La matematica
L’Italia è stata per cinque secoli al centro della ricerca e degli insegnamenti matematici. A partire dalla seconda metà del 12° sec., quando Gherardo da Cremona, Platone da Tivoli e Leonardo Pisano introdussero in Italia la scienza appresa dagli arabi, fino ai maggiori sviluppi della scuola galileiana e alla scomparsa nel quarto decennio del Seicento di Galileo Galilei, Bonaventura Cavalieri ed Evangelista Torricelli, chi voleva studiare matematica a un livello avanzato, non poteva prescindere degli autori italiani. Gottfried Wilhelm von Leibniz studiò ancora le serie sulle Novae quadraturae (1650) di Pietro Mengoli e l’algebra sul celebre volume di Rafael Bombelli (L’algebra, 1572).
L’emergere prepotente dei metodi analitici per opera di François Viète e René Descartes, i ritardi accumulati sia per eccessiva fedeltà ai metodi geometrici degli antichi, sia come conseguenza della condanna di Galilei che faceva apparire sospetta ogni novità, determinarono, nella seconda metà del Seicento, un rapido arretramento della cultura matematica in Italia. Essa riuscì a scuotersi da un sostanziale torpore solo in relazione alla promozione culturale esercitata da Leibniz nel suo viaggio in Italia nel 1689-90, il quale aveva appena pubblicato la Nova methodus pro maximis et minimis (1684) che segna la data di nascita del calcolo differenziale. Un gruppo di giovani studiosi, a Bologna e a Padova, seppe impossessarsi dei nuovi metodi e produsse risultati notevoli a livello internazionale, come gli studi sulle equazioni differenziali ordinarie di Gabriele Manfredi (1707, 1710), la rettificazione delle sezioni coniche e lo studio della lemniscata di Giulio Carlo de’ Toschi di Fagnano (1717), la riduzione al primo grado di equazioni di ordine superiore e sue conseguenze (equazione di Jacopo Riccati, 1724).
Questi rilevanti e promettenti studi si andarono estinguendo però con il progressivo ritiro dei loro autori dalla ricerca scientifica di punta. A metà del secolo Manfredi era impiegato a Bologna della magistratura cittadina e si occupava soprattutto delle acque del Bolognese; Fagnano e Riccati si erano ritirati rispettivamente a Senigallia e nel Trevigiano ad amministrare le loro proprietà. Ma erano ancora loro i riferimenti in Italia per chi volesse entrare nella ricerca matematica. A Riccati guardavano i suoi figli Vincenzo e Giordano e Maria Gaetana Agnesi, a Fagnano il giovane Giuseppe Luigi Lagrange, a Manfredi si rivolgevano quanti frequentavano l’ambiente bolognese e il celebre Istituto delle scienze.
Per sfuggire a una situazione in sostanza stagnante, a metà del secolo Lagrange si era riferito a Parigi (a Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert) e a Berlino (a Leonhard Euler), e anche a Pierre-Louis Moreau de Maupertuis e a Daniel Bernoulli, con i quali stabilì un carteggio scientifico in cui si trovano le maggiori novità di allora della ricerca matematica in Italia: il calcolo delle variazioni e lo studio delle equazioni differenziali alle derivate parziali.
Lagrange lasciò Torino per Berlino nel 1766 e non fece più ritorno in patria. Nel 1787 si trasferì a Parigi dove morì, senatore e conte dell’impero napoleonico, nel 1813: nello studio dei decenni a cavallo tra Settecento e Ottocento in Italia non si può prescindere dalla sua opera, anche se essa eccede ampiamente i confini delle Alpi e del Mediterraneo.
Il periodo tra la metà del Settecento e l’arrivo dei francesi in Italia (1796) è caratterizzato da una ripresa degli studi matematici, ancorati non più al quadro culturale del primo Settecento. Lentamente ma inesorabilmente i maggiori studiosi, come Gregorio Fontana, Gianfrancesco Malfatti, Paolo Frisi, Lorenzo Mascheroni, ma anche personalità scientifiche più modeste come Alfonso Bonfioli Malvezzi e Sebastiano Canterzani a Bologna, Giacomo Tomasini a Pisa, Mariano Fontana a Pavia guardano alle novità scientifiche internazionali.
L’opera di d’Alembert, con i suoi numerosi articoli matematici nella Encyclopédie, la quale ebbe due riedizioni in Italia, a Lucca e a Livorno («Dix-huitième siècle», 2008, 40), non apparve tuttavia la via maestra per entrare nella ricerca matematica. Chi voleva imparare la matematica, lo ricordò Lagrange nelle sue tardive conversazioni a Parigi con il barone Frédéric Maurice, doveva studiare Eulero. Egli dichiarava che aveva appreso non solo la meccanica, ma anche l’analisi leggendone la Mechanica (1736). A essa Eulero aveva fatto seguire una trattazione praticamente completa di tutti i metodi analitici con l’Introductio in analysin infinitorum (1748), le Institutiones calculi differentialis (1755) e le Institutiones calculi integralis (3 voll., 1768-1770). Qui si trovava la presentazione delle funzioni e dei loro sviluppi in serie di potenze, un uso straordinariamente efficace dei metodi del calcolo differenziale di Leibniz e dei Bernoulli, reso compatibile con la concettualizzazione newtoniana, gli sviluppi più recenti della teoria delle equazioni differenziali, del calcolo integrale, del calcolo delle variazioni.
