LA MARMORA
. Appartennero alla famiglia dei Ferrero della Marmora (v. appresso), i quattro fratelli che raggiunsero il grado di generale durante il periodo del Risorgimento (Carlo, Alberto, Alessandro e Alfonso), i quali ebbero i natali dal marchese Celestino e dalla marchesa Raffaella Argentera di Bersezio.
Carlo Giuseppe, nacque e morì a Torino (1788-21 febbraio 1854). Quando giunse all'età delle armi, il Piemonte era provincia dell'impero napoleonico. Arruolatosi nella cavalleria francese, partecipò a varî fatti d'arme dal 1806 al 1813. Alla restaurazione sabauda fece passaggio nell'esercito piemontese percorrendovi i varî gradi della gerarchia fino a quello di generale. Nominato aiutante di campo di Carlo Alberto prese parte in tale qualità alla prima guerra per l'indipendenza italiana (1848-49).
Alberto, nato a Torino il 7 aprile 1789, morto ivi il 18 marzo 1863, come il precedente fece le sue prime armi nell'esercito francese, dopo aver seguito i corsi nella scuola militare di Fontainebleau, dalla quale uscì nel 1807 sottotenente di fanteria. L'anno seguente fu col corpo del Macdonald nelle Calabrie e nel 1809 passò nell'esercito del regno d'Italia, prendendo parte alla campagna nel Veneto sotto il viceré Eugenio. Sul campo di battaglia di Bautzen (1813) fu decorato della Legion d'onore dalle mani stesse di Napoleone. Alla restaurazione sabauda passò come il fratello maggiore nell'esercito piemontese, ma non seppe dissimulare le sue simpatie per il liberalismo e allo scoppio della rivolta costituzionale (1821) simpatizzò per gl'insorti, ciò che gli valse, dopo l'insuccesso del moto, la dispensa dal servizio attivo e il confino in Sardegna. Trascorsi tre anni, fu richiamato in servizio, ma con incarichi che lo mantennero quasi sempre nell'isola, quale addetto allo Stato Maggiore del viceré. Nel 1840 raggiunse il grado di generale ed ebbe il comando della regia scuola di marina. Quando nel 1848, a ostilità aperte fra il Piemonte e l'Austria, Venezia chiese al re di Sardegna un generale per organizzare e comandare i volontarî ("Crociati") veneti, il L. fu colà inviato. Egli si adoperava alla non facile opera e aveva già alcuni dei suoi corpi, appena costituiti, alla difesa del basso Piave, quando l'austriaco Nugent, passando per Vittorio e Belluno, riuscì nella pianura trevigiana, alle spalle della difesa del Piave. Il L. pubblicò più tardi un opuscolo sulla sua missione nel Veneto (Alcuni episodî della guerra nel Veneto, Torino 1857). Nel 1849 ebbe il grado di luogotenente generale e la nomina a comandante generale della Sardegna.
La sua fama è particolarmente legata alla costruzione della Carta dell'Isola di Sardegna e alla monumentale opera che ne descrive minutamente le condizioni fisiche ed economiche. Il L., durante il suo soggiorno in Sardegna, percorse l'isola studiandone particolarmente la geologia con l'intendimento di costruirne la carta geologica appoggiandola su quella geografica che aveva costruita e pubblicata il Rizzi-Zannoni in base alle osservazioni del P. Tommaso Napoli. Ma un primo assaggio avendogli rivelata l'impossibilità di valersene per le inesattezze fondamentali che presentava, decise di procedere egli stesso a un lavoro di rilevamento appoggiato a una regolare triangolazione. Ottenuto il consenso della collaborazione dell'amico suo maggiore De Candia, già pratico di questi lavori, iniziò nel 1834 le operazioni con la misura di una base geodetica nelle adiacenze di Cagliari: da questa derivò un'ampia rete trigonometrica, controllandone i risultati con la misura di un'altra base nella piana di Oristano e ricollegandosi alla triangolazione francese della Corsica. Ne dedusse poi le coordinate dei vertici dalla stazione astronomica francese di Bonifacio. Per i particolari topografici, non potendosi applicare i consueti metodi di rilevamento pensò di ricorrere all'esecuzione di una serie di vedute panoramiche eseguite dai vertici della rete col sussidio della camera chiara e del teodolite. Ne ritrasse così gli elementi per la costruzione di una bella carta alla scala di 1:250.000, il contorno costiero della quale e le profondità marittime adiacenti dedusse dalla carta idrografica rilevata pochi anni prima dal capitano Smith per conto dell'ammiragliato britannico. Quanto all'altimetria