, A History of Cyprus, pp. 449-456; F. Surdich, Genova e Venezia, pp. 242-254; Peter W. Edbury, Hè politikè Historia tou mesaionikou Vasileiou apo tè Vasileia tou Hougou D' mechri tè Vasileia tou Ianou (1324-1432), in Istoria tès Kyprou, a cura di Theodoros Papadopoullos, IV, Nicosia 1995, pp. 147-148.
166. J. Delaville Le Roulx, La France en Orient, I, pp. 436-446; F. Surdich, Genova e Venezia, pp. 255-265; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 2 17-221.
167. F. Surdich, Genova e Venezia, pp. 266-310.
168. J. Heers, Il commercio nel Mediterraneo, pp. 185-192; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 125-126.
169. E. Ashtor, Levant Trade, pp. 127- 136, 218-221.
170. J.M.J.L. de Mas Latrie, Traités de paix et de commerce, pp. 240, 244-249; Maria Teresa Ferrer I Mallol, Documenti catalani sulla spedizione franco-genovese in Berberia (1390), "Miscellanea di Studi Storici", I, 1969, pp. 211-261; A. Sacerdoti, Venezia e il regno hafsida, pp. 322-327.
171. Federigo Melis, Mercaderes italianos en España (siglos XIV-XVI), Sevilla 1976, p. 62.
172. R. Cessi, Le relazioni commerciali, p. 171. La tesi di dottorato, ancora inedita, di Eleanor A. Congdon, Venetian Mercantile Presente in the Western Mediterranean 1395-1405 (Cambridge University, 1996), sottolinea l'attività mercantile dei Veneziani nel Mediterraneo occidentale: lana, sale, metalli, seta, ma poche spezie e poche stoffe sono le principali merci. La Serenissima cerca di impiantare consolati veneziani nei principali scali della penisola iberica nell'ultimo decennio del Trecento.
173. D. Stöckly, Le système de l'Incanto, p. 157.
174. G. Petti Balbi, Mercanti e `nationes' nelle Fiandre, p.96.
175. A.A. Ruddock, Italian Merchants and Shipping, p. 136.