Le Institutiones calculi differentialis furono ripubblicate a Pavia (1787) con alcune appendici e con l’elogio di Eulero scritto da Condorcet. Sempre a Pavia Mascheroni pubblicò le sue Adnotationes ad calculum integralem Euleri (1790, 1792) nelle quali si trova trattata ampiamente la celebre costante di Eulero-Mascheroni, in seguito solitamente indicata con la lettera γ: γ=0,57721 56649 01532 86060…
L’irrazionalità e la trascendenza di questo numero, che ha assunto un ruolo molto importante in teoria dei numeri e in molti altri campi della matematica, costituiscono ancora un problema aperto, mentre il calcolo di numerosissime sue cifre decimali costituisce un banco di prova dei metodi numerici e della potenza dei calcolatori elettronici (L. Mascheroni, Memorie analitiche, a cura di L. Pepe, 2000). Mascheroni aveva già dato prova del suo talento matematico pubblicando le Nuove ricerche sull’equilibrio delle volte (1785), che gli era valso il conferimento di una cattedra nell’Università di Pavia. Suo collega a Pavia era Gregorio Fontana che, curando anche la biblioteca dell’Università, aveva aperto la cultura matematica pavese ai migliori contributi internazionali. Per sua iniziativa furono stampati i manuali di matematica, meccanica e idrodinamica di Charles Bossut, che segnavano un grande passo in avanti per l’apprendimento della matematica. Bossut apparteneva al mondo culturale dell’Académie des sciences e dell’Encyclopédie; aveva collaborato sia con d’Alembert sia con Condorcet.
A Milano operavano Frisi e Ruggiero Giuseppe Boscovich. Il barnabita Frisi, che apparteneva al gruppo riformatore del «Caffè» di Cesare Beccaria e Pietro Verri, fu per un certo periodo il matematico italiano più noto internazionalmente per i suoi studi di matematica applicata alla meccanica, al moto delle acque, all’astronomia (Ideologia e scienza, 1987). Il gesuita Boscovich era arrivato in Lombardia da Roma per rilanciare gli studi matematici nell’Ateneo ticinese, ma l’ambiente gli apparve poco stimolante intellettualmente e quindi decise di trasferirsi a Milano. Qui contribuì alla costruzione dell’importante osservatorio astronomico di Brera ed ebbe validi allievi come Francesco Luino e Angelo de Cesaris (R.J. Boscovich. His life and scientific work, 1993).
Boscovich era uno scienziato noto fuori d’Italia, e quando, nel 1773, la Compagnia di Gesù fu sciolta dalla bolla di papa Clemente XIV Dominus ac redemptor, trovò posto a Parigi come consigliere del re per i problemi della Marina. La soppressione dell’ordine dei gesuiti fu accompagnata dalla riforma di alcune università e dal rilancio di diversi collegi concorrenti, come quelli degli scolopi e dei barnabiti. Negli anni che precedettero la soppressione canonica, alcuni dei gesuiti espulsi dalla Spagna, dal Portogallo e dalle loro colonie del Sud e del Centro America si stabilirono nello Stato della Chiesa. Non pochi si inserirono nella cultura scientifica dei Paesi ospiti dando contributi rilevanti, come il valenziano Juan Andrés, autore di un bel Saggio della filosofia del Galileo (1776) e di un’imponente opera sulla storia universale della cultura, stampata a Parma dalla tipografia di Bodoni: Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura (dal 1782), di cui un intero volume era dedicato alle scienze (La presenza in Italia dei gesuiti iberici espulsi, 2010).
Anche per i gesuiti italiani gli anni che precedettero o seguirono la secolarizzazione furono segnati da un notevole attivismo che ricordava gli anni della fondazione della Compagnia a metà del Cinquecento. Tra gli interlocutori della cultura progressiva dell’epoca troviamo ex gesuiti come Gerolamo Tiraboschi, bibliotecario a Modena e autore di una Storia della letteratura italiana che dedica ampio spazio alle scienze. Altri gesuiti si distinsero per la critica al pensiero illuminista, come Alfonso Muzzarelli, che sottopose a revisione radicale il pensiero di d’Alembert, di Jean-Jacques Rousseau e dell’Encyclopédie con toni e argomenti che furono in seguito ripresi nell’età della Restaurazione.
A Ferrara riuscì la riforma dell’Università (1771), tentata invano a Bologna e a Roma, grazie all’opera di un alto prelato: monsignor Giovanni Maria Riminaldi. Furono create due cattedre di matematica, affidate rispettivamente a Gianfrancesco Malfatti (1736-1807) e a Teodoro Bonati (1724-1820). Malfatti fu uno dei matematici italiani più originali del suo tempo: i suoi lavori sulla ‘risolvente di Malfatti’ per le equazioni algebriche, sul calcolo delle probabilità, sul ‘problema di Malfatti’ appartengono alla letteratura matematica internazionale (Gianfrancesco Malfatti nella cultura del suo tempo, 1982). Bonati divenne il maggiore esperto tra Settecento e Ottocento della direzione dei fiumi e per gli esperimenti idraulici (T. Bonati, Carteggio scientifico: Lorgna, Canterzani, Frisi, Saladini, Calandrelli, Venturi, a cura di M.T. Borgato, A. Fiocca, L. Pepe, 1992).