interna, non avendo potuto servirsi per un guasto prodottosi nel teodolite del cerchio zenitale per le misure angolari, si valse di accurate e numerose determinazioni barometriche fatte con un barometro a mercurio. La carta fatta incidere a Parigi fu pubblicata in due fogli nel 1845, quattro anni dopo che era stata pubblicata alla scala medesima, dallo Stato Maggiore di Torino, la magnifica carta degli Stati Sardi in terraferma, della quale quella dell'isola del L. rappresentava il necessario complemento. Essa rimase per oltre un mezzo secolo, fino al compimento cioè dei nuovi rilevamenti eseguiti dall'Istituto geografico militare italiano che ne conserva i rami e ne cura la ristampa, la più perfetta rappresentazione cartografica dell'isola, della quale con insuperata efficacia ritrae le caratteristiche forme del terreno. L'opera descrittiva nella quale il L. raccolse il frutto delle sue svariate e diligentissime osservazioni nel campo geologico, archeologico, etnografico ed economico, apparve in una prima edizione nel 1826 col titolo Voyage en Sardaigne de 1819 a 1825 ou description statistique physique et politique de cette Ile, e altre edizioni ne seguirono a Parigi e a Torino. Successivamente pubblicò (a Torino nel 1860) Itsneraires de l'Ile de Sardaigne, tradotta in italiano con aggiunte, Roma 1917-1920. Sono degni di ricordo anche alcuni studî sulle isole Baleari e sull'isola di Gozo.
Alessandro, nato a Torino il 27 marzo 1799, morto di colera in Crimea il 7 giugno 1856. Ancora fanciullo fu iscritto fra i paggi della corte imperiale francese, allora rappresentata in Torino dalla principessa Paolina, sorella di Napoleone, e dal principe Camillo Borghese suo marito, governatore del Piemonte. Quindicenne ebbe il grado di sottotenente nel corpo della Guardia. Nel 1823, col grado di capitano si applicò a studî di organica militare, recandosi anche all'estero. Convinto della necessità che la tattica delle pesanti fanterie di linea dovesse trovare un complemento in formazioni più sciolte e in truppe leggermente armate e addestrate ad agili manovre, ottenne dal re Carlo Alberto la facoltà di sperimentare una compagnia di cacciatori costituita con quei concetti. La particolare cura posta nelle esercitazioni di tiro al bersaglio, valse a quelle truppe il nome di bersaglieri (v.). Progredendo nei gradi il L. ebbe compiti che lo mantennero attaccato alle truppe speciali da lui fondate, le quali, in pari tempo, andavano sviluppando il loro organismo. Fece la campagna del 1848 col grado di colonnello e vi guidò per la prima volta al fuoco i suoi bersaglieri. Dopo Novara, ebbe il comando della divisione militare di Genova. Nel 1855 partecipò alla spedizione di Crimea quale comandante la 2ª divisione, ma poco dopo lo sbarco fu colto da infezione colerica e in pochi giorni lasciò la vita a Kadïköy. Torino gli eresse una statua in divisa da bersagliere, opera del Cassano. La memoria del fondatore è anche oggi oggetto di particolare venerazione da parte dei bersaglieri dell'esercito italiano.
Alfonso, nato a Torino il 17 novembre 1804, morto a Firenze il 5 gennaio 1878. Entrato fanciullo nell'Accademia militare di Torino, ne uscì sottotenente a 19 anni. Inviato in Prussia per studiarvi l'organizzazione dell'artiglieria leggiera e le questioni relative agli allevamenti equini per l'esercito, ebbe poi da Carlo Alberto, appena salito al trono, l'incarico di riorganizzare l'artiglieria piemontese. In quell'occasione il L. fu animatore appassionato della nuova specialità denominata "artiglieria a cavallo". Riprese all'estero le sue peregrinazioni a scopo di studio, fu in Ungheria, in Francia, in Spagna, in Egitto e finalmente in Algeria. Ritornato in patria svolse un corso di materie artiglieresche ai due principi reali Vittorio Emanuele (duca di Savoia, poi re d'Italia) e Ferdinando (duca di Genova). Col duca di Genova fu, nel 1848, all'assedio di Peschiera, dopo essersi distinto in varî combattimenti precedenti, alla testa di un gruppo di batterie a cavallo. Dopo Custoza, fu al quartiere generale di Carlo Alberto, e quando a Milano la folla si adunò ostilmente innanzi al Palazzo Greppi, momentanea sede del sovrano, il L. ne uscì facendosi largo tra la folla e vi rientrò poco dopo con un buon nerbo di truppe piemontesi.
