La Marmora, Alfonso Ferrero di
Militare e uomo politico (Torino 1804 - Firenze 1878). Diplomatosi all’Accademia militare di Torino, completò la sua formazione compiendo numerosi viaggi all’estero. In Prussia studiò l’organizzazione dell’artiglieria leggera e al suo ritorno ebbe da Carlo Alberto, appena salito al trono, l’incarico di riorganizzare l’artiglieria piemontese. Sempre a scopo di studio si recò poi in Ungheria, in Francia, in Spagna, in Egitto e in Algeria. Nel 1848 partecipò alla guerra d’indipendenza distinguendosi nell’assedio di Peschiera. Fu ministro della Guerra nei due brevissimi governi Pinelli e Gioberti, fino al febbraio 1849, allorché fu inviato con una divisione al confine della Toscana. Dopo Novara, La Marmora fu nominato commissario straordinario a Genova con l’incarico di reprimere la rivolta antisabauda scoppiata alla fine di marzo. Nel novembre 1849, durante il primo gabinetto d’Azeglio, fu chiamato di nuovo a reggere il ministero della Guerra, che tenne per circa dieci anni. In questo periodo riorganizzò l’esercito puntando a renderlo più snello ed efficiente: riordinò le ferme, introdusse il reclutamento nazionale, rese più moderne le fortificazioni, riformò il codice militare e strutturò le armate su cinque divisioni (senza più corpi d’armata). Nel 1855 ebbe il comando in capo della spedizione di Crimea e, al ritorno, riprese il portafoglio della Guerra, col grado di generale d’armata. Durante la campagna del 1859 fece parte del quartier generale del re. Dopo l’armistizio di Villafranca, tenne per sei mesi la presidenza del Consiglio, succedendo a Cavour dimissionario; quindi, nel 1860, passò a comandare il dipartimento di Milano e l’anno seguente quello di Napoli, con poteri civili e militari. Ritornato alla presidenza del Consiglio nel settembre 1864, pur essendo personalmente contrario alla Convenzione di settembre, la difese alla Camera e al Senato, in quanto era già stata sottoscritta dal re. Nel 1865, sotto il suo governo, furono varate le leggi di unificazione amministrativa e legislativa. Nello stesso anno La Marmora avviò con la Prussia i negoziati che dovevano condurre, nel 1866, all’alleanza e alla guerra contro l’Austria. Quando il conflitto fu imminente, cedette le redini del governo a Ricasoli, per assumere il comando effettivo dell’esercito in campo quale capo di stato maggiore. I contrasti con Cialdini, cui era affidato il comando di una parte delle truppe, e l’incerta condotta della campagna culminata nella sconfitta di Custoza lo portarono alle dimissioni. Amareggiato dalle aspre polemiche cui fu fatto segno a guerra finita, si ritirò a vita privata. Dopo l’occupazione di Roma nel 1870, tuttavia, fu chiamato ad assumere la carica di luogotenente generale del re, in attesa del trasferimento della capitale.