Alla fine del 18° sec. il movimento riformatore, che aveva toccato il suo apice per quanto riguardava le istituzioni scientifiche negli anni della soppressione dei gesuiti, dai cui collegi provenivano anche in biblioteche pubbliche importanti raccolte librarie, dimostrava tutta la sua debolezza. I governanti riformatori o gli alti prelati che avevano promosso alcune riforme come Pietro Leopoldo in Toscana, Carlo Firmian nel Milanese, Riminaldi a Ferrara, o erano morti o avevano temuto gli sviluppi della Rivoluzione in Francia. D’altra parte gli studiosi, i professori universitari, che avevano spinto e assecondato queste riforme, erano insoddisfatti dei loro esiti parziali. Così quando, nella primavera del 1796, l’armata repubblicana francese, guidata da Napoleone Bonaparte, attraversò le Alpi ed entrò trionfalmente a Milano dopo avere sbaragliato austriaci e piemontesi, non furono in pochi ad accogliere i ‘liberatori’ con un sospiro di sollievo: finalmente era arrivato il momento di fare qualcosa sul serio.
La repubblica delle lettere veniva sostanziata dalle Costituzioni repubblicane che, a imitazione della Costituzione francese dell’anno 3 (Gillispie 2004), furono adottate a Milano (Repubblica cisalpina, 1797), a Genova (Repubblica ligure, 1798), a Roma (Repubblica romana, 1798) e a Napoli (Repubblica napoletana, 1799). Ai professori universitari fu richiesto un giuramento di fedeltà. Qualcuno, che per laurearsi non aveva esitato a sottoporsi a una fortemente discriminante Professio fidei, imposta dal Concilio di Trento, rifiutò di giurare (tra di essi Luigi Galvani e Clotilde Tambroni a Bologna). La gran parte dei professori non solo giurò (Malfatti a Ferrara, Alessandro Volta a Pavia e così via), ma assunse importanti cariche pubbliche, anche fuori dalle università, come Gregorio Fontana e Mascheroni che fecero parte della giunta che preparò la Costituzione della Repubblica cisalpina (1797). Entrambi furono membri poi del Gran consiglio della Repubblica. Mascheroni fu un parlamentare molto attivo: prese la parola in difesa del sistema proporzionale, nelle questioni riguardanti l’organizzazione amministrativa del territorio e, soprattutto, fu membro della Commissione per la pubblica istruzione che elaborò il primo piano generale dell’istruzione pubblica presentato al Gran consiglio nell’estate del 1798 (Pepe 2007).
Mascheroni era stato in contatto diretto con il generale Bonaparte, molto interessato alla matematica, e gli aveva dedicato la sua opera più celebre, La geometria del compasso (1797), nella quale si dimostra che tutte le costruzioni geometriche realizzabili con riga e compasso si possono realizzare con il solo compasso. L’opera ebbe un grande successo internazionale e fu tradotta in francese e in tedesco.
Mascheroni nel settembre del 1798 si era trasferito a Parigi per prendere parte, come rappresentante della Repubblica cisalpina, al Congresso internazionale per l’approvazione definitiva del sistema metrico decimale. Di questa commissione fu membro assai attivo. Colpito da una malattia polmonare, si spense a Parigi il 14 luglio 1800 (Pepe 2007).
Anche in altre Repubbliche furono attivi intellettuali di formazione scientifica. A Roma la Repubblica fu creata da Gaspard Monge, che ne nominò il personale politico (G. Monge, Dall’Italia (1796-1798), a cura di S. Cardinali, L. Pepe, 1993). Un giovane matematico lucchese, Pietro Franchini, fu nominato tribuno; l’astronomo Giuseppe Calandrelli fu membro dell’Istituto della Repubblica romana, previsto dalla Costituzione romana. L’Istituto elaborò un piano di riorganizzazione delle università dello Stato pontificio che costituisce un curioso precedente della riforma di Leone XII (1824), preparata dal cardinale Ercole Consalvi (Pepe 2005).
Membro dell’Istituto della Repubblica ligure fu Ambrogio Multedo, che vi scrisse sulle serie di funzioni e rappresentò la Repubblica al Congresso sul sistema metrico. La Repubblica napoletana vide tra i suoi rappresentanti di spicco Nicola Fiorentino, Carlo Lauberg e Annibale Giordano di Ottaviano: tutti e tre matematici ben informati sulle ricerche contemporanee e, nel caso di Giordano, capaci di ricerche originali («Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», 1996, 108, 2). Nel breve periodo di governo repubblicano della Toscana emerse la figura di Vincenzo Brunacci, allievo all’Università di Pisa di Pietro Paoli, destinato a diventare professore a Pavia e maestro di una generazione di nuovi matematici che incluse Ottaviano Fabrizio Mossotti e Antonio Bordoni. Ardente fautore del nuovo ordine fu a Firenze anche Pietro Ferroni, mentre Vittorio Fossombroni, che prima aveva guardato con simpatia e interesse alle novità venute da oltralpe, preferì seguire il granduca di Toscana nell’esilio (Nagliati 2009).