Dopo la campagna fu per breve tempo ministro della Guerra e Marina nel ministero Pinelli e poi di nuovo, e ancora brevemente, nel ministero Gioberti. Nel febbraio del 1849, gli fu affidato il comando di una divisione al confine toscano con una missione politica che fu disapprovata dal parlamento, talché ne conseguì la caduta del Gioberti. Dopo Novara (1849) fu nominato commissario straordinario a Genova, insorta per protestare contro la disgraziata fine della prima guerra d'indipendenza, e dovette aprirsi a forza il passo dopo un combattimento a S. Benigno. Nel novembre 1849, nuovamente chiamato a reggere il Ministero della guerra rimase in tale carica per circa dieci anni e la lunga permanenza gli consentì di compiere radicalì riforme dell'organismo militare. Migliorata la cultura dei quadri, conferita nuova importanza al servizio di Stato Maggiore, data forza giuridica allo stato degli ufficiali e al trattamento di pensione, regolato l'avanzamento, rimodernate le fortificazioni, riformato il codice militare, compilati nuovi regolamenti di disciplina e di esercizî, basata l'intelaiatura dell'esercito piemontese su cinque divisioni (senza corpi d'armata), il L. riuscì a presentare un esercito piccolo, ma vigoroso, che diede ottime prove in guerra. Nel 1855 gli fu conferito il comando in capo della spedizione di Crimea e, al ritorno, riprese il portafoglio della Guerra, col grado di generale d'armata. Durante la campagna del 1859 fece parte del quartier generale del re. Dopo l'ammistizio di Villafranca, ritiratosi il Cavour dal governo, assunse per breve tempo la presidenza del Consiglio dei ministri. Comandò in seguito il dipartimento di Milano (1860), quindi fu inviato a Napoli (1861) con poteri civili e milìtari. Nel 1865 fu nuovamente a capo del governo e, in tale veste, iniziò con la Prussia i negoziati che dovevano condurre all'alleanza. Quando la guerra fu imminente, cedette le redini del governo al Ricasoli, per assumere il comando effettivo dell'esercito in campo, quale capo di Stato Maggiore del re Vittorio Emanuele II. Ma, così nella preparazione strategica della campagna, come nell'infausta giornata di Custoza, il L. non fu all'altezza della sua fama.
E infatti, il piano di guerra, imperniato per riguardi personali verso un altro illustre generale (il Cialdini) su di una separazione dell'esercito in due masse lontane e pressoché indipendenti, fu tra le cause precipue per cui la superiorità numerica degl'Italiani nello scacchiere operativo, si mutò in un'inferiorità sul campo tattico della lotta; e la condotta del La M. quando si accese l'impreveduta battaglia, fu determinata da un pessimismo che la tenace resistenza delle truppe non giustificò affatto. Cedendo al preconcetto della sconfitta, girovagò sulle retrovie del campo di battaglia fin dalle prime ore, per assicurare la ritirata alle truppe attraverso il Mincio; ciò lo rese irreperibile e il comando supremo non poté funzionare, mentre un'energica direzione avrebbe corretto le prime incertezze di alcuni subordinati e rinvigorito l'azione sostenuta da altri. Senza assumere la gravità che ebbe, pochi giorni dopo, la condotta del Persano a Lissa, bisogna riconoscere che la condotta del La M. a Custoza oscurò la sua fama militare, fino allora indiscussa.
Dimesso durante la guerra dalla carica di capo di Stato Maggiore e amareggiato dalle aspre polemiche cui fu fatto segno a guerra finita (e alle quali partecipò con pubblicazioni sue o da lui ispirate) condusse vita privata, da cui uscì per breve tempo dopo l'occupazione di Roma (1870), per assumere quivi la carica di luogotenente generale del re, in attesa del trasporto della capitale.
Tra i suoi scritti ricordiamo: Un episodio del risorgimento italiano, Firenze 1875; Un po' più di luce sugli eventi politici e militari dell'anno 1866, 6ª ed., ivi 1879.