La restaurazione però non si fece attendere. Approfittando dell’assenza di Bonaparte, impegnato in Egitto, una nuova coalizione, che si avvaleva soprattutto di truppe austriache e russe guidate dal generale Aleksandr V. Suvarov, sconfisse ripetutamente i generali francesi e li costrinse ad abbandonare l’Italia ai vecchi padroni. Per un anno, dal giugno 1799 al giugno 1800, si cercò di cancellare tutte le novità, deportando o imprigionando quanti avevano collaborato con i francesi, come Giordano e Gregorio Fontana, e costringendo altri alla fuga o all’esilio, come Brunacci, che trascorse alcuni mesi a Parigi, dove ebbe contatti molto proficui con Lagrange, Pierre-Simon de Laplace e l’ambiente dell’Institut de France.
Nel triennio repubblicano vi furono pubblicazioni insigni riguardanti le scienze matematiche, la cui originalità ci fa tornare a centocinquanta anni prima, ossia agli anni galileiani. La geometria del compasso di Mascheroni si inseriva in quel ritorno di interesse per i metodi geometrici che stava caratterizzando la nuova didattica nata dalla Rivoluzione francese, i cui esempi più illustri sono la Géometrie descriptive di Monge, insegnata all’École normale dell’anno 3 (e parzialmente tradotta in italiano nel 1798) e gli Éléments de géometrie (1794) di Adrien-Marie Legendre. La teoria generale delle equazioni (1799) di Paolo Ruffini presentava il suo celebre teorema sull’insolubilità per radicali delle equazioni algebriche generali di grado superiore al quarto. Il Calcolo integrale delle equazioni lineari (1798) di Brunacci, sostenuto per la stampa dal granduca Ferdinando III, trattava con originalità di metodi e di risultati un argomento nel quale Paoli e Brunacci hanno un giusto rilievo internazionale: le equazioni alle differenze finite o di tipo misto.
Accanto alle opere di matematica si devono ricordare lavori dedicati alla storia della scienza italiana, quale l’Origine, trasporto in Italia, primi progressi in essa dell’algebra (2 voll., 1797-1799) di Pietro Cossali, nella quale venivano valorizzate l’opera e l’originalità di Leonardo Pisano. A Parigi per il Congresso sul sistema metrico Giambattista Venturi ebbe modo di studiare le opere matematiche di Leonardo da Vinci conservate per secoli nella Biblioteca Ambrosiana a Milano e portate in Francia in esecuzione ai trattati di pace. Ne nacque l’opera che segnalò l’importanza di Leonardo come scienziato: Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Léonard de Vinci (1797).
La vittoria di Napoleone a Marengo il 14 giugno 1800 segnò la fine della prima restaurazione, il ritorno della Repubblica cisalpina e degli esuli dalla Francia. L’Università di Pavia fu il laboratorio delle riforme degli insegnamenti superiori, solidamente appoggiate alle innovazioni delle quali era stata fatta oggetto negli anni degli ultimi governi asburgici. Alla cattedra di matematica, essendo morto Mascheroni e in cattive condizioni di salute Gregorio Fontana in seguito alla deportazione e alla prigionia, fu chiamato da Parigi Brunacci. Fu un evento fortunato per la matematica italiana, favorito dalla nuova legge sulla pubblica istruzione della Repubblica italiana, che il 26 gennaio 1802 prese il posto della Cisalpina con presidente Bonaparte (Congresso di Lione). L’istruzione superiore venne affidata alle sole Università di Pavia e di Bologna e ad alcune scuole speciali. L’antica facoltà delle Arti dava luogo alla facoltà di Matematica, deputata alla formazione culturale degli agrimensori, degli architetti e degli ingegneri. Insieme alla riforma dell’istruzione fu creato l’Istituto nazionale della Repubblica italiana (17 agosto 1802), «incaricato di raccogliere le scoperte e di perfezionare le scienze e le arti». I membri erano divisi in tre sezioni: «scienze fisiche e matematiche, scienze morali e politiche, letteratura e belle arti» (Pepe 2005, p. 145). I primi componenti furono nominati da Bonaparte, gli altri vennero scelti con un sistema misto: nomina politica e cooptazione tra pari.
Tra i membri dell’Istituto vi furono artisti letterati e medici famosi come Andrea Appiani, Vincenzo Monti e Pietro Moscati e molti matematici e astronomi: Giuseppe Avanzini, Bonati, Brunacci, Antonio Cagnoli, Canterzani, Paolo Cassiani, Angelo de Cesaris, Paolo Delanges, Pio Fantoni, Gregorio Fontana, Mariano Fontana, Giambattista Guglielmini, Giuseppe Mari, Barnaba Oriani, Giovanni Paradisi, Giuseppe Piazzi, Ruffini, Girolamo Saladini, Simone Stratico (sull’argomento, cfr. Pepe 2005).
Si trattava di professori delle Università di Bologna o di Pavia, di idraulici e meccanici famosi, di astronomi di Brera. Una rappresentanza persino sovradimensionata rispetto al quadro generale della cultura e della ricerca in Italia che l’Istituto voleva rappresentare globalmente. Era la conseguenza dell’affermazione delle materie scientifiche nel secolo dei lumi e il risultato della maggiore professionalizzazione allora garantita dalle scienze matematiche (che includevano astronomia, meccanica e idraulica).
Tra il 1806 e il 1813 a Bologna, sede dell’Istituto per antica tradizione di studi, e in forza del compromesso istituzionale, con il quale Milano era diventata capitale della Repubblica, si sviluppò una notevole attività editoriale che portò alla pubblicazione di quattro volumi di Memorie dell’Istituto Nazionale. Classe di fisica e di matematica. Oriani, divenuto celebre per i suoi studi sull’orbita del pianeta Urano, scoperto nel 1786 da William Herschel, stampò tre memorie di geodesia teorica (trigonometria sferoidica), Ruffini ripresentò i suoi contributi sull’insolubilità per radicali delle equazioni. Brunacci studiò condizioni ‘tipo Legendre’ per i funzionali integrali del calcolo delle variazioni. Saladini riunì in una sola classe di curve algebriche la lemniscata di Bernoulli, le ovali di Cassini, le curve dotate delle proprietà dell’isocronismo. Paradisi produsse un interessante lavoro sulla vibrazione delle lamine elastiche. Mariano Fontana pubblicò una memoria di storia dell’aritmetica, rievocando l’opera di Francesco Maurolico. Avanzini diede alle stampe diverse importanti memorie sulla resistenza dei fluidi (Pepe 2005, pp. 177-89).
Accanto all’Istituto nazionale rimaneva in vita una società scientifica semipubblica, la Società italiana fondata a Verona da Anton Maria Lorgna, che aveva pubblicato a spese del fondatore sette volumi di Memorie di matematica e fisica dal 1782 al 1794 (Farinella 1993). Le stampe subirono un’interruzione con la morte di Lorgna ma la Società, alla quale la Repubblica di Venezia aveva negato ogni contributo, ricevette sostegno economico dai governi napoleonici. La pubblicazione delle Memorie poté così riprendere con una certa regolarità, sotto la presidenza di Cagnoli, e dal 1799 al 1816 furono stampati undici volumi. Tra gli autori di memorie di matematica troviamo Pietro Franchini, Vittorio Fossombroni, Paoli, Malfatti, Ruffini e Gioacchino Pessuti, in rappresentanza di vari Stati nei quali restava divisa l’Italia.
Tra questi lavori segnaliamo la Memoria sopra un problema stereotomico di Malfatti (in Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle scienze, 10° vol., parte I, 1803, pp. 234-44), il celebre ‘problema di Malfatti’ consistente nel ricavare da un prisma triangolare tre cilindri del massimo volume totale ossia di iscrivere in un triangolo qualsiasi tre cerchi di area totale massima. Su questo problema si applicarono alcuni dei grandi geometri dell’Ottocento, come Jacob Steiner, Arthur Cayley e Alfred Clebsch.
Un’altra celebre memoria, stampata in proprio nel 1804 a Modena da Ruffini, Sopra la determinazione delle radici nelle equazioni numeriche di qualunque grado, presentava un metodo per la risoluzione numerica delle equazioni algebriche che anticipava il celebre metodo di Horner (W.G. Horner, A new method of solving numerical equations of all orders by continuous approximation, «Philosophical transaction», 1819; La matematica in Italia, 1800-1950, 2001).
Un importante trattato di analisi matematica fu pubblicato da Brunacci, il Corso di matematica sublime (4 voll., 1804-1808). L’autore partiva da una variante della teoria delle funzioni analitiche di Lagrange, che egli chiamava calcolo delle derivazioni. L’opera, notevole per la sua completezza, contiene anche risultati nuovi come il ‘teorema di Brunacci-Abel’ sulle serie. Brunacci compose anche un compendio del suo Corso per uso delle università e un trattato di algebra e geometria a uso dei licei previsti dalla riforma del 1802, in sostituzione degli antichi collegi. Un altro notevole trattato generale, nascosto sotto il titolo modesto di Elementi d’algebra, fu ripubblicato con notevoli aggiunte da Paoli (3 voll., 1803-1804). Egli fondava il calcolo differenziale sulla teoria dei limiti (Isaac Newton, d’Alembert). La nuova edizione comparava il metodo dei limiti con la teoria delle funzioni analitiche. Altre aggiunte riguardavano la teoria delle equazioni algebriche (Lagrange, Ruffini), le equazioni alle derivate parziali, le equazioni alle differenze finite parziali, che era diventato il suo principale campo di ricerca matematica. A Pisa venne stampata anche la prima traduzione italiana degli Elementi di geometria (1802) di Legendre, un manuale straordinariamente fortunato in tutta Europa per buona parte dell’Ottocento (La matematica in Italia, 1800-1950, 2001).
Nel 1805 la Repubblica Italiana si trasformò in Regno d’Italia con a capo sempre Napoleone: imperatore dei francesi e re d’Italia. Al Regno d’Italia venne annesso nel 1806 il Veneto e nel 1808 parte dello Stato pontificio. L’Italia veniva a essere sostanzialmente divisa in tre parti: il Regno d’Italia, il Regno di Napoli (affidato a Giuseppe Bonaparte, e poi a Gioacchino Murat) e i territori annessi all’impero francese che comprendevano la Liguria, la Toscana, il Piemonte, il Lazio e l’Umbria. In questi Stati valevano le stesse leggi in vigore a Parigi e anche l’istruzione era regolata dalle leggi francesi (Le università napoleoniche, 2008). Fossombroni e Lagrange erano senatori dell’Impero. Diversi giovani italiani andarono a studiare all’École polytechnique di Parigi, come i toscani Gaetano Giorgini e Alessandro Manetti. I governanti francesi manifestarono rispetto e attenzione alle tradizioni cultura- li locali e in particolare alla lingua italiana, promuovendo traduzioni dei manuali di aritmetica di Jean-Baptiste Biot e di algebra di Sylvestre-François Lacroix (http://mathematica.sns.it).
Napoli, che era la più grande città d’Italia, forniva con la sua editoria tutta l’Italia meridionale continentale e notevole risultava ancora la produzione di manuali di matematica. Venne anche istituita a Napoli da Murat la Reale scuola politecnica e militare per la quale fu pubblicata una raccolta di pregevoli manuali riguardanti le varie parti delle matematiche. Nel Regno di Napoli si assistette anche a un recupero della geometria antica da parte di Vincenzo Flauti, con la stampa di volumi che furono apprezzati dai cultori dei metodi geometrici classici, ma che si collocavano fuori dalle linee di sviluppo della matematica europea (Grattan-Guinness 1990).
Nell’aprile 1814 il Regno d’Italia cadeva sotto la pressione delle armate austriache ma l’attività scientifica dell’Istituto italiano proseguiva a Milano con notevole regolarità, grazie alla protezione del governatore militare austriaco Heinrich Joseph conte di Bellegarde e del direttore generale dell’Istruzione del Regno, Giovanni Scopoli, confermato nelle sue funzioni. Per un paio d’anni le sedute si svolsero in modo quasi regolare e alcune delle dissertazioni presentate furono pubblicate tra le Memorie dell’I.R. Istituto del Regno Lombardo Veneto (1° e 2° voll., 1824).
Al di là dell’apparente continuità, l’Istituto viveva una crisi profonda che si accentuò con il licenziamento di Scopoli e il suo ritiro a vita privata. Man mano che i soci scomparivano non venivano rinnovati. In generale le risorse pubbliche messe a disposizione furono esigue (Berengo 1980).
A Pavia, alla morte di Brunacci (1818), un solo suo allievo, Antonio Bordoni (1789-1860), trovò posto di professore, mentre il più brillante Mossotti dovette trasferirsi a Milano, all’Osservatorio di Brera, dove poté continuare a occuparsi di meccanica celeste. Nel 1825 l’imperatore Francesco I visitò Milano e il palazzo di Brera: fece il bel gesto di disporre per l’osservatorio l’acquisto di un nuovo circolo meridiano e di promuovere alcune migliorie. Mossotti collaborò anche al «Conciliatore», foglio scientifico-letterario stampato da Vincenzo Ferrario a partire dal 3 settembre 1818. Il periodico, animato da Silvio Pellico, Giovanni Rasori e Gian Domenico Romagnosi, durò solo due anni e fu chiuso dalla polizia austriaca. Accusato di cospirazione, Mossotti dovette fuggire all’estero per sottrarsi all’arresto e al carcere duro. Fu a Ginevra, a Londra e poi a Buenos Aires dove continuò la sua attività scientifica ed ebbe un ruolo molto importante nella creazione dei primi istituti scientifici dell’Argentina (Universitari italiani nel Risorgimento, 2002).
Nel 1800 Giuseppe Piazzi, che dirigeva allora l’Osservatorio astronomico di Palermo, scoprì il primo pianetino, Cerere, che egli battezzò Ferdinandea, in onore del re di Napoli allora relegato in Sicilia. Giovanni Plana, invece, era dovuto fuggire in Francia, poiché a soli quindici anni (nel 1796) aveva piantato a Voghera un albero della libertà. Stabilitosi a Grenoble, dove aveva conosciuto Stendhal, continuò poi gli studi all’École polytechnique di Parigi. Tornato a Torino sposò Alessandra, nipote di Lagrange. Con la restaurazione della monarchia dei Savoia, Plana fu nominato direttore dell’Osservatorio astronomico. Si dedicò, prima con Francesco Carlini e Oriani, allora a Brera, e poi da solo, allo studio del movimento della Luna – esempio del problema meccanico dei tre corpi, che richiede per la soluzione lunghi calcoli e approssimazioni. Le ricerche di Plana sul moto della Luna confluirono in un’opera colossale di oltre duemila pagine in stretto stile lagrangiano, priva di figure, la Théorie du mouvement de la Lune stampata a Torino nel 1832 in 3 volumi (La matematica in Italia, 2001, pp. 101-102).
La teoria delle funzioni analitiche di Lagrange continuava a essere il punto di riferimento per il calcolo differenziale quando l’attaccamento legittimista alla dinastia dei Borboni condusse in esilio in Italia, dopo la Rivoluzione parigina del luglio 1830, Augustin Louis Cauchy (1789-1857), che nel suo Cours d’analyse, analyse algébrique (1821) aveva criticato l’uso delle serie di funzioni, senza una determinazione dell’insieme di convergenza, e aveva introdotto un nuovo concetto di limite e di continuità. Cauchy presentò i suoi risultati in Italia in tre articoli, Sui metodi analitici, Sul calcolo infinitesimale, Sul calcolo delle variazioni, stampati tra il 1830 e il 1831 nei numeri 60, 61 e 62 della «Biblioteca italiana». Era questa una rivista che si pubblicava a Milano dal 1816, promossa da Bellegarde nel primo periodo della Restaurazione, con la direzione di Giuseppe Acerbi e la collaborazione di Pietro Giordani, Vincenzo Monti e Scipione Breislak. La rivista, di orientamento moderato, sopravvisse fino a confluire nel «Giornale dell’I.R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti» (La matematica in Italia, 2001, pp. 100-101).
Fra gli allievi di Brunacci, Bordoni gli successe nella cattedra a Pavia nel 1818, occupandola fino al 1841 per passare a insegnare geodesia. Fu autore di un’opera originale, Degli argini di terra (1820), nella quale gli argomenti (pressioni delle acque sugli argini, massime inclinazioni delle scarpate, trasporto ottimale della terra per la costruzione) sono trattati con strumenti di calcolo tra i più avanzati per l’epoca. Egli fu anche autore di importanti opere didattiche sulle quali si formarono generazioni di allievi, tra i quali il più famoso è Francesco Brioschi. Di Bordoni ricordiamo in particolare il Trattato di geodesia elementare (1823) e le Lezioni di calcolo sublime (1831), opera di derivazione lagrangiana, ma attenta anche ai contributi alla geometria differenziale di studiosi delle generazioni successive (Grattan-Guinness 1990).
Un altro allievo di Brunacci fu Gabrio Piola (1794-1850), che ha lasciato alcune importanti memorie di meccanica nelle quali, partendo dalla Mécanique analytique di Lagrange, e quindi dal considerare la materia continua, passa a una nuova analisi del moto e dell’equilibrio dei corpi considerati come ammassi di molecole: Sull’applicazione della meccanica analitica di Lagrange (1825), La meccanica dei corpi naturalmente estesi (1833), Nuova analisi per tutte le questioni di meccanica molecolare (1836), Intorno alle equazioni fondamentali del movimento dei corpi (1848). Piola fu un importante esponente della cultura cattolica del suo tempo e, come tale, ebbe contatti con Cauchy negli anni del suo esilio in Italia (1831-1833). Va infine sottolineata l’attenzione di Piola per la storia delle matematiche, come documenta il suo Elogio di Bonaventura Cavalieri (1844), composto in occasione della Sesta riunione degli scienziati italiani a Milano e dell’inaugurazione del monumento a Cavalieri a Brera. Piola era allora presidente dell’I.R. Istituto Lombardo di scienze lettere ed arti.
Se il moderato Piola riuscì a convivere con il governo austriaco di Milano, il suo compagno di studi a Pavia Mossotti e un giovane e brillantissimo Guglielmo Libri (1803-1869) dovettero invece scegliere la via dell’esilio. Proprio Mossotti dava alle stampe a Torino nel 1836 un’importante memoria, Sur les forces qui régissent la constitution intérieure des corps (Universitari italiani nel Risorgimento, 2002, p. 34). Egli stava cercando di rientrare in Italia, per concorrere a una cattedra bolognese, ma la strada gli fu sbarrata dall’intervento austriaco sulle autorità pontificie. Si trasferì allora a Corfù dove insegnò per qualche anno presso l’Accademia creata dagli Inglesi, che allora governavano le Isole Ionie. Solo dopo alcuni anni riuscì a rientrare in Italia e a ottenere una cattedra all’Università di Pisa. Qui ebbe come allievi Enrico Betti e Riccardo Felici, dando inizio alla scuola degli analisti e fisici matematici che illustrò a lungo l’Università e la Scuola normale di Pisa (Cesare Arzelà, Vito Volterra, Carlo Somigliana, Salvatore Pincherle ecc.).
Le protezioni familiari avevano garantito a Libri una rapida carriera nell’Università di Pisa, nonostante il passato giacobino del padre Giorgio e della madre Rosa del Rosso. A quest’ultima, Guglielmo dedicava le sue Mémoires de mathématiques et de physique (1829), nelle quali si dimostrava versatissimo nelle opere di Laplace e Lagrange e notevolmente aggiornato sulla letteratura matematica internazionale (teorema di Gauss sui residui quadratici, analisi di Fourier della diffusione del calore ecc.). Implicato in un tentativo di rovesciare il governo granducale, Libri si rifugiò in Francia (1831), dove diventò amico di François Guizot e professore al Collège de France. Pubblicò diverse memorie nei giornali scientifici internazionali, ma i suoi interessi si concentrarono sulla storia delle matematiche. Il culmine del suo lavoro è rappresentato dai quattro volumi dell’Histoire des sciences mathématiques en Italie depuis la renaissance des lettres jusqu’à la fin du dix-septième siècle (1838-1841). L’opera reca come dedica: «L’auteur offre cet ouvrage aux amis qu’il a laissées en Italie»; e reca come divisa un’invocazione di Lorenzo Magalotti, «Italia lacerata, Italia mia». Pervasa di un grande fervore patriottico, faceva iniziare il rinascimento scientifico dai viaggi compiuti in Spagna da Platone da Tivoli e Gherardo da Cremona per apprendere dagli arabi le scienze degli antichi. Svalutava l’apporto alla cultura dei principi italiani del Rinascimento, considerati raccoglitori di medaglie che si circondavano di adulatori e di mediocri. Terminava con le persecuzioni delle quali fu oggetto Galilei da parte dell’Inquisizione romana. La storia di Libri è anche un documento prezioso per gli inediti che pubblicò nelle ampie appendici, tra i quali la parte algebrica del Liber Abbaci di Leonardo Pisano, il Trattato d’abaco poi attribuito a Piero della Francesca, le Meditatiunculae di Guidobaldo Dal Monte (La matematica in Italia, 2001, p. 103).
Gli anni tra il 1770 e il 1830 sono stati tra i più trascurati dalla storiografia delle scienze, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra scienze e politica, scienze e società. Diverse le cause di questa situazione. Da una parte, si tratta di un periodo nel quale il movimento riformatore, che si era manifestato a metà del Settecento, subiva un riflusso e mostrava i suoi limiti, dovendosi fondare sulla buona volontà di sovrani sempre meno illuminati. D’altra parte, il periodo napoleonico è stato guardato spesso come una nuova dominazione straniera in Italia, alla quale l’Italia dovette pagare prezzi altissimi in vite umane nelle guerre di Napoleone, e in risorse e oggetti d’arte portati via dai nuovi vincitori. I molti intellettuali che avevano collaborato con i francesi nella costruzione di quelle che comunque erano le strutture amministrative e culturali di uno Stato moderno furono considerati dei traditori dai governi restaurati. Questi spesso negarono le risorse e ricorsero ai più crudeli metodi polizieschi verso chi continuava a professare principi liberali e costituzionali.
A migliorare attualmente lo stato degli studi stanno concorrendo l’allargamento dei confini delle ricerche in storia della scienza e della cultura che, da una parte, pongono l’attenzione agli scambi culturali tra studiosi di vari Paesi, senza barriere di carattere politico, dall’altra, danno piena evidenza a grandi progetti culturali, imitati e adattati in diversi modi in Europa, come avvenne per l’Institut, che fornì il modello per le principali accademie di tutti i Paesi europei per un secolo e mezzo (Pepe 2005).
Bibliografia
Gran parte delle opere originali qui citate si possono consultare e stampare nel sito Mathematica italiana, http://mathematica.sns.it (17 febbraio 2013), della Scuola normale superiore di Pisa.
Tra i testi di riferimento critico si vedano:
M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980.
Gianfrancesco Malfatti nella cultura del suo tempo, Atti del Convegno, Ferrara (23-24 ottobre 1981), Bologna 1982.
Ideologia e scienza nell’opera di Paolo Frisi (1728-1784), Atti del Convegno internazionale di studi, Milano (3-4 giugno 1985), a cura di G. Barbarisi, Milano 1987.
I. Grattan-Guinness, Convolution in French mathematics, 1800-1840, 3 voll., Basel 1990.
C. Farinella, L’Accademia repubblicana: la Società dei Quaranta e Anton Maria Lorgna, Milano 1993.
R.J. Boscovich. His life and scientific work, Atti del Convegno, Roma (23-27 maggio 1988), a cura di P. Bursill-Hall, Roma 1993.
«Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», 1996, 2.
La matematica in Italia, 1800-1950, a cura di E. Giusti, L. Pepe, Firenze 2001.
Universitari italiani nel Risorgimento, a cura di L. Pepe, Bologna 2002.
C.C. Gillispie, Science and polity in France. The revolutionary and Napoleonic years, Princeton (N.J.) 2004.
L. Pepe, Istituti nazionali, accademie e società scientifiche nell’Europa di Napoleone, Firenze 2005.
M.T. Borgato, Giambattista Guglielmini: una biografia scientifica, Bologna 2007.
L. Pepe, Rinascita di una scienza. Matematica e matematici in Italia (1715-1814), Bologna 2007.
«Dix-huitième siècle», 2008, 40, nr. monografico: La république des sciences, sous la direction de I. Passeron.
Le università napoleoniche. Uno spartiacque nella storia italiana ed europea dell’istruzione superiore, Atti del Convegno internazionale di studi, Padova-Bologna (13-15 settembre 2006), a cura di P. Del Negro, L. Pepe, Bologna 2008.
I. Nagliati, La corrispondenza scientifica di Vittorio Fossombroni (1773-1818), Bologna 2009.
La presenza in Italia dei gesuiti iberici espulsi. Aspetti religiosi, politici, culturali, a cura di U. Baldini, G.P. Brizzi, Bologna 